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FOLGORE DA SAN GIMIGNANO

SONETTI

Edizione di riferimento:

Poeti giocosi del tempo di Dante, a cura di M. Marti, Milano, Rizzoli, 1956.

PER UN CAVALIERE

 

(Introduzione)

 

         Ora si fa un donzello cavalieri;

e’ vuolsi far novellamente degno,

e pon sue terre e sue castell’a pegno

per ben fornirsi di ciò ch’è mistieri:

         annona, pane e vin dà a’ forestieri,

manze, pernici e cappon per ingegno;

donzelli e servidori a dritto segno,

camere e letta, cerotti e doppieri;

         e pens’a molti affrenati cavagli,

armeggiatori e bella compagnia,

aste, bandiere, coverte e sonagli;

         ed istormenti con gran baronia,

e giucolar per la terra guidàgli,

donne e donzelle per ciascuna via.

 

Prodezza

 

         Ecco Prodezza, che tosto lo spoglia

e dice: — Amico, e’ convien che tu mudi,

per ciò ch’i’ vo’ veder li uomini nudi

e vo’ che sappi non abbo altra voglia;

         e lascia ogni costume che far soglia,

e nuovamente t’affatichi e sudi;

se questo fai, tu sarai de’ miei drudi

pur che ben far non t’incresca né doglia —.

         E quando vede le membra scoperte,

immantenente sì le reca in braccio

dicendo: — Queste carni m’hai offerte;

         i’ le ricevo e questo don ti faccio,

acciò che le tue opere sien certe:

che ogni tuo ben far già mai non taccio —.

 

Umilità

 

         Umilità dolcemente il riceve,

e dice: — Punto non vo’ che ti gravi,

ch’e’ pur convien ch’io ti rimondi e lavi,

e farotti più bianco che la neve;

         e intendi quel ched io ti dico breve,

ch’i’ vo’ portar dello tuo cor le chiavi,

ed a mio modo converrà che navi,

ed io ti guiderò sì come meve.

         Ma d’una cosa far tosto ti spaccia,

ché tu sai che soperbia m’è nimica:

che più con teco dimoro non faccia.

         I’ ti sarabbo così fatta amica

ch’e’ converrà ch’a tutta gente piaccia;

e così fa chi di me si notrica —.

 

 

Discrezione

 

         Discrezione incontanente venne

e sì l’asciuga d’un bel drappo e netto,

e tostamente sì ’l mette in sul letto

di lin, di seta, coverture e penne;

         or ti ripensa: infino al dì vi ’l tenne

con canti, con sonare e con diletto;

accompagnollo, per farlo perfetto,

di nuovi cavalier, che ben s’avvenne.

         Poi disse: — Lieva suso immantenente,

ch’e’ ti convien rinascere nel mondo,

e l’ordine che prendi tieni a mente —.

         Egli ha tanti pensier, che non ha fondo,

del gran legame dov’entrar si sente,

e non può dire: — A questo mi nascondo —

 

Allegrezza

 

         Giunge Allegrezza con letizia e festa,

tutta fiorita che pare un rosaio;

di lin, di seta, di drappo e di vaio

allor li porta bellissima vesta,

         vetta, cappuccio con ghirlanda in testa,

e sì adorno l’ha che pare un maio;

con tanta gente che trema il solaio;

allor sì face l’opra manifesta.

         E ritto l’ha in calze ed in pianelle,

borsa, cintura inorata d’argento,

che stanno sotto la leggiadra pelle;

         cantar, sonando ciascuno stormento,

mostrando lui a donne ed a donzelle

e quanti sono a questo assembramento.

 

SONETTI DELLA SEMANA

 

(Dedica)

 

         I’ ho pensato di fare un gioiello

che sia allegro, gioioso ed ornato,

e sì ’l vorrei donare in parte e lato,

ch’ogn’uomo dica: — E’ li sta ben, è bello! —

         E or di nuovo ho trovato un donzello

saggio, cortese e ben ammaestrato,

che gli starebbe me’ l’imperiato

che non istà la gemma nell’anello:

         Carlo di misser Guerra Cavicciuoli,

quel ch’è valente ed ardito e gagliardo

e servente, comandi chi che vuoli;

         leggero più che lonza o liopardo,

e mai non fece dei denar figliuoli,

ma spende più che ’l marchese lombardo.

 

Lunidie

 

         Quando la luna e la stella diana

e la notte si parte e ’l giorno appare,

vento leggero, per polire l’are

e far la gente stare allegra e sana;

         il lunedì, per capo di semana,

con istormenti mattinata fare,

ed amorose donzelle cantare,

e ’l sol ferire per la meridiana.

