001
Molti anni fassi qual felice, in una
brevissima ora si lamenta e dole;
o per famosa o per antica prole
altri s'inlustra, e 'n un momento imbruna.
Cosa mobil non и che sotto el sole
non vinca morte e cangi la fortuna.
002
Sol io ardendo all'ombra mi rimango,
quand'el sol de' suo razzi el mondo spoglia:
ogni altro per piacere, e io per doglia,
prostrato in terra, mi lamento e piango.
003
Grato e felice, a' tuo feroci mali
ostare e vincer mi fu giа concesso;
or lasso, il petto vo bagnando spesso
contr'a mie voglia, e so quante tu vali.
E se i dannosi e preteriti strali
al segno del mie cor non fur ma' presso,
or puoi a colpi vendicar te stesso
di que' begli occhi, e fien tutti mortali.
Da quanti lacci ancor, da quante rete
vago uccelletto per maligna sorte
campa molt'anni per morir po' peggio,
tal di me, donne, Amor, come vedete,
per darmi in questa etа piщ crudel morte,
campato m'ha gran tempo, come veggio.
004
Quanto si gode, lieta e ben contesta
di fior sopra ' crin d'or d'una, grillanda,
che l'altro inanzi l'uno all'altro manda,
come ch'il primo sia a baciar la testa!
Contenta и tutto il giorno quella vesta
che serra 'l petto e poi par che si spanda,
e quel c'oro filato si domanda
le guanci' e 'l collo di toccar non resta.
Ma piщ lieto quel nastro par che goda,
dorato in punta, con sм fatte tempre
che preme e tocca il petto ch'egli allaccia.
E la schietta cintura che s'annoda
mi par dir seco: qui vo' stringer sempre.
Or che farebbon dunche le mie braccia?
005
I' ho giа fatto un gozzo in questo stento,
coma fa l'acqua a' gatti in Lombardia
o ver d'altro paese che si sia,
c'a forza 'l ventre appicca sotto 'l mento.
La barba al cielo, e la memoria sento
in sullo scrigno, e 'l petto fo d'arpia,
e 'l pennel sopra 'l viso tuttavia
mel fa, gocciando, un ricco pavimento.
E' lombi entrati mi son nella peccia,
e fo del cul per contrapeso groppa,
e ' passi senza gli occhi muovo invano.
Dinanzi mi s'allunga la corteccia,
e per piegarsi adietro si ragroppa,
e tendomi com'arco sorпano.
Perт fallace e strano
surge il iudizio che la mente porta,
chй mal si tra' per cerbottana torta.
La mia pittura morta
difendi orma', Giovanni, e 'l mio onore,
non sendo in loco bon, nй io pittore.
006
Signor, se vero и alcun proverbio antico,
questo и ben quel, che chi puт mai non vuole.
Tu hai creduto a favole e parole
e premiato chi и del ver nimico.
I' sono e fui giа tuo buon servo antico,
a te son dato come e' raggi al sole,
e del mie tempo non ti incresce o dole,
e men ti piaccio se piщ m'affatico.
Giа sperai ascender per la tua altezza,
e 'l giusto peso e la potente spada
fussi al bisogno, e non la voce d'ecco.
Ma 'l cielo и quel c'ogni virtщ disprezza
locarla al mondo, se vuol c'altri vada
a prender frutto d'un arbor ch'и secco.
007
Chi и quel che per forza a te mi mena,
oilmи, oilmи, oilmи,
legato e stretto, e son libero e sciolto?
Se tu incateni altrui senza catena,
e senza mane o braccia m'hai raccolto,
chi mi difenderа dal tuo bel volto?
008
Come puт esser ch'io non sia piщ mio?
O Dio, o Dio, o Dio,
chi m'ha tolto a me stesso,
c'a me fusse piщ presso
o piщ di me potessi che poss'io?
O Dio, o Dio, o Dio,
come mi passa el core
chi non par che mi tocchi?
Che cosa и questo, Amore,
c'al core entra per gli occhi,
per poco spazio dentro par che cresca?
E s'avvien che trabocchi?
009
Colui che 'l tutto fe', fece ogni parte
e poi del tutto la piщ bella scelse,
per mostrar quivi le suo cose eccelse,
com'ha fatto or colla sua divin'arte.
010
Qua si fa elmi di calici e spade
e 'l sangue di Cristo si vend'a giumelle,
e croce e spine son lance e rotelle,
e pur da Cristo pazпenzia cade.
Ma non ci arrivi piщ 'n queste contrade,
chй n'andre' 'l sangue suo 'nsin alle stelle,
poscia c'a Roma gli vendon la pelle,
e иcci d'ogni ben chiuso le strade.
