L’ITALIANO CHE
PARLIAMO
Prefazione di Guglielmo Cinque
Contributi di:
F. Casadei,
G. Fiorentino,
V.
Samek-Lodovici
Prefazione
Se
ognuno di noi è in grado di dire con una certa sicurezza se una
particolare sequenza di parole è una frase possibile della sua lingua,
se può avere un certo significato, se può essere detta con una
certa intonazione, ecc., non è tuttavia in grado di dire nulla di
attendibile sulle caratteristiche del comportamento linguistico proprio o degli
altri parlanti (ad esempio, se usa di più l’indicativo o il congiuntivo,
o se, in generale, vengono usate più frasi subordinate quando si scrive
o quando si parla).
Questo
secondo tipo di dati lo si può solo ricavare da un esame (statistico)
della effettiva produzione dei parlanti.
Possiamo
avere delle “impressioni” (qualche volta, magari, delle convinzioni) su come,
ad esempio, la gente usa il congiuntivo (così come possiamo avere delle
impressioni su come la gente si comporta quando sa di essere osservata rispetto
a quando crede di non esserlo). Ma nessuno ci garantisce che siano impressioni
corrette.
Così
è per le differenze tra il parlato e lo scritto.
L’unico
modo di procedere è quello di confrontare le due diverse produzioni.
I
contributi di questo volumetto, sulla scia dei precedenti lavori di Rosanna
Sornicola, Gaetano Berruto e Miriam Voghera, affrontano il tema del parlato,
tentandone una caratterizzazione, rispetto alla produzione scritta.
Lo
studio di Federica Casadei, che si incentra sulla grammatica delle forme
idiomatiche, confrontando la produzione orale e scritta arriva alla conclusione
che queste non mostrano affatto una maggiore flessibilità nel parlato,
come forse saremmo portati ad attenderci.
Contrariamente
a molti studi sintattici sull’argomento, che le caratterizzano come
unità inanalizzabili al loro interno, le forme idiomatiche mostrano una
alta composizionalità e autonomia sintattica e semantica delle parti, ma
questa non è una peculiarità della produzione orale. Semmai,
è lo scritto che utilizza più sistematicamente tale
composizionalità.
Lo
studio di Giuliana Fiorentino contribuisce a sfatare un’altra convinzione radicata (ed erronea),
cioè, che l’uso della subordinazione sia caratteristica più dello
scritto che del parlato.
Confrontando,
infatti, la produzione scritta con quella del parlato sorvegliato, ma non
formale, della lezione, osserva che il corpus parlato mostra un grado di
subordinazione più alto di quello di molta produzione scritta.
Il
terzo studio, di Vieri Samek-Lodovici, è dei tre quello più
formale. Qui, piuttosto che un confronto tra produzione orale e scritta, si
analizza un fenomeno tipico del parlato, la focalizzazione, o contrasto
esplicito o implicito di un elemento rispetto ad altri, per tentarne una
caratterizzazione precisa all’interno del quadro grammaticale generativo.
L’autore individua una specifica posizione strutturale per la focalizzazione
all’interno della frase, mostrando come questa possa contribuire ad una
migliore comprensione dell’effetto di definitezza dei soggetti posposti e
dell’estrazione dei sintagmi interrogativi in italiano.
Lungi
dall’essere pertinenti alla sola analisi del parlato, i lavori qui raccolti
rappresentano contributi da cui anche gli studi di teoria grammaticale possono
trarre interessanti spunti di riflessione.
Guglielmo Cinque
Flessibilità
lessico-sintattica e produttività semantica delle espressioni
idiomatiche: un’indagine sull’italiano parlato
Federica Casadei
(III Università di Roma)
Perdo sempre la
tramontana
l’ho perduta e
la perderò
(Antoine,
Festival di Sanremo 1968)
1. Fissità e flessibilità delle
espressioni idiomatiche
Negli
studi sulle espressioni idiomatiche (d’ora in poi: e.i.) la fissità
lessicale e sintattica è assunta accanto alla non
composizionalità semantica come tratto definitorio di queste locuzioni1.
Molte e.i. infatti non consentono sostituzione sinonimica dei lessemi
componenti e resistono a varie trasformazioni sintattiche: tirare le cuoia
non ammette, pena la perdita del senso idiomatico, né sostituzione di
componenti (*tirare la pelle) né operazioni, possibili per frasi
libere di analoga struttura, come modificazione del determinante (*Mario ha
tirato delle cuoia), passivizzazione (*Le cuoia sono state tirate da
Mario), relativizzazione (*Le cuoia che Mario ha tirato erano vecchie).
D’altra
parte le e.i. non si comportano tutte allo stesso modo rispetto alle possibili
modificazioni. Alcune ammettono varie modifiche, e trasformazioni inaccettabili
per un’e.i. non lo sono per altre: ad esempio sono accettabili varianti come togliere/levare/mozzare
il fiato o abbandonare l’abito/la tonaca/il saio,
modificazioni del determinante come avere un/qualche/molti
santo/i in paradiso, passivi come il ghiaccio è stato
rotto.
Sono
state avanzate varie ipotesi per spiegare la fissità lessico-sintattica
e le idiosincrasie trasformazionali delle e.i. Studi di ambito generativista
(v. specie Fraser [1970]) hanno sostenuto che, poiché per definizione
nessun componente di un’e.i. conserva in essa un peso semantico autonomo,
risulteranno bloccate le modifiche che implicano autonomia semantica dei
componenti interessati (topicalizzazioni, cleft sentences,
relativizzazioni, modificazioni aggettivali)2. Nelle parole di Chafe (1968)
“we cannot inflect parts of the literalization of this
idiom [= kick the bucket], for those parts are not present at the
semantic stage where sentences are generated. (...) For the same reason we
cannot modify a nonexistent “bucket” with an adjective” (p.122, c.vo
mio).
Tali
modifiche “definitoriamente impossibili” sono però attestate e giudicate
accettabili dai parlanti (v. McCawley, 1971; Michiels, 1977; Gréciano,
1983; Reagan, 1987); spesso anzi, in casi come togliersi un GROSSO peso
dalla coscienza o prendere TRE piccioni con una fava, sembrano
rafforzare la lettura idiomatica anziché indebolirla o distruggerla (v.
Ernst, 1980). Esse attestano la presenza e l’attivazione, accanto al
complessivo significato idiomatico, dei valori semantici dei singoli componenti
dell’e.i., il significato dei quali non è azzerato dall’alto grado di
convenzionalità e coesione interna della locuzione. Ciò mostra
che le e.i. non si comportano semanticamente come un tutto e che sono a un
qualche grado semanticamente analizzabili, donde la tesi della
decomponibilità semantica delle e.i. avanzata fra i linguisti da Nunberg
(1978) e Ruwet (1983) (v. anche Wasow, Sag & Nunberg, 1983) e sviluppata in
ambito psicolinguistico da Gibbs e collaboratori (Gibbs, 1980, 1985, 1986;
Gibbs & Gonzales, 1985; Mueller & Gibbs, 1987; Gibbs & Nayak, 1989;
Gibbs, Nayak & Cutting, 1989) e da Cacciari (Cacciari & Tabossi, 1988;
Cacciari, 1989; Cacciari & Glucksberg, 1991).
Nonostante
l’indubbia validità della tesi, resta poco chiaro in essa il nesso tra
analizzabilità semantica e flessibilità lessico-sintattica.
L’ipotesi di Gibbs che flessibilità lessicale e produttività
sintattica di un’e.i. dipendano direttamente dal suo grado di
analizzabilità semantica (cioè: tanto più un’e.i. è
semanticamente decomponibile tanto più mantiene il significato
idiomatico in una gran varietà di forme), risulta infatti carente3.
Altri
studi hanno sottolineato il ruolo di altri fattori sulla flessibilità
lessico-sintattica di un’e.i., come la sua età (Cutler, 1982) o la sua
frequenza e familiarità (Schweigert, 1986; Schweigert & Moates;
1988; Schraw et al., 1988), e soprattutto il ruolo di fattori pragmatici.
Cacciari & Glucksberg (1991) sostengono infatti che la produttività
lessico-sintattica di un’e.i. dipende non solo dalla semantica della locuzione
ma dalla funzione per cui tale semantica è modificata dal parlante per
assolvere certe finalità comunicative; dunque una modifica di un’e.i.
è accettabile se ne produce una comprensibile differenza di
interpretazione, cioè se risulta significativa sia semanticamente che
per gli scopi del discorso. Su questa base Cacciari e Glucksberg distinguono
tra (i) produttività semantica, data dall’uso da parte del parlante di
operazioni lessicali e sintattiche per creare nuovi sensi di un’e.i.
contestualmente motivati, e (ii) produttività di discorso, dovuta al
fatto che una volta introdotta un’e.i. nel discorso la semantica dei suoi
elementi può essere base di ulteriori elaborazioni e scambi fra
parlanti.
Le
ipotesi sul nesso tra aspetti lessico-sintattici e semantici delle e.i. non
sono mai state verificate per l’italiano né, in generale, su campioni
significativi di testi reali4. Obiettivo di questo lavoro è
un’analisi del comportamento delle e.i. nel concreto dell’uso linguistico, per
vedere a quali variazioni lessicali e sintattiche siano soggette, e una prima
verifica delle ipotesi avanzate per spiegarne le peculiarità
lessico-sintattiche. L’ipotesi che guida l’indagine è che la tesi
dell’inanalizzabilità semantica delle e.i. sia inadeguata, e sia valida
quella che correla la flessibilità delle e.i. a fattori semantici e
pragmatici.
2. Analisi di un corpus di espressioni
idiomatiche
2.1 Il corpus
Il
campione di testi usato per l’indagine è un sottoinsieme del corpus del
Lessico di frequenza dell’Italiano Parlato (LIP)5. La scelta di
usare testi di parlato è collegata all’ipotesi che nel parlato possano
essere più frequenti e libere le variazioni delle e.i., e al fatto che
solo nel parlato è possibile individuare esempi della
produttività di discorso di Cacciari e Glucksberg. In una prima fase ho
considerato 28 testi romani (42.538 parole) rappresentativi delle categorie
testuali considerate dal LIP6; a questi ho aggiunto 11 testi
fiorentini, 12 milanesi e 11 napoletani, soprattutto unidirezionali (49.885
parole). Il campione complessivo è quindi costituito da 62 testi per un
totale di 92.423 parole7. Dallo spoglio del campione ho individuato
400 occorrenze di e.i., riconducibili a 302 espressioni. Sono per lo più
e.i. presenti nei dizionari generali e nei repertori di modi di dire (abbassare
la testa, mettere le mani avanti, toccare con mano); alcune non compaiono
in dizionari e repertori, ma fanno senz’altro parte dell’uso comune (farsi
un culo così, mettere qcs. nell’armadio della roba vecchia). A
queste ho aggiunto alcune locuzioni senza sovrappiù semantico ma
fortemente convenzionali (darsi da fare, assumersi oneri e onori di)
e alcune metafore convenzionali di tipo “X è un/una Y” (essere il
frutto di, essere il nocciolo di). Sono presenti nel corpus alcune
espressioni, che discuterò in seguito, che nella forma in cui occorrono
nei testi sono da ritenere creazioni dei singoli parlanti.
2.2 Varianti lessicali e
variabilità sinonimica
Il
maggior problema che si pone a ogni lavoro che comporti la registrazione di un
corpus di e.i. è dato dalla variabilità della forma di citazione
delle espressioni. Da un lato le e.i. possono comparire nell’uso in una “veste
lessicale” diversa da quella standard (battere SUL marciapiede
anziché IL marciapiede); d’altra parte non è sempre
agevole stabilire qual è la forma standard rispetto a cui valutare le
variazioni, sia perché spesso le fonti lessicografiche non concordano
nella forma di citazione di un’e.i. sia, soprattutto, perché comunque
molte e.i. ammettono varianti di citazione, costituite, oltre che da
oscillazioni semplici come allevare la/una serpe in seno o alzare
la vela/le vele, da sinonimie e varianti quali ammainare/calare
le vele, portare/condurre la nave/la barca in porto, avere
qualcosa che pesa sulla coscienza/un peso sulla coscienza.
Nelle
e.i. registrate ho distinto tre tipi di variazioni, lungo una scala di
originalità che va dalle varianti più convenzionali a quelle idiosincratiche
e del tutto inedite:
(A)
varianti di citazione, cioè forme diverse in cui un’e.i.
può essere attestata e che non costituiscono modifiche significative
dell’e.i. da parte del parlante. Sono per lo più varianti del verbo,
aspettuali o di sinonimia stretta, quali (indico in maiuscolo la forma trovata,
seguita da quella “di citazione”):
RIMETTERE/mettere in
campo
RIPRENDERE/prendere
piede
DIMOSTRARSI/essere all’altezza
TROVARSI/essere d’accordo
STARE/essere scolpito
nella memoria
PORRE/mettere in
primo piano
INSISTERE/battere sul
tasto.
Raramente
sono varianti di componenti nominali: il solo caso trovato è dare UNA
BOTTA/un colpo al cerchio e uno alla botte; si hanno poi
varianti del determinativo (avere I/dei santi in paradiso) e
della preposizione:
andare
in mezzo ALLA/a
una strada
battere
SUL/il
marciapiede
passare
NELLA/per
la testa
essere
A/Ø punto e daccapo;
(B)
varianti d’uso, cioè introdotte in modo più originale dal
parlante. Varianti sinonimiche di questo tipo sono poco usate, i due soli casi
registrati sono:
IMBROCCARE/prendere/imboccare
una strada Agg
PROPORRE/dare voce a
chi non ne ha.
Si
possono considerare varianti d’uso i cambi di numero di N:
chiudersi
L’ORECCHIO/le
orecchie
dare
GLI ESEMPI/l’esempio
lasciarsi
sfuggire DI MANI/di mano i ribelli,
e
un caso di intensificazione come essere d’accordissimo.
Benché
gli studi sulla flessibilità lessicale delle e.i. si siano concentrati
soprattutto sulla sostituzione sinonimica, questa appare poco usata; ciò
conferma l’idea di Cacciari & Glucksberg (1991: 223) che le “simple and
unmotivated synonym substitutions”, al contrario di altre modifiche, non
assolvono particolari funzioni comunicative e non sono semanticamente
produttive;
(C)
riformulazioni, cioè manipolazioni non solo sinonimiche che danno
luogo a un senso nuovo o a un uso inedito dell’e.i.; alcuni ess., a vario grado
di originalità, sono i seguenti (le glosse sono ricavate dal contesto):
(1)
sentire la campana di qcn.
(2)
scivolare su un andazzo Agg.
(3)
non dire confidenza (“non dare
confidenza”)
(4)
presentarsi con un libro dei sogni
(“proporre qcs. irrealizzabile”)
(5)
tirarsi avanti da solo (“fare
tutto con i propri mezzi”)
(6)
cadere la faccia per terra a qcn.
(“vergognarsi”)
(7)
fare perdere la poesia
(“spoetizzare, demoralizzare”)
(8)
sorgere in capo a qcn. (“venire
in mente, concepire”)
(9) ?fare la bella
(10)
?fare viaggiare.
Queste
espressioni sono esempi di creazione occasionale di e.i., meno originale
in casi come (1), (5) e (8) che rappresentano manipolazioni semplici di e.i.
esistenti (rispettivamente sentire tutte (e due) le campane,
tirare avanti, venire in mente), più originale in casi come (2), (3) e soprattutto
(6) che costituiscono probabilmente sincretismi di altre e.i.8, e
originale fino al limite dell’indecifrabilità in (11) e (12)9.
Questa creazione di nuovi modi di dire a partire da e.i. in uso è in
effetti contraddittoria, dato che l’idiomatico si definisce anche per essere
convenzionale e fissato nell’uso; sicché queste espressioni,
propriamente, non andrebbero neanche dette “idiomatiche”. Il fatto che siano
possibili indica però che l’uso dell’idiomatico nel discorso non si
limita alla ripetizione della forma standard di locuzioni codificate, e che
è soprattutto l’adeguatezza e la comprensibilità nello specifico
contesto a rendere possibile l’elaborazione di varianti o di forme del tutto
inedite.
