Pietro  Bembo

Rime


RIME
DI
M.  PIETRO  BEMBO
DA LUI MEDESIMO RIFIUTATE

Ma poste poi fra l'altre sue per soddisfazione de' nobili ingegni

                 *     *      *     *     *

              CAPITOLO I.

      Io stava in guisa d'uom, che pensa e pave
Campato da la morte, e sente orrore
Del mal passato, e pargli ancor ir grave;
      E per memoria de l'antico ardore,
A cui sovente e volentier m'involo,
D'un freddo smalto m'avea cinto il core.
      Quando io fui sopraggiunto inerme e solo
Da molte belle vaghe donne armate,
Che movean contra me tutto lor stuolo.
      Le prime eran bellezza ed onestate,
Possenti imperatrici, e con lor gмa
Virtщ canuta, e giovenile etate.
      E dopo questa gran torma venia
D'altre elette gentil, ch'avean per scorta
Alto intelletto, e somma cortesia.
      Come non so, ma quella gente accorta
Con forte nodo giа m'avea legato,
Ch'era di speme con piacer attorta.
      Mentr'io pensava al mio novello stato,
Riser di tanto inver la lor Reina;
Indi a lei, cosi preso, fui donato:
      E sentм dir: a questa ora t'inchina;
E caro esser ti puote; a questa Donna
      Il ciel per tua ventura ti destina.
A questa di valor ferma colonna
S'appoggerа lo tuo stanco pensero;
      Per questa cangierai costumi e gonna.
Piщ ti vo' dire ancora, e siati vero
Quando che sia, e tosto potrai dire;
      Ma tu n'andresti forse tropp'altero.
Un bene, un male, una speme, un desire
Sм farа d'ambo voi; nи tempo, o loco
      Potrа da l'un giammai l'altro partire.
Piщ soave, tranquillo, e dolce foco
In duo cor giovenil non arse ancora;
      E quel ch'io parlo, a quel ch'io sento, и poco.
Di quanto ti son stati infin ad ora,
Che sai ch'и molto, Amor e 'l ciel avversi,
      Di tanto t'и seconda, e piщ quest'ora.
I tuoi sospir di lagrime conspersi
Rivolgerai ver questa alto cantando,
In mille prose vago e 'n mille versi.
      E benchй ella sia tal, ch'assai poggiando
Si levi per se stessa oltra ogni segno,
Pur non le spiacerа, che cerchi amando
      Lasciar del suo bel nome eterno pegno.

                    CAPITOLO  II.

      Fiume, che del mio pianto abbondi e cresci,
E con le tue gelate e lucide onde
Le mie sм calde e sм torbide mesci;
      Pini, ch'avete a le soavi sponde,
Sм come io d'altri a me, fatto corona
De le vostre alte e sempre verdi fronde;
      Valle, ove 'l ciel de' miei sospir risuona;
Ov'ogni augello, ov'ogni fera omai
E sterpo e sasso del mio mal ragiona;
      Aura, ch'ad or ad or furando vai
A l'erbe 'l fresco, ai fior soavi odori,
A me concenti ed angosciosi lai;
      E voi, che forse a piщ felici amori
Sarete ancora albergo, o verde riva,
Folto seggio, ombre fide, amici orrori;
      Quando saranno i miei pensieri a riva?
Quando avrт queto e riposato il core?
Quando fia mai, che senza pena io viva?
      Vaghi pastor, ch'al mio novo colore
Mille fiato giа fermaste il piede
Con segno di pietade e di dolore,
      Vedete ben, ed altri anco se 'l vede,
Quanto и mia sorte dispietata e dura:
Questo m'avanza di cotanta fede.
      Ahi crudo Amor e mia fera ventura,
Perchй date ad un cor ogni tormento?
A voi che ven dalla mia vita oscura?
      Da poi ch'io nacqui, e foss'io in quel dм spento,
Non ebbi un giorno lieto, e la mia nave
Sempre fu spinta da contrario vento.
      Or ch'io sperava un fin dolce e soave
Di tante guerre, e di si lungo affanno,
Via piщ mi trovo in stato acerbo e grave.
      Ma cosм vada; e poi che del mio danno,
O quanto avvien di quel, che non si spera,
Madonna, il mondo, il ciel lor prт si fanno,
      Per me non mostri un fior la primavera,
Nи 'l Sol un raggio, e sia pallido verno
Quantunque io miro, e notte orrenda e nera,
      E 'l mio mal, se non и, diventi eterno.

