Pietro  Bembo

Rime


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[XXXVI-LXX]

SONETTO  XXIX.   (XXXVI.)

      Mostrommi Amor da l'una parte, ov'era,
Quanta non fu giamai fra noi nй fia,
Bellezza in sй raccolta e leggiadria
E piano orgoglio ed umiltate altera:

      Brama, ch'ogni viltа languisca e pera,
E fiorisca onestate e cortesia:
Donna in opre crudel, in vista pia;
Che di nulla qua giщ si fida o spera:

      Da l'altra speme al vento, e tema invano,
Fugace allegrezza, e fermi guai,
E simulato riso, e pianti veri;

      E scorno in su la fronte, e danno in mano:
Poi disse a me: seguace, quei guerrieri,
E questo guiderdon tu meco avrai.

    CANZONE VIII.   (XXXVII.)

      Sм rubella d'amor, nи sм fugace
Non presse erba col piede;
Nи mosse fronda mai Ninfa con mano;
Nи treccia di fin oro aperse al vento;
Nи in drappo schietto care membra accolse
Donna sм vaga e bella; come questa
Dolce nemica mia.

      Quel, che nel mondo, e piщ ch'altro mi spiace,
Rade volte si vede,
Fanno in costei pur sovra il corpo umano
Bellezza e castitа dolce concento:
L'una mi prese il cor, come Amor volse;
L'altra l'impiaga sм leggiadra e presta;
Ch'ei la sua doglia oblia.

      Sola in disparte, ov'ogni oltraggio ha pace,
Rosa o giglio non siede;
Che l'alma, non gli assembri a mano a mano
Avvezza nel desio, ch'i serro dentro,
Quel vago fior, cui par uom mai non colse:
Cosм l'appaga, e parte la molesta
Secura legiadria .

      Caro Armellin, ch'innocente si giace,
Vedendo, al cor mi riede
Quella del suo penser gentile e strano.
Bianchezza, in cui mirar mai non mi pento:
Sм novamente me da me disciolse
La vera maga mia, che di rubesta
Cangia ogni voglia in pia.

      Bel fiume, allor ch'ogni ghiaccio si sface,
Tanta falda non diede,
Quanta spande dal ciglio altero e piano
Dolcezza, che puт far altrui contento,
E se dal dritto corso unqua non tolse:
Nи mai s'inlaga mar senza tempesta,
Che sм tranquillo sia.

      Come si spegne poco accesa face,
Se gran vento la fiede;
Similemente ogni piacer men sano
Vaghezza in lei sol d'onestate ha spento.
O fortunato il velo, in cui s'avvolse
L'anima saga, e lei, ch'ogni altra vesta
Men le si convenia.

      Questa vita per altro a me non piace,
Che per lei, sua mercede;
Per cui sola dal vulgo m'allontano;
Ch'avvezza l'alma a gir lа 'v'io la sento;
Sм ch'ella altrove mai orma non volse;
E piщ s'invaga, quanto men s'arresta
Per la solinga via.

      Dolce delfin, che cosм gir la face:
Dolci dei mio cor prede;
Ch'altrui sм presto, a me '1 fan sм lontano
Asprezza dolce, mio dolce tormento:
Dolce, miracol, che vedcr non suolse:
Dolce ogni piaga, che per voi mi resta,
Beata compagnia.

      Quanto Amor vaga, par beltate onesta
Non fu giammai, nи fia.

         CAPITOLO I.  (XXXVIII.)