         Lèvati sù, donzello, e non dormire,

ché l’amoroso giorno ti conforta

e vuol che vadi tua donna a servire.

         Palafreni e destrier sieno alla porta,

donzelli e servitor con bel vestire:

e poi far ciò ch’Amor comanda e porta.

 

Martidie

 

         E ’l martedì li do un nuovo mondo:

udir sonar trombetti e tamburelli,

armar pedon, cavalieri e donzelli,

e campane a martello dicer: — don do —;

         e lui primiero e li altri secondo,

armati di loriche e di cappelli,

veder nemici e percuotere ad elli,

dando gran colpi e mettendoli a fondo;

         destrier vedere andare a vuote selle,

tirando per lo campo lor segnori,

e strascinando fegati e budelle;

         e sonare a raccolta trombatori

e sufoli, flaùti e ciramelle,

e tornare alle schiere i feritori.

 

Mercoredie

 

         Ogni mercoredì corredo grande

di lepri, starne, fagiani e paoni,

e cotte manze ed arrosti capponi,

e quante son delicate vivande;

         donne e donzelle star per tutte bande,

figlie di re, di conti e di baroni,

e donzellette e giovani garzoni

servir portando amorose ghirlande;

         coppe, nappi, bacin d’oro e d’argento,

vin greco di riviera e di vernaccia,

frutta, confetti quanti li è ’n talento,

         e presentarvi uccellagioni e caccia;

e quanti sono a suo ragionamento

sì sieno allegri e con la chiara faccia.

 

Giovedie

 

         Ed ogni giovedì torniamento,

e giostrar cavalier ad uno ad uno,

e la battaglia sia ’n luogo comuno,

a cinquanta e cinquanta, e cento e cento.

         Arme, destrieri e tutto guarnimento,

sien d’un paraggio addobbati ciascuno;

da terza a vespro, passato ’l digiuno:

allora si conosca chi ha vento.

         E poi tornare a casa alle lor vaghe,

ove seranno i fin letti soprani;

e’ medici fasciar percosse e piaghe,

         e le donne aitar con le lor mani;

e di vederle sì ciascun s’appaghe,

che la mattina sien guariti e sani.

 

Venerdie

 

         Ed ogni venerdì gran caccia e forte:

veltri, bracchetti, mastini e stivori,

e bosco basso miglia di staiori,

là ove si troven molte bestie accorte,

         che possano veder, cacciando, scorte:

e rampognare insieme i cacciatori,

cornando a caccia presa i cornatori:

ed allor vengan molte bestie morte.

         E poi recogliere i cani e la gente,

e dicer: — L’amor meo manda a cotale —.

— Alle guagnele, serà bel presente! —

         — Ei par che i nostri cani avesser ale! —

— Te’, te’, Belluccia, Picciuolo e Serpente,

ché oggi è ’l dì della caccia reale! —

 

Sabato die

 

         E ’l sabato diletto ed allegrezza

in uccellare e volar di falconi,

e percuotere grue, ed alghironi

iscendere e salire in grand’altezza;

         ed all’oche ferir per tal fortezza

che perdan l’ale, le cosce e’ gropponi;

corsieri e palafren mettere a sproni,

ed isgridar per gloria e per baldezza.

         E poi tornare a casa e dire al cuoco:

— To’ queste cose e acconcia per dimane,

e pela, taglia, assetta e metti a’ fuoco;

         ed abbie fino vino e bianco pane,

ch’e’ s’apparecchia di far festa e giuoco:

fa che le tue cucine non sien vane! —

 

Domenica die

 

         Alla dimane, all’apparer del giorno

venente, che domenica si chiama,

qual più li piace, damigella o dama,

abbiane molte che li sien d’attorno;

         in un palazzo dipinto ed adorno

ragionare con quella che più ama;

qualunche cosa che desia e brama,

venga in presente senza far distorno.

         Danzar donzelli, armeggiar cavalieri,

cercar Firenze per ogni contrada,

per piazze, per giardini e per verzieri;

         e gente molta per ciascuna strada,

e tutti quanti il veggian volontieri:

ed ogni dì di ben in meglio vada.

 

SONETTI DEI MESI

 

(Dedica alla brigata)

 

         Alla brigata nobile e cortese,

in tutte quelle parti dove sono,

con allegrezza stando sempre dono,

cani e uccelli e danari per ispese,

         ronzin portanti e quaglie a volo prese,

bracchi levar, correr veltri a·bandono:

in questo regno Nicolò incorono,

perch’elli è ’l fior della città sanese;

         Tingoccio e Min di Tingo ed Ancaiano,

Bartolo e Mugàvero e Fainotto,

che pariano figliuol del·re Priàno,

         prodi e cortesi più che Lancilotto,

se bisognasse, con le lance in mano

farian torniamenti a Camellotto.