2.3 Flessibilità sintattica e
produttività semantica
Al
contrario delle sostituzioni sinonimiche le modificazioni sintattiche si
rivelano frequenti; le principali sono raggruppabili nei nove casi presentati
nel seguito.
(A)
Anteposizione del PP. È discussa da Fraser (1970) in relazione a
PP che siano componenti idiomatici; ho trovato però solo ess. di
anteposizione di PP non idiomatico quali:
con
le quali tu non vai d’accordo (da andare d’accordo CON)
non
ne potete fare a meno (da fare a meno DI)
al
quale fa pendant (da fare pendant A).
(B)
Modificazione del tempo/modo del verbo. È una modifica ritenuta
sempre possibile per le e.i. (v. Vietri, 1990) e che per Cacciari &
Glucksberg (1990) è semanticamente produttiva. Delle 400 occorrenze di
e.i. individuate, 333 presentano variazioni del tempo e modo verbale; le altre
67 hanno il verbo all’infinito specie in dipendenza da perifrasi con potere,
dovere e sim.; l’unico caso di nominalizzazione è devastata
dall’avere alle spalle.
(C)
Modificazione della reggenza. Indico così i casi in cui l’e.i.
è usata con una reggenza o una struttura di PP diversa da quella
standard (indicata nel seguito fra parentesi tonde):
(1) essere
all’altezza PER (di/Ø)
[non siamo più noi all’altezza per dare delle risposte
alla gente]
(2) mettere alla
prova Ø (qcn./qcs.)
[una serie di strutture pubbliche che... mettono alla prova
penso alla sanità penso
alla scuola]
(3) andare a letto
LOC (con qcn.)
[le coppie moderne... quelli che si sposano dopo tre mesi ‘n
sanno più ‘ndo vanno
a letto se uno va di qua l’altro va di là]
(4) avere un sesto
senso DI (Ø)
[i pazienti... che hanno sempre un sesto senso di preoccupazione
o di paura]
(5) nascondere dietro
a un dito QCS. (nascondersi dietro a un dito)
[non dobbiamo nascondere dietro un dito che...].
Specie
nei casi (3)-(5) la variazione ha nette ricadute semantiche, dando luogo a un
senso dell’e.i. diverso da quello convenzionale anche se a esso affine;
particolarmente efficace, rispetto alla più neutra avere il/un
sesto senso, l’espressione avere un sesto senso di paura, perfetta
nel contesto (è un medico che parla dei pazienti cui deve comunicare i
risultati di analisi per la diagnosi del tumore) per significare “presagire e
temere qualcosa negativo”
(D)
Inserzione di componenti non idiomatici. Si possono considerare qui vari
casi in ordine di crescente distruttività della coesione interna
dell’e.i.10:
(Da) inserzione del
soggetto
ci
si trova
tutti quanti d’accordo;
(Db) inserzione
pronominale, dovuta soprattutto a focalizzazione del soggetto:
ce
vado
io in mezzo aa strada (dial.rom.)
mi
domando se sto perdendo io tempo
non
siamo più noi all’altezza;
(Dc) inserzione del
PP
girargli intorno
(da girare intorno A)
dargli una mano
(da dare una mano A)
dobbiamo
darne
atto (da dare atto DI);
(Dd) inserzione
dell’oggetto diretto
togliamocelo dalla testa
abbiamo tutti i
ricambi a portata di mano
ho
ancora
una carriera davanti;
(De) inserzione di
Avv (35 casi). Si tratta soprattutto di avverbi di tempo:
ha
ORA la parola;
do ORA la parola; non si batte PIU’ moneta; non siamo PIU’ noi
all’altezza; num me da’ PIU’ er pilotto (dial.rom.); non offrono
PIU’ alcuna sponda; ho ANCORA una carriera davanti; l’Inghilterra
è GIA’ in giro; è GIA’ in corso; non gli dico MAI
confidenza; dico SEMPRE in faccia le cose; lo mette SEMPRE in
mezzo ‘sto ragazzino; lo avremo SEMPRE a portata di mano;
prendere UN MOMENTINO anche atto di
e avverbi di modo, specialmente con
valore rafforzativo:
se
non c’ho PROPRIO iella; abbiamo fatto PROPRIO un macello;
inseguire PROPRIO il miraggio di; l’ho vista PROPRIO nasce; siamo
BEN lontani da; è BEN lontana da; che entri FINALMENTE
aria pulita; mi passano CON INSISTENZA nella testa
o
con funzione di quantificatori:
sono
ANCOR PIU’ in luce; noi siamo COSI’ indietro; siamo PERFETTAMENTE
d’accordo; sono COMPLETAMENTE lasciati a loro stessi; finire
COMPLETAMENTE fuori tema; non lasciarsi sfuggire TROPPO di mani i
ribelli.
Si
vedano inoltre:
alzi
PURE la mano (pleonastico);
un tempo era SOLTANTO in mano ai sacerdoti; non c’ho MICA fantasia da
litiga’ (dial.rom.); riprende INVECE piede; se apriamo QUINDI il
capitolo;
(Df) inserzione di
Agg11. La modificazione aggettivale di componenti idiomatici
è più frequente di quanto faccia pensare la tradizione, che l’ha
spesso ritenuta impossibile:
dare
una NUOVA linfa; apro una PICCOLISSIMA parentesi; farò i
miei BUONI esami di coscienza; dà i suoi MIGLIORI frutti;
scivoli su QUESTO VECCHIO andazzo.
Per la modificazione con possessivo v.:
alzare
la PROPRIA voce; trovano la PROPRIA fonte; farò i MIEI
buoni esami di coscienza; dà i SUOI migliori frutti;
vivere sulle NOSTRE spalle; sentire anche la SUA campana; un
prodotto che sia il VOSTRO braccio destro.
Ci sono infine
quantificazioni:
abbiamo TANTE frecce da
poter sparare;
fare TUTTI gli scongiuri; non offrono più ALCUNA sponda;
(Dg) inserzione di sintagmi
sta
girando
per il parlamento la voce che.
Interessanti le inserzioni a carattere
metalinguistico12:
essere una
specie di circolo vizioso
l’aver
preso
per esempio in mano
sentire
anche
come dire? la sua campana
non
sorge
per così dire come un fiore nel deserto.
I casi (4e)-(4f) sono particolarmente
rilevanti, dato che la modifica di componenti idiomatici con avverbi o
aggettivi è per Cacciari & Glucksberg (1990) un’operazione
semanticamente produttiva e lo stesso si può dire delle inserzioni
metalinguistiche in (4g).
Al contrario di altre modifiche, che
attestano solo la possibilità di interrompere la stringa idiomatica
senza distruggerne il significato, queste hanno anche un peso semantico,
perché cambiano il senso complessivo dell’e.i. Esse, cioè, sono
informative, in relazione a motivazioni contestuali e comunicative che portano
il parlante a rafforzare o specificare il significato convenzionale
dell’espressione;
(Dh) inserzione di frase,
cioè di materiale non idiomatico complesso; v. i casi:
(1)
compiere un passo/i passi Agg
[purtroppo l’Italia non ha compiuto in
questi anni soprattutto in questi ultimi anni
né sul piano della politica interna né ancor meno sul piano della
politica economica
i passi necessari]
(2)
andare/mettersi/entrare su una via Agg/sulla via di
[non appena la controparte fosse entrata
come poi è entrata con Gorbaciov sulla
via della ragionevolezza]
(3)
percorrere una strada Agg
[l’unica strada che noi possiamo intanto
come sindacato possiamo percorrere]
(4)
levare la voce/levarsi la voce di
[non si è levata forte come avrebbe
dovuto la voce della CGIL].
(Ea) Cancellazione di componente
idiomatico. L’ellissi citazionale, per cui si usa parte di una locuzione
per richiamarla tutta, riguarda più detti e proverbi che le e.i., per le
quali infatti non è frequente; un es. è dato da avere tante
frecce invece di avere molte frecce al proprio arco, nel contesto:
[abbiamo
tante frecce da poter sparare nei confronti del nostro elettorato].
Si possono registrare qui anche i casi in
cui è omessa la testa verbale essere o avere e l’e.i.
è usata come locuzione aggettivale o avverbiale, quali:
(1) [cagnacci che si azzannavano con
la bava alla bocca]
(2) [ho fatto la presentazione sempre con
N al mio fianco]
(3) [è veramente un qualcosa con
una marcia in più]
(4) [una classe politica allo sbando]
(5) [non posso scrivere una cosa
così campata per aria]
(6) [la democrazia non è una
parola d’ordine fuori del tempo]
(7) [una cosa insopportabile, roba da
scaricatori di porto]
(8) [io dimostro una cosa vecchia come
il cucco].
(Eb) Congiunzione di e.i. Fraser
(1970) ritiene impossibile la congiunzione di parti di e.i. simili, come in *He
gave no credence to Johnson’s proposal but complete support to McCarthy’s
suggestion:
“for
conjunction to apply correctly, the semantic interpretation (not just the
phonetic or syntactic shape) of the deleted parts must be identical. But since
there is no semantic information associated with any component part of the
idiom, conjunction reduction will never be applicable” (p. 33).
Casi simili a quello indicato da Fraser
sono però:
(1)
[quello che rimane strano comprendere è come ci si possa trovare
d’accordo su una cosa in tribuna e completamente in contraddizione
il giorno dopo]
(2)
[a monte e dietro la norma giuridica c’è
un’organizzazione]13.
(F) Manipolazioni di spostamento.
Riunisco qui i casi di cambiamento dell’ordine dei costituenti idiomatici, che
comprendono alcune delle trasformazioni più indagate negli studi sulle
e.i. (permutazione, dislocazione, estrazione):
(1)
[vedete dietro a questi partiti cosa si muove] (perm)
(2)
[allo sbando sono anche i sindacati] (perm + inserz Cong)
(3)
[non è che l’orecchio te lo puoi chiudere]
((pron + mov clitico) + disl + perm)
(4)
[i frutti alla fine li avete visti]
((pron + mov clitico) + disl + perm +
inserz Avv)
(5)
[una mano gliela diamo]
(mov clitico + (pron + mov cl) + disl +
perm)
(6)
[alla base di tutto c’è il divertimento]
(perm + ci anaforico)
(7)
[vi sono delle cose molto strane dietro queste accuse] (idem)
(8)
[ci sono due fantasmi che aleggiano] (c’è N che V).
(G) Relativizzazione. È una
trasformazione spesso ritenuta bloccata per le e.i., ma v. i seguenti casi:
(1)
[i pericoli che essa corre non sono quelli... ma quelli...]
(2)
[il gioco che i partiti di Roma stanno facendo]
(3)
[l’aria pesante che si respira nei palazzi del governo]
(4)
[è questione dell’occhio che c’ha].
(H) Passivizzazione. I casi
trovati di trasformazione al passivo (una delle trasformazioni più
indagate soprattutto negli studi generativisti, v. Katz & Postal, 1963;
Chafe, 1968; Weinreich, 1969; Fraser, 1970; McCawley, 1971; Newmeyer, 1972,
1974; Chomsky, 1980) sono:
viene dato luogo
fu scritta una pagina
indimenticabile
sono state scritte
pagine importanti
la partita sarà
vinta
?non si è levata
forte... la voce della CGIL,
quest’ultimo dubbio perché forse
la forma di citazione, o comunque quella più usata, dell’e.i. è
proprio quella passiva.
È da notare che i passivi trovati,
come molti di quelli registrabili in testi scritti, sono a agente inespresso;
spesso infatti l’omissione dell’agente, anche con l’uso del si passivo,
migliora il grado di accettabilità della passivizzazione di un’e.i.;
v.
Mario
ha alzato un polverone
*Un
polverone è stato alzato da Mario
*Un
polverone è stato alzato
È
stato alzato un polverone inutile
Mario
ha passato la misura
*La
misura è stata passata da Mario
*La
misura è stata passata
?Questa
volta è stata passata la misura
Questa
volta si è passata la misura
La
misura si può passare facilmente in certe occasioni.
Il passivo con agente espresso è
accettabile quando sia in sostanza una focalizzazione dell’agente stesso, cfr.
*Un
contegno è stato assunto da Mario
Il
presidente si è lasciato andare. Un contegno più decoroso
è stato assunto invece dal ministro,
o quando è contesto richiede
focalizzazione dell’oggetto specie in relazione a una precedente
topicalizzazione; cfr.
*Un
polverone è stato alzato da Mario
Un
polverone istituzionale è stato sollevato ieri dalle opposizioni
Questa
volta il/*un polverone è stato sollevato dal governo
(dove l’articolo determinativo indica che
è o sarà specificato nel contesto di quale polverone si tratti).
Inoltre il passivo con agente inespresso
e permutazione è spesso la forma passiva più accettabile, cfr.
*Un
polverone è stato sollevato
È
stato sollevato un polverone
È
stato sollevato un inutile/un gran polverone.
In generale la modificazione aggettivale
migliora l’accettabilità del passivo, probabilmente perché
converge con la passivizzazione nel focalizzare il componente idiomatico.
I casi qui discussi sono certo troppo
pochi per ricavarne regolarità, anche se suggeriscono una prima
“istruzione sul passivo delle e.i.” del tipo: “se non usi la forma attiva, usa
il passivo con agente inespresso e permutazione, così ometti l’Agente
senza focalizzare un altro componente; focalizza un componente idiomatico solo
quando il contesto lo richiede”.
In generale, comunque, gli esempi
suggeriscono che il comportamento di un’e.i. rispetto al passivo dipende in
primo luogo dal gioco, valido e visibile solo in contesto, fra
tematizzazioni dei diversi componenti; di conseguenza il passivo sarà
ammesso o bloccato, tralasciando eventuali ragioni generali ancora da formulare14;
principalmente per motivi pragmatici.
(I) Ripresa di un costituente
idiomatico. Riunisco qui i casi di pronominalizzazione e altri tipi di
riprese; sono casi piuttosto frequenti, come mostrano gli ess. seguenti:
(Ia) riprese pronominali/anaforiche:
(1)
farsi i fatti propri [fatti i fatti tuoi che ti stanno bene]
(2)
fare venire i capelli bianchi [un’attività che ci fa venire i
capelli bianchi come a me forse molto prima di
quando li dovrei avere]
(3)
fare gli scongiuri
[A: ma se in caso malaugurato lei faccia
tutti gli scongiuri
B:
già l’ho fatti
A:
ecco
B:
già l’ho fatti l’ho fatti l’ho fatti subito l’ho
fatti prima]
(4)
fare un contratto col padreterno
[però io non credo che io abbia fatto
un contratto col padreterno o l’hai fatto te o l’ha fatto chicchessia... i contratti
qua non si fanno si sa quando si nasce non
si sa quando si muore]
(5)
essere/restare/rimanere sulla carta
[se sono diritti sulla carta tali
rimangono poi in effetti nel reale]
(6)
invertire la rotta
[invertire una rotta che ci aveva
visto arrivare a delle sconfitte];
(Ib) ripetizione di N:
(1)
affiorare all’orizzonte [affiora all’orizzonte e che orizzonte]
(2)
avere l’orecchio fino [c’ha l’orecchio fino non l’occhio l’orecchio]
(3)
essere assalito da un dubbio [sono stato assalito da un dubbio un dubbio
forte]
(4)
fare sentire la propria voce/la voce di
[far sentire la voce di un’altra Italia la
voce dell’Italia che è stanca]
(Ic) altro:
(1)
aprire/imboccare una strada Agg
[chi ha aperto queste stra<de> questa
strada questa strada evidentemente !eh!
è una strada dell’immigrazione senza controlli una strada
imbo<cca> ha imboccato
una strada che io direi senza ritorno]
(2)
essere una suocera
[ragazze io vi vedo già crescere qui
già da adesso delle suocere siete già suocere prima ancora di essere mogli e nuore
e madri effettivamente... dico suocere
per dire la figura emblematica e simbolica]
(3)
scrivere una pagina/pagine Agg
[qui a Porta San Paolo sono state scritte
pagine importanti della storia della democrazia
italiana pagine che nessuno potrà mai cancellare non
c’è attacco che possa
far sparire dal libro della storia di questo nostro paese quelle
pagine].
