DallТepoca di Dante allТattualitа: um viaggio nella lingua italiana
CLAUDIA
FATIMA MORAIS MARTINS
Professora
de Lнngua e Literatura Italiana-Faculdade de Letras/UFRJ
Il presente lavoro rappresenta una piccola introduzione allo studio della storia della lingua italiana. In esso si nota che la parola e la lingua sono immagini concrete e vitali dТuna societа dalle quali si puт osservare lТevoluzione delle forme di comunicazione fra gli individui e la loro storicitа. LТuomo sТambienta quindi nel mondo e nella storia mediante la lingua. La storia della lingua и perciт legata a quella del sistema naturale e sociale in cui la parola si и evoluta. Lo scopo di questo lavoro quindi и una rapida ricostruzione di alcune fasi essenziali della lingua italiana congiunte alla struttura delle parole, dalle Origini fino allТOttocento.
Cosм, lТobbiettivo и quello di tracciare il profilo della lingua italiana, tanto letteraria quanto dТuso, identificando gli aspetti rilevanti delle vicissitudini della comunitа dei suoi parlanti.
IL DUECENTO
Nel Duecento si puт osservare lo sviluppo di alcuni centri
culturali assai importanti per la formazione della lingua italiana.
Cosм, in Sicilia ebbe luogo un primo tentativo di usare il dialetto
a livello letterario nel XII e XIII secolo. In quel tempo, alla
corte di Federico II, vari studiosi e poeti fecero fiorire un centro
di cultura di ampia e duratura importanza.
Le loro
poesie erano state scritte in lingua di corte, basata sui dialetti
che si parlavano in Sicilia.
Alcuni
anni dopo, la Scuola Siciliana
ebbe una rivale quella di Toscana, ovvero, i cosiddetti poeti del
Dolce Stil Novo, i quali usarono la lingua parlata a
Firenze nelle loro opere poetiche. Il
Dolce Stil Novo и un
insieme di esperienze diverse e tuttavia convergenti, che danno
inizio a una nuova poesia dТamore di grande coerenza linguistica e
fortissima ambizione intellettuale, che taglia i legami con il
confuso sperimentalismo della lirica cortese municipale. Il
bolognese Guinizzelli, quasi coetaneo di Guittone, и il
padre di questa nuova
poesia, che trova la sua definizione piщ articolata a Firenze,
soprattutto negli anni ottanta, per opera di Cavalcanti, Dante e
pochi altri loro amici.
Dante
Alighieri (1265-1321) ha contribuito in modo determinante a formare
la lingua italiana. Dante usт sia il latino, in alcuni trattati
scientifici e filosofici, nelle
Epistole e nelle
Egloghe in versi, sia il volgare, particolarmente nelle
opere letterarie (la Vita
Nuova, le Rime, la
Commedia), ma anche un trattato dottrinale, il
Convivio, nel quale si puт leggere, fra lТaltro, lТelogio
della nuova lingua.
Scrisse
anche unТopera in latino, De
vulgari eloquentia, rimasta incompiuta, uno studio delle diverse
varietа dialettali dellТitaliano. In essa, egli proponeva di gettare
le basi di un volgare illustre, cioи una lingua raffinata e colta, che
avesse pari dignitа del latino e raccogliesse il meglio dei vari
dialetti esistenti senza peraltro identificarsene con nessuno. In
realtа, nella Commedia (che
egli cominciт a scrivere subito dopo aver interrotto la composizione
del De vulgari eloquentia), Dante non si adeguerа a questo
schema: userа termini plebei e concederа di fatto una netta
preferenza al fiorentino.
Ma
leggiamo le posizioni programmatiche di Dante sulla lingua:
Dante
compose il De vulgari
eloquentia [Sulla lingua volgare] tra il 1303 e il 1305; e lo
scrisse in latino perchи volle essere certo che gli intellettuali
tutti potessero leggerlo e meditarlo, avendo egli a cuore la materia.
LТopera doveva forse essere divisa in quattro libri, ma Dante la
lasciт incompiuta a metа del secondo.