 

Di gennaio

 

         I’ doto voi del mese di gennaio

corte con fuochi di salette accese,

camere e letta d’ogni bello arnese,

lenzuol di seta e copertoi di vaio,

         treggea, confetti e mescere a razzaio,

vestiti di doagio e di racese;

e ’n questo modo stare alle difese,

muova scirocco, garbino e rovaio;

         uscir di fuor alcuna volta il giorno,

gittando della neve bella e bianca

alle donzelle che saran d’attorno;

         e quando la compagna fosse stanca,

a questa corte facciasi ritorno,

e sì riposi la brigata franca.

 

Di febbraio

 

         E di febbraio vi dono bella caccia

di cerbi, cavriuoli e di cinghiari,

corte gonnelle con grossi calzari,

e compagnia che vi diletti e piaccia;

         can da guinzagli e segugi da traccia,

e le borse fornite di danari,

ad onta degli scarsi e degli avari,

o chi di questo vi dà briga e ’mpaccia;

         e la sera tornar co’ vostri fanti

carcati della molta salvaggina,

avendo gioia ed allegrezza e canti;

         far trar del vino e fumar la cucina,

e fin al primo sonno star razzanti;

e poi posar infin’ alla mattina.

 

Di marzo

 

         Di marzo sì vi do una peschiera

di trote, anguille, lamprede e salmoni,

di dentici, dalfini e storioni,

d’ogn’altro pesce in tutta la riviera;

         con pescatori e navicelle a schiera

e barche, saettìe e galeoni,

le qual vi portino a tutte stagioni

a qual porto vi piace alla primiera:

         che sia fornito di molti palazzi,

d’ogn’altra cosa che vi sie mestiero,

e gente v’abbia di tutti sollazzi.

         Chiesa non v’abbia mai né monistero:

lasciate predicar i preti pazzi,

ché hanno assai bugie e poco vero.

 

D’aprile

 

         D’april vi dono la gentil campagna

tutta fiorita di bell’erba fresca;

fontane d’acqua che non vi rincresca,

donne e donzelle per vostra compagna;

         ambianti palafren, destrier di Spagna,

e gente costumata alla francesca

cantar, danzar alla provenzalesca

con istormenti nuovi d’Alemagna.

         E d’attorno vi sian molti giardini,

e giacchito vi sia ogni persona;

ciascun con reverenza adori e ’nchini

         a quel gentil, c’ho dato la corona

de pietre preziose, le più fini

c’ha ’l Presto Gianni o·’l re di Babilona.

 

Di maggio

 

         Di maggio sì vi do molti cavagli,

e tutti quanti sieno afrenatori,

portanti tutti, dritti corritori;

pettorali e testiere di sonagli,

         bandiere e coverte a molti intagli

e di zendadi di tutti colori;

le targe a modo degli armeggiatori;

viuole e rose e fior, ch’ogni uom v’abbagli;

         e rompere e fiaccar bigordi e lance,

e piover da finestre e da balconi

in giù ghirlande ed in su melerance;

         e pulzellette e giovani garzoni

baciarsi nella bocca e nelle guance;

d’amor e di goder vi si ragioni.

 

Di giugno

 

         Di giugno dovvi una montagnetta

coperta di bellissimi arbuscelli,

con trenta ville e dodici castelli

che sieno intorno ad una cittadetta,

         ch’abbia nel mezzo una sua fontanetta;

e faccia mille rami e fiumicelli,

ferendo per giardini e praticelli

e rifrescando la minuta erbetta.

         Aranci e cedri, dattili e lumìe

e tutte l’altre frutte savorose

impergolate sieno per le vie;

         e le genti vi sien tutte amorose,

e faccianvisi tante cortesie

ch’a tutto ’l mondo sieno graziose.

 

Di luglio

 

         Di luglio in Siena, in sulla Saliciata,

con le piene inguistare de’ trebbiani;

nelle cantine li ghiacci vaiani,

e man e sera mangiare in brigata

         di quella gelatina ismisurata

istarne arrosto e giovani fagiani,

lessi capponi e capretti sovrani,

e, cui piacesse, la manza e l’agliata.

         Ed ivi trar buon tempo e buona vita,

e non uscir di fuor per questo caldo;

vestir zendadi di bella partita;

         e, quando godi, star pur fermo e saldo,

e sempre aver la tavola fornita,

e non voler la moglie per castaldo.