      Amor и, donne care, un vano e fello,
Cercando nel suo danno util soggiorno,
Altrui fedele, a sй farsi rubello:
      Un desiar, ch'in aspettando un giorno
Ne porta gli anni e poi fugge com'ombra;
Nй lascia altro di se, che doglia e scorno;
      Un falso imaginar, che sм ne ingombra
Or di tema or di speme e strugge e pasce,
Che del vero saper l'alma ne sgombra:
      Un ben, che le piщ volte more in fasce;
Un mal, che vive sempre e, se per sorte
TAllor l'ancidi, piщ grave rinasce:
      Un agli amici suoi chiuder le porte
Del cor, fidando al nemico la chiave,
E far i sensi a la ragione scorte;
      Un cibo amaro, e sostegno aspro e grave;
Un digiun dolce, e peso molle e leve,
Un gioir duro, e tormentar soave:
      Un dinanzi al suo foco esser di neve,
E tutto in fiamma andar sendo in disparte;
E pensar lungo, e parlar tronco e breve;
      Un consumarsi dentro a parte a parte,
Mostrando altrui di for diletto e gioia,
E rider finto, e lagrimar senz'arte;
      Un, perchй mille volte il dм si moia,
Non cercar altra sorte e gir contento
A la sua ferma e disperata noia:
      Un cacciar tigri a passo infermo e lento,
E dar semi a l'arena, e pur col mare
Prati rigar, e nutrir fiori al vento:
      Le guerre spesse aver, le paci rare,
La vittoria dubbiosa, il perder certo;
La libertate a vil, le pregion care;
      L'entrar precipitoso, e l'uscir erto,
Pigro il patti servar, pronto il fallire,
Di poco mel molto assenzio coperto,
      E 'n altrui vivo, in se stesso morire.

       CANZONE IX.   (XXXIX)

      Quanto alma и piщ gentile,
Donna d'Amor e mia, tanto raccoglie
Piщ lietamente onesto servo umile.
      Perchй se 'l Tosco, che di Laura scrisse,
Ven reverente a far con voi soggiorno,
Dolce vi prove piщ, che non provo io.
Forse leggendo come sempre e' visse
Piщ fermo in amar lei di giorno in giorno,
Direte: ben и tale il fedel mio.
      Basso pensero o vile
Non scorgerete in lui, ma sante voglie
Sparse in leggiadro ed onorato stile.

      SONETTO  XXX.   (XL.)

      Siccome sola scalda la gran luce
E veste 'l mondo e sola in lui risplende;
Cosм nel penser mio sola riluce
Madonna, e sol di se l'orna e raccende.

      E qual il velo, che la notte stende,
Febo ripiega e seco il dм conduce;
Tal ella, i mali che la vita adduce
Sgombrando, al cor con ogni ben si rende.

      Tanta grazia del ciel chi vede altrove?
Rivolgete, scrittor famosi e saggi
Tutte in lodar costei le vostre prove.

      Ma tu, che vibri sм felici raggi,
Mio bel Pianeta, onor di chi ti move,
Non tфrre a l'alma i tuoi dolci viaggi.

    SONETTO  XXXI.   (XLI.)

       L'alta cagion, che da principio diede
A le cose create ordine e stato,
Dispose ch'io v'amassi, e dielmi in fato,
Per far di se col mondo esempio e fede.

      Che siccome virtщ da lei procede,
Che 'l tempra e regge, e come и sol beato
A cui per grazia il contemplarla и dato,
Ed essa и d'ogni affanno ampia mercede:

      Cosм 'l sostegno mio da voi mi vene
Od in atti cortesi od in parole;
E sol felice son, quand'io vi miro.

      Nй maggior guiderdon de le mie pene
Posso aver di voi stessa: ond'io mi giro
Pur sempre a voi, come Elitropio al Sole.

      SONETTO  XXXII.  (XLII.)

     Verdeggi all'Appennin la fronte e 'l petto
D'odorate felici Arabe fronde,
Corra latte il Metauro; e le sue sponde
Copran smeraldi, e rena d'oro il letto.

      Al desiato novo parto eletto
De la lor donna, a cui foran seconde
Quante prime fur mai, la terra e l'onde
Si mostrin nel piщ vago e lieto aspetto.

      Taccian per l'aere i venti, e caldo o gelo,
Come pria, no 'l distempre, e tutti i lumi,
Che portan pace a noi, raccenda il cielo.

      D'alti pensieri, oneste e pure voglie,
Lodate arti, cortesi e bei costumi
Si vesta il mondo, e mai non se ne spoglie.

        SONETTO  XXXIII.  (XLIII.)