                    CAPITOLO  III

      Dolce mal, dolce guerra, e dolce inganno,
Dolce rete d'Amor e dolce offesa,
Dolce languir, e pien di dolce affanno.
      Dolce vendetta in dolce foco accesa
Di dolce onor, che par giammai non ave,
Principio della mia sм dolce impresa.
      Dolci segni, ch'io seguo, e dolce nave,
Che porti la mia speme a dolce lido
Per l'onda del penser dolce e soave.
      Dolce infido sostegno, e cader fido:
Dolce lungo dubbiar, e saper corto:
Dolce chiaro silenzio, e roco grido.
      Dolce bramar giustizia, e chieder torto:
Dolce andar procacciando i danni suoi:
Dolce del suo dolor farsi conforto.
      E dolce stral, che 'l cor d'ambeduo noi
Ferendo intrasti lа, dove altro mai
Non passт prima e non passerа poi.
      Dolce del proprio ben sempre trar guai,
E gir poi del suo mal alto cantando:
Dolci ire, dolci pianti, e dolci lai.
      Dolce tacendo, amando, e desiando
Romper un sasso, e raccender un gelo
Pregando, sospirando, o lagrimando.
      Dolce dinanzi agli occhi ordirsi un velo,
Che non lasci veder, perchй si miri,
Fronda in selva, acqua in mar, o stella in cielo.
      Dolce portar in fronte i suoi desiri,
E dentro aver il foco, e d'ogn'intorno
Mandar da lunge 'l suon de' suoi martiri.
      Dolce via piщ temer di giorno in giorno,
Ed ardir meno, e sol d'una figura
A l'alma specchio far la notte e 'l giorno.
      Dolce aver piщ d'altrui che di sй cura,
E governar due voglie con un freno,
E 'n comune recar ogni ventura.
      Dolce non esser mai beato a pieno,
Nи del tutto infelice, e dolce spesso
Sentirsi innanzi tempo venir meno:
      E per cercar altrui perder se stesso.

              SONETTO I. (IV.)

      Amor, che vedi i piщ chiusi pensieri,
Ed odi quel, ch'ad ogn'altro si tace,
Quando fia, che pietа m'impetri pace
Con tanti al danno mio pronti guerrieri?

     Lasso, che non so piщ quel, ch'io ne speri:
Che quanto meno alla mia Donna piace
Il mio languir, tu piщ tanto fallace
Armi ver me folti nemici e feri.

     Ma s'ella m'assecura, e tu spaventi,
Lentando orgoglio, e rinforzando inganno,
Non avran piщ fine i miei tormenti.

     O dubbiosa mercede, o certo affanno!
O fosser giа questi due lumi spenti,
Poi ch'altro mai, che lacrimar non fanno.

                SONETTO II. (V.)

      Ben и quel caldo voler voi, ch'io prenda,
PIETRO, a lodar la donna vostra, indarno,
Qual fora a dir, che 'l Taro, il Sile, o l'Arno
Piщ ricco l'Oceano e maggior renda.

      E poi conven, qual io mi sia, ch'intenda
Ad altra cura, e 'n ciт mi stempro e scarno;
Nи quanto posso il vivo esempio incarno,
Che non adombran treccie, o copre benda.

      Chi vede il bel lavoro ultimo vostro,
Alto levan, dirа, le costui rime
La sua SIRENA, onor del secol nostro.

      La quale oggi risplende tra le prime
Per voi, siccome novo e dolce mostro,
Di beltа, di valor chiaro e sublime.

             SONETTO III. (VI.)

      Nи securo ricetto ad uom, che pave
Scorgendo da vicin nemica fronte;
Nи dopo lunga sete un vivo fonte;
Nи pace dopo guerra iniqua e grave;

      Nи prender porto a travagliata nave;
Nи dir parole amando ornate e pronte;
Nи veder casa in solitario monte
A peregrin smarrito и si soave;

      Quant'и quel giorno a me felice e caro,
Che mi rende la dolce amata vista,
Di cui m'и 'l ciel piщ che Madonna avaro.

      Nи, perch'io parta poi, l'alma s'attrista:
Tanta in quel punto dal bel lume chiaro
Virtщ, senno, valor, grazia s'acquista.