 

Di agosto

 

         D’agosto sì vi do trenta castella

in una valle d’alpe montanina,

che non vi possa vento di marina,

per istar sani e chiari come stella;

         e palafreni da montare in sella,

e cavalcar la sera e la mattina;

e l’una terra all’altra sia vicina,

ch’un miglio sia la vostra giornatella,

         tornando tuttavia verso casa;

e per la valle corra una fiumana,

che vada notte e dì traente e rasa;

         e star nel fresco tutta meriggiana;

la vostra borsa sempre a bocca pasa

per la miglior vivanda di Toscana.

 

Di settembre

 

         Di settembre vi do diletti tanti:

falconi, astori, smerletti e sparvieri,

lunghe, gherbegli e geti con carnieri,

bracchetti con sonagli, pasti e guanti;

         bolze, balestre dritte e ben portanti,

archi, strali, pallotte e pallottieri;

sianvi mudati girfalchi ed astieri

nidaci e di tutt’altri uccel volanti,

         che fosser buoni da snidar e prendere;

e l’un all’altro tuttavia donando,

e possasi rubare e non contendere;

         quando con altra gente rincontrando,

le vostre borse sempre acconce a spendere,

e tutti abbiate l’avarizia in bando.

 

Di ottobre

 

         D’ottobre nel contado ha buono stallo:

e’ pregovi, figliuol, che voi v’andiate;

traetevi buon tempo ed uccellate

come vi piace, a piede ed a cavallo;

         la sera per la sala andate a ballo,

e bevete del mosto e inebriate,

ché non ci ha miglior vita, in veritate;

e questo è ver come ’l fiorino è giallo.

         E poscia vi levate la mattina,

e lavatevi ’l viso con le mani;

l’arrosto e ’l vino è buona medicina.

         Alle guagnele, starete più sani

che pesce in lago o ’n fiume od in marina,

avendo miglior vita che cristiani.

 

Di novembre

 

         E di novembre a Petriuolo, al bagno,

con trenta muli carchi di moneta:

le rughe sien tutte coperte a seta;

coppe d’argento, bottacci di stagno;

         e dare a tutti stazzonier guadagno;

torchi e doppier che vengan di Chiareta,

confetti con cedrata di Gaeta;

bea ciascuno e conforti ’l compagno.

         E ’l freddo vi sia grande ’l fuoco spesso;

fagiani, starne, colombi e mortiti,

levori e cavriuoli arrosto e lesso,

         e sempre avere acconci gli appetiti;

la notte ’l vento e ’l piover a ciel messo,

e siate nelle letta ben forniti.

 

Di dicembre

 

         E di dicembre una città in piano:

sale terrene e grandissimi fuochi,

tappeti tesi, tavolieri e giuochi,

torticci accesi e star co’ dadi in mano;

         e l’oste inebriato e catelano,

e porci morti e finissimi cuochi;

e morselli ciascun bèa e manuchi;

le botti sien maggior che San Galgano.

         E siate ben vestiti e foderati

di guarnacche, tabarri e di mantelli

e di cappucci fini e smisurati;

         e beffe far de’ tristi cattivelli,

de’ miseri dolenti sciagurati

avari: non vogliate usar con elli.

 

(Commiato)

 

         Sonetto mio, a Nicolò di Nisi,

colui ch’è pien de tut[t]a gentilezza,

di’ da mia parte con molt’alegrezza

ch’io son acconcio a tutti suoi servisi;

         e più m’è caro che non val Parisi

d’avere sua amistade e contezza;

sed ello avesse imperial ricchezza,

starieli me’ che San Francesco in Sisi.

         Raccomendami a lui tutta fiata

ed a la sua compagna ed Ancaiano,

ché senza lui non è lieta brigata.

         Folgòre vostro da San Giminiano

vi manda, dice e fa quest’ambasciata:

che voi n’andaste con suo cuor in mano.

 

ALTRI SONETTI

 

1

 

         Più lichisati siete ch’ermellini,

conti pisan, cavalieri e donzelli,

e per istudio de’ vostri cappelli

credete vantaggiare i fiorentini;

         e franchi fate stare i ghibellini

in ogni parte, o cittadi o castelli,

veggendovi sì osi e sì isnelli:

sotto l’arme, parete paladini.

         Valenti sempre come lepre in caccia

a riscontrare in mare i genovesi,

e co’ lucchesi non avete faccia;

         e come i can dell’ossa son cortesi,

se Folgore abbia cosa che gli piaccia,

siate voi contro a tutti li foresi.