      O ben nato e felice, o primo frutto
De le due nostre al ciel sм care piante:
O verga, al cui fiorir, l'opere sante
Terranno il mondo e 'l nostro secol tutto:

      Queta l'antica tema, e 'l pianto asciutto
N'hai tu nascendo per molt'anni avante;
Poi, quando giа potrai fermar le piante,
Quel, ch'or non piace, sarа spento in tutto.

      Mira le genti strane, e la raccolta
Schiera de' tuoi, ch'a prova onor ti fanno,
E del gran padre tuo le lode ascolta:

      Che per tornar Italia in libertade
Sostien ne l'arme grave e lungo affanno,
Pien d'un leggiadro sdegno e di pietade.

  SONETTO  XXXIV.  (XLIV.)

       Donne, ch'avete in man l'alto governo
Del colle di Parnaso e de le valli,
Che co' lor puri e liquidi cristalli
Riga Ippocrene e 'l bel Permesso eterno;

      Se mai non tolga a voi state nй verno
Poter guidar cari amorosi balli;
Scrivete questo su duri metalli,
Che la vecchiezza e 'l tempo abbiano a scherno:

      Nel mille cinquecento e dieci avea
Portato a Marte il ventesimo giorno
Febo, e de l'altro dм l'alba surgea,

      Quando al Signor de l'universo piacque
Far di sм dolce pegno il mondo adorno,
E 'l chiaro FEDERICO a noi rinacque.

    SONETTO  XXXV.  (XLV.)

      Se dal piщ scaltro accorger delle genti
Portar celato l'amoroso ardore
In parte non rileva il tristo core
Nй scema un sol di mille miei tormenti;

      Sapess'io almen con sм pietosi accenti quel,
Che dentro si chiude, aprir di fore;
Ch'un dм vedessi in voi novo colore
Coprir le guancie al suon de' miei lamenti.

      Ma si m'abbaglia il vostro altero lume,
Ch'inanzi a voi non so formar parola,
E sto qual uom di spirto ignudo e casso.

      Parlo poi meco, e grido, e largo fiume
Verso per gli occhi in qualche parte sola,
E dolor, che devria romper un sasso.

       SONETTO  XXXVI.  (XLVI.)

      Lasso me, che ad un tempo e taccio e grido,
E temo e spero, e mi rallegro e doglio:
Me stesso ad un Signor dono e ritoglio:
De' miei danni egualmente piango e rido.

      Volo senz'ale e la mia scorta guido:
Non ho venti contrari, e rompo in scoglio,
Nemico d'umiltа non amo orgoglio:
Nй d'altrui nй di me molto mi fido.

      Cerco fermar il Sole, arder la neve:
E bramo libertate, e corro al giogo,
Di fuor mi copro, e son dentro percosso.

      Caggio, quand'io non ho chi mi rileve:
Quando non giova, le mie doglie sfogo:
E per piщ non poter fo quant'io posso.

   SONETTO  XXXVII.  (XLVII.)

       Lasso, ch'i piango, e 'l mio gran duol non move
Tanto presente mal, quanto futuro;
Che se 'l tuo calle, Amor, и cosм duro,
Che fia di me, che non so gir altrove?

      Poichи non valse alle tue fiamme nove
Il ghiaccio, ond'io credea viver securo;
Se il mio debile stato ben misuro,
Certo i cadrт nelle seconde prove.

      Che son sм stanco, e tu piщ forte giungi:
Onde assai temo di lasciar tra via
Questa ancor verde, e giа lacera scorza.

      Sostien molta virtщ noiosa e ria
Sorte tAllor; ma frale e vinta forza
Non puт grave martir portar da lungi.

  SONETTO  XXXVIII.  (XLVIII.)

      Cantai un tempo, e se fu dolce il canto,
Questo mi tacerт, ch'altri il sentiva;
Or и ben giunto ogni mia festa a riva;
Et ogni mio piacer rivolto in pianto.

      O fortunato, chi raffrena in tanto
Il suo desio, che riposato viva;
Di riposo e di pace il mio mi priva:
Cosм va, ch' in altrui pon fede tanto.

      Misero, che sperava esser in via
Per dar amando assai felice esempio
A mille, che venisser dopo noi.

      Or non lo spero; e quanto и grave ed empio
Il mio dolor, saprallo il mondo, e voi,
Di pietate e d'amor nemica e mia.