Il tema
centrale и per lo studio della lingua piщ interessante del
De vulgari ... и, come giа si ricava dal titolo, la
discussione intorno alle nuove lingue che si erano formate e avevano
assunto dignitа letteraria sul territorio italiano. Dante afferma
con vigorosa convinzione il valore del volgare, ormai maturo per
essere usato dai migliori scrittori. Rivela una sensibilitа moderna
nel suo interesse per la molteplice varietа dei dialetti, che egli
analizza accuratamente in cerca di quello che sia degno di essere
assunto come comune nellТuso letterario. Ma tutti gli sembrano
difettosi a tale scopo; e bisogna piuttosto riferirsi, secondo lui,
al volgare quale lo usano nelle loro opere i letterati piщ colti,
cioи, al volgare non segnato dal particolarismo geografico e
culturale, ma raffinato di tutti gli elementi inoportuni e pronto
per essere la nuova lingua italiana. Questo volgare и poi quello
della piщ recente tradizione poetica dello stilnovismo toscano,
specie quale lo usano nelle
loro canzoni Cino da Pistoia e il suo amico, cioи Dante stesso.
LТassunzione di tale modello и perт resa difficile dalle peculiari
condizioni politiche dellТItalia, e cioи dalla mancanza di una corte,
intesa come centro politico e culturale. Ma Dante si fida che a
questa carenza provvedono gli intellettuali e gli scrittori,
rivelando una eccessiva fiducia nel potere della letteratura sulla
formazione del linguaggio. DТaltra parte egli sarа il primo, nella
Commedia, a non rispettare questa soluzione, riferendosi
piuttosto al volgare fiorentino benchи attraverso unТesaltazione
degli aspetti comuni agli altri dialetti e qualche non raro in
prestito da essi. Cosм egli da un lato arrichisce il lessico del
fiorentino con altri vocaboli a esso estranei e dallТaltro crea
tuttavia un linguaggio omogeneo, senza concessioni a particolarismi
troppo marcati.[1]
Nella
Divina Commedia (1304-Т20)
emerge la dantesca coscienza della funzione preminente degli
scrittori nella formazione di una lingua. Infatti, la
Commedia fornisce una base
linguistica allТitaliano soprattutto per lТampio spazio che ha in
essa il fiorentino. Dante non si limitт perт ad accogliere il
fiorentino consacrato dallТuso letterario del suo tempo, ma estese
il proprio vocabolario ben al di lа di questi confini, allargandolo
sia in termini popolari e parlati, talora persino plebei, del
toscano, sia a un certo numero di dialettismi settentrionali e
meridionali e di gallicismi, sia soprattutto, a vocaboli latini,
spesso adattati e trapiantati per la prima volta nel lessico
italiano.
LТesilio
prolungato che lo condusse lontano da Firenze e le peregrinazioni
per lТItalia gli permisero indubbiamenti di conoscere dal vivo,
nella loro molteplicitа e varietа, le parlate volgare della penisola,
che dТaltra parte egli aveva giа studiato sul piano scientifico e
tecnico nel De vulgari eloquentia.
Egli non
accettт tuttavia indiscriminatamente ogni sorta di vocabolo; cercт
piuttosto di attenersi a una conformitа; suggerita, per esempio,
dallТevidenza dellТetimo latino o dallТaffinitа al toscano; nella
quale egli intravide una possibile unitа linguistica. Certamente
Dante fu il primo a concepire il volgare come lingua nazionale,
capace di accomunare la varietа linguistica piщ del latino. A ciт,
dТaltronde, egli era spinto anche dallТintento pedagogico della sua
opera: attraverso il volgare, infatti, anche coloro che non erano
dotti e che non conoscevano il latino potevano accostarsi alle
veritа rivelate dal poema
sacro.
Alla
straordinaria fortuna della
Commedia concorsero, strettamente intrecciati, genio linguistico
e genio poetico. E, qui, ci soffermeremo apenna nella argomentazione
sul genio linguistico, rispetto al lessico, alla morfologia e alla
sintassi.
Il lessico
della Commedia:
Nel ritmo delle serrate ed essenziali terzine, il codice и ora
plebeo, ora sublime, ora filosofico, ora teologico, ora scientifico:
Allor
surge a la vista scoperchiata
unТombra, lungo questa, infino al mento:
credo
che sТera in ginocchie levata.