S'i' ebbi ma' voglia a perder tesauro,
per ciт che qua opra da me и partita,
puт quel nel manto che Medusa in Mauro;
ma se alto in cielo и povertа gradita,
qual fia di nostro stato il gran restauro,
s'un altro segno ammorza l'altra vita?
011
Quanto sare' men doglia il morir presto
che provar mille morte ad ora ad ora,
da ch'in cambio d'amarla, vuol ch'io mora!
Ahi, che doglia 'nfinita
sente 'l mio cor, quando li torna a mente
che quella ch'io tant'amo amor non sente!
Come resterт 'n vita?
Anzi mi dice, per piщ doglia darmi,
che se stessa non ama: e vero parmi.
Come posso sperar di me le dolga,
se se stessa non ama? Ahi trista sorte!
Che fia pur ver, ch'io ne trarrт la morte?
012
Com'arт dunche ardire
senza vo' ma', mio ben, tenermi 'n vita,
s'io non posso al partir chiedervi aita?
Que' singulti e que' pianti e que' sospiri
che 'l miser core voi accompagnorno,
madonna, duramente dimostrorno
la mia propinqua morte e ' miei martiri.
Ma se ver и che per assenzia mai
mia fedel servitщ vadia in oblio,
il cor lasso con voi, che non и mio.
013
La fama tiene gli epitaffi a giacere; non va nй inanzi nй
indietro, perchй son morti, e el loro operare и fermo.
014
El Dм e la Notte parlano, e dicono:
Noi abbiаno col nostro veloce corso condotto
alla morte el duca Giuliano; и ben giusto
che e' ne facci vendetta come fa.
E la vendetta и questa: che avendo noi
morto lui, lui cosм morto ha tolta la luce a noi
e cogli occhi chiusi ha serrato e' nostri,
che non risplendon piщ sopra la terra.
Che arrebbe di noi dunche fatto, mentre vivea?
015
Di te me veggo e di lontan mi chiamo
per appressarm'al ciel dond'io derivo,
e per le spezie all'esca a te arrivo,
come pesce per fil tirato all'amo.
E perc'un cor fra dua fa picciol segno
di vita, a te s'и dato ambo le parti;
ond'io resto, tu 'l sai, quant'io son, poco.
E perc'un'alma infra duo va 'l piщ degno,
m'и forza, s'i' voglio esser, sempre amarti;
ch'i' son sol legno, e tu se' legno e foco.
016
D'un oggetto leggiadro e pellegrino,
d'un fonte di pietа nasce 'l mie male.
017
Crudele, acerbo e dispietato core,
vestito di dolcezza e d'amar pieno,
tuo fede al tempo nasce, e dura meno
c'al dolce verno non fa ciascun fiore.
Muovesi 'l tempo, e compartisce l'ore
al viver nostr'un pessimo veneno;
lu' come falce e no' siаn come fieno,
. . . . . . . . . . . . . .
La fede и corta e la beltа non dura,
ma di par seco par che si consumi,
come 'l peccato tuo vuol de' mie danni.
. . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . .
sempre fra noi fare' con tutti gli anni.
018
Mille rimedi invan l'anima tenta:
poi ch'i' fu' preso alla prestina strada,
di ritornare endarno s'argomenta.
Il mare e 'l monte e 'l foco colla spada:
in mezzo a questi tutti insieme vivo.
Al monte non mi lascia chi m'ha privo
dell'intelletto e tolto la ragione.
019
Natura ogni valore
di donna o di donzella
fatto ha per imparare, insino a quella
c'oggi in un punto m'arde e ghiaccia el core.
Dunche nel mie dolore
non fu tristo uom piщ mai;
l'angoscia e 'l pianto e ' guai,
a piщ forte cagion maggiore effetto.
Cosм po' nel diletto
non fu nй fie di me nessun piщ lieto.
020
Tu ha' 'l viso piщ dolce che la sapa,
e passato vi par sщ la lumaca,
tanto ben lustra, e piщ bel c'una rapa;
e' denti bianchi come pastinaca,
in modo tal che invaghiresti 'l papa;
e gli occhi del color dell'utriaca;
e' cape' bianchi e biondi piщ che porri:
ond'io morrт, se tu non mi soccorri.
La tua bellezza par molto piщ bella
che uomo che dipinto in chiesa sia:
la bocca tua mi par una scarsella
di fagiuo' piena, si com'и la mia;
le ciglia paion tinte alla padella
e torte piщ c'un arco di Sorмa;
le gote ha' rosse e bianche, quando stacci,
come fra cacio fresco e' rosolacci.
Quand'io ti veggo, in su ciascuna poppa
mi paion duo cocomer in un sacco,
ond'io m'accendo tutto come stoppa,
bench'io sia dalla zappa rotto e stracco.