In questi ultimi casi la ripresa è
più articolata e si protrae più a lungo nel discorso, organizzato
intorno al termine-chiave introdotto con l’e.i. (strada, suocera,
pagina). Un caso di ripresa ancora più complesso è:
non dire ba
[A: io penso che Gaetano... abbia ragione
senz’altro che nessuno ha detto ba quando là si stava per scatenare la
bagarre... quando poi han visto come dal ba è venuto fuori bu bu
e cioè dei cagnacci lì che si azzannavano a
distanza... con la bava alla bocca poi si son preoccupati il giorno dopo
han fatto una marcia indietro secondo me sostanzialmente ipocrita...
perché è vero che il cane sciolto è andato fuori da
da da da dai pa<scoli> dai pascoli di di di proprietà
de<l> de<l> padrone proprio volevo dire così fare
questo paragone ma è anche vero che chi teneva in mano la catena
non ha fa<tto> ha fatto ben poco per tenerla più vicino al
podere di casa ecco va bene?
B: con questa parabola andiamo avanti se
no
A: ecco questa parabola bucolica agreste
e di accalappiacani dietro l’angolo
B: diciamo in verità vi dico
andiamo avanti chi parla].
Questo testo è un buon esempio
della produttività semantica e di discorso delle e.i. Il parlante A
introduce un’e.i. che non pare offrire alcuno spunto creativo (non si
può infatti immaginare un elemento semanticamente più vuoto di ba),
ma a partire da una variazione semplice sull’e.i., cioè
dall’associazione fonetica fra ba e bu, crea una metafora
complessa con cui struttura l’intero discorso: le persone che hanno scatenato
la bagarre sono ormai fuori controllo perché chi doveva tenerle a freno
non l’ha fatto (in questo senso anche l’affermazione che “dal ba è
venuto fuori il bu” ha una sua logica: il fatto che nessuno ha detto nulla ha causato
il comportamento dei “cagnacci”); il tutto con l’uso di altre e.i. più o
meno originali e “sincretiche” (scatenarsi la bagarre, fare marcia
indietro, il cane sciolto va fuori dai pascoli, tenere in mano la
catena, tenere qcs. vicino al podere di casa).
Il parlante è del
resto consapevole di ciò che fa, tanto che a metà del discorso
afferma “volevo dire così, fare questo paragone” con un intervento
metalinguistico che condiziona il seguito del dialogo: B qualifica il discorso
di A come parabola più che come paragone, cui A aggiunge le qualifiche
“bucolica e agreste” (per il riferimento a pascoli e poderi) e “di
accalappiacani” (termine che ha un senso del tutto relativo allo specifico
contesto metaforico: gli accalappiacani sono metaforicamente le persone che
avrebbero dovuto intervenire per fermare i cani metaforici); la frase
conclusiva di B riprende il riferimento alla parabola introducendo un‘ultima
espressione convenzionale (l’evangelico “in verità vi dico”) che chiude
ironicamente l’intervento di A.
Con questo testo si è oltre la
semplice modifica lessico-sintattica di un’e.i.; esso esce dalla questione
della produttività semantica delle e.i. per entrare in quella più
complessa del ricorso alla metafora come strumento di costruzione concettuale.
Su ciò non mi soffermo: per
l’oggetto di questo lavoro basta osservare che il punto di partenza della
costruzione è un gioco di associazioni su ba, a riprova che i
componenti di un’e.i. possono essere basi per “variazioni sul tema” non solo
quando sono semanticamente pieni ma anche quando sono semanticamente poveri se
non del tutto vuoti.
3. Conclusioni
L’ipotesi
di partenza (cfr. 2.1) che nel parlato le e.i. mostrino una maggiore
flessibilità lessico-sintattica che nello scritto non è confermata.
Da analisi di testi scritti compiute in parallelo a questa ricerca concluderei
che, al contrario, le variazioni sono più frequenti nello scritto specie
alto o comunque piuttosto pianificato, probabilmente perché alcune di
esse costituiscono veri e propri giochi di parole (in casi come Il vecchio non ha ancora tirato
le cuoia, ma le ha almeno strattonate) che richiedono attenta progettazione
del discorso o parlanti di alta competenza linguistica. Da ciò dipende a
mio avviso anche l’assenza, nel parlato, di variazioni dialogiche. Non ho
trovato infatti casi di rielaborazione, da parte di un parlante, di un’e.i.
introdotta da un altro; la produttività delle e.i. si manifesta sempre
nell’ambito del discorso del singolo parlante e mai su un piano dialogico, e ciò non conferma l’idea della
produttività di discorso delle e.i. come formulata da Cacciari e
Glucksberg.
Allo
stesso motivo si può ricondurre la scarsa occorrenza di sostituzioni
sinonimiche: mancando quelle che producono significativi giochi di parole, per
cui valgono le considerazioni fatte sopra, le sostituzioni ritrovate sono per
lo più varianti di citazione o semplici varianti stilistiche (porre
invece di mettere), poco informative e prive di ricadute semantiche e
pragmatiche, e alle quali dunque non c’è ragione di ricorrere.
Si
sono rivelate invece frequenti le modificazioni sintattiche. Da un lato
ciò smentisce l’ipotesi della natura lessicale delle e.i., per cui esse,
per la loro alta convenzionalità e coesione, si comporterebbero come
singole voci lessicali, come parole semplici15.
Per
la quantità e il tipo di modifiche che ammettono, le e.i. si configurano
chiaramente come frasi, non come “parole lunghe”; ciò conferma
l’implausibilità sia linguistica che psicolinguistica dello unit
treatment, e va nella direzione di quelle ricerche che sostengono
l’esistenza di un continuum sul piano sintattico tra frasi fisse e frasi libere
(v. Gross, 1984; Vietri, 1985).
D’altra
parte le modificazioni sintattiche dimostrano che le e.i. non sono unità
semplici neanche dal punto di vista semantico. Trasformazioni ritenute
definitoriamente impossibili (dato l’assunto dell’unitarietà semantica
delle e.i.) si rivelano possibili e sfruttate dai parlanti. Alcune modifiche
(inserzione di avverbi e aggettivi, manipolazioni di spostamento,
passivizzazione, riprese) hanno anzi l’effetto di mettere in rilievo i
componenti idiomatici, i quali dunque conservano nell’e.i.
un’individualità semantica; in particolare, un componente idiomatico
può essere antecedente di una ripresa anaforica, ciò che indica
che l’e.i. non costituisce un’isola anaforica e dunque che i suoi componenti
sono percepiti come semanticamente autonomi16.
Nel
complesso ciò indica che i parlanti percepiscono le e.i. come dotate di
una struttura sia lessico-sintattica che semantica, come formate da componenti
semanticamente consistenti, in sostanza come semanticamente analizzabili. Solo
ipotizzando che il parlante compia una forma di analisi semantica delle e.i. si
possono spiegare gli esempi visti di manipolazione (in alcuni casi radicale)
del significato delle espressioni. La produttività semantica delle e.i.
è infatti alta, poiché i parlanti intervengono a molti livelli
per modificarne il significato convenzionale: dal livello più basso,
della modifica del tempo/modo verbale, al livello più alto, consistente
nella produzione di e.i. inedite e apparentemente paradossali.
Dai
dati esaminati emerge quindi una correlazione tra aspetti sintattici e aspetti
semantici, e soprattutto tra questi e aspetti pragmatici e funzionali. Come
suggerito da Cacciari & Glucksberg [1990], si deve guardare al rapporto fra
struttura, significato e uso di un’e.i., poiché è lo specifico
contesto comunicativo a spingere il parlante a focalizzare questo o
quell’elemento, a modificare il significato di un’e.i. in un senso o
nell’altro, a ricorrere a una trasformazione o a un’altra, in un modo non
prevedibile a partire dalla sola analisi strutturale dell’espressione.
Note
1 Con
e.i. s’intendono espressioni polirematiche (plurilessicali), a significante
fisso, e soprattutto (secondo la definizione più diffusa in letteratura)
il cui significato non è composizionale, cioè non è
funzione dei significati dei componenti. La definizione è applicabile a
vari tipi di locuzioni - avverbiali (alla bell’e meglio), aggettivali (all’acqua
di rose), nominali (testa di cuoio) ecc. - ma in questo lavoro
considererò solo e.i. verbali, le più indagate negli studi
sull’idiomatico (in gran parte dei quali è di fatto assunta
l’equivalenza di e.i. e e.i. verbali).
2 Più
precisamente Fraser (1970) distingue le trasformazioni impedite dalla
definizione stessa di e.i., che implicano autonomia semantica dei componenti,
da quelle in teoria possibili per un’e.i. ma che in pratica risultano bloccate.
Raggruppando in classi le trasformazioni Fraser elabora una Frozeness
Hierarchy tale che se un’e.i. accetta una trasformazione a un livello
accetterà anche quelle di livello inferiore (v. n. 10).
3 L’ipotesi
è confermata solo in parte dai risultati sperimentali, che indicano,
come Gibbs ammette, che il grado di analizzabilità semantica (per altro
arduo da stabilire) non è l’unico fattore responsabile della
flessibilità.
4 Sono
rari gli studi basati su ampi corpora di e.i. (un’eccezione è
Gréciano [1983]), limitati per l’italiano a quelli intrapresi
nell’ambito del progetto Lessico Grammatica della Lingua Italiana da Elia e
collaboratori, Vietri in particolare (Elia, D’Agostino & Martinelli, 1985;
Vietri, 1985, 1990).
5 Il LIP è una lista di frequenza
basata su 500.000 occorrenze di parole riconducibili a oltre 15.000 lemmi,
ricavata dallo spoglio di 60 ore di registrazioni effettuate a Milano, Firenze,
Roma e Napoli. Quando ho iniziato questo lavoro il LIP era in via di
completamento; ringrazio Tullio De Mauro per avermi consentito l’uso dei testi
del LIP prima dell’uscita dell’opera, e Miriam Voghera per l’aiuto nella scelta
e trattamento dei materiali.
6 Le
categorie sono: scambio bidirezionale, presa di parola libera, faccia a faccia;
scambio bidirezionale, presa di parola libera, non faccia a faccia; scambio
bidirezionale, presa di parola non libera, faccia a faccia; scambio
unidirezionale in presenza del destinatario; scambio unidirezionale a distanza
su testo non scritto.
7 Poiché
non è negli obiettivi del lavoro un’analisi dell’occorrenza delle e.i.
nelle varie aree del parlato do solo qualche dato generale: delle 400
occorrenze di e.i. registrate il 43.2% è a RM, il 14.5% a FI, il 26% a
MI e il 16.2 a NA; inoltre il 32.5% è in testi bidirezionali e il 67.2%
in unidirezionali. I dati sono solo indicativi, perché il campione non
è omogeneo per città e per categorie testuali; la maggior
presenza di e.i. in testi unidirezionali è però confermata dal
sottocampione romano, omogeneo al suo interno, dove il 33.5% delle e.i.
è in testi bidirezionali e il 66.4% in unidirezionali.
8 La
(2) sembra data da scivolare su una china Agg + prendere un andazzo
Agg; la (3) sembra data dal sovrapporsi di non dire niente, dire
buongiorno e buonasera e dare confidenza (il contesto in cui compare
è: [io non gli dico mai confidenza cioè buongiorno buonasera e
basta]); il contesto di (6), che mi pare da ricondurre a perdere la faccia
“fare una brutta figura” e a abbassare/chinare gli occhi/la
fronte ecc. “in segno di vergogna” è: [mi sarebbe già caduta
la faccia per terra soltanto a parlarne].
9 Il
contesto di (11) è: [io mi son trovato in un’infinità di
trasmissioni così con dei colleghi vigliacconi e infamoni che facevano
la bella ma non dicevano nulla]; quello di (12): [quel comitato centrale che
è stato fatto viaggiare molto compagni quando ciò non era
decisivo... e ha viaggiato molto poco quando passaggi delicatissimi lo avrebbero
richesto].
10 Mi baso
sulla gerarchia di Fraser (1970) (cfr. n. 2):
L0 Completely
frozen
L1 Adjunction (gerundive
nominalization)
L2 Insertion
(inserzione di PP non idiomatico o di Avv)
L3 Permutation (spostamento di PP o
NP idiomatici, es. particle movement o
indirect object movement)
L4 Extraction (spostamento di NP
non idiomatico, passivo)
L5 Reconstitution
(action nominalization)
L6 Unrestricted
(che propriamente non sono e.i.).
I casi (Da), (Db) sono
di livello L4; i casi (Dd) sono e.i. discontinue che Fraser accosta al particle
movement (bring something to light sta a bring to light something
come look the information up sta a look up the information),
quindi di livello L3; per analogia tratterei anche i (Dc) come permutazioni;
l’inserzione vera e propria si ha quindi da (De) in poi.
11 Tengo
fuori ovviamente le e.i. in cui l’aggettivo è parte della forma di
citazione, come prendere la/una strada Agg (giusta/sbagliata/pericolosa
ecc.).
12 La
coscienza metalinguistica dei parlanti si mostra in altre occasioni con
riformulazioni o commenti dell’e.i. introdotta, v. ad es.:
(1) [conosco delle donne... che parlano
come lei parlano fanno cioè con rispetto
parlando fanno due palle ragazzi];
(2) [quella donna...quando torna a casa diciamocela
alla fiorentina se fa un
culo così];
(3) [A: è un po’ de tempo che me
sta a da’ er pilotto... er pilotto a Roma se
dice che
B: er pilotto
A: a Roma se dice <?>
C: a
rompere le scatole].
13 I casi
di congiunzione sono più frequenti nello scritto; v. ad es. [Il divario
fra franco e marco si è accentuato. Il primo era al tappeto, il
secondo alle stelle] (Repubblica 7-1-87:2) e [Marta Marzotto ha
passato la mano, la bandiera] (Repubblica 31-12-86:18).
14 Per
Vietri [1990] una “ragione generale” è, nel caso del passivo, il fatto
che esso “è bloccato dalla coreferenza obbligatoria fra soggetto e
complemento oggetto, come in La sua testa è stata girata da Max
dove sua non può riferirsi a Max” (Vietri [1990:138]); ma
a parte che il blocco riguarda la coereferenza non di soggetto e oggetto
bensì di soggetto e possessivo (come mostra l’es. di Vietri e come
riporta Gross [1984]) resta da spiegare l’inaccettabilità di passivi
dove non è in gioco coreferenza, come *Il secolo è stato
abbandonato da Lia o *La birra è stata data da Lia a Luca.
15 L’ipotesi
lessicalista è stata sostenuta da linguisti (ad es. Greimas [1960], Katz
& Postal [1963]) e psicolinguisti (Swinney & Cutler [1979]), e
riferirsi alle e.i. come “parole lunghe” è una sorta di luogo comune
nella letteratura sull’argomento.
16 Un’isola
anaforica è una parola semanticamente complessa i cui componenti
semantici non possono costituire l’antecedente di un’anafora, es. *Mario
è un orfano [cioè, privo di uno o di entrambi i genitori] e
anche Maria li ha persi [i genitori]; un’isola può però
essere violata, e succede spesso, se il componente è percepito come
semanticamente autonomo.
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ASPETTI
DELLA COMPLESSITÀ SINTATTICA NEL PARLATO.
Analisi
di una varietà: il parlato argomentato in contesto didattico-espositivo.
Giuliana
Fiorentino
III
Università di Roma
1. Introduzione
Con questo lavoro si intende offrire un
contributo agli studi che si occupano del parlato per ribadire da un lato
l'infondatezza dell'ipotesi secondo cui il parlato è una mera
varietà semplificata di lingua, e dall'altro per mettere in evidenza che
talvolta le peculiarità linguistiche del parlato possono consistere
nella maggiore attenzione posta alla tessitura del discorso e quindi nella
produzione di marche e indicatori testuali (collocati su un piano diverso,
metatestuale) che rendono compatta l'esecuzione1.
