Al lettore

Purtroppo, non ci capita spesso di scrivere poesie in una lingua straniera. D'altronde, dipende dalle circostanze.
Questi sono alcuni tentativi di espressione poetica o quasi, dell'autore di questo sito, nati diversi anni fa. Un riflesso della vita romana...

S.V.

К читателю

К сожалению, не часто нам приходится писать стихи на иностранном языке. Впрочем, зависит от обстоятельств. Перед вами попытки поэтического (или почти) выражения автора этого сайта, родившиеся несколько лет назад. Отражения римской жизни...

С.В.

 


PREGHIERA

Puoi togliermi tutto
Puoi togliermi il respiro
Il sonno il tempo la ragione
Ma lasciami soltanto per qualche giorno
Per qualche attimo dell'esistenza
Questa speranza folle
Questo crepuscolo indefinito
Un istante tra "oramai" e "ancora"
Una carezza da fare
Uno sguardo da incercettare
Un sospiro da bere dalle labbra

Eppoi - puoi lasciarmi cadere nel nulla
Da dove una volta sono venuto
Non ti chiedo resurrezione
Non mi serve ormai
Ho avuto gia' tutto
Non potresti aggiungere niente

Sono io che me ne vado


* * *

Un vuoto dove non sei nemmeno tu
Ci sono soltanto io che cerco di fuggire da me stesso
Tento invano di nascondermi dietro le cose
Ma non trovo un posto nel mondo
Sono sopraffatto

Un giorno mi dovro' ricreare
Senza forse sapere se ne valga la pena
Se ci sara' qualcosa di piu' forte
Piu' doloroso piu' invincibile piu' folle

Di questa mattina di lunedi'
Di questa giornata che non mi serve affatto
Di questa ossessione

E' la mia parte nel gioco
Per la quale sono stato scelto
Arbitrariamente


* * *

Ho bisogno soltanto di parlarti
Lasciarmi portare dal fiume di parole
Che un giorno fino a te arriveranno

Vorrei soltanto vederti
Senza accarezzare i tuoi capelli
Senza toccare le tue mani
Senza sfiorare il tuo viso

Voglio soltanto andare avanti
Ancora un passo ancora un fragile passo
Domani forse non ci sara' piu' niente
E noi non saremo piu' noi stessi

Ancora un passo ancora


* * *

Stasera non deve succedere nulla. Non puo' succedere - nulla. Il vuoto dell'assenza dovra' essere riempito da qualcuno, da qualcosa. Con molte parole che non aggiungono niente a quelle che sono gia' state dette. Con molti pensieri che dovranno essere gestiti razionalmente - e comunque sfuggiranno al costante controllo e si ritroveranno di nuovo in quel vicolo cieco - in quel posto luminoso, con una luce abbagliante, acceccante - in quel posto dell'universo e del tempo dove vorrei essere adesso, immediatamente, senza perdere un secondo, un battito del cuore.

I disegni sulla pelle, nella notte... "In solis sis tibi turba locis", diceva il vecchio Montaigne. Nella solitudine diventerai folla per te stesso. Non ci riesco. Mi frantumo, mi attacco alle cose e ai numeri tentando invano di scoprire il loro enigma. Non ci riesco. Voglio desintegrare la musica per trovare la sua essenza. Voglio coprire la luna con uno straccio nero e lasciare solo la notte. I disegni sulla pelle... L'inutilita' delle parole che affogano nel silenzio. L'abisso tra quest'oggi e un domani. Dovro' esorcizzarlo, ancora una volta. Chiudere gli occhi e vedere di nuovo il crepuscolo della stanza, l'impassibile pianto della candela e la mano che faceva quei disegni. I disegni sulla pelle. Fino all'alba...


* * *

Non ti serve il segno della croce
E' troppo tardi
I fiocchi della neve
Le parabole del pensiero
Si sono sciolte
Da tempo

Rimane ancora
Una manciata di polvere grigia
Un soffio di dolore
Di una volta

Che il fiume senza colori
Toglie lentamente
Goccia dopo goccia
Come lacrime

Tu non sei piu' capace
Di farle nascere


* * *

Ti ricordi
Quel giorno
La pioggia sulla citta' impassibile
Che sembrava di vetro
Fragile e trasparente
Con le vertebre dei campanili

S'innalzava sulle colline
Dormiente
Se ne andava
Nel sonno
Ci lasciava scoperti
Liberi
Attraverso i secoli
Ci lasciava il silenzio
Senza il passato ne' il futuro
Ci lasciava soli

So che non ti ricordi
Non c'e' mai stata la pioggia
In questa citta'


* * *

Vorrei diventare di pietra
Le pietre non sentono
Si spaccano
Vorrei diventare di plastica
Assomigliare a tanti
Per essere riciclato
E sbarazzarmi di me
Finalmente
Del dolore incastrato
Tra i polmoni e il diaframma
Strapparlo vomitarlo
Nasconderlo nella spazzatura
E fuggire senza voltarmi
Vorrei diventare nulla

E' una serata come tante
Mezzanotte ora locale


* * *

L'ora morta del pomeriggio
L'ora grigia
Sfuocata
Soffocata nel dormiveglia
Nei sussurri incandescenti
Delle pietre
Il suono morente
Delle strade
Dei vicoli ciechi
Dei templi
Colpisce le tempie
Rimbomba nel guscio del firmamento