               SONETTO IV. (VII.)

      Ben puoi tu via portartene la spoglia
Greve e stanca di me, vago destrero:
Ma lo spirto al suo ben pronto e leggero
Torna sovente, com'Amor le 'nvoglia.

      Nи teme, ch'altrui forza unqua li toglia
Quel di gir insin lа, dolce sentero;
Ond'io per questo acerbo anco non pero,
Col suo gioir temprando la mia doglia.

      E certo son, se non m'inganna Amore,
Che scorgendo Madonna i suoi desiri
Dirа, questi ne ven da fedel core:

      Lo qual, perchй lontan da me si giri,
Non fia che sempre non mi renda onore,
E me sol brami, e sol per me sospiri.

           CANZONE I.    (VIII.)

      Amor, perchй m'insegni andare al foco,
Dove 'l mio cor si strugge,
Seguendo chi mi fugge,
Pregando chi 'l mio duol si torna in gioco?

      Credea trovar ne l'amorosa tresca
Piщ dolce ogni fatica:
Ahi del mio ben nemica:
Che 'l piacer manca, e 'l tormento rinfresca.

      Donne, che non sentiste ancor d'Amore,
Quanto beate sete,
Se voi non v'accorgete,
Mirate quanto и grave il mio dolore.

            CANZONE II. (IX.)

      Io vissi pargoletta in festa e 'n gioco
De' miei penfier, di mia sorte contenta:
Or sм m'affligge Amor e mi tormenta,
Ch' omai di tormentar gli avanza poco.

      Credetti, lassa, aver gioiosa vita,
Da prima entrando, Amor, alla tua corte;
E giа n'aspetto dolorosa morte:
O mia credenza come m'hai fallita!

      Mentre ad Amor non si commise ancora,
Vide Colco Medea lieta e secura:
Poi ch'arse per Jason, acerba e dura
Fu la sua vita infin all'ultim'ora.

             CANZONE III. (X.)

      Amor d'ogni mia pena io ti ringrazio,
Sм dolce и 'l tuo martire:
Ogni d'altro gioire,
Signor, и doglia, e festa ogni tuo strazio.

      Ben mi credetti giа, che grave peso
Fosse, Amor, la tua salma:
Or veggo, e ten chier l'alma
Mercй, che tu da me non eri inteso.

      Giurerei, donne amanti, all'alta e fina
Mia gioia ripensando,
Ch'una ancilletta amando
Lo stato agguagli d'ogni gran Reina.

           CANZONE IV. (XI.)

      Io vissi pargoletta in doglia e 'n pianto,
Delle mie scorte, e di me stessa in ira:
Or sм dolci penfier Amor mi spira,
Ch'altro meco non sta che riso e canto.

      Arei giurato, Amor, ch'a te gir dietro
Fosse proprio un andar con nave a scoglio:
Cosм la 'nd'io temea danno e cordoglio,
Utile scampo alle mie pene impetro.

      In fin quel dм, che pria la vinse Amore,
Andromeda ebbe sempre affanno e noia:
Poi ch'a Perseo si diи, diletto e gioia
Seguilla viva, e morta eterno onore.

          CANZONE V. (XII.)

      И cosa natural fuggir da morte;
E quanto puт ciascun tenersi in vita.
      Ahi crudo Amor, ma io cercando morte
Vo sempre, e pur cosм mi serbo in vita.
      Che perchй 'l mio dolor passa ogni morte,
Corro a por giщ questa gravosa vita.
      Poi, quand'io son giа ben presso a la morte,
E sento dal mio cor partir la vita,
      Tanto diletto prendo della morte,
Ch'a forza quel gioir mi torna in vita.

         CANZONE VI. (XIII.)

      Quand'io penso al martire
Arnor, che tu mi dai gravoso e forte;
Corro per gir a morte,
Cosм sperando i miei danni finire.

      Ma poi ch'i giungo al passo,
Ch'и porto in questo mar d'ogni tormento,
Tanto piacer ne sento,
Che l'alma si rinforza, ond'io no 'l passo.

      Cosм 'l viver rn'ancide:
Cosм la morte mi ritorna in vita.
O miseria infinita;
Che l'uno apporta, e l'altra non recide.

          CANZONE VII. (XIV.)