Il parlato è una varietà
funzionale della lingua (Halliday 1985a, 1985b) che si realizza in molte
tipologie testuali: per poter avvalorare la tesi della complessità
sintattica del parlato si è scelto un testo marcato da questo punto di
vista e cioè il parlato argomentato. Il poter scegliere un testo marcato
implica già una risposta alla infondatezza dell'ipotesi della
semplicità del parlato: è evidente quindi che i limiti invocati
per giustificare la presunta semplicità del parlato (come la memoria a breve
termine) non sono necessariamente vincolanti e non impediscono a certi livelli
di formalità testuale di gestire una notevole complessità
sintattica.
Accettando la nozione di cornice
formulata da Lo Cascio (1991), e cioè l'idea che esista un insieme di
elementi concernente "le situazioni pragmatiche in cui si svolge
l'argomentazione" (1991:57), si possono prevedere le caratteristiche di un
discorso argomentato rispetto ad altri, si può riconoscere l'autonomia
della cornice "interazione didattica" e dunque inquadrare il testo
che si analizza nel sottotipo didattico-espositivo.
Il testo didattico generalmente si
caratterizza per essere realizzato con una pianificazione sia degli argomenti,
sia delle giustificazioni espresse in loro favore: per realizzare lo scopo
dimostrativo-argomentativo il testo didattico ricorre sia ad indicatori
lessicali che ad indicatori soprasegmentali (Lo Cascio 1991:108).
Halliday (1978) riconosce sul piano
linguistico una individualità al parlato argomentato in contesto didattico
e ritiene che la lingua dell'interazione scolastica rappresenti un Registro a
sé2. Infatti se si considerano le variabili che definiscono
un registro, e cioè campo (azione sociale), tenore (strutture di
ruolo), modo (organizzazione simbolica) (Halliday 1978), si deve
riconoscere che nell'interazione didattica esistono un campo definito (spiegare
una lezione); un ruolo sociale e dei rapporti tra i partecipanti sempre
identici (rapporto asimmetrico docente/allievi) ed infine un modo, quello
didattico, anch'esso peculiare e che si serve del canale retorico. Mentre il
carattere argomentato di un testo sembra essere predicibile soprattutto a
partire dalla variabile modo (che comporta delle spiegazioni e dunque
delle argomentazioni a sostegno di quanto asserito), il fatto che le relazioni
di ruolo della lezione siano istituzionalizzate ha delle implicazioni rispetto
alla variabile tenore, che risulta avere delle configurazioni stabili.
Alla variabile tenore è legata la selezione del ruolo
linguistico: ad esempio fare affermazioni, porre domande; o anche la chiave
delle affermazioni (forte, esitante, gnomica, competente)3.
2. Materiali e metodi
La presente ricerca si basa su un testo
di circa 2800 parole grafiche corrispondente a 20 minuti di registrazione della
parte finale di una lezione di diritto amministrativo tenuta da un giudice4
e facente parte di un ciclo di lezioni. La tipologia in cui si può
iscrivere questo testo è dunque quella di una lezione universitaria,
monologica perlopiù (salvo qualche intervento di richiesta di
chiarimento da parte di quello che si può considerare un pubblico poco
attivo).
Il testo è stato trascritto
secondo l'ortografia italiana senza indicazioni di accento; la punteggiatura
segnala almeno le pause maggiori. Sulla base del contenuto si possono
individuare 4 sezioni o paragrafi all'interno del testo.
3. Aspetti sintattici
L'analisi sintattica è stata
condotta in base a vari parametri stabilendo un confronto puntuale col lavoro
di Voghera (1992) che analizza gli aspetti sintattici di un corpus di 5
testi di parlato identificanti 5 tipologie ordinate per grado di crescente
formalità5. L'ipotesi da cui si è partiti, non sempre
confermata, è che il parlato didattico-espositivo per ragioni testuali
dovrebbe collocarsi in una posizione intermedia nel continuum costruito
da Voghera (1992), e cioè tra la lezione universitaria e la conferenza.
Nell'analisi di Voghera risulta che
alcuni parametri sintattici si applicano in modo progressivo da un estremo
all'altro del continuum, e sono dunque correlati al grado di
formalità dei testi, mentre rispetto ad altri, che non manifestano una
progressione regolare, ogni testo si configura in maniera indipendente.
Questa distinzione tra parametri legati
alla formalità e parametri non legati ad essa consente di rilevare le
peculiarità del parlato didattico-espositivo: da un lato si nota che
rispetto ai primi parametri il testo di parlato argomentato si adatta al continuum
collocandosi non nella posizione intermedia ipotizzata bensì all'estremo
più formale (cioè oltre il quinto testo di Voghera, la
conferenza, e all'estremo opposto a quello del parlato colloquiale) - e quindi
bisogna spiegare come mai risulta più formale della conferenza – e
dall'altro si nota che, rispetto ai parametri non legati alla formalità
del testo, il parlato didattico-espositivo risulta più vicino al parlato
colloquiale (ed anche questo dato va spiegato).
4. I parametri sintattici legati al grado
di formalità di un testo sono costituiti da fatti correlati globalmente
alla complessità della frase e che sono stati analizzati stabilendo un
confronto puntuale con i 5 testi di Voghera:
- lunghezza delle frasi (media del numero
di parole per frase)6:
I |
II |
III |
IV |
V |
VI |
5.9 |
10.4 |
13.4 |
15.9 |
21.6 |
22.7 |
- pochi turni vs. molti turni (numero di
turni per testo)7:
I |
II |
III |
IV |
V |
VI |
299 |
95 |
67 |
17 |
- |
7 |
- struttura delle frasi (percentuali di
frasi costituite da più clausole o da una sola e media del numero di
clausole per frase)8:
|
I |
II |
III |
IV |
V |
VI |
MONOCL. |
75.5% |
63.2% |
55.1% |
43.6% |
42.7% |
36.8% |
PLURICL. |
24.5% |
36.8% |
44.9% |
56.4% |
57.3% |
63.2% |
MEDIA |
1.3 |
1.9 |
2.1 |
2.2 |
2.7 |
3.1 |
- struttura delle frasi (percentuale di
principali e subordinate e rapporto tra di esse)9:
|
I |
II |
III |
IV |
V |
VI |
principali |
76.5% |
55.5% |
56.0% |
53.0% |
46.2% |
43.7% |
subordinate |
23.5% |
44.5% |
44.0% |
47.0% |
53.8% |
67.3% |
rapporto |
3.3:1 |
1.3:1 |
1.3:1 |
1.1:1 |
1:1.2 |
1:1.2 |
- preferenza per strutture verbali vs.
nominali (percentuali di frasi principali nominali/verbali)10:
|
I |
II |
III |
IV |
V |
VI |
verbali |
78.6% |
80.2% |
81.7% |
82.9% |
88.8% |
91.6% |
nominali |
21.4% |
19.8% |
18.3% |
17.1% |
11.2% |
8.4% |
-
profondità del grado di subordinazione (percentuale di subordinate per
ogni grado di subordinazione)11:
|
I |
II |
III |
IV |
V |
VI |
I GRADO |
80.0% |
53.3% |
55.8% |
65.4% |
50.0% |
40.8% |
II GRADO |
13.3% |
33.3% |
30.0% |
25.0% |
20.8% |
26.3% |
III GRADO |
5.5% |
10.7% |
5.7% |
5.5% |
17.2% |
22.3% |
IV GRADO |
1.2% |
2.7% |
4.3% |
2.7% |
10.3% |
6.6% |
V GRADO |
- |
- |
1.4% |
- |
1.7% |
2.6% |
VI GRADO |
- |
- |
- |
1.4% |
- |
- |
VII GRADO |
- |
- |
2.8% |
- |
- |
1.4% |
Dai
parametri fin qui visti, esprimenti il livello di complessità sintattica
di un testo, emerge, come anticipato, che il parlato didattico-espositivo si
colloca sempre come più estremo nella scala di formalità (e
quindi di complessità) e lontano dal parlato colloquiale.
5.
Per quanto riguarda i parametri sintattici non legati alla formalità dei
testi sono da considerare fattori come l'uso dei tempi e modi verbali. La
distribuzione dei modi verbali usati nelle clausole principali è
abbastanza uniforme nei sei testi e vede al primo posto l'indicativo (91.3 %
è il valore medio del corpus di Voghera; 96,1% è la
percentuale del VI testo), seguono il condizionale, l'imperativo (non presente
nei testi III, V e VI) e il congiuntivo (assente in II e IV).
Qualche
differenza in funzione delle differenze testuali si registra nell'uso dei tempi
dell'indicativo nelle clausole principali. In particolare, nel parlato
didattico-espositivo c'è una distribuzione più simile a quella
del testo di parlato colloquiale: in entrambi i tipi (I e VI) si registra
un'alta percentuale di imperfetti (in VI è il secondo tempo per
frequenza), che supera quella del passato prossimo (il secondo tempo più
frequente invece nei 5 testi di Voghera) e questo si spiega in parte per il
contenuto narrativo contenuto in alcune parti del testo didattico-espositivo.
Inoltre
consentono di misurare le peculiarità di una varietà testuale e
di far collocare il VI testo in posizioni di volta in volta diverse nel continuum
i seguenti fattori:
-
rapporto tra frasi verbali vs. frasi nominali. In genere le frasi del primo
tipo sono sempre più frequenti delle altre, anche se la percentuale di
frasi nominali tende ad essere più alta nei primi testi (quindi ancora
in parte è legata al grado di formalità del discorso). I dati per
il VI testo sono: 87.2% vs. 9.6% e sono molto vicini alle percentuali del
testo di conferenza. Non sono frequenti le frasi miste (composte da clausole
sia verbali che nominali) che invece sarebbero caratteristiche, nel corpus
di Voghera, dei testi IV e V (Cfr. TAB. 5.1 in Voghera 1992:175).
-
Il rapporto tra frasi monoclausali verbali/nominali pure non presenta un
andamento progressivo ma ogni testo ha una sua configurazione. In questo caso
le percentuali di VI, IV e I sono abbastanza simili, pur trattandosi di generi
testuali diversi12:
|
I |
II |
III |
IV |
V |
VI |
monoclausali
VERBALI |
73.6% |
69.5% |
68.9% |
75.4% |
85.1% |
73.9% |
monoclausali
NOMINALI |
26.4% |
30.5% |
31.1% |
24.6% |
14.9% |
26.1% |
-
Un altro parametro in cui ogni testo è autonomo è quello della
percentuale di frasi pluriclausali con solo coordinate e frasi pluriclausali
con almeno una principale e una subordinata13:
|
I |
II |
III |
IV |
V |
VI |
pr+subord |
93.7% |
91.5% |
83.3% |
85.7% |
92.1% |
96.2% |
coord |
6.3% |
8.5% |
16.7% |
14.3% |
7.9% |
3.8% |
I
parametri che sono stati fin qui analizzati mostrano, già ad una prima
lettura, che la complessità sintattica in termini di subordinazione non
è un tratto che separa nettamente lo scritto dal parlato, quindi non
è funzione della variabile diamesica ma è invece funzione di
quella diafasica, ossia della formalità del testo14. Anzi, se
la presenza di un'articolata organizzazione ipotattica viene considerata un
tratto tipico dello scritto (cfr. la citazione da Serianni, in nota 1), i testi
di Voghera e il VI che qui si è analizzato – avendo una maggiore
percentuale di frasi composte da principali e subordinate rispetto a quelle
formate da sole coordinate (queste ultime restano attestate perlopiù
sotto il 10%) – verrebbero a collocarsi, paradossalmente, sul versante scritto.
La conclusione che si deve trarre è che la questione ipotassi/paratassi
come criterio discriminante tra scritto e parlato è mal posta.
Se
quindi la complessità sintattica può essere una caratteristica
sia dello scritto sia del parlato occorre evidenziare meglio quali sono i
fattori che possono influire su di essa. Oltre al livello di formalità
del testo ci sono delle peculiarità testuali che vanno analizzate. Per
questo conviene ritornare sul testo didattico espositivo che si è scelto
come punto di verifica di questa indagine e approfondirne l'analisi.
Si
può appurare che esistono dei parametri rispetto ai quali il VI testo
segue una configurazione autonoma rispetto al corpus di Voghera, e
cioè:
a)
nella scelta tra modi finiti vs. modi infiniti (tratto che risulta collegato
alla dicotomia parlato/scritto);
b)
nella lista di frequenza dei subordinatori (sia per le implicite che per le
esplicite).
Si
veda il rapporto tra frasi esplicite ed implicite15:
|
I |
II |
III |
IV |
V |
VI |
ESPLICITE |
75.6% |
56.3% |
65.1% |
75.5% |
73.7% |
78.8% |
IMPLICITE |
24.4% |
43.7% |
34.9% |
24.5% |
26.3% |
21.2% |
e
poi la distribuzione dei modi verbali16:
|
I |
II |
III |
IV |
V |
VI |
INDICATIVO |
73.2% |
48.0% |
61.0% |
74.8% |
67.0% |
64.0% |
INFINITO |
19.6% |
28.9% |
25.0% |
13.9% |
23.5% |
12.4% |
PARTICIPIO |
1.6% |
9.0% |
4.3% |
7.3% |
1.9% |
7.4% |
CONGIUNTIVO |
2.4% |
8.3% |
3.6% |
0.7% |
6.3% |
12.0% |
GERUNDIO |
3.2% |
5.8% |
5.5% |
1.3% |
1.3% |
1.4% |
CONDIZIONALE |
- |
- |
0.6% |
2.0% |
- |
2.8% |
Si
può notare che il parlato didattico-espositivo si differenzia dagli
altri tipi per la percentuale elevatissima di congiuntivi, superiore a quella
dei participi, e che questo rientra coerentemente nella preferenza (più
accentuata che negli altri 5 testi) per i modi espliciti rispetto a quelli
impliciti (anche i condizionali sono più frequenti dei gerundi: quindi
il rango di frequenza dei modi verbali per il VI testo sarà: indicativo
> infinito > congiuntivo > participio > condizionale >
gerundio).
Infine
altre peculiarità si registrano nell'analisi dei nessi subordinanti
usati poiché la quasi totalità delle subordinate si concentra su
15 forme che si elencano in ordine di decrescente frequenza:
1 CHE (23.5%) 9 COME (3.2%)
2 REL (21.4%) 10 PER+inf (2.8%)
3 SE (10.7%) 11 INF (2.1%)
4 PERCHÉ (10.7%) 12 GER (1.6%)
5 PART. PASS
(7.0%) 13
PART PRES (1.6%)
6 QUANDO (5.3%) 14 DA+inf (1.6%)
7 A+inf (4.3%) 15 DOVE (0.5%)
8 DI+inf (3.7%)
Rispetto
a questa scala di frequenza i punti da segnalare sono due:
a)
il primo subordinatore implicito si trova solo al quinto posto nella lista di
frequenza (mentre nel corpus di Voghera è al terzo posto, dopo
CHE e REL, e si tratta di DI+inf) ed è rappresentato dal participio
passato e non dall'infinito;
b)
la percentuale di CHE supera, anche se di poco, quella dei REL (mentre nel corpus
di Voghera il REL è al primo posto nella lista di frequenza e con una
percentuale abbastanza alta, 32%).
L'ordine
dei subordinatori nella lista di frequenza del VI testo è uguale, nei
primi quattro posti, a quella del I testo di Voghera (il parlato colloquiale).
Invece il IV e il V testo hanno rispettivamente REL: 47.0% e 37.0%; CHE: 11.9 e
19.1; DI+inf: 4.0% e 12.7%.
Grosso
modo comunque questa analisi non aggiunge dati nuovi rispetto alle conclusioni
di Voghera (1992). Se però la sintassi del testo di parlato didattico-espositivo
è abbastanza complessa e strutturata e l'unico dato registrato finora e
qualificabile come tratto sintattico marcato del parlato è dato dalla
preferenza per le subordinate esplicite, l'impressione generale che si ricava leggendo
la trascrizione scritta del testo (così come per qualunque altro testo
orale) è che resta un'innegabile impronta di informalità e di
oralità che evidentemente non si spiega in base a caratteristiche
sintattiche ma di altro genere.
Si
cercherà quindi di illustrare cosa differenzi un testo orale pur formale
(e quindi complesso a livello sintattico) da uno scritto e quanto influisca
sull'organizzazione testuale il contenuto.