SONETTO  XXXIX.  (XLIX.)

      Correte fiumi alle vostre alte fonti:
Onde, al soffiar de' venti or vi fermate:
Abeti e faggi il mar profondo amate:
Umidi pesci e voi gli alpestri monti.

      Nй si porti depinta ne le fronti
Alma pensieri e voglie inamorate:
Ardendo 'l verno, agghiacci omai la state:
E 'l Sol lа oltre, ond'alza, inchini e smonti.

       Cosa non vada piщ, come solea:
Poi che quel nodo и sciolto, ond'io fui preso:
Ch'altro che morte scioglier non devea.

      Dolce mio stato, chi mi t'ha conteso?
Com'esser puт quel ch'esser non potea?
O cielo, o terra! e so ch'io sono inteso.

             SONETTO  XL.  (L.)

     Or c'ho le mie fatiche tante, e gli anni
Spesi in gradir Madonna, e lei perduto
Senza mia colpa, e non m'hanno potuto
Levar di vita gli amorosi affanni;

      Perchй vaghezza tua piщ non m'inganni,
Mondo vano e fallace, io ti rifiuto,
Pentito assai d'averti unqua creduto,
De' tuoi guadagni sazio, e de' tuoi danni.

      Che poi che di quel ben son privo e casso,
Che sol volli, e pregiai piщ che me stesso,
Ogni altro bene in te dispregio e lasso.

      Col monte e col suo bosco ombroso e spesso,
Celerа Catria questo corpo lasso,
In fin ch'uscir di lui mi sia concesso.

         SONETTO  XLI.  (LI.)

      Solingo augello, se piangendo vai
La tua perduta dolce compagnia;
Meco ne ven, che piango anco la mia:
Inseme potrem fare i nostri lai.

      Ma tu la tua forse oggi troverai:
Io la mia quando? e tu pur tuttavia
Ti stai nel verde; i fuggo indi, ove sia,
Chi mi conforte ad altro, ch'a trar guai.

      Privo in tutto son io d'ogni mio bene,
E nudo e grave e solo e peregrino
Vo misurando i campi e le mie pene.

      Gli occhi bagnati porto, e 'l viso chino
E 'l cor in doglia, e l'alma fuor di spene,
Nй d'aver cerco men fero destino.

         SONETTO  XLII.  (LII.)

      Dura strada a fornir ebbi dinanzi,
Quando da prima in voi le luci apersi:
Tanti sol una vista, e sм diversi,
E sм gravi martir vien che m'avanzi.

      Vissi quel dм per piщ non viver, anzi
Per morir ciascun giorno, e gli occhi fersi
Duo fonti, e s'io dettai rime ne' versi,
Tristi, non lieti fur, com'eran dianzi.

      Nega un parlar, un atto dolce umile,
E corre al velo sм, come a siepe angue,
Per orgoglio tAllor donna gentile.

      Mirar sempre a diletto alma, che langue,
Nulla giа mai gradir servo non vile,
Questo и le mani aver tinte di sangue.

      SONETTO  XLIII.  (LIII.)

       O per cui tante invan lagrime e 'nchiostro,
Tanti al vento sospiri e lode spargo,
Non ch'Apollo mi sia cortese e largo
Di quel, onde s'eterni il nome vostro;

      Ma dico, che non oro, o gemme, od ostro
Fer col pastor Ideo la donna d'Argo;
Nй con Giove e Giunone e gli occhi d'Argo;
Io famosa, passar al secol nostro;

      E se mercй de' lor fidi scrittori
L'una sen va col pregio di beltade,
L'altra ebbe lа sul Nilo altari e tempio;

      Voi perchй no' alcun segno di pietade
Darmi tAllor, ch'io vinca il duro scempio,
E questa penna, come puт, v'onori?

SONETTO  XLIV.  (LIV.)