 

2

 

         Eo non ti lodo, Dio, e non ti adoro,

e non ti prego, e non ti rengrazio,

e non ti servo: ch’eo ne son più sazio

che l’anime di stare in purgatoro;

         perché tu hai messi i guelfi a tal martoro

ch’i ghibellini ne fan beffe e strazio;

e se Uguccion ti comandasse il dazio,

tu il pagaresti senza perentoro.

         Ed hanti certo sì ben conosciuto,

tolto t’han San Martino ed Altopasso

e San Michele e ’l tesor ch’hai perduto;

         ed hai quel popol marcio così grasso,

che per soperbia cherranti ’l tributo:

e tu hai fatto ’l cor che par d’un sasso.

 

3

 

         Così faceste voi o guerra o pace,

guelfi, sì come siete in devisione,

ché in voi non regna ponto di ragione,

lo mal pur cresce e ’l ben s’ammorta e tace.

         E l’uno contra l’altro isguarda e spiace

lo suo essere e stato e condizione;

fra voi regna il pugliese e ’l Ganellone,

e ciascun soffia nel fuoco penace.

         Non vi ricorda di Montecatini,

come le mogli e le madri dolenti

fan vedovaggio per gli ghibellini?

         E babbi, frati, figliuoli e parenti,

e chi amasse bene i suoi vicini,

combatterebbe ancora a stretti denti.

 

4

 

         Guelfi, per fare scudo delle reni,

avete fatti i conigli leoni,

e per ferir sì forte di speroni,

tenendo vòlti verso casa i freni.

         E tal perisce in malvagi terreni

che vincerebbe a dar con gli spontoni;

fatto avete le pùpule falconi,

sì par che ’l vento ve ne porti e meni.

         Però vi do conseglio che facciate

di quelle del pregiato re Roberto,

e rendetevi in colpa e perdonate.

         Con Pisa ha fatto pace, quest’è certo;

non cura delle carni malfatate

che son remase a’ lupi in quel deserto.

 

5

 

         Cortesia cortesia cortesia chiamo

e da nessuna parte mi risponde,

e chi la dèe mostrar, sì la nasconde,

e perciò a cui bisogna vive gramo.

         Avarizia le genti ha prese all’amo,

ed ogni grazia distrugge e confonde;

però se eo mi doglio, eo so ben onde:

di voi, possenti, a Dio me ne richiamo.

         Ché la mia madre cortesia avete

messa sì sotto il piè che non si leva;

l’aver ci sta, voi non ci rimanete!

         Tutti siem nati di Adamo e di Eva;

potendo, non donate e non spendete:

mal ha natura chi tai figli alleva.

 

SONETTI DUBBI

 

1

 

         Amico caro, non fiorisce ogni erba,

né ogni fior che par, frutto non porta;

e non è vertudiosa, ogni verba,

né ha vertù ogni pietra ch’è orta;

         e tal cosa è matura e pare acerba,

e tal se par doler che se conforta;

ogni cera che par, non è soperba,

cosa è che getta fiamma e che par morta.

         Però non se convien ad uomo saggio

volere adesso far d’ogn’erba fasso,

né d’ogni pietra caricarsi ’l dosso,

         né voler trar d’ogni parola saggio,

né con tutta la gente andare a passo:

senza ragione a dir ciò non son mosso.

 

2

 

         Quando la voglia segnoreggia tanto,

che la ragion non ha poter né loco,

ispesse volte ride l’uom di pianto

e di grave doglienza mostra gioco;

         e ben seria di buon savere affranto

chi fredda neve giudicasse fòco;

simil son que’, che gioi’ mostrano e canto

di quel, onde doler devriano un poco.

         Ma ben si può coralmente dolere

chi sommette ragione a voluntade

e segue senza freno suo volere;

         che non è già sì ricca podestade

com’se medesmo a dritto mantenere,

seguire pregio, fùgger vanitade.

 

3

 

         Fior di virtù sì è gentil coraggio,

e frutto di virtù sì è onore,

e vaso di virtù sì è valore

e nome di virtù è uomo saggio;

         e specchio di virtù non vede oltraggio

e viso di virtù, chiaro colore,

ed amor di virtù, buon servitore,

e dono di virtù, dolce lignaggio.

         E letto di virtù è conoscenza,

e seggio di virtù, amor leale,

e poder di virtù è sofferenza;

         e opera di virtù, esser leale,

e braccio di virtù, bella accoglienza:

tutta virtù è render ben per male.

© Belpaese2000С.В.Логиш 09.10.2005

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