7.
Il punto di vista testuale dovrebbe costituire l'ambito di verifica per capire
in che misura gli scarti rilevati tra i
dati sintattici di Voghera, specie rispetto a quelli relativi al testo
di conferenza, e quelli del parlato didattico-espositivo siano imputabili alla
specificità testuale del VI testo e nella fattispecie al fatto di trovarsi
di fronte un testo parlato di lezione, quindi argomentato, con marcato scopo
didattico e che può essere influenzato dal contenuto (giuridico) e da
una lingua che costituisce un linguaggio speciale. Inoltre si cercherà
di trovare una spiegazione anche per quegli aspetti del testo
didattico-espositivo che lo avvicinano al tipo più
"colloquiale".
Si
sono individuati quattro fatti che in diverso modo interagiscono con la
struttura linguistica: argomentazione, proiezione, interrogativa didascalica ed
esemplficazione (i primi due spingono il testo verso il polo formale e della
complessità sintattica, gli ultimi due verso il polo colloquiale).
7.1
Il primo fattore da analizzare è la struttura dell'argomentazione in un
contesto orale. L'ipotesi che esistano delle differenze tra argomentazione
orale e scritta, formale e colloquiale, dimostrativa e persuasiva è
sostenuta e verificata deduttivamente da Lo Cascio (1991: 71). Partendo dal
fatto che una componente necessaria dell'argomentazione è la cornice
(cfr. 1991: 57), ossia il contesto entro cui si svolge l'argomentazione stessa,
si dimostra che l'argomentazione giuridica ha la forma persuasiva quando
è utilizzata in ambito giudiziario e dimostrativa quando invece è
applicata nei manuali di diritto. L'argomentazione giuridica scritta dei
manuali fonda il suo ragionamento su regole presentate come universali (le
leggi), dalle quali si deducono conclusioni necessarie o possibili (Lo Cascio
1991: 386-387). Il testo analizzato si collega ovviamente alla seconda
tipologia, ossia l'argomentazione dei manuali di diritto, e non differisce da
quella scritta né per il tono, che è formale in entrambi i casi;
né per lo scopo, che è dimostrativo. Pertanto le differenze che
pure si registrano riguardano la pianificazione del discorso argomentativo
nella oralità.
Nel
discorso argomentato inserito nel contesto della lezione il parlante può
scegliere tra due ruoli: quello di protagonista della discussione, presentando
solo teorie personali o quello di mediatore tra il dibattito scientifico e gli
allievi. Il testo che qui si analizza si conforma alla tipologia del
docente-regista. Questa attività di regia esplicata dal docente si
realizza su due piani: quello della discussione presentata e quello delle
didascalie che commentano e accompagnano il testo della discussione e che si
collocano su un piano diverso, del metatesto. Queste ultime sono didatticamente
assai rilevanti in quanto contribuiscono ad introdurre l'allievo nel dibattito
specialistico e gli forniscono spesso la chiave di lettura o le indicazioni sul
modo di collegare tali conoscenze a quelle già possedute.
Da
questa scelta di carattere didattico scaturiscono gli elementi di
differenziazione tra il parlato argomentato e l'argomentazione scritta. Fermo
restando che la struttura argomentativa è la stessa (Opinione o Tesi,
Argomento o Dato, Regola Generale, eventualmente Conclusione che può
differire dalla Opinione perché aggiunge altri elementi, Fonte), il
ragionamento risulta intervallato da commenti che, spezzando il flusso del
discorso, richiedono frequenti riprese, sotto forma di riformulazioni o
ripetizioni, dei concetti già espressi e queste, ovviamente, rendono
più ridondante il testo nel suo complesso. Argomentazione meno serrata
(diluita), ridondanza, interruzioni, deviazioni dal piano principale della
argomentazione, andamento a spirale o con argomentazioni incassate, sono le
caratteristiche della pianificazione dell'argomentazione orale. È ovvio
che per compensare questo tipo di organizzazione occorrono strategie
specifiche: una di queste è l'uso diffuso degli indicatori di forza (Lo
Cascio 1991:245 sgg.): in particolare vengono lessicalizzati l'inizio del
ragionamento (con il ricorso ai termini: problema, discussione) e viene
usato spesso il quindi conclusivo.
Delle
tre macrostrutture argomentative che occupano il testo didattico-espositivo si
analizza nei dettagli solo la prima, da (35)
a (177), [le altre due sono (238)-(295) e (298)-(371)], la
cui struttura testuale si può riassumere come segue:
1)
segnale lessicalizzato dell'avvio della discussione (35);
2)
definizione del tema della discussione (36)-(44);
3)
deviazione: excursus e segnale di fine excursus (57)-(77);
4)
ritorno a 2) con ripetizione del tema della discussione: tesi 1, commento,
esemplificazione e tesi 2, ripetizione del commento, tesi 3, excursus da tesi 3
(78)-(118);
5)
conclusione della discussione: esemplificazione e fonte (119)-(162);
6)
deviazione in appendice su un altro tema
(163)-(177);
7)
segnale di conclusione della discussione (178).
(35)-(44) segnalano
l'avvio di una discussione e la definiscono illustrando un dato:
(35)Perché,
qual era il problema? (36)Il problema era (37)che la possibilità (38)di
emanare ordinanze contingibili ed urgenti in materia di igiene, sanità,
edilizia e polizia locale, un po' tutte le materie (39)interessanti la
qualità della vita in generale del cittadino (40)queste materie di legge
era previsto dal testo unico del 1915 (41)poi raccolto dal testo unico del 1934
la legge comunale e provinciale (42)e autorità competente doveva essere
(43)avevano detto (44)è il sindaco
(45)-(46) pongono il problema:
(45)In
dottrina si è discusso fin dal 1915 e fino a qualche anno fa (46)se questo
potere era conferito al sindaco come capo dell'amministrazione comunale o come
organo dello stato oppure come ufficiale di governo
(48)-(56) creano una digressione su un altro
problema:
(48)perché
il sindaco (49)come vi dicevo nell'altro schema (52)perché con il
sindaco si ha quel fenomeno (53)cosiddetto dell'amministrazione indiretta
(54)per cui certi compiti, possono essere curati a mezzo di organi (55)che
fanno capo a una certa amministrazione
(57)-(77) rappresentano un lungo excursus
argomentativo che ha la struttura classica della argomentazione: regola
generale (61)-(64) (definizione); dato (65)-(68); conclusione (69).
A partire poi dal dato della precedente argomentazione se ne apre
un'altra, cioè si giustifica l'asserzione data in (68) e l'argomento
è espresso in (71)-(73). La conclusione di questa seconda
argomentazione ribadisce la precedente (69) e la riformula (74)-(77):
(57)Però
per il sindaco c'è (58)chi contesta, forse a ragione (59)che si tratti
del caso di amministrazione indiretta (60)e si dice (61)"si ha
amministrazione indiretta (62)questo sta nel contenuto dello schema seguente
(63)si ha amministrazione indiretta (64)quando io mi avvalgo di un organo di un
altro ente (65)ma nel caso del sindaco si sdoppia il sindaco (66)si dice
(67)perché da una parte agisce come organo dell'amministrazione comunale
(68)e per altri settori, per altri aspetti, per altri compiti, agisce come vero
e proprio organo dello Stato" (69)quindi non è un caso di amministrazione
indiretta (70)Perché può agire come organo dello Stato?
(71)Perché il Comune esercita una serie di funzioni statali: l'anagrafe,
lo stato civile, la leva militare, la pubblica sicurezza (72)In tutti questi
casi, la sua è una veste di organo dello
Stato (73)quando il sindaco esercita queste funzioni (74)Quindi non
amministrazione indiretta (75)ma un organo (76)che è organo di
più enti a seconda delle funzioni (77)che svolge
(78)-(80) segnalano la conclusione della
dimostrazione di (46) che conteneva una asserzione data come conoscenza
presupposta:
(78)Ed
è pacifico quindi (79)che il sindaco possa avere la qualità di
ufficiale di governo (80)questo è pacifico
(81)-(83) riformulano il problema di (46):
(81)quando
il sindaco utilizzava il potere di ordinanza
contingibile ed urgente (82)nasceva il problema (83)questo potere lo
esercita come organo dell'amministrazione comunale o come ufficiale di governo?
(84)-(90) offrono una prima risposta al problema
(tesi 1):
(84)La
risposta più piana, più semplice sarebbe stata (85)"bisogna
(86)distinguere le materie (87)se le materie sono di competenza del Comune
(88)il sindaco agisce come organo dell'amministrazione comunale (89)se le
materie sono di competenza dello Stato (90)agisce come ufficiale di governo"
(91)-(92) asseriscono e giustificano il rifiuto
della tesi 1 da parte degli autori del passato, che opponevano ad essa una tesi
2:
(91)Sennonché
il potere di ordinanza sembrava così importante, così penetrante,
così lesivo delle libertà e dei diritti dei cittadini,
soprattutto per una visione molto più autoritaria e accentratrice
rispetto a quella attuale (92)che non dovesse essere affidato alla competenza
del Comune
(93) costituisce un commento esplicativo:
(93)Questa
era la ragione esplicitata
(94)-(101) esemplificano la tesi 2 identificandola
con quella di un autore:
(94)per
esempio basta (95)leggere le pagine di Zanobini (96)per cui si sosteneva
(97)che il sindaco ne poteva usare come organo statale, come ufficiale di
governo, non come organo dell'amministrazione comunale (98)se usava di un
potere così penetrante (99)La conseguenza pratica era (100)di ritenerlo
gerarchicamente (101)subordinato al prefetto, per questo aspetto
(102) ripete (93):
(102)Le
ragioni giuridiche erano soltanto queste, in effetti
(103)-(106) ripetono (94)-(98):
(103)Scriveva
lo Zanobini (104)che il potere di ordinanza è un potere (105)che non
può non spettare allo Stato (106)non può spettare alle
amministrazioni locali
(107)-(118) illustrano la posizione moderna (tesi
3):
(107)È
chiaro (108)che Sandulli facilmente ha potuto osservare, per i tempi più
recenti (109)che la posizione di autonomia, di indipendenza, il nuovo clima
culturale, il nuovo rapporto giuridico non consente di sostenere questo
(110)che c'è tra amministrazione locale e amministrazione centrale
(111)e che appunto quindi chiaramente il sindaco lo fa come organo
dell'amministrazione comunale (112)che emana l'ordinanza contingibile ed
urgente a tutela della salute (113)se si tratta di materie (114)su cui
c'è competenza del Comune (115)ad esempio la sanità, prima del
'78 era di competenza soltanto dello Stato (116)diceva Sandulli (117)ma ora
è di competenza degli enti locali (118)Perché questo discorso è
praticamente rilevante?
(119)-(145) formano un altro excursus sulla
rilevanza pratica della discussione che si sta illustrando (tutto l'excursus
giustifica l'atto linguistico della discussione fin qui presentata):
(119)Una
ragione l'ho già detta (120)A seconda della soluzione il sindaco si
trova gerarchicamente (121)data a questo problema (122)sottoordinato o meno al
prefetto (123)Seconda questione pratica è quella della
delegabilità della funzione (124)perché le funzioni del sindaco
come ufficiale di governo non possono essere delegate (125)se non nei limiti e
nei modi previsti dalla legge (126)che prevede la funzione (127)mentre per le
funzioni comunali ci sono le deleghe agli assessori, per esempio, no? (128)La
terza questione pratica molto rilevante era (129)chi dovesse (130)quale ente
dovesse rispondere dei danni (131)subiti per l'illegittimo uso del potere
(132)È chiaro (133)che questo potere di ordinanza può incidere su
diritti soggettivi, no? (134)li può sacrificare (135)Ma vi è il
diritto al risarcimento del danno (136)se viene annullato dal giudice amministrativo
(137)Il caso classico, l'ordinanza (138)che sottrae beni ai privati per ragioni
di sanità, per ragioni... per
altre ragioni (139)Il giudice amministrativo annulla (140)Vi è stata la
lesione del diritto di proprietà (141)Chi ne dovrà rispondere?
(142) il Comune, il patrimonio del Comune o lo Stato? (143)Altro problema
importante (144)Tutti questi problemi ormai sono stati definitivamente risolti
dalla legge sulle autonomie locali (145)la quale da un lato, l'articolo
(155)-(162) esemplificano e giustificano (146)
riportando gli articoli di legge che rappresentano la fonte, la garanzia della
verità di (146), ossia la soluzione:
(155)poi
l'articolo 38 le richiama (156)per disciplinarle per certi aspetti (157)e
testualmente, specificamente dice (158)che il sindaco nella veste di ufficiale
di governo emana ordinanze contingibili ed urgenti (159)aggiunge anche
(160)"rispettati, rispettati i principi generali dell'ordinamento e con
ordinanza motivata" (161)Due affermazioni (162)che risentono di quello che
(163)-(177) rappresentano una sorta di appendice in
cui si sfiora un ulteriore problema:
(163)c'è
stata l'evoluzione giurisprudenziale anche nella giurisprudenza costituzionale (164)come
vi ho detto, no? (165)quindi non hanno valore normativo effettivo (166)quindi
anche se avesse omesso di dirlo (167)Ma comunque siccome la corte
costituzionale ha detto (168)che il potere di ordinanza si deve intendere
attribuito (169)sempre rispettando i principi generali (170)l'articolo 38 di
questa legge lo dice esplicitamente (171)che dica poi (172)che deve essere
motivato (173)questo non mette (174)e non leva (175)perché certamente
avrebbe dovuto essere motivato (176)Quindi questi problemi sono ormai stati
risolti per colpa ... [domanda dall'uditorio incomprensibile
nella registrazione] (177)e che domanda
(178) ripete quasi alla lettera (146) e
conclude la macrostruttura con un indicatore di forza esplicito:
178)
quindi questi problemi sono ormai stati risolti per colpa [il
parlante viene interrotto da una domanda dal pubblico].
L'argomentazione procede a spirale con
dei ritorni al tema principale e delle deviazioni necessarie che servono a
colmare lacune impreviste o che nascono dal discorso ma vengono abbandonate
velocemente (come l'appendice in (163)-(177)). Il ritorno al tema
principale è segnalato talvolta da una ripresa letterale del punto in
cui tale filo era stato abbandonato (il caso di (178) e (146)).
Nel caso della argomentazione scritta invece è possibile evitare le
deviazioni facendo dei rimandi ad altre parti del testo che il lettore
può rileggere. Gli indicatori di forza più frequenti sono quelli
che chiudono le argomentazioni, in particolare è usato quindi: in
(69), (74), (78), (112), (167), (168), (178).
Le altre due macrostrutture presentano le
stesse caratteristiche: i segnali di ritorno al tema principale sono anche in
questo caso la ripetizione letterale o quasi letterale (effetto copia ed effetto
quasi-copia: cfr. Simone 1990) della clausola in cui ci si era interrotti.
7.2 Proiezione17
Un altro aspetto testuale di notevole
rilievo è la struttura di proiezione, molto frequente nel discorso
didattico e argomentato perché permette di inserire le teorie altrui
segnalando l'operazione che si sta facendo. La strategia di proiezione ha un
duplice valore: consente di far identificare la fonte dell'asserzione e
contemporaneamente di prendere le distanze da quanto asserito. Tale strategia
è frequente nel nostro testo (45 esempi) perché costituisce quel
riferimento alla fonte (come autorità, garante) che è uno degli
elementi tipici dell'argomentazione, specie quella giuridica (il riferimento
alle fonti del diritto). La proiezione inoltre si inserisce coerentemente in
quell'impostazione della attività didattica definita come
attività di regia perché aiuta a separare il piano di ciò
che si dice nell'ambito della più ampia comunità scientifica e
che va storicizzato, dal piano di ciò che si può aggiungere a
commento di esso nel contesto didattico.