       Se vuoi ch'io torni sotto 'l fascio antico,
Che tu legasti, Amor, forza disciolse,
E sparso in parte un desir poi raccolse
Piщ di constanzia che di pace amico;

      Rendimi il ricco sguardo, onde mendico
Fui gran tempo: e qual pria ver me si volse
Madonna e 'l mio cor timido raccolse
In grembo al suo penser saggio e pudico;

      Mirando a la sua fede ferma e pura,
A la mia grave e travagliata sorte,
Di lor certa e pietosa or ne raccoglia.

      Ma non la cange poi chiara od oscura
Vista del ciel, che 'n sofferir gran doglia
Non sarei piщ, Signor, come giа, forte.

        SONETTO  XLV.  (LV.)

       Con la ragion nel suo bel vero involta
L'ardito mio voler combatte spesso
Di speme armato: e muovono con esso
Falsi pensieri a larga schiera e folta.

      Ivi se la vittoria erra tal volta
Nel primo incontro, e non si ferma espresso;
Han per lo piщ gli assalti un fine stesso,
Che la miglior si torna in fuga volta:

      Allor senza sospetto il vano e folle
Di me trionfa a pieno arbitrio, e parte
S'avanza in far le sue brame contente.

      Ma tosto il cor doglioso e 'l petto molle
Gli mostran, quant'и il peggio assai sovente,
Di quel, che piace, aver alcuna parte.

        SONETTO  XLVI.  (LVI.)

      Questo infiammato e sospiroso core
Di duol trabocca, e gli occhi ognor piщ desti
Sono al pianger: e l'alma i piщ molesti
Messi introduce, e scaccia i lieti fore.

      Antifonte, che orando alto dolore
Nei turbati sedar giа promettesti;
Vedendo or la mia pena, ben diresti,
Che l'arte tua di lei fosse minore.

      Ma tu sanavi quei, ch'avean desire
Di lor salute; e molte afflitte menti
Forse quetт la tua leggiadra lingua.

      Io son del mio mal vago, e del morire
Sarei: se non ch'i' temo a' miei tormenti
Apporti fine, e 'l grave incendio estingua.

      SONETTO  XLVII.  (LVII.)

      Speme, che gli occhi nostri veli e fasci,
Sfreni e sferzi le voglie e l'ardimento;
Cote d'amor, di cure e di tormento
Ministra; che quetar mai non ne lasci;

      Perchй nel fondo del mio cor rinasci,
S'io te n'ho svelta? e poi ch'io mi ripento
D'aver a te creduto e 'l mio mal sento;
Perchй di tue promesse ancor mi pasci?

      Vattene ai lieti e fortunati amanti:
E lor lusinga, a lor porgi conforto,
S'han qualche dolci noie e dolci pianti.

      Meco: e ben ha di ciт Madonna il torto:
Le lagrime son tali, e i dolor tanti,
Ch'al piщ misero e tristo invidia porto.

      CANZONE  X.    (LVIII.)

      Ben ho da maledir l'empio Signore,
Che d'ogni mio penser vi fece obietto;
E quante voci in procurarvi onore
M'uscir da indi in qua giamai del petto;
E i passi, sparsi voi seguendo, e l'ore
Spese a vostr'uso piщ che a mio diletto;
E 'l laccio, ond'io fui stretto,
Quando 'l ciel non potea d'altro legarme:
Poi che di tanta e cosм lunga fede
Ogni or piщ grave oltraggio и la mercede.

      Ahi quanto aven di quello, onde si dice:
Chi solca in lito, perde l'opra e 'l tempo.
Ogni frutto si trae da la radice;
Ma non aprono i fior tutti ad un tempo.
Giа fu, ch'io m'ebbi caro, e gir felice
Sperai solo per voi tutto 'l mio tempo.
Nи giammai si per tempo
A ripensar di voi seppi destarme,
Nи Febo i suoi destrier si lento mosse,
Che 'l giorno al desir mio corto non fosse.

      Or veggo, e dirol chiaro in ciascun loco;
Oro non ogni cosa и, che risplende.
Un parlar finto, un guardo, un riso, un gioco,
Spesso senz'altro molti cori accende.
Mal fa, chi tra duo parte onesto foco
E me del vezzo suo nota e riprende:
E chi l'amico offende
Coprendo sй con l'altrui scudo ed arme:
E chi per inalzar falso e protervo
Mette al fondo cortese e leal servo.