Pensa: s'avessi ancor la bella coppa,
ti seguirrei fra l'altre me' c'un bracco;
dunche s'i massi aver fussi possibile,
io fare' oggi qui cose incredibile.
021
Chiunche nasce a morte arriva
nel fuggir del tempo; e 'l sole
niuna cosa lascia viva.
Manca il dolce e quel che dole
e gl'ingegni e le parole;
e le nostre antiche prole
al sole ombre, al vento un fummo.
Come voi uomini fummo,
lieti e tristi, come siete;
e or siаn, come vedete,
terra al sol, di vita priva.
Ogni cosa a morte arriva.
Giа fur gli occhi nostri interi
con la luce in ogni speco;
or son voti, orrendi e neri,
e ciт porta il tempo seco.
022
Che fie di me? che vo' tu far di nuovo
d'un arso legno e d'un afflitto core?
Dimmelo un poco, Amore,
acciт che io sappi in che stato io mi truovo.
Gli anni del corso mio al segno sono,
come saetta c'al berzaglio и giunta,
onde si de' quetar l'ardente foco.
E' mie passati danni a te perdono,
cagion che 'l cor l'arme tu' spezza e spunta,
c'amor per pruova in me non ha piщ loco;
e s'e' tuo colpi fussin nuovo gioco
agli occhi mei, al cor timido e molle,
vorria quel che giа volle?
Ond'or ti vince e sprezza, e tu tel sai,
sol per aver men forza oggi che mai.
Tu speri forse per nuova beltate
tornarmi 'ndietro al periglioso impaccio,
ove 'l piщ saggio assai men si difende:
piщ corto и 'l mal nella piщ lunga etate
ond'io sarт come nel foco el ghiaccio,
che si distrugge e parte e non s'accende.
La morte in questa etа sol ne difende
dal fiero braccio e da' pungenti strali,
cagion di tanti mali,
che non perdona a condizion nessuna,
nй a loco, nй tempo, nй fortuna.
L'anima mia, che con la morte parla,
e seco di se stessa si consiglia,
e di nuovi sospetti ognor s'attrista,
el corpo di dм in dм spera lasciarla:
onde l'immaginato cammin piglia,
di speranza e timor confusa e mista.
Ahi, Amor, come se' pronto in vista,
temerario, audace, armato e forte!
che e' pensier della morte
nel tempo suo di me discacci fori,
per trar d'un arbor secco fronde e fiori.
Che poss'io piщ? che debb'io? Nel tuo regno
non ha' tu tutto el tempo mio passato,
che de' mia anni un'ora non m'и tocca?
Qual inganno, qual forza o qual ingegno
tornar mi puote a te, signore ingrato,
c'al cuor la morte e pietа porti in bocca?
Ben sare' ingrata e sciocca
l'alma risuscitata, e senza stima,
tornare a quel che gli diи morte prima.
Ogni nato la terra in breve aspetta;
d'ora in or manca ogni mortal bellezza:
chi ama, il vedo, e' non si puт po' sciorre.
Col gran peccato la crudel vendetta
insieme vanno; e quel che men s'apprezza,
colui и sol c'a piщ suo mal piщ corre.
A che mi vuo' tu porre,
che 'l dм ultimo buon, che mi bisogna,
sie quel del danno e quel della vergogna?
023
I' fu', giа son molt'anni, mille volte
ferito e morto, non che vinto e stanco
da te, mie colpa; e or col capo bianco
riprenderт le tuo promesse stolte?
Quante volte ha' legate e quante sciolte
le triste membra, e sм spronato il fianco,
c'appena posso ritornar meco, anco
bagnando il petto con lacrime molte!
Di te mi dolgo, Amor, con teco parlo,
sciolto da' tuo lusinghi: a che bisogna
prender l'arco crudel, tirare a voto?
Al legno incenerato sega o tarlo,
o dietro a un correndo, и gran vergogna
c'ha perso e ferma ogni destrezza e moto.
024
I' fe' degli occhi porta al mie veneno,
quand' el passo dier libero a' fier dardi;
nido e ricetto fe' de' dolci sguardi
della memoria che ma' verrа meno.
Ancudine fe' 'l cor, mantaco 'l seno
da fabricar sospir, con che tu m'ardi.
025
Quand'il servo il signor d'aspra catena
senz'altra speme in carcer tien legato,
volge in tal uso el suo misero stato,
che libertа domanderebbe appena.
E el tigre e 'l serpe ancor l'uso raffrena,
e 'l fier leon ne' folti boschi nato;
e 'l nuovo artista, all'opre affaticato,
coll'uso del sudor doppia suo lena.
Ma 'l foco a tal figura non s'unisce;
chй se l'umor d'un verde legno estinge,
il freddo vecchio scalda e po' 'l nutrisce,
e tanto il torna in verde etate e spinge,
rinnuova e 'nfiamma, allegra e 'ngiovanisce,
c'amor col fiato l'alma e 'l cor gli cinge.