(Inf., X,
52-54)
УAllora
nellТapertura
(a la vista
= alla parte visibile)
scoperchiata [della tomba] si sollevт
(surse)
unТ[altra] ombra rasente
(lungo)
questa [ombra di Farinara],
fino (infino) al mento: credo che si era fiero Farinata appare altro
spirito: Cavalcante Cavalcanti; e la sua apparizione interrompe le
battute polemiche di Dante e di Farinata. QuestТaltro dannato (definito ombra) si rivela subito di carattere ben diverso dal
compagno di pena: come Farinata sТinnalza bruscamente, Cavalcante
surge con lentezza: e si mostra non
dalla cintola in sщ, ma solo
infino al mento, restando
(cosм sembra a Dante) in ginocchio. Cavalcante и il padre del grande
poeta Guido Cavalcanti, guelfo e nemico di Farinata; nel 1267 perт
permise al figlio Guido di sposare la figlia di Farinata per legare
con parentela le fazioni nemiche e mettere fine alle vendette. Ricco
ed elegante, aveva fama di non credere allТimmortalitа dellТanima e
di affermare la necessitа di godere dei fuggevoli beni materiali
della vita.Ф[2]
O ancora:
O tu che leggi, udirai nuovo ludo:
ciascun da lТaltra costa li occhi volse,
quel prima, che a ciт fare era piщ crudo.
(Inf. XXII, 118-120)
УO tu che leggi,
ascolterai (udirai)
una strana gara (nuovo ludo; dal lat. СludusТ= gioco,
competizione): ognuno
(ciascun) [dei diavoli ri]volse gli
(li) occhi verso
(da) lТaltra costa
[: tutti si voltano per allontanarsi]
per primo
(prima)
quel [diavolo] che era piщ
restмo (crudo)
a fare ciт [:Cagnazzo; cf. vv. 106-108]. I diavoli si
voltano e si allontanano dallТorlo dellТargine. Il piщ lesto и
proprio Cagnazzo, che si era un attimo prima opposto: Dante ironizza
sulla incostanza dei diavoli.
O tu che leggi ...:
и un appello diretto al lettore, non frequente; sta a
sottolineare la stranezza della situazione, la sua bizzarra
drammaticitаФ[3]
Parole in
disuso, toscane e fiorentine, si mescolano con provenzialismi, con
dialetti e i gerghi, come per esempio i settentrionalismi e i
meridionalismi, come veggiolo,
nol, sazia (Purg. XX, 86-93),
mal sonno incubo, figliuoi
figlioli, manicar mangiare (Inf. XXVIII); i latinismi (circa
cinquecento), come per esempio
facean, Deo, Roma (Purg. XVI, 106-109),
divizia (Inf., XXII,
109-111), aura, turbe,
infanti, viri, mercedi, spiriti magni (Inf.
IV), i gallicismi
grifagno (Par. XVI, 24), uccello di rapina (alcune decine), i
neologismi inmiarsi entrare in me e
insusarsi andare su,
innalzarsi, solo per farne alcuni esempi.
Ci sono anche nella Commedia argomenti scientifici che possono essere attestati dalle parole УmacroФ, sangue perfetto, virtude informativa, digesto, coagulando, organar, generante (Purg. XXV). Cosм come i doppioni morfologici diceva / dicea; vorrei/ vorria; tacque/ tacette.
Il tono и ora solenne ora colloquiale, dolce o beffardo e aspro,
narrativo o didascalico, serio o grottesco, lirico o comico.
LТinsieme
lessicale и insomma plastico, puntuale, sempre aderente alle cose,
nitido, quasi lapidario, con solide basi nel modello fiorentino. Ne
consegue un vocabolario imponente quanto stabile, del quale si
riportano alcune forme oscure, di antica derivazione o neologismi:
accaffare arraffare,
accarnare accertare,
accatare ricevere,
acquistare, acceffare
mordere, adduarsi accoppiarsi,
adizzare incitare,
adonare abbatere,
aggueffarsi raggrupparsi,
alleluiare cantare
alleluia, arrostarsi
dibattersi, avolterare
adulterare, beninanza
bontа, biscazzare giocare,
festinare affretarsi,
fiata volta, flaillo
flauto, gualdana scorreria,
inluiarsi fondersi con lui: Dio,
insuarsi elevarsi a Dio,
luttare piangere: da lutto,
mergere piegare,
nosco con noi,
oblivione oblio,
oltracotato tracotante,
paroffia parrocchia,
robbio rosso, sitire avere sete,
tranare trasportare.
Il
linguaggio della Commedia
ha la forza di qualche cosa di originario, che sorge per la prima
volta, ed и nello stesso tempo perfettamente maturo, capace di
rispondere alle piщ difficili necessitа espressive e di servirsi
delle tecniche piщ sofisticate. Rispetto alla produzione del volgare
italiano della seconda metа del secolo XIII, la
Commedia amplia notevolmente gli orizzonti sintattici e
lessicali: la varietа stilistica (che rovescia le consuetudine della
recente letteratura, chiusa per lo piщ in codici ristretti e
specializzati) crea una continua variazione di registri, attingendo
sia alla lingua УbassaФ sia a quella УnobileФ.
Dante
trae spunti dalla letteratura latina o in volgare, ma nello stesso
tempo ha uno spiccato interesse per il linguaggio parlato,
colloquiale, anche nelle forme vivaci, aggressive e popolaresche, si
pensi per esempio al Canto XV del Paradiso, nel quale si allude
allТincontro di Enea con il padre Anchise negli Elisi - Eneida VI,
684, annunciando quindi il rapporto di parentela e di affetto tra
Dante e lТanima che gli sta andando incontro. Il volgare acquisisce
cosм una serie di possibilitа espressive che gli erano sconosciute.
Dante elimina la schematicitа e la monotonia parattatica (che
caratterizza la scrittura poetica contemporanea), e sulla pur rigida
struttura metrica della terzina innesta un originale ritmo di
racconto.
La vena
sperimentale di Dante si esprime anzitutto nella padronanza del
latino classico e della retorica medioevale (sia nelle forme dellТars
dictandi che in quelle
artes poetriae del Duecento, ma trova la sua ragione piщ
autentica nella energica adesione alla vitalitа del volgare. Le
invenzioni lessicali della Commedia sono sempre funzionali alle necessitа espressive.
In questo senso Dante fa un ampio uso di termini toscani, o tratti
dai dialetti settentrionali, o ricavati dalle lingue romanze (francese
o provenzale); numerosi i termini modellati sul latino e quelli
dalla forma volgare (come, ad esempio, manicare/ manducare/ mangiare,
speranza/ speme/ spene, vigilare/ vigliare/ vegghiare, clastro/
chiostro, diece/ dieci, veglio/ vecchio.
La
creativitа linguistica della
Commedia и legata al vivo senso della storicitа del linguaggio,
giа manifestato nel De vulgari
elonquentia, e ora affermato ancor piщ risolutamente (tra
lТaltro viene correta, nel canto XXV del Paradiso), lТopinione,
espressa proprio nel trattato in latino, circa lТincorrutibilitа
della lingua sacra di Adamo.
Il
volgare italiano raggiunge con la
Commedia una statura
letteraria superiore a quella delle lingue romanze vive, che pure
erano giunte molto prima alla letteratura, e acquisisce una
posizione di supremazia che manterrа fino al Cinquecento.
AllТinterno dellТarea italiana, essa diventa presto un riferimento
per la diffusione di una forma media di comunicazione linguistica
nazionale su base toscana. Tutto lo sviluppo successivo della lingua
italiana, non soltanto di quella letteraria, ma anche quella parlata,
sarа determinato, sia nella sintassi che nel lessico, dalle geniali
soluzioni dantesche.
Osserviamo ora le origini di alcune parole presenti in
La Divina Commedia:
SELVA
- s. f. Сbosco esteso con folto sottoboscoТ In Dante significa
Сmoltetudine grande e confusa di persone o cose. Parola
derivata dal latino silva(m)
che presenta come derivati:
silvaticum e silvosum.
La forma
salvatico si rifa al
latino tardo salvaticum.
TUMULTO - s. m. Сintenso romore prodotto da piщ persone che gridano e si agitano dosordinatamenteТ(Dante, dal 1300 al 1313). Significa anche agitazione, sommossa, rivolta. Parola derivata dal latino tumultum che significava СsollevamentoТcon particolare riferimento alla СribellioneТin una guerra non regolare. Forse era una parola espressiva dal momento che i tentativi di inquadrarla in ambito indoeuropeo o nella famiglia di tumere non sono stati favorevolmente accolti. Di uso latino anche nei derivati tumultuare, tumultuarium, tulmutuosum.
VILTADE - da VILTј - s. f. atitudine di quello che agisce con viltа, meschino, misero. Dante adopera questa parola con varie sfumature in 86 volte. Ha anche il senso di basso e spregiovole. Parola derivata dal latino vile(m), di origine sconosciuta, che significava dapprima Сdi poco prezzoТ e poi, per estensione, Сdi poco valoreТ, tanto in senso proprio quanto in senso figurato.
TENCIONE - (TENZONE) -
s. f.
nella letteratura medievale che significa Сdisputa in vario metro su
di un argomento fitizio, personale, filosofico o amorosoТ. In Dante
nella forma toscanizzata
tencione. Il Bembo aveva attribuito a
tenzona una provenienza
provenzale che и oggi confermata. Il provenzale antico ha, infatti,
tenson Сpoesia dialogataТ che viene probabilmente dal
latino tentione(m).
BUIO -
agg. che и
privo di luce (1300-1313, Dante). Anche col il senso di Сcorruciato,
tristeТ. In Dante questo aggettivo puт anche apparire come un nome
maschile che significa Сla macanza di luceТ. Questa parola deriva
dal latino parlato burriu(m)
Сrosso cupoТ, ancora vivo col significato di color marrone. Non era
da Ruscelli considerata voce poetica :
buio, voce popolaresca, e
non da versi leggiadri, se ben molto Toscana questa voce (citata da
Migliorini nella Storia della Lingua Italiana p. 416) e lo stesso
Aretino lТannoverava fra le voci del toscano piщ colloquiale.
VERMIGLIO -
aggetivo che
ha un colore rosso intenso e acceso (data dalla fine del secolo XIII/XIV
nel Novellino, che и dopo adoperato come avverbio da Rustico di
Filippo nel 1300. Nel francese СvermeilТ (vermelh
in provenzale) che proviene dal latino
vermiculu(m).
INFERNAL
-
aggettivo СdellТinfernoТ, luogo di eterno dolore cui le anime dei
peccatori non pentiti sono condannate. In Dante dal 1300 al 1313
Сdegno dellТinferno per bruttezza o malvagitаТ.
Voce dotta
dal latino ecclesiastico
infernu(m), sostantivazione dellТaggettivo
infernu(m), doppione di
inferu(m), Сche sta in bassoТ(Dante:
in valle infera). Anche
lТaggettivo infernale(m) и
proprio dal latino della Chiesa.
SPIACENTI - partitivo presente e aggettivo Сche spiaceТ (appare avanti il 1250 in B. Panvini, poeta della Scuola Siciliana, nel libro Le rime della Scuola Siciliana, Firenze, 1962. Cosa che dб noia, disturbo, dolore.
MOSTROCCI / MOSTROMMI -
(MOSTRARE) - verbo transitivo che significa Сsottoporre alla
vista, allТattenzione generale o di altri (avanti Guittone
DТArezzo). In Dante avanti il 1321 ha il senso di Сesibire qualcosa
perchи si osservi, controlliТ, СostentareТ.
Dal 1304 al
1308, anche in Dante, ha il significato di Сindicare, additareТ.
Parola venuta
dal latino monstrare denominazione di
monstru(m) Сprodiggio,
segno (degli dei), col significato originale di Уindicare la volontа
divina, ma passato ben presto nella lingua familiare col significato
generico di СdesignareТ.
RISPUOSI - (RISPONDERE) - -verbo intransitivo: parlare a sua volta a chi ha rivolto
una domanda, replicare a un discorso, dare risposta a uno scritto (fine
del secol XIII, nel Novellino). In Dante significa Сfar seguire
unТazione a unТaltra, in segno di risposta (avanti 1321); anche in
senso figurato Сesaudire, soddisfareТ (avanti 1321 Dante utilizza
questo verbo nel senso di Сessere tenuti verso qualcosaТ).
Parola venuta
dal tardo latino, secolo IV d. C., nella
Mulomedicina di Chirone)
respondere Сpromettere,
assicurare (spondere), di rimando RE-, che ebbe giа in latino il
significato di eccheggiareТ. In Italiano il derivato
risposta (dal participio
passato) che ha avuto un anteriore concorrente in
risponsione, molto
frequente nei nostri primi scrittori corrispondenti al latino
responsione(m).
VOLGONSI - (VOLGERE) - verbo transitivo: Сdirigere verso un luogo o un punto
determinato, piegare verso una parte o una direzione, anche figurato
Сmutare da uno ad altro tono o significato (in Dante 1313 al 1319).
Parola che
proviene dal latino volvere
(di origine indoeuropea) o ricostruito sulla prima persona
dellТindoeuropeo - io volgo-, a sua volta, influenza da
io colgo (Rohlfs) o dal
participio passato latino
voltu(m), parallelo del normativo
volutu(m).
LOCO
- s. m.: porzione di spazio idealmente o materialmente delimitata.
In Dante troviamo la forma СlocoТ accanto a quella di СluogoТ.
Questa parola derivata dal latino
locu(m) non ha una
spiegazione etimologica.
BALZO - s. m. Сsporgenza del terrenoТ. Dal 1300 al 1313 in Dante significa Сluogo scoscesoТ. Dal latino balteu(m), che oltre al significato di СcinturaТ - senso conservati nei dialetti - aveva assunto anche quello di luogo ricinto da dirupi.
SPIRTI - s. m.
Сessenza personificata che ha vita autonoma, perchи separata per
morte dal corpo, o perchи, per natura, priva di corpo o ancora
Сdisposizione dТanimo di cui deriva un modo di essere e di agire
(questo era il significato assunto da Dante). In Boccaccio assume il
significato di Сfluido sottile che si credeva scorresse nel corpo
umano determinandone le funzioni vitaliТ.
Dal latino
spiritu(m) (da
spirare Сspirare, soffiareТ. Al significato di sostanza
alcoolica si и giunti attraverso quello di СesalazioneТ.
ASSAGGIA - (ASSAGGIARE) - verbo transitivo: provare il sapore di un cibo o di una bevanda (fine del secolo XIII nel Tesoro Volgar. Il nome assaggiatore и datato allТinizio del secolo XIV nel Cassiano Volgar.
IO SENTIA - (SENTIRE - SENTIVO) - verbo transitivo: acquisire conoscenza dal mondo esterno attraverso gli organi dei sensi (uso attestato alla fine del secolo XIII nel Novellino p.837. In Dante ha il senso di Сprovare una sensazione fisica generale o localizzata in una parte del corpo, o anche accompagnata da sensazioni psichiche, sentimento o sensibilitаТ.
Parola derivata dal latino sentire Сpercepire, sentireТ (di origine indoeuropea) coi derivati sententia(m) Сopinione, sentenzaТ (quello che uno sente, ritiene), sententiare (latino medioevale in Salimbene), sententiosu(m) Сpieno di concetti
SUPERNO - aggettivo che significa СsuperioreТ. In Dante col senso di Сluogo supremo, superioreТ. Parola che viene dal latino dotto supernu(m), da superu(s) СsuperioreТ che и il contrario in Dante di infernu(s) СinferioreТ.
SOAVE - aggettivo: che riesce grato, dolce, piacevole ai vari sensi (parola datata nel secolo XIII, in Panvini nel libro Le rime della Scuola Siciliana, Firenze, 1962, p. 297). Dante adopera anche un suo derivato soavitа. Dal latino suave(m) Сattraente, dolceТ, dalla stessa radice di persuadere СpersuadereТ anche con il derivato suavitate(m).
ALMA - Dante adopera la forma СalmaТe СanimaТ, ambedue con lo stesso significato. alma СanimaТ. Dal latino anima(m), con la sincope della УiФ postonica e il passaggio da УnmФin УlmФ. Anima Сparte spirituale e immortale dellТuomoТ o ancora Сparte interna di una cosaТ. Dal latino dotto anima(m) che si puт avvicinare al greco бnemos che significa Сvento, soffioТ.
VIRTUTE - s. f. che significa Сamore attivo del bene che induce lТuomo a perseguirlo e a praticarlo costantemente (datata nella fine del secolo XIII. In Dante la parola viene utilizzata come Сfacoltа, potenzaТ o ancora Сqualitа intrinseca per cui qualcuno и adatto alla realizzazione di uno specifico fineТ. La parola puт assumere diverse forme: vertude, vertudi e virtщ, questТultima come lТutilizziamo oggi. Parola derivata dal latino dotto vitute(m) Сcoraggio, forza, valore, qualitа proprie del maschioТ. Virtus и cosм chiamata da vir, dacchй propria dellТuomo и soprattutto la forza. LТantico senso latino di Сvalore, eroismoТ и stato riesumato dagli Umanisti (Migliorini nel libro Storia della Lingua Italiana, p. 298) e una seconda volta nel XIX.
CIEL - Spazio al di sopra della superficie della terra con apparente forma di cupola, che appare turchino quando non и ingombro di vapori e di nuvole. In Dante: Сtratto di volta celeste che sovrasta un luogo, una regione determinataТ. Dal latino caelu(m) la cui etimologia и incerta.