In letteratura si distinguono le
proiezioni di locuzioni e di idee. Qui si tratteranno insieme facendo
attenzione agli aspetti formali che esse assumono. L'uso della proiezione
è collegato a due contesti: 1) la citazione o il resoconto del contenuto
di leggi e 2) il resoconto dell'opinione di autori in merito a questioni
specifiche. Nel primo contesto i predicati usati per introdurre la clausola
proiettata sono dire, prevedere, disporre, il più frequente
è il primo, anche se è il più generico e sarebbe
certamente sanzionato nello scritto. Questo tratto si configura come tipico del
parlato, che sembra ricorrere a termini più generici(18). Per
il secondo contesto si trovano vari predicati come ritenere, sostenere, contestare,
e anche il generico dire, usato però per introdurre un'opinione.
Da un punto di vista linguistico si
individuano vari gruppi di esempi di proiezioni: un primo gruppo (6 casi)
è rappresentato dall'occorrenza di un primo predicato proiettante specifico,
seguito a breve distanza dal generico dire pronunciato in un inciso e
con un abbassamento del volume della voce e tono discendente, come se fosse una
ripresa del primo. Questo meccanismo di ripetizione sembra avere due funzioni:
a) uso del termine generico come marca della riformulazione (meno formale); b)
uso del termine generico, meno denso, per segnalare la continuità (un
equivalente delle virgolette grafiche che marcano un testo riportato).
Per il tipo a) si veda:
(1)
ora la legge prevede che
e a breve distanza
(14)
qui si dice che
Per il tipo b) si veda:
(40)
era previsto dal testo unico...
(43)
avevano detto
Analizzando i casi di proiezioni isolate
si individuano altri due gruppi: uno compatto (12 casi) in cui la proiezione
è introdotta sistematicamente da dire e in cui gli agenti della
proiezione sono le fonti del diritto (leggi, norme, sentenze) o fonti non
canoniche del diritto ma presentate come tali. È il contesto tipico
della proiezione del testo di legge (contesto 1):
(225)
in particolare l'articolo 7 con riferimento alla proprietà dice
Il secondo gruppo compatto (13 casi)
è quello del resoconto (contesto 2). Occorre spesso nella presentazione
delle varie opinioni in una discussione:
(299)
in realtà solo Sandulli sostiene
7.3 Interrogative didascaliche -
Le interrogative dirette sono uno dei
fenomeni più evidenti e rappresentativi del registro didattico19.
Esse interrompendo il flusso normale del discorso attirano l'attenzione su di
un punto e realizzano varie funzioni:
a) introdurre un punto problematico:
(35)
perché qual era il problema?
b) introdurre parti argomentative dopo un
blocco assertivo:
(196)Certamente
per l'amministrazione è molto più comodo (197)utilizzare il
potere di ordinanza per le materie e per l'autorità (198)che possiede
questo potere (199)anziché ricorrere al potere provvedimentale, sia pure
d'urgenza
(200)Perché?
(201)perché
ovviamente proprio per il potere di ordinanza le possibilità sono
enormemente più ampie (202)non c'è il vincolo del contenuto
(203)che invece vi è (204)quando si usa un potere provvedimentale
c) domande vere e proprie per introdurre
parti nuove:
(70)
perché può agire come organo dello stato?
Il tipo più interessante è
b) perché in questa funzione di spezzare il flusso di asserzioni e di
aprire il blocco di argomentazioni è realizzata da un vero e proprio
connettivo testuale (il semplice avverbio con funzione pragmatica
giustificativa e non con valore semantico causale cfr. Berretta 1981:249-250).
Inoltre si può ravvisare in questa struttura una messa in atto di una
strategia di rallentamento non rara nel parlato(20).
7.4 Esemplificazioni
Le esemplificazioni costituiscono un
altro fenomeno tipico del testo argomentato nel contesto didattico. In
correlazione con queste parti del testo si registrano casi di giustapposizione,
una sintassi e una prosodia che introducono il discorso diretto, fenomeni di
allocuzione all'uditorio (ad esempio l'uso dell'interiezione secondaria no?);
il passaggio al discorso in prima o seconda persona singolare.
Le esemplificazioni, che generalmente si
trovano alla fine del paragrafo, sono o 1) esempi di applicazione delle leggi,
tipici del discorso giuridico; oppure 2) riformulazioni semplificate di una
precedente asserzione (specie se essa è il testo di legge).
Alcuni caratteri delle parti esemplificative
sono spiccatamente legati al canale orale:
1) lessico generico
(14)
qui si dice che;
(16)
quando si indirizza a Tizio o a Caio;
2) nominalizzazioni:
(137)
il caso classico l'ordinanza
3) esitazioni:
(138)
che sottrae beni ai privati per ragioni di sanità, per ragioni ... per
altre ragioni
4) passaggio, dalla terza alla prima o
seconda persona, con la realizzazione di una sorta di drammatizzazione della
situazione giuridica descritta dalla legge:
-(216)
il potere di ordinanza ovviamente è indeterminato nel contenuto (217)
quando si adopera un (218) certamente col potere di ordinanza io mi posso
procurare gli stessi beni (219) che mi potrei procurare con una requisizione
(220) però potrei anche distruggere questi beni;
-(228)
che puoi fare una serie di cose con la proprietà (229) puoi anche
acquistarne la proprietà per le cose mobili, o l'uso per le cose
immobili;
5) glosse:
(347)
volevo dire semplicemente questo;
6) allocuzioni all'interlocutore:
-(129)
mentre per le funzioni comunali ci sono le deleghe agli assessori, no?;
-(166)
come vi ho detto, no?;
e) Metatesto didascalico
All'interno del discorso didattico si
producono vari microtesti che si collocano sul piano metatestuale e che contribuiscono
fortemente alla coesione del discorso. Esistono, ad esempio, alcune
microstrutture che si possono definire di richiamo o rimando (a loro volta
divise in tre sottotipi) le quali stabiliscono relazioni tra le informazioni
che vengono presentate e le altre informazioni o conoscenze possedute
dall'uditorio; si trovano poi dei microtesti di istruzioni (suggerimenti per il
lavoro personale che gli allievi dovranno svolgere).
Per la prima funzione si possono
distinguere tre tipi di rimando:
a) ad informazioni fornite nello stesso
testo:
(246)
che abbiamo già detto;
b) ad informazioni fornite in altre
lezioni dello stesso ciclo:
(49)
come vi dicevo nell'altro schema (50) e spero (51) che lo abbiate studiato;
(27)
poi vi ho citato altre volte ...;
(309)
ricorderete;
c) ad informazioni giuridiche (potremmo
definirle conoscenze enciclopediche, anche se limitate al contesto giuridico)
che il parlante presuppone come note al suo pubblico e che si limita a
richiamare. Un esempio è dato dalle allocuzioni all'interlocutore che si
sono viste al paragrafo precedente e che sono più generiche nella
collocazione del rimando o richiamo.
Si trovano infine dei microtesti di
istruzioni la cui caratteristica è quella di incunearsi tra le altre
frasi o come frasi semplici incidentali, o come frasi complesse. In genere i
testi di istruzione sono marcati dall'abbassamento del volume della voce e dal
tono discendente.
-(191) se vi viene dato un tema sulla requisizione
(192) sulla requisizione non c'è molto (193) da dire (194) tutto si
gioca su questa distinzione tra ... (195) ve ne ho già parlato (196)
quindi ci sta poco (197) da dire.
8. Conclusioni
Riprendendo i vari aspetti dell'analisi e
ritornando sulle differenze tra sintassi dello scritto vs. sintassi del parlato
si può asserire che a livello di studio della subordinazione il testo di
parlato didattico-espositivo ha confermato i dati di Voghera (1992) consentendo
di condividere l'affermazione della studiosa secondo la quale
solitamente si ritiene che il parlato
faccia un uso minore di subordinate rispetto allo scritto ... I testi parlati
non presentano né una quantità inferiore di subordinate né
un grado minore di incassatura delle subordinate nelle frasi. Anzi il corpus di
parlato contiene frasi che presentano un livello di subordinazione più
alto. (1992:219)
L'unica differenza a livello di
subordinazione che si può rilevare, anche in questo caso concordemente
con Voghera, è la preferenza per i modi espliciti (in realtà
anche nello scritto il rapporto tra modi espliciti e impliciti è sempre
favorevole ai primi, solo che nel parlato è molto più ampio lo
scarto).
Riguardo alla collocazione del testo
didattico-espositivo nel continuum costruito da Voghera (1992) si
è visto che esso manifesta delle idiosincrasie rispetto al corpus
di Voghera e in particolare rispetto ai 3 generi testuali con cui avrebbe
dovuto manifestare maggiore somiglianza (III, IV e V).
I tratti più formali che fanno
collocare il testo didattico-espositivo ad un estremo del continuum superando
il testo di conferenza studiato da Voghera e che esercitano un'influenza
diretta sul livello linguistico sembrano potersi attribuire alla struttura
argomentativa e al contenuto giuridico del testo in esame.
La notevole frequenza della strategia di
proiezione, ad esempio, che seleziona l'ipotassi (specialmente clausole
oggettive), potrebbe spiegare la maggioranza assoluta del che
subordinatore e le percentuali più alte di se, perché
(nuove rispetto al corpus di Voghera);
Il tessuto argomentativo che può
comportare una forte gerarchizzazione del discorso spiega la profondità
dei gradi di subordinazione raggiunta nel testo didattico-espositivo (delle 8
frasi che raggiungono il IV e VI grado di subordinazione 7 sono incluse nelle
macrostrutture argomentative del testo).
Infine i tratti legati all'interferenza
con la lingua giuridica sono:
- percentuale maggiore di participi
rispetto al corpus di Voghera e minore di gerundi21. Presenza
di 3 participi presenti rispetto all'unico caso di Voghera (in un corpus
circa 5 volte maggiore del nostro);
- l'uso del subordinatore quando
con valore condizionale (9 casi su 10);
- la frequenza dell'imperfetto indicativo
in percentuale superiore a quella del passato prossimo (in Voghera invece
è il passato prossimo a precedere l'imperfetto), dovuta alla presenza di
parti narrative, come quelle in cui la presentazione di una discussione viene
storicizzata, es. (36) il problema era; (103) scriveva lo Zanobini.
Gli aspetti per cui il testo qui
analizzato si presenta invece lontano dai testi più formali e risulta
vicino ai testi più informali (al parlato colloquiale del I testo o a
quello radiofonico, o, tra i tre testi di lezione a quello del seminario
più informale)22 sono stati attribuiti, nel corso del lavoro,
al contesto didattico.23
Infatti gli elementi che qualificano come
meno formale la lezione rispetto alla conferenza sono attribuibili al doppio
registro (testo e metatesto) e al ruolo del docente-regista: allocuzioni
dirette agli interlocutori, esemplificazioni in prima e seconda persona,
interrogative didascaliche, interiezioni secondarie (no?). Si tratta di
fenomeni che sarebbero sanzionati nell'argomentazione scritta, cioè in
un manuale o saggio giuridico (o che vi apparirebbero in forma diversa) e che
invece risultano tipici e necessari nel contesto didattico che consente, se non
addirittura richiede, la presenza di un doppio registro: oltre al caso che qui
si rileva in cui il doppio registro è rappresentato da due livelli della
stessa lingua ( +/- formale) in qualche caso lo sdoppiamento può anche
essere rappresentato dall'alternare di due varietà linguistiche.24
In maniera molto schematica si è
cercato di mostrare che l'analisi del parlato richiede che vengano utilizzati e
messi a punto strumenti d'indagine anche molto vari e che si ricorra alla
valutazione di fenomeni linguistici in senso stretto (morfo-sintattici,
lessicali, prosodici) ma integrati da riflessioni più ampie legate al
contesto d'uso della lingua e alle interazioni.
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Note
(1) Semplificando un po' si può
affermare che il panorama di studi sul parlato si è mosso per un certo
tempo soprattutto alla ricerca delle specificità del parlato in
contrasto con quelle dello scritto (si vedano, tra gli altri, Sornicola
(1981a), Berruto (1985), Voghera (1992)) e col termine parlato si è
fatto riferimento a una tipologia testuale specifica, cioè al parlato
informale delle conversazioni faccia a faccia. Nonostante questo genere si
possa considerare in qualche modo prototipico, in quanto forma primaria di
accesso al linguaggio per qualunque essere umano e di maggiore frequenza
d'uso, esso non deve essere identificato col parlato tout court. Di conseguenza
alcune delle asserzioni che si fanno sul parlato, specie quelle generiche
fondate su un confronto impressionistico con lo scritto vanno attenuate. Un
esempio di giudizio che accorda allo scritto maggiore complessità
sintattica è quello di Serianni (1988): "In linea di massima, la
presenza di un periodo ampio, ricco di subordinate, è caratteristica del
linguaggio scritto e in particolare della prosa argomentativa, di tipo
letterario, artistico, storico, filosofico, giuridico." (1988:449).
(2) Per la storia della nozione di
registro si veda Halliday (1978:47-51) che ha definito più volte l'uso
del termine registro. Si è considerata la definizione più ampia:
"La nozione di registro è insieme molto semplice e molto
potente: si riferisce al fatto che il linguaggio che parliamo o scriviamo varia
secondo il tipo di situazione" (1978:47) si tratta di una "varietà
relativa all'uso" (1978:127) in contrasto con le varietà
sociogeografiche, che sono i dialetti.
(3) A questo proposito è
interessante notare che mentre nella situazione didattica scolastica il ruolo
linguistico del porre domande è in genere ricoperto dal docente,
nell'interazione didattica di livello accademico (in cui non esistono verifiche
durante la lezione ma solo in sede di esame), questo ruolo spetta agli allievi
(nei termini di richieste di chiarimento, perlopiù).
(4) La registrazione è stata
effettuata a Napoli (nel maggio '91) con un comune registratore portatile posto
su un tavolo.
(5) Il corpus di Voghera è
organizzato in base alla variabile "grado di formalità della
situazione comunicativa" (1992:80). Il I testo è di parlato
colloquiale, trattandosi della registrazione di una conversazione fra amici in
casa; il II è costituito da un seminario universitario di aggiornamento
rivolto a persone che collaborano in ambito professionale; il III testo
è un dibattito radiofonico con più interlocutori, il IV è
una lezione universitaria, il V una conferenza. Gli ultimi due esempi sono
testi di parlato espositivo monologico, come quello che si analizza in questa
sede.
(6) Cfr. Voghera (1992:189 TAB. 5.5).
(7) Cfr. Voghera (1992:185 TAB. 5.3).
(8) Cfr. Voghera (1992:192 TAB. 5.6).
(9) Cfr. Voghera (1992:201 TAB. 5.15).
(10) Cfr. Voghera (1992:205 TAB. 5.17).
(11) Cfr. Voghera (1992:216 TAB. 5.22).
(12) Cfr. Voghera (1992:195 TAB. 5.9).
(13) Cfr. Voghera (1992:195 TAB. 5.10).
(14) Per la definizione della
variabilità in termini di dimensioni di variazione e per la costruzione
di uno schema che riassume la situazione dell'italiano si rimanda a Berruto
(1993:12).
(15) Cfr. Voghera (1992:219 TAB. 5.25).
(16) Cfr. Voghera (1992:236 TAB. 5.34).
(17) Per la nozione di proiezione si fa
riferimento ad Halliday (1985: 227-251) e per alcune riflessioni sul suo valore pragmatico a Lombardi (1992).
(18) Per la nozione di densità
lessicale nello scritto e nel parlato si veda Halliday (1985b: 125).
(19) Serianni (1988:438) chiama
didascaliche "le interrogative ... con le quali chi sta trattando un
certo argomento davanti a un uditorio, reale o immaginario, rivolge a se
stesso una domanda per vivacizzare l'esposizione, quasi fingendo che
l'interrogazione proceda dal pubblico." Secondo Serianni esse hanno
qualche affinità con le interrogative retoriche.
(20) Si veda Sornicola (1981a) che introduce
la tematica del rallentamento come esigenza della pianificazione on-line
tipica del parlato.
(21) I modi delle implicite più
frequenti nello scritto sarebbero infinito e participio (Voghera 1992:238). In
questo senso allora il parlato argomentato manifesterebbe maggiore vicinanza
allo scritto.
(22) Caratteristiche che fanno apparire i
testi "informali o poco pianificati a livello superficiale"
(Berretta 1981:239) sono registrate anche da Berretta che analizza un corpus
di parlato monologico espositivo e sono collegate al "parlato informale
descritto per esempio da Sornicola 1981" (Berretta 1981:239).
(23) Il contesto didattico varia in
funzione del numero dei partecipanti, per cui il testo che qui si analizza
è diverso dal II di Voghera, in cui c'è un solo allievo;
differente è anche il contesto della conferenza in cui spesso ci si
rivolge a persone con cui si stabilisce un rapporto simmetrico (altri esperti).
(24) Un esempio si trova nello studio di
De Mejia (1992), la quale ha analizzato l'interazione insegnante-allievi in
contesto bilingue registrando delle significative commutazioni di codice in
funzione del contesto di spiegazione e di quello di scambio esplicativo.
SUL
FOCUS STRUTTURALE
Vieri Samek-Lodovici
(Rutgers
University)
1. Introduzione
Scopo
di questo lavoro è mostrare che in Italiano è possibile
focalizzare contrastivamente un sintagma in termini esclusivamente strutturali.
In particolare, un costituente interno al sintagma verbale può acquisire
un’interpretazione focalizzata salendo in posizione aggiunta a destra del VP.
Quando il costituente focalizzato è il soggetto, si ottiene un soggetto
invertito.
Un
sintagma focalizzato contrastivamente viene contrastato con un insieme di
denotazioni dello stesso tipo semantico. In Inglese e in molte altre lingue la
focalizzazione contrastiva è espressa tramite accentuazione (Chomsky
1971, Selkirk 1984, Culicover and Rochemont 1983, Rooth 1985, Rochemont and
Culicover 1990). Per esempio, (1a) e (1b) hanno due interpretazioni diverse a
seconda che il soggetto sia enfatizzato o meno (l’accentuazione è
rappresentata tramite maiuscole).
(1) a. If John didn’t come, we would be sorry.
Se Gianni non
venisse, ci spiacerebbe.
b. If JOHN didn’t come, we would be sorry.
Se GIANNI non
venisse, ci spiacerebbe.
Riguardo
(1a), l’unico evento presupposto è un’eventuale arrivo di Gianni, che
desidereremmo si concretizzasse. Nel caso di (1b), si presuppone che almeno una
persona di un gruppo di invitati in arrivo non arriverà, e ci
dispiaceremmo se questa persona fosse proprio Gianni.
In
altre lingue, come per esempio l’Ungherese o le lingue Ciadiche, la
focalizzazione contrastiva è espressa strutturalmente: la salita in una
determinata posizione sintattica determina automaticamente un’interpretazione
contrastiva (Horvath 1986, Kiss 1981, Shuh 1982, Tuller 1992).
L’Italiano
ammette entrambe le possibilità. La focalizzazione contrastiva
può essere espressa tramite accentuazione o strutturalmente. L’effetto
focalizzante dell’accentuazione è già visibile nella traduzione
Italiana delle precedenti (1a) e (1b). La focalizzazione strutturale è
invece mostrata in (2). Si noti che il
soggetto postverbale viene interpretato contrastivamente anche in assenza di
enfatizzazione. In analogia con (1a), l’interpretazione di (2) presuppone che
una delle persone in arrivo non arriverà, esprimendo dispiacere nel caso
che questa fosse Gianni.
(2)
Se non venisse Gianni, ci
spiacerebbe.
Come
vedremo in seguito, l’esame delle proprietà sintattiche dei costituenti
focalizzati contrastivamente rivela che essi occupano una posizione aggiunta a
destra del VP con statuto non argomentale. La figura in (3) mostra la posizione
per il soggetto invertito di una semplice dichiarativa.
(3) Ha gridato Gianni.
Che
l’interpretazione dei soggetti invertiti comportasse effetti di focalizzazione
è stato suggerito o esplicitamente riconosciuto in diversi lavori, come
per esempio Belletti 1988, Delfitto 1993, Bonet 1990 e Calabrese 1990. In
particolare, Bonet ha identificato un’interpretazione contrastiva per i
soggetti invertiti in Catalano, e Calabrese ha attribuito ai soggetti invertiti
un’interpretazione focalizzata non-contrastiva, in veste di informazione nuova
in contrapposizione a informazione già disponibile.
L’analisi
che sarà qui presentata generalizza e precisa questi risultati,
mostrando come la focalizzazione strutturale sia disponibile per qualsiasi
sintagma, senza essere ristretta ai sintagmi soggetto. Inoltre, diversamente da
Bonet e Calabrese, per i quali i soggetti invertiti si trovano o possono
trovarsi nella posizione argomentale SpecVP in cui sono stati generati a
struttura D, si mostrerà che tutti i sintagmi focalizzati
strutturalmente, inclusi i soggetti invertiti, sono in posizione aggiunta a VP
e hanno statuto non-argomentale, e dunque non possono essere stati generati
direttamente in tale posizione.
In
quanto segue, per prima cosa viene distinta la posizione di focalizzazione
strutturale da un’altra posizione a fine frase che ha proprietà
sintattiche radicalmente diverse e che può facilmente confondere i
giudizi di grammaticalità. Quindi vengono discusse le prove empiriche a
favore del carattere strutturale della focalizzazione postverbale. In terzo
luogo, vengono esaminate le proprietà strutturali di tale posizione ed
il suo stato non-argomentale. Infine, vengono discusse alcune conseguenze di
questa analisi. L’appendice contiene una derivazione dettagliata
dell’interpretazione di una frase contenente un soggetto invertito focalizzato
secondo il sistema semantico proposto da Rooth (1985).
2. Posizione di focalizzazione strutturale e
posizione di
dislocazione a destra
Vi
sono due posizioni distinte, accessibili ai soggetti invertiti come ad altri
sintagmi: la piú esterna c-comanda la testa inflessionale Iº,
mentre la piú interna, la posizione di focalizzazione strutturale o
‘PFS’, è c-comandata da Iº. Le
due posizioni sono mostrate nella sottostante figura (4).
(4)
Le due posizioni si distinguono per una serie di
proprietà (Antinucci and Cinque 1977, Calabrese 1990, Bonet 1990,
Samek-Lodovici 1993).
(i)
I costituenti in PFS sono interpretati come focalizzati contrastivamente,
quelli dislocati no.
(ii)
I costituenti in PFS sono all’interno del sintagma intonazionale principale,
mentre quelli dislocati sono preceduti da una chiara caduta d’intonazione e,
facoltativamente, da una pausa.
(iii)
Un argomento in PFS non può coesistere con un clitico coindicizzato con
esso, mentre ciò è possibile quando l’argomento è
dislocato a destra.
(iv)
Sintagmi quantificati come ciascun ragazzo possono salire in PFS, ma non
essere dislocati a destra.
(v)
Un marcatore di negazione come non può legittimare elementi a
polarità negativa quali nessuno o alcuno in PFS, ma non in
posizione dislocata a destra.
Le
proprietà (i), (ii) e (iii) sono illustrate dall’esempio in (5). In
(5a), l’oggetto è salito in PFS, alla destra dell’oggetto indiretto. In
(5b), l’oggetto è stato dislocato a destra, ed è preceduto da una
pausa, rappresentata da una doppia virgola.
(5) a. Non
ho presentato a nessuno CARLO.
Non ho presentato ti
a nessuno CARLOi.
b. Non
ho presentato a nessuno,, Carlo.
Non ho presentato ti
a nessuno,, Carloi.
In
(5a) l’oggetto è focalizzato contrastivamente, come nella parafrasi
“è Carlo che non ho presentato a nessuno”.
Lo
stesso non è vero per (5b), che è parafrasabile come “Carlo, non
l’ho presentato a nessuno”. Inoltre, l’oggetto in (5a) è tutt’uno con la
frase intonazionale dell’intera proposizione, mentre in (5b) l’intonazione cala
bruscamente subito prima dell’oggetto dislocato. Infine, l’introduzione di un
clitico è incompatibile col soggetto in PFS, ma non col soggetto
dislocato a destra, come mostra il confronto fra (6a) e (6b).
(6) a. *Non
l’ho presentato a nessuno CARLO.
Non loi ho [VP
[VP presentato ti a nessuno] CARLOi].
b. Non
l’ho presentato a nessuno,, Carlo.
[IP Non loi
ho presentato ti a nessuno] Carloi.
La diversa collocazione sintattica delle
due posizioni è rivelata dai casi in cui sono utlizzate entrambe
simultaneamente. In tali casi, la posizione di focalizzazione è alla
sinistra della posizione di dislocazione destra. Si veda l’esempio in (7),
parafrasabile come “È Carlo che Gianni non mi ha presentato”. La
parafrasi inversa, “È Gianni che Carlo non mi ha presentato”, non
è possibile. Questo mostra che le due posizioni non sono invertibili.
(7) Non mi ha presentato CARLO ,,
Gianni.
[IP Non mi ha [VP [VP
ti presentato tk ] CARLOk ]
Giannii.
Ulteriori esempi che distinguono le due
posizioni possono essere trovati in Antinucci and Cinque (1977), Calabrese
(1990), Bonet (1990) e Samek-Lodovici (1993).
Riassumendo, le due posizioni sono
distinte dal punto di vista semantico, fonologico e sintattico. Perciò
possiamo concentrare la nostra attenzione sulla posizione di focalizzazione e
studiarla in isolamento.
3. Evidenza per la presenza di focalizzazione
strutturale
L’esistenza di una posizione focalizzata
strutturalmente è sostenuta da due argomenti indipendenti concernenti
l’appropriatezza delle coppie domanda-risposta e l’interpretazione di frasi
contenenti avverbi a focalizzazione quali soltanto.
3.1 Appropriatezza delle coppie domanda-risposta
L’esistenza di una focalizzazione
strutturale emerge in modo chiaro dall’esame delle coppie domanda-risposta
quando siano analizzate secondo la semantica di Rooth per la focalizzazione
contrastiva (Rooth 1985). Sviluppando l’analisi classica delle coppie
domanda-risposta (Chomsky 1971, Jackendoff 1972, Hamblin 1973, Karttunen 1977),
Rooth assume che il costituente interrogativo nella domanda (wh-phrase)
e il corrispettivo costituente nella risposta (answ-phrase) sono
entrambi focalizzati contrastivamente.
(8) Assunto:
in una coppia domanda-risposta, il costituente interrogativo
e il suo corrispettivo nella risposta
sono entrambi focalizzati contrastiva- mente.
Nel
sistema di Rooth, la focalizzazione di un costituente consente di associare
l’intera frase con uno specifico insieme di proposizioni. Tale associazione
viene utilizzata per predire quali coppie domanda-risposta sono appropriate e
quali inappropriate. In generale, una coppia risulta appropriata quando domanda
e risposta identificano il medesimo insieme di proposizioni. Ciò accade
se e solo se i costituenti focalizzati nella domanda e nella risposta sono la wh-phrase
e la corrispettiva answ-phrase.
Il
risultato complessivo è un test diagnostico molto affidabile:
ogniqualvolta una coppia domanda-risposta è appropriata, la relativa wh-phrase
e, soprattutto, la relativa answ-phrase sono focalizzate
contrastivamente.
L’applicazione
di questo test a semplici coppie domanda-risposta rivela fin da subito la
possibilità di focalizzazione strutturale in PFS. Si confrontino le due
risposte (9b) e (9c) alla domanda (9a), facendo attenzione, in entrambi i casi,
a non enfatizzare in alcun modo il soggetto (un soggetto enfatizzato è
sempre focalizzato, indipendentemente dalla sua posizione).
(9) a. Q:
Chi ha gridato?
b. A:
Ha gridato Gianni.
c. A:
*Gianni ha gridato.
L’appropriatezza
di (9b) e l’inappropriatezza di (9c) mostrano che la presenza del soggetto in
PFS in (9b) è sufficiente a determinare la sua focalizzazione, che
è dunque strutturale.
Un
paradigma analogo emerge per le coppie domanda-risposta riguardanti l’oggetto
di verbi a doppio oggetto. Anche in questo caso, in assenza di enfatizzazione,
la salita dell’oggetto in PFS è sufficiente a determinarne la
focalizzazione, che risulta invece assente se l’oggetto rimane in situ.
Si consideri la domanda (10a) e le risposte (10b) e (10c). La risposta (10b),
con l’oggetto in PFS e perciò a destra dell’oggetto indiretto,
costituisce una risposta appropriata, mentre la risposta (10c), con l’oggetto in
situ e perciò a sinistra dell’oggetto indiretto, risulta
inappropriata.
(10) a. Q:
Chi non hai presentato a nessuno?
(10) b. A:
Non ho presentato ti a nessuno Giannii.
(10) c. A:
* Non ho presentato Gianni a nessuno.
Anche
in questo caso, l’analisi delle coppie domanda-risposta rivela la
possibilità di focalizzazione strutturale, ma solo per il costituente
salito in PFS.
3.2 Avverbi a focalizzazione
Gli
avverbi a focalizzazione, quali soltanto e anche, richiedono la
presenza di almeno un costituente focalizzato e al tempo stesso sono sensibili
alla presenza di costituenti focalizzati all’interno del proprio dominio di
c-comando. Questa loro caratteristica viene qui sfruttata per esplicitare la
prevista assimmetria fra costituenti focalizzati strutturalmente in PFS e
costituenti non focalizzati perché in situ.
Si
confrontino (11) e (12), avendo cura di non enfatizzare nessun costituente. In
(11), l’oggetto è salito in PFS, a destra dell’oggetto indiretto, dove
viene focalizzato strutturalmente. L’avverbio è sensibile a tale
focalizzazione e la frase è interpretata secondo la parafrasi “Ho
presentato a Maria soltanto Gianni”. L’indice dell’avverbio segnala il
costituente focalizzato.
(11) Ho soltanto presentato a Maria Gianni.
Ho soltantoi [VP [VP
presentato ti a Maria ]
Giannii]
x [ presentato’(io, x,
maria) => x=gianni ]
In
(12), l’oggetto è in situ, alla sinistra dell’oggetto indiretto.
La mancata focalizzazione è rivelata dall’interpretazione della frase,
che non è piú parafrasabile come “Ho presentato a Maria soltanto
Gianni”.
(12) Ho soltanto presentato Gianni a Maria.
Ho soltantoi [VP
[VP presentato Gianni ti]
[a Maria]i ]
x [ presentato’(io, gianni,
x) => x=maria ]
La
parafrasi corretta è ora: “ho presentato Gianni soltanto a Maria”.
L’elemento focalizzato è dunque l’oggetto indiretto. Questo risultato
è esattamente quello previsto nel caso che sia l’oggetto indiretto a
salire in PFS, come mostrato nell’analisi sintattica inclusa in (12). Dunque,
l’esistenza della PFS permette di predire esattamente l’assimetria
nell’interpretazione di (11) e (12).
Si
potrebbe obiettare che l’elemento focalizzato in (11) e (12) è
piú semplicemente definibile come “L’elemento al margine destro della
frase”.
L’obiezione è erronea. Infatti, la
dislocazione a destra dell’oggetto indiretto rende nuovamente disponibile PFS
per l’oggetto diretto, che risulta focalizzato sebbene preceda linearmente
l’oggetto indiretto. Si consideri (13), qui sotto.
L’oggetto indiretto è dislocato a
destra, come mostra il calo di intonazione, la pausa immediatamente precedente,
e la presenza del clitico corrispettivo. L’oggetto giace in PFS ed è
perciò interpretato contrastivamente, come mostra la parafrasi di (13):
“a Maria, le ho presentato soltanto Gianni”.
(13)
Le ho soltanto presentato
GIANNI,, a Maria
[ lek-ho soltantoi [VP
[VP presentato ti
tk ] GIANNIi ] ] [a Maria]k
x [ presentato’(io, x,
maria) => x=gianni ]
Un’ulteriore
previsione confermata è che l’intero VP possa salire in PFS e venire
così focalizzato, come in (14). In tal caso è focalizzata
l’azione espressa dall’intera proiezione verbale, come nella parafrasi “la sola
azione che ho fatto è stata quella di presentare Gianni a Maria”. Questa
interpretazione è facilitata dall’inserimento di una breve pausa dopo
l’avverbio (senza però cambiare l’intonazione).
(14) Ho soltanto presentato Gianni a Maria.