      Alcun и, che de' suoi piщ colti campi
Non miete altro che pruni, assenso e tosco
E gente armata, ond'a gran pena scampi:
Altri si perde in raro e picciol bosco:
Ad altrui ven, ch'ad ogni tempo avvampi,
E altri ha sempre il ciel turbato e fosco.
Non sia del tutto losco,
Chi d'esser Argo a diveder vol darme.
Mal si conosce non provato amico:
E mal si cura morbo interno antico.

      Ma sia che puт: dopo 'l gelo ritorna
La rondinetta, e i brevi dм sen vanno;
In ogni selva egualmente soggiorna
Libero augello: e tal par grave danno,
Che poi via maggiormente a pro ne torna.
И gran parte di gioia uscir d'affanno.
Piщ che dorato scanno,
Puт la stanchezza un bel cespo levarme:
Nи di diletto i poggi e la verd'ombra
Men che logge e teatro il cor m'ingombra.

      Poichи 'l suon tace, и tolto a gran vergogna
Per breve spazio ancora essere in danza.
Ebbi giа per ben dire agra rampogna:
Or altri in mal oprar se stesso avanza.
Odesi di lontano alta sampogna:
E nulla teme, chi non ha speranza.
Fuggir и buona usanza,
S'uom non и mago, o non sa il forte carme;
Fera, ch'a rimirar dolce e soave
Lo spirto e 'l dente ha venenoso e grave.

      Di nessun danno mio molto mi doglio.
Godo la buona sorte: e se la ria
M'assale, i desir miei sparsi raccoglio;
E me ricovro a la virtute mia.
Nй vostra pace piщ, nй vostro orgoglio
Dal suo dritto camin l'alma desvia.
Chi vole in mar si stia,
E 'l legno suo di speme non disarme:
Ch'io del mal posto tempo e studio accorto
Fuggo da l'onde ingrate, e prendo il porto.

         CANZONE   XI.   (LIX.)

      O rossigniuol, che 'n queste verdi fronde
Sovra 'l fugace rio fermar ti suoli;
E forse a qualche noia ora t'involi,
Dolce cantando al suon de le roche onde;
Alterna teco in note alte e profonde
La tua compagna, e par che ti consoli.
A me, perch'io mi strugga, e pianto e duoli
Versi ad ogni or, nessun giamai risponde:
Nи di mio danno si sospira, o geme;
E te s'un dolor preme,
Puт ristorar un altro piacer vivo:
Ma io d'ogni mio ben son casso e privo.

      Casso e privo son io d'ogni mio bene,
Che se 'l portт lo mio avaro destino;
E, come vedi, nudo e peregrino
Vo misurando i poggi, e le mie pene.
Ben sai, che poche dolci ore serene
Vedute ho nell'oscuro aspro cammino
Del viver mio; di cui fosse vicino
Il fin, che per mio mal unqua non vene;
E mi riserva a tenebre piщ nove.
Ma se pietа ti move,
Vola tu lа, dove questo si vole;
E sciogli la tua lingua in tai parole:

      A piи dell'alpi, che parton Lamagna
Dal campo, ch'ad Antenor non dispiacque;
Con le fere, e con gli arbori, e con l'acque
Ad alta voce un uom d'amor si lagna.
Dolore il ciba, e di lagrime bagna
L'erba, e le piaggie, e da che pria li piacque
Penser di voi, quanto mai disse o tacque,
Va rimembrando: e 'n tanto ogni campagna
Empie di gridi, u' pur che 'l piи lo porte:
E sol desio di morte
Mostra negli occhi e 'n bocca ha 'l vostro nome,
Giovane ancor al volto ed alle chiome.

      Che parli, o sventurato?
A cui ragioni? a che cosм ti sfaci?
E perchи non piщ tosto piangi, e taci ?

       CANZONE  XII.    (LX.)

      Quand'io penso al martire,
Amor, che tu mi dai gravoso e forte;
Corro, per gire a morte,
Cosм sperando i miei danni finire.

      Ma poi ch'i' giungo al passo,
Ch'io porto in questo mar d'ogni tormento;
Tanto piacer ne sento,
Che l'alma si rinforza, ond'io no 'l passo.