      Chi rompe nell'Egeo, se poi vi riede,
И gran ragion, che senza pro si doglia.
      Chi torna al ceppo, che gli offese il piede,
Conviensi ch'indi mai non si discioglia.
      Chi prova Amor un tempo, e poi li crede,
Altro che pianto и ben, che non ne coglia.
      O miei pensieri imaginati e folli,
Voi che speraste? o pur lo che ne volli?

        CANZONE VIII. (XV.)

      Cittа con piъ sudor posta, e cresciuta
Piщ grato rende il fio, che se ne coglie.
      Vittoria con maggior perigli avuta
Piщ care sa le rapportate spoglie.
      E nave piщ da' venti combattuta
Con maggior festa in porto si raccoglie.
      Cosм quanto ebbe piщ d'amaro il fiore,
Tanto и piщ dolce poi nel frutto Amore.

          CANZONE IX. (XVI.)

      Quel che sм grave mi parea pur dianzi,
Or m'и sм leve, che vago ne sono,
E menzogna parrа, s'io ne ragiono.

      Tu mi furasti il core
Amor con gli occhi vaghi di costei;
Mentr'io nel lor splendore
Tenea mirando intenti i spirti miei.
Lasso che poi non fei
Per riaverlo, e di mia vita in forsi
Non star senz'esso sм, com'io credea,
Lo mio fero destin sempre colpando?
Per qual poggio non corsi,
E valle e riva pur di lui cercando?
Lagrime e preghi a qual Ninfa non porsi?
E valse al fin: che s'io l'andai chiamando
Un giorno, allor che men speme n'avea,
Al suon di quel lamento si rivolse.
Ma che frutto sen tolse?
Che m'и giovato il mio lungo dolore?
O quanto in van si spargon molti pianti:
O corso pien d'errore:
O senza legge stato degli amanti!
Che tosto ch'io m'accorsi,
Che viver senza l'alma si potea;
A begli occhi ne fei cortese dono,
E del mio folle error chiesi perdono.

           CANZONE X. (XVII.)

      Occhi miei lassi, omai ch'altrove и volto
Il Sol, che facea luce a la mia vita,
Pur de' suo santi raggi il cor pascendo;
Accompagnate il gran dolor accolto,
Ch'a lamentarsi trae l'alma schernita,
Il vostro error, e 'l suo danno piangendo.
Che se le sue ragioni chiaro intendo,
Doveste a miglior tempo esser accorti.
Or che son da partir le vostre pene,
A voi pianger convene,
Che foste dal piacer sм tosto scorti,
Dolersi a lei, che nutrм falsa spene.

      Ma io che debbo far? chi m'assicura,
Senza l'usato mio dolce conforto
Rimaso nudo, e 'n solitaria parte?
Seguir no 'l posso, ahi mia fera ventura!
E quм son men che mezzo; e quello и morto:
Che seco andт la viva e maggior parte.
Nи mai da corpo un'anima si parte
Ne le primiere sue piщ felici ore,
Che se ne doglia tal, qual io mi doglio.
O che grave cordoglio!
Madonna и ita, ed ha seco 'l mio core;
Et io sto qui pur contra quel, ch'io voglio.

      Come nave in gran mar, se nube asconde
Le stelle, che reggeano il suo cammino,
Riman errando in dubbio di suo stato;
Cosм son io tra queste orribil onde
D'Amor, ove mi spinse il mio destino,
Rimaso lasso con la morte a lato:
Poi che 'l mio nubiloso acerbo fato
M'invidia que' due cari onesti lumi,
Che mi fidaro al periglioso corso.
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      Sin qui sono le Rime rifiutate dal Bembo, e impresse nell'edizione del Giolito, che a noi ha seguito di guida. Quelle che sieguono sono state raccolte dal Seghezzi, e impresse nell'edizione in foglio delle Opere del Bembo.


Edizione telematica  a cura di: Giuseppe Bonghi, 1999
Revisione, Edizione HTML e impaginazione a cura di: Giuseppe Bonghi, Aprile 1999
Tratto da: Rime di Pietro Bembo, corrette, illustrate ed accresciute con le annotazioni di Anton-Federico Seghezzi, e la vita dell'autore novellamente rifatta sopra quella di Monsig. Lodovico Beccatelli. Edizione seconda - In Bergamo )(  MDCCLIII appresso Pietro Lancellotti Con Licenza de' Superiori

© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi
 

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