Ho soltantoi [VP ti [VP presentato Gianni a Maria]i
] .
P [ P(io) => P=x[presentato’(x,gianni,maria)] ]
In
sintesi, la disponibilità di una posizione per la focalizzazione
strutturale permette di predire quali interpretazioni sono associate a quale
ordine lineare in una frase ditransitiva contenente un avverbio a
focalizzazione.
Un’analisi
analoga può essere svolta per i soggetti invertiti. Un soggetto
preverbale è all’esterno della portata dell’avverbio, e quindi non
può venire focalizzato. In questo caso, il costituente focalizzato
è l’intero VP, come mostrato in (15).
(15) Gianni ha soltanto camminato.
Giannii ha soltantok [vp [vp tk
] [vp ti
camminato]k ]
P [ P(gianni) =>
P=camminato’ ]
Se però il soggetto è
invertito, l’interpretazione piú naturale focalizza quest’ultimo,
secondo l’interpretazione “soltanto Gianni ha camminato”. Vedi (16).
(16)
ha soltanto camminato Gianni.
ha soltantoi [vp [vp ti camminato]
Giannii ]
x [ camminato’(x) =>
x=gianni ]
Infine, l’intero VP, soggetto incluso,
può salire in PFS ed essere focalizzato, producendo l’interpretazione
“il solo evento accaduto è che Gianni ha camminato”. Vedi (17).
(17) ha soltanto camminato Gianni.
ha soltantoi [vp [vp ti [camminato Gianni ]i ]
p [ p =>
p=camminato’(gianni) ]
L’ordine lineare in (17) sembra
confermare l’intuizione di Calabrese e Bonet circa la generazione del soggetto
tematico a destra del verbo, sebbene il soggetto non venga focalizzato in
questa posizione come da essi proposto.
Nel resto di questo articolo si è
preferito mantenere la generazione a sinistra dello specificatore di VP, ma
questa scelta non ha alcuna conseguenza diretta per l’analisi di PFS. L’analisi
in (17) conferma anche l’ipotesi che i soggetti tematici siano generati
internamente alla proiezione verbale, come proposto in Kitagawa (1986), Kuroda
(1986) e Koopman e Sportiche (1988).
Riassumendo, nell’intera sezione 3.
abbiamo visto come l’esistenza di una posizione di focalizzazione strutturale
permetta di predire sia quali risposte formino coppie domanda-risposta
appropriate, sia le possibili interpretazioni associate ai distinti ordinamenti
lineari degli argomenti interni di una frase contenente avverbi di
focalizzazione.
4. Collocazione sintattica e statuto
argomentale della posizione di focalizzazione
Questo capitolo esamina le
proprietà sintattiche della posizione di focalizzazione strutturale che
risulta essere una posizione non-argomentale aggiunta a VP.
4.1 Collocazione sintattica
Consideriamo
una partizione della proiezione sintattica della frase in tre regioni: (i) la
proiezione verbale o regione interna, che consiste nei nodi dominati dalla
minima proiezione VP; (ii) la regione intermedia, che consiste in tutti i nodi
c‑comandati da Iº e non appartenenti alla regione interna; questa
regione comprende ogni nodo aggiunto a VP; (iii) la regione esterna, che
consiste in tutti i nodi dominati dalla radice IP ma esterni alle altre due
regioni.
A
priori, PFS potrebbe risiedere in ciascuna di queste tre regioni, come mostrato
in figura (18).
(18)
Questa
sezione mostra come PFS non possa essere né nella regione esterna,
né in quella interna, e debba di conseguenza risiedere necessariamente
nella regione intermedia. Vi sono tre argomenti per escludere una collocazione
nella regione esterna. In primo luogo, lo studio degli avverbi a focalizzazione
mostra che PFS è interna allo scope dell’avverbio e dunque c-comandata
da esso. Per esempio, il soggetto focalizzato in (19) è c-comandato
dall’avverbio soltanto.
(19) Ha soltanto cantato Gianni, ieri.
Assumendo
l’analisi di Belletti (1990), l’avverbio è a sua volta c-comandato dall’ausiliare
in Iº. Ne consegue, per la proprietà transitiva, che la posizione
di focalizzazione è essa stessa c-comandata da Iº, e dunque non
appartenente alla regione esterna.
Un
secondo argomento proviene dallo studio della distribuzione di elementi a polarità
negativa come nessuno, niente e mai (Rizzi 1982,
Longobardi 1987, Laka 1990, Zanuttini 1991). Questi elementi non richiedono
legittimazione quando collocati nella regione esterna, come mostrato in (20a),
(20b) e (20c).
(20) a. Nessuno
ha cantato.
b. [A
nessuno]i consentirò ti di darmi lezioni!
c. Mai
Luca si era sentito così felice.
Se
collocati nella regione intermedia, come in (20d), o nella regione interna,
come in (20e) e (20f), questi elementi hanno bisogno di un legittimatore, come
per esempio una negazione aggiunta alla testa I°, sempre secondo l’analisi di
Belletti (1990).
(20) d. Non
ho mai ballato il tango. *
Ho mai ballato il tango.
e. Non
ho comprato niente. *
Ho comprato niente.
f. Non
ho regalato fiori a nessuno. *
Ho regalato fiori a nessuno.
Usiamo
ora questa distribuzione per determinare la posizione di PFS. Come mostrano le
risposte in (21) e (22), in una frase negativa un elemento in PFS deve essere
legittimato. Poiché esso può essere legittimato da una negazione
in I° che lo c-comandi, l’elemento in PFS non può appartenere alla
regione esterna, come si voleva dimostrare.
(21) a. Q:
Chi ha parlato?
b. A:
Non ha parlato nessuno. A: * Ha parlato nessuno.
(22) a. Q:
Cosa hai regalato a Maria?
b. A:
Non ho regalato niente,, a Maria. A: * Ho
regalato niente,, a Maria
Infine,
l’impossibilità di focalizzazione strutturale nella regione esterna
predice un’assimetria tra la focalizzazione di avverbi di livello verbale e
avverbi di livello frasale. Quest’ultimi, essendo strutturalmente confinati
alla regione esterna, non dovrebbero poter venire focalizzati strutturalmente.
Le
coppie domanda-risposta in (22) e (23) confermano questa previsione. Mentre
entrambi i tipi di avverbi possono essere focalizzati in isolamento, o a inizio
di frase, soltanto l’avverbio di livello verbale sempre può
essere focalizzato strutturalmente in PFS in (22c), mentre ciò non
è possibile all’avverbio di livello frasale probabilmente in
(23c), che risulta agrammaticale.
(22) a. Q:
Quanto spesso pensi che verrà,, Gianni?
b. A:
Sempre.
c. A:
SEMPRE,, verrà,, Gianni.
d. A:
Gianni verrà sempre.
(23) a. Q:
Credi che Gianni verrà,, Domenica?
b. A:
Probabilmente.
c. A:
Probabilmente,, verrà,, Gianni.
d. A:
* Gianni verrà probabilmente.
Questi
tre argomenti dimostrano che la focalizzazione strutturale non può
collocarsi nella regione esterna, ovvero in una posizione che c-comanda I°. A
questo vincolo va aggiunta l’impossibilità di collocarsi nella regione
interna. Se ciò fosse possibile, gli argomenti interni dovrebbero poter
essere focalizzati strutturalmente anche se in situ, ma come abbiamo
già visto nel paragrafo 3 questo non è possibile.
L’esempio
in (24), mostra nuovamente come un oggetto diretto non possa essere focalizzato
in situ (si veda anche la discussione relativa agli avverbi di
focalizzazione, esempi (11) e (12)).
(24) a. Q:
Cosa hai regalato a Maria?
b. A:
Ho regalato ti a Maria [una casa]i.
c. A:
* Ho regalato una casa a Maria.
Un’ulteriore
prova empirica viene dall’analisi di frasi contenenti un modificatore locativo.
Assumendo che tali modificatori siano aggiunti a VP, esaminiamone la
distribuzione in relazione ad un oggetto focalizzato.
Consideriamo
la coppia (25) qui sotto. Se l’oggetto focalizzato in PFS fosse nella regione
interna, esso dovrebbe poter rimanere alla sinistra del modificatore in una
coppia domanda-risposta che ne richieda la focalizzazione. In altre parole,
la risposta (25b) dovrebbe risultare
appropriata, ma non lo è.
Nell’eseguire
il test si abbia cura di evitare la dislocazione a destra del modificatore: la
risposta (25b) va letta con la stessa intonazione riservata alla semplice
dichiarativa in (26).
(25) a. Q:
Cosa hai cucinato in giardino?
b. A:
* Ho cucinato le salsicce in giardino.
Ho [VP [v’ [v’ cucinato ti ] le salsicce] in giardino].
(26) Ho
cucinato la polenta in giardino.
Le
due risposte appropriate sono (25c) e (25d) qui sotto. In (25c), il
modificatore è dislocato a destra, come mostrano l’intonazione e la
presenza del clitico. In questo caso, l’oggetto può salire in posizione
aggiunta a VP rimanendo alla sinistra del modificatore.
(25) c. A:
Vi ho cucinato le salsicce,, in giardino.
Vik
ho [VP [VP cucinato
ti ] [le salsicce]i ]
in giardinok.
d. A:
Ho cucinato in giardino le salsicce.
Ho [VP [VP
[VP cucinato ti
] [in giardino] ] [le salsicce]i ].
In
(25d) il modificatore rimane nella sua posizione aggiunta a VP. In tal caso, la
risposta è appropriata solo se l’oggetto sale in posizione aggiunta a VP
alla destra del modificatore.
Il
confronto fra (25b) e (25d) mostra chiaramente come la focalizzazione
strutturale all’interno della regione interna non sia possibile. Al tempo
stesso mostra come la focalizzazione strutturale sia possibile in posizione
aggiunta a VP, poiché l’oggetto in (25d) deve necessariamente
c-comandare la posizione aggiunta a VP del modificatore locativo in giardino.
Riassumendo,
in 4.1 abbiamo mostrato come la focalizzazione strutturale non può aver
luogo né nella regione esterna, né nella regione interna della
proiezione frasale, mentre può avvenire nella regione intermedia. Ne
consegue che essa avviene sempre in tale regione, ovvero in posizione aggiunta
a VP.
4.2 Status non-argomentale dei costituenti
focalizzati strutturalmente
Un
primo argomento per lo status non-argomentale dei costituenti in PFS deriva
dall’esame delle loro proprietà di legamento. Si consideri la struttura
in (26).
(26)
Se
la PFS fosse una posizione argomentale, un soggetto in SpecIP e un soggetto in
PFS dovrebbero mostrare la stessa capacità di legamento di un’anafora.
Il confronto fra (27a) e (27b) mostra che ciò non accade.
Mentre
il soggetto in SpecIP può legare l’anafora, il soggetto in PFS non
può fare altrettanto. In entrambi i casi, l’anafora è stata
topicalizzata per rendere piú naturali gli esempi.
L’anafora
viene legata al livello di Forma Logica, dopo che la regola di Ricostruzione ha
riportato l’anafora nella sua posizione originale.
(27) a. In
se-stessoi, Giannii sembrava credere fin troppo.
In se-stessok, [IP
Giannii sembrava [IP ti credere tk
fin troppo]].
b. *In
se-stessoi, sembrava credere fin troppo Giannii.
In se-stessok, [VP [VP sembrava
[IP ti credere tk fin troppo]] Giannii ].
Poiché
la PFS c-comanda l’anafora, il fallimento è necessariamente dovuto al
carattere non-argomentale di questa posizione aggiunta a VP, ciò che
impedisce il buon esito del legamento.
Quest’argomento
assume che il soggetto nella sua salita alla PFS non possa fare una fermata
intermedia in SpecVP. Per una discussione di questo assunto si veda
Samek-Lodovici 1993.
Un’altra
prova empirica del carattere non-argomentale della PFS viene dall’esame della
relazione fra un soggetto quantificato e un pronome all’interno di un PP. Si
consideri (28a). Il soggetto quantificato salito in SpecIP può legare il
pronome in PP. Si ottiene un’interpretazione di tipo operatore-variabile, con
la costruzione di coppie ‘bambino-genitori’ dove il genitore si preoccupa che
il bambino non mangi a sufficienza.
(28)
a. Ai
suoi genitori, ogni bambino è sembrato mangiar poco.
[ai suoi genitori]k [IP [ogni bambino]i è [vp
sembrato tk [ ti mangiar poco] ] ]
Quando
il soggetto sale in PFS, l’interpretazione di tipo operatore-variabile non
è piú disponibile. Si confronti (28b) qui sotto con (28a).
(28) b. ??
Ai suoi genitori, è sembrato mangiar poco ogni bambino.
[ai suoi genitori]k [IP è
[vp [vp
sembrato tk [ ti
mangiar poco]] [ogni bambino]i ]]
La
agrammaticalità di (28b) è spiegata dallo status della PFS.
Essendo in posizione non-argomentale, il soggetto ogni bambino non
può legare il pronome. Al livello di FL, il soggetto quantificato viene
prima ricostruito nello SpecIP della subordinata, per poi salire in
qualità di espressione quantificata in posizione aggiunta a IP, ma tale
movimento produce una violazione di WCO, dato che tale movimento comporta l’incrocio
fra il soggetto quantificato e il pronome coindicizzato in PP.
Lo
studio delle proprietà di legamento della PFS rivela dunque il carattere non argomentale di
questa posizione.
5. Conclusioni
Abbiamo
visto che in Italiano un costituente può essere focalizzato strutturalmente
tramite salita in una posizione aggiunta a VP, una posizione non-argomentale.
Le prove empiriche principali provengono dall’esame delle coppie
domanda-risposta, dal comportamento degli avverbi a focalizzazione, dalla
legittimazione di elementi a polarità negativa ed infine dalle
proprietà di legamento della PFS in costruzioni a sollevamento. Inoltre,
la focalizzazione strutturale in posizione aggiunta a VP risulta disponibile a
qualsiasi costituente che possa accedervi, e non soltanto al soggetto grammaticale.
Ciò che non è disponibile è la focalizzazione strutturale in
situ.
La
presenza di una focalizzazione strutturale in Italiano e le sue caratteristiche
aprono tre interessanti aree di ricerca.
La
prima riguarda una migliore comprensione dell’analisi di Belletti (1988)
sull’effetto di definitezza nei soggetti in situ di costruzione passive
ed ergative in Italiano. Belletti mostra come l’effetto sia piú chiaro
quando il soggetto precede un PP argomentale. Questo vincolo è ora
spiegabile: il PP separa i soggetti in situ dai soggetti in PFS, dove
l’effetto di definitezza non ha luogo.
La
seconda riguarda l’estrazione dei sintagmi wh soggetto in Italiano, che
Rizzi (1982) ha mostrato originarsi in posizione postverbale, correlando tale
fenomeno alla mancanza di reggenza in SpecIP. Questo studio suggerisce una
possibile alternativa, divisa in due fasi. In un primo tempo il sintagma wh
sale in posizione aggiunta a VP per acquisire lo statuto di sintagma
focalizzato, spiegando così l’origine postverbale dell’estrazione. In un
secondo tempo, il sintagma wh sale in SpecCP in virtú del suo
statuto di operatore. Durante questa seconda salita non è possibile una
fermata intermedia in SpecIP, perché ciò costituirebbe un caso di
movimento improprio da posizione A’ a posizione A. Questo vincolo spiegherebbe
l’assenza di estrazione da SpecIP in quanto posizione argomentale.
L’eliminazione di riferimenti alla reggenza suggerisce la possibilità
che essa non sia in fondo correlata agli
effetti di estrazione (ciò che importa è la non
argomentalità degli elementi estratti).
Infine,
questo studio apre un’interessante prospettiva di tipologia linguistica. La
coesistenza in italiano di focalizzazione strutturale e focalizzazione tramite
enfatizzazione mostra che le due modalità non sono complementari.
Dobbiamo perciò domandarci come mai in diverse lingue (ad es.
l’ungherese, cfr. Horvath, 1986) osserviamo l’una senza l’altra, e, visto che
l’una o l’altra possono risultare assenti, come mai non si troviamo lingue dove
entrambe risultino assenti.
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