      Cosм 'l viver m'ancide:
Cosм la morte mi ritorna in vita:
O miseria infinita,
Che l'uno apporta, e l'altra non recide!

CANZONE  XIII.   (LXI.)

      Che ti val saettarmi, s'io giа fore
Esco di vita, o niquitoso arcero?
Di questa impresa tua, poi ch'io ne pero,
A te non pт venir piщ largo onore.
Tu m'hai piagato il core,
Amor, ferendo in guisa a parte a parte,
Che loco a nova piaga non puт darte,
Nи di tuo stral sentir fresco dolore.
Che vuoi tu piщ da me? ripon giщ l'arme:
Vedi ch'io moro: omai che puoi tu farme?

      CANZONE  XIV.    (LXII.)

       Voi mi poneste in foco
Per farmi anz'il mio dм, donna perire:
E perchи questo mal vi parea poco,
Col pianto raddoppiaste il mio languire.
Or io vi vo' ben dire;
Levate l'un martire:
Che di due morti i non posso morire.

      Perocchи dall'ardore
L'umor, che ven dagli occhi, mi difende:
E che 'l gran pianto non distempre il core,
Face la fiamma, che l'asciuga e 'ncende.
Cosм quanto si prende
L'un mal, l'altro mi rende;
E giova quello stesso, che m'offende.

      Che se tanto a voi piace
Veder in polve questa carne ardita,
Che vostro e mio mal grado и sм vivace;
Perchи darle giammai quel, che l'aita?
Vostra voglia infinita
Sana la sua ferita:
Ond'io rimango in dolorosa vita.

      E di voi non mi doglio,
Quanto d'Amor, che questo vi comporte;
Anzi di me, ch'ancor non mi discioglio.
Ma che poss'io? con leggi inique e torte
Amor regge sua corte.
Chi vide mai tal sorte,
Tenersi in vita un uom con doppia morte?

     SONETTO  XLVIII.  (LXIII.)

      Se 'l foco mio questa nevosa bruma
Non tempra; onde verrа, che sperar possa
Refrigerio al bollor, che mi disossa,
Nи cal di ciт chi m'arde e mi consuma?

      L'antica forza, che qual leve piuma
Soprappose Ossa a Pelio, Olimpo ad Ossa,
Non fu d'amor e di pietа sм scossa:
E mar, quando piщ freme irato e spuma,

      Non cura men le dolorose strida
De la misera turba, che si vede
Perir nel frale e giа sdruscito legno,

      Ched ella i prieghi miei; dura mercede.
Ma cosм va, chi per sua luce e guida
Prende bel ciglio e non cortese ingegno.

SONETTO  XLIX.  (LXIV.)

      Se deste a la mia lingua tanta fede,
Madonna, quanta al cor doglia e martiri;
Non girian tutti al vento i miei sospiri,
Nи sempre indarno chiederei mercede.

      Ma 'l vostro duro orgoglio, che non crede
Al mio mal, perch'io parli ancora e spiri,
Cagion sarа, ch'i miei brevi desiri
Finisca Morte, che giа m'ode e vede.

      E io ne prego lei e chi mi strinse
Nel forte nodo, allor che prima in noi
Un sol piacer ben mille ragion vinse;

      Che potrа sempre il mondo dir di voi:
Questa fera e crudele a morte spinse
Un, che l'amт via piщ che gli occhi suoi.

         SONETTO  L.  (LXV.)

      Rime leggiadre, che novellamente
Portaste nel mio cor dolce veneno,
E tu stil d'armonia, di grazia pieno,
Com'ella, che ti fa puro e lucente;

      Vedete, quanto in me veracemente
L'incendio cresce, e la ragion ven meno:
E se nel volto no 'l dimostro a pieno,
Dentro и 'l mio mal piщ che di fuor possente.

      Sappia ognun, ch'io vorrei ben farvi onore:
Tal me ne sprona, e si devea per certo;
Lasso, ma che puт far un, che si more?

      Era 'l sentier da se gravoso ed erto
A dir di voi: or tiemmi il gran dolore
D'ogni altro schivo, e di me stesso incerto.