E' tempo
E' tempo per spalancare le porte
Mettere la bandiera bianca alla finestra
Resta
La resa
Sara' annunciata alla scorta
Ascolta
Il suono scrosciante del sangue
Nelle tempie

Hai tempo
Ascolta
Prima che scenda il tramonto
La morte


* * *

Un pezzettino di ghiaccio
Tengo tra le dita
Cerco di stringerlo
Di scaldarlo
Mi rimane sul palmo
Un po' d'acqua
O del sangue


* * *

Qui non si puo' gridare
E' vietato
Si puo' sorridere
Sempre
A denti stretti
Con polmoni pieni di sangue
A bocca chiusa
Dalle parole

Guarda che luna
Con faccia lustra
Non farci caso
Passa tutto
Tutto rimane


* * *

Tutti morti stanotte.

Storditi dal fumo, dalle immagini infuocate, con colori ora accesi, straripanti, - ora sbiaditi, impercettibili nel passaggio dall'uno all'altro, dall'al di qua nell'al di la', nel buio e nell'oblio; le serate in silenzio ma senza congiungersi, - tutti separati, i corpi, i sospiri, gli sguardi immersi ognuno nel proprio "io" o nell'assenza di esso, in un fragile globo di vetro, trasparente e incolore che rischia di frantumarsi sotto un lieve respiro di vento che entra attaraverso il finestrino; e il silenzio finisce con un'esplosione, un botto - del tutto naturale, come il secco suono del grilletto alla tempia.

Quell'estate trovarono sull'autostrada molti corpi degli uccelli morti spiaccicati sull'asfalto; sembrarono delle semplici macchie e dopo le piogge piano piano si estinsero.


* * *

Ritrovarti nella tua assenza
Osservando
Le regole di buona condotta
Senza parlare
Nella notte fonda
Posarti la mano sulla fronte
Fermare il tempo
Al presente
Che in me
Non c'e' mai stato


* * *

Parole non pronunciate
Strappate dalla bocca
Mute
Schiacciate sul selciato
Trascinate via
Parole gridate al vento
Foglie secche
Di un autunno
Rimaste in sospeso
Tra me e qulcuno
- Me stesso -
Che credevo di essere stato


* * *

Attraversare la strada
E scomparire
Svanire tra i papaveri rossi
Nel rosso sangue
Mescolato con la terra

Saziare il corpo
Con la polvere di un'estate
Del futuro

Straziare
Il verde della pianura
Con un sussurro
Mentre qualcuno
Con la mano leggera
A cuor leggero
Chiude il sipario


* * *

Aprono le chiuse, a mezzanotte. Non stasera, forse domani. Le sabbie serpeggianti del deserto fanno nascere miraggi, partoriscono tramonti di colori forti, fanno ondeggiare e quasi annientare le palme che si innalzano sulle rive.

Ieri sera sono passate qui tante navi, la mia e' l'ultima. Il bazar locale fa confondere i sensi, con degli odori strani, bizzarri. La strada e' lunga e non finisce mai.

Prima del tramonto apparira' un volto tessuto da ultimi riflessi di sabbia di questo mutevole deserto. Un volto imperturbabile e indistruttibile - era da sempre cosi', me lo ricordo. Con lo sgurdo immoto da sotto le palpebre appesantite - come se non guardasse nessuno, eppure mi si stringe la gola e mi sento colpevole. Colpevole di non avere pazienza, di non trovare fiducia, di non poter aspettare.

L'unica corda di uno strumento sconosciuto intona un canto e finisce nel silenzio. Il tramonto si spezza e cade dietro l'orizzonte.

Tra poco sara' mezzanotte. Apriranno le chiuse. Forse.


* * *

Tu non vedi
Eppure sono io
Seguo le tue orme
Passo dopo passo
Cercando
La carovana smarrita
Dei tuoi riflessi
Che ha calpestato
Questa polvere plumbea
Solo un'ora fa
Un'ora fa oramai


* * *

Ti sento
Il vento che palpita
Nel cuore della valle
Il fiore
Accarezzato dalla roccia
Che credeva di essere morta
Il rasoio del tempo
Ti separa dall'infinito
Colora di diafano
Lo sguardo insofferente

Ti vedo
Nel gocciolare dell'acqua
Del fogliame bagnato
D'autunno
Nel gemere dell'erba
Spuntata alla prima ora
Di primavera

Non posso piu' aspettare
Alzo la mano
Per rompere il guscio
Che ti trattiene
L'involucro prenatale
Dell'innocenza
E del peccato


* * *

Abbandonarsi alla felicita' . Come cadere in un vecchio pozzo abbandonato, coperto di muschio, senza pensare di raggiungere il fondo. Senza sentire il proprio corpo ne' leccare il sangue delle ferite. Essere caldo, bruciare dentro, incenerendo tutto cio' che e' stato gratuito una volta. Liberarsi dai pensieri, sazi di ragionevolezza che non e' servita a niente, dai sentimenti consumati fino all'osso per uso eccessivo, dalla pelle con tutti i peli magnetizzati che gridano "Vivere! vivere!". Riempire la bocca di un altro respiro, indolore, che non sa di sangue.

Chiudere gli occhi e schiantarsi sul fondo di questo sterile pozzo.

Non essere mai chiamati a rispondere. A nessuno. Nemmeno a se stessi.

 

S.V.


© S.Loguich, 2001


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