E se motteggia o finge,
chi dice in vecchia etate esser vergogna
amar cosa divina, и gran menzogna.
L'anima che non sogna,
non pecca amar le cose di natura,
usando peso, termine e misura.
026
Quand'avvien c'alcun legno non difenda
il propio umor fuor del terreste loco,
non puт far c'al gran caldo assai o poco
non si secchi o non s'arda o non s'accenda.
Cosм 'l cor, tolto da chi mai mel renda,
vissuto in pianto e nutrito di foco,
or ch'и fuor del suo propio albergo e loco,
qual mal fie che per morte non l'offenda?
027
Fuggite, amanti, Amor, fuggite 'l foco;
l'incendio и aspro e la piaga и mortale,
c'oltr'a l'impeto primo piщ non vale
nй forza nй ragion nй mutar loco.
Fuggite, or che l'esemplo non и poco
d'un fiero braccio e d'un acuto strale;
leggete in me, qual sarа 'l vostro male,
qual sarа l'impio e dispietato gioco.
Fuggite, e non tardate, al primo sguardo:
ch'i' pensa' d'ogni tempo avere accordo;
or sento, e voi vedete, com'io ardo.
028
Perchй pur d'ora in ora mi lusinga
la memoria degli occhi e la speranza,
per cui non sol son vivo, ma beato;
la forza e la ragion par che ne stringa,
Amor, natura e la mie 'ntica usanza,
mirarvi tutto il tempo che m'и dato.
E s'i' cangiassi stato,
vivendo in questo, in quell'altro morrei;
nй pietа troverei
ove non fussin quegli.
O Dio, e' son pur begli!
Chi non ne vive non и nato ancora;
e se verrа dipoi,
a dirlo qui tra noi,
forz'и che, nato, di subito mora;
chй chi non s'innamora
de' begli occhi, non vive.
029
Ogn'ira, ogni miseria e ogni forza,
chi d'amor s'arma vince ogni fortuna.
030
Dagli occhi del mie ben si parte e vola
un raggio ardente e di sм chiara luce
che da' mie, chiusi ancor, trapassa 'l core.
Onde va zoppo Amore,
tant'и dispar la soma che conduce,
dando a me luce, e tenebre m'invola.
031
Amor non giа, ma gli occhi mei son quegli
che ne' tuo soli e begli
e vita e morte intera trovato hanno.
Tante meno m'offende e preme 'l danno,
piщ mi distrugge e cuoce;
dall'altra ancor mi nuoce
tante amor piщ quante piщ grazia truovo.
Mentre ch'io penso e pruovo
il male, el ben mi cresce in un momento.
O nuovo e stran tormento!
Perт non mi sgomento:
s'aver miseria e stento
и dolce qua dove non и ma' bene,
vo cercando 'l dolor con maggior pene.
032
Vivo al peccato, a me morendo vivo;
vita giа mia non son, ma del peccato:
mie ben dal ciel, mie mal da me m'и dato,
dal mie sciolto voler, di ch'io son privo.
Serva mie libertа, mortal mie divo
a me s'и fatto. O infelice stato!
a che miseria, a che viver son nato!
033
Sie pur, fuor di mie propie, c'ogni altr'arme
difender par ogni mie cara cosa;
altra spada, altra lancia e altro scudo
fuor delle propie forze non son nulla,
tant'и la trista usanza, che m'ha tolta
la grazia che 'l ciel piove in ogni loco.
Qual vecchio serpe per istretto loco
passar poss'io, lasciando le vecchie arme,
e dal costume rinnovata e tolta
sie l'alma in vita e d'ogni umana cosa,
coprendo sй con piщ sicuro scudo,
chй tutto el mondo a morte и men che nulla.
Amore, i' sento giа di me far nulla;
natura del peccat' и 'n ogni loco.
Spoglia di me me stesso, e col tuo scudo,
colla pietra e tuo vere e dolci arme,
difendimi da me, c'ogni altra cosa
и come non istata, in brieve tolta.
Mentre c'al corpo l'alma non и tolta,
Signor, che l'universo puo' far nulla,
fattor, governator, re d'ogni cosa,
poco ti fie aver dentr'a me loco;
. . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . .
che d'ogn' uomo veril son le vere arme,
senza le quali ogn' uom diventa nulla.
034
La vita del mie amor non и 'l cor mio,
c'amor di quel ch'i' t'amo и senza core;
dov'и cosa mortal, piena d'errore,
esser non puт giа ma', nи pensier rio.
Amor nel dipartir l'alma da Dio
me fe' san occhio e te luc' e splendore;
nи puт non rivederlo in quel che more
di te, per nostro mal, mie gran desio.
Come dal foco el caldo, esