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sergio corazzini

poesie

 

Edizione di riferimento:

Sergio Corazzini, Poesie edite e inedite, a cura di S. Jacomuzzi, Torino, Einaudi 1968.

 

            Elegia

 

               Elegia

                Frammento

 

Tu piangi, ma non sai, piccola cara,

dove, nell’ombra, piangano le morte

cose quel tuo, dolcezza, ultimo addio,

non sai dove le tue lagrime, dove

le tue povere lagrime salate

piangere, se non anche il più diletto

amante, oggi, le beva per i lunghi

cigli e i capelli ti componga, piano

e tenero, su le arse tempie e voglia,

ad uno ad uno, dalle guance, tutte

bagnate, liberarli, indugiando

nella piccola cura in fin che un lume

dolce ti rida nei piangevoli occhi.

 

Lagrimi e vuoi che ti racconti alcuna

favola antica, mentre ti sarebbe

dolce un imaginare di lontani

giorni che la tristezza esiliò

con le favole, cara anima, poi

che nessuno te le racconta più,

quelle povere favole soavi

senza amarezze e pure, adesso, tanto

tristi che, quasi, piangi per averle

in cuore, tutte, come le figure

di quei piccoli santi con la palma

che tu appuntavi, con gli spilli, al muro.

 

Piangi pur anche la malinconia

mortale d’una piccola bottega

nera, di vecchi mobili, di vecchi

abiti, in una triste via, nell’ora

crepuscolare, e tutte quelle cose

imagini che siano per morire

in uno specchio, simili a dei fiori

obliati in un vaso? Ma non devi

piangere. Lascia ch’io ti asciughi, povera

anima, piano, quasi il fazzoletto,

raccogliendo le tue lagrime, possa

domani, ancora, s’io lo voglia, tutte

alla mia bocca renderle, dolcezza.

Sorriderai: se dolorosamente

sorriderai, mi basterà. Che importa

se non t’è il cielo, all’improvviso, tutto

nel cuore? Avrà tempo. Non è già questo

l’ultimo pianto! Io sarò dolce e tu

sarai fragile e tenera e serena.

 

Verrà la pace con le mani giunte,

ma non la udrai tu, piccola, venire.

Tornerà, sai, quotidianamente

un poco, senza dirti nulla; e, vedi,

sarà come se tu cantassi una

preghiera incomprensibile, per lungo

volger di tempo, in fin che in una sera,

forse più dolce e triste, all’improvviso

t’avvenisse, così, senza sapere,

di comprenderla intera. Cento volte

passeremo per quella via che più

diletta a non so che malinconie

nostre avremo. Lungo i chiari fiumi

canteremo le più vecchie canzoni

e sarà dolce non seguirne il senso.

 

Le canteremo solo perché possano

inavvertite piangervi le nostre

anime, un poco. Tu vedrai; la bella

Vita imagineremo in una chiara

morte. Come se tu fossi, ogni giorno,

per giungere ad un mio primo convegno,

ti vorrò bene, e come tu, dolcezza,

giungere mai dovessi, io ti vorrò

tanto bene. Sorridi, ora. Non piangi

quasi più. Ce ne andremo in una casa

piccola e sola. Se vorrai, nei giorni

di festa, porteremo a tutti i piccoli

infermi alcuni di quei dolci, quei

poveri dolci delle suore, quasi

bianchi, senza sapore, avvolti in carte

celesti e in fili d’oro. Se vorrai,

questo; se non vorrai, se ti sembrasse

troppo triste, andrò solo, senza piangere,

anima cara, e tornerò alla nostra

piccola casa e, come fossi anch’io

malato, sognerò le tue parole

tenere, bianche, senza senso quasi,

come quei dolci, quei piccoli dolci

delle povere suore malinconiche.

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© Belpaese2000-2006.  Created 05.04.2006

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