          SONETTO  LI.  (LXVI.)

      Colei, che guerra a' miei pensieri indice,
E io pur pace e null'altro le cheggio;
Rinforzando la speme, ond'io vaneggio,
Dolce mia vaga angelica beatrice;

      Or in forma di Cigno, or di Fenice,
S'io parlo, scrivo, penso, vado, o seggio,
M'и sempre inanzi; e lei sм bella veggio,
Che piacer d'altra vista non m'allice.

      Per la via, che 'l gran Tosco amando corse,
Dice non ir: che 'ndarno oggi si brama
La vena, che del suo bel lauro sorse.

      Ma chi poria tacer, quand'altri il chiama
Sм dolcemente? Amor mi spinse e torse:
Duro se punge, e duro, se richiama.

           SONETTO  LII.  (LXVII.)

       Se ne' monti Rifei sempre non piove;
Nи ciascun giorno и 'l mar Egeo turbato;
Nи l'Ebro o l'Istro o la Tana gelato;
Nи Borea i faggi ognior sferza e commove:

      Voi perchй pur mai sempre di piщ nove
Lagrime avete il bel volto bagnato?
Nи parte, o torna Sol, che l'ostinato
Pianto con voi non lasci e non ritrove?

      Il Signor, che piangete e morte ha tolto,
Ride del mondo e dice: or di me vive
Il meglio, e 'l piщ, che dianzi era sepolto.

      Ma tu di pace a che per me ti prive,
O mia Fedel, che 'n pace alta raccolto
Godo fra l'alme benedette e dive?

      SONETTO  LIII.  (LXVIII.)

      Certo ben mi poss'io dir pago ornai
D'ogni tuo oltraggio, Amor: e s'a colparte
Distretto 'l verso o le prose consparte
Ho pur talora; or me ne pento assai.

      Che le note, onde tu ricco mi fai,
Di quella, che dal vulgo mi diparte,
Ancor mai non veduta; e scorge in parte,
Ove tu scorto pochi, o nessun hai;

      Son tali, che quetar ben mille offesi
Possono, e di mille alme scacciar fora
Desir vili, e 'ngombrar d'alti e cortesi.

      Pensar quinci si puт, qual fia quell'ora,
Ch'i' vedrт gli occhi, ch'or mi son contesi,
E la voce udirт, che Brescia onora.

     SONETTO  LIV.  (LXIX.)

      O d'ogni mio penser ultimo segno,
Vergine veramente unica e sola,
Di cui piщ caro e prezioso pegno
Amor non ha, quanto saetta e vola;

      Di quella chiara fronte, che m'invola,
Giа pur pensando, e 'n parte и 'l mio sostegno;
Di quel bel ragionar pien d'alto ingegno,
Vedrт mai raggio, udirт mai parola?

      Quando ebbe piщ tal mostro umana vita;
Bellezze non vedute arder un core,
E 'mpiagarlo armonia non anco udita?

      Lasso, non so; ma poi che 'l face Amore,
Lа 'nd'i ho giа l'alma accesa, onde ferita,
Ponga pietа, quanto ha 'l ciel posto onore.

              STANZA      (LXX.)

      Qual meraviglia, se repente sorse
Del Volgar nostro in te si largo fonte,
Strozza mio caro; a cui del Latin forse
Vena par non bagnava il sacro monte?
Sм rara donna in vita al cor ti corse,
Per trarne fuor rime leggiadre e conte,
Che poria delle nevi accender foco,
E di Stige versar diletto e gioco.


Edizione telematica  a cura di: Giuseppe Bonghi, 1999
Revisione, Edizione HTML e impaginazione a cura di: Giuseppe Bonghi, Aprile 1999
Tratto da: Rime di Pietro Bembo, corrette, illustrate ed accresciute con le annotazioni di Anton-Federico Seghezzi, e la vita dell'autore novellamente rifatta sopra quella di Monsig. Lodovico Beccatelli. Edizione seconda - In Bergamo )(  MDCCLIII appresso Pietro Lancellotti Con Licenza de' Superiori

© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi

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