RIMEMBRAR - verbo transitivo poetico: Сricordare, richiamare alla menteТ. Dal 1304 al 1308 Dante lТutilizza come verbo pronominale. Parola proveniente dal latino ecclesiastico rimemorari Сricordarsi diТ (di memor Сricordo) che и passato attraverso il provenzale antico remembrar, come giа aveva notato il Bembo. Anche il derivato rimembranza и di provenienza galloromanza (francese antico ramembrance).
VEGGION - (VEDERE - VIDERO)
- verbo transitivo: percepire con gli occhi la realtа concreta,
anche assoluta.
In Dante: Сcontemplare con gli occhi della mente, della fede
e simile; intendere, conoscere, capire; percepire la propria
immagineТ. Parola venuta dal latino
videre che ha una vocal
dellТindoeuropeo - la СiТ.
RISPLENDE
- che
ha splendore, che brilla o che manda splendore. In Dante troveremo
anche la forma risprendere. Dal latino
resplendere Сbrillare (splendere)
intensamenteТ.
TRASUMANAR - Verbo coniato da Dante e presente solo in questТunico passaggio della Commedia che significa Сsalto dallТumano al divino, dalla terra al cieloТ. Trascendere i limiti dellТumana natura ( in Dante nel 1321). Voce dotta che significa propriamente oltrepassare ( dal latino tra(n)s - oltre ) la natura umana.
BEATA - participio passato, aggettivo e sostantivo: Сche и completamente felice, che gode della visione beatifica di DioТ. In Dante la parola significa Сchi gode della perfetta felicitа nella contemplazione di DioТ. Dal latino beatu(m). Il primo significato sembra essere stato quello di Сcolmo di ogni bene, di tutto ciт che si possa desiderareТ, e poi Сricco, feliceТin senso morale. QuestТultima accezione и stata assunta e divulgata dalla Chiesa assieme al suo derivato beatitudine(m) СbeatitudineТ che и stato coniato forse da Cicerone e che si trova presente tanto nel latino ecclesiastico quanto nel latino profano, giа diffuso nellТepoca classica.
DIVINA - aggettivo che si riferisce a Dio o agli Dei. Voce dotta dal latino divu(m), con il derivato divinu(m) e i suoi derivati. Divino che era stato adoperato negli ultimi decceni del С400 e nei primi del С500 con incredibile abbondanza, regredisce rapidamente quando si fa sentire la Controriforma ( Migliorini nel libro Storia della Lingua Italiana, p. 398-399). LТepiteto УdivinaФ fu aggiunto alla edizione della Commedia di Dante soltanto in etа relativamente recente, cioи a cominciare dallТedizione veneziana del 1555 stampata da Gabriele Giolito e allestita da Ludovico Dolce. Appare probabile, se non certo, che il Dolce abbia cavato tale attributo per il frontespizio della sua edizione dantesca. Non si deve peraltro escludere che il Dolce abbia utilizzato lТepiteto con fini e valori semantici diversi (divina Уche tratta di argomenti oltremondaniТ), quegli stessi che hanno immediatamente decretato la fortuna di un titolo storicamente giustificabile quanto sostanzialmente arbitrario.
LETIZIA - Сcontentezza dellТanimo manifestata con lТespressioneТ. Voce dotta dal latino laetitia(m), da laetu(m) СlietoТ. La parola letizia и fra quelle raccomandate nel De Vulgari Eloquentia certamente per la sua essenza latineggiante.
Per concludere questo lavoro, si puт osservare che lТinfluenza di Dante si farа sentire nei secoli successivi. Influirа sullo stile di Boccaccio, sulla sua metrica e sul lessico. Giacchй, fin dal Trecento, la Commedia и assunta quasi a libro santo della nazione, fornisce materia di continue citazioni, sia di interi versi, sia di locuzioni che piщ o meno alludono a episodi e figure del poema o a concetti danteschi. Anche le parole in Dante hanno avuto una fortuna molto grande; molte sono state imitate da vari scrittori che le adoperarono nel senso proposto che si trova nella Commedia. Molte sono le parole introdotte da Dante e che sono state assunte come facendo parte della lingua italiana.
[1] Tratto dallТAntologia della Divina Commedia, a cura di Pietro Cataldi e Romano Luperini, Firenze: Le Monnier, 1994, p.p. XIX.
[2] CATALDI, Pietro & LUPERINI, Romano. Antologia della Divina Commedia. Firenze: Le Monier, 1995. P. p. 91.
[3] Idem. P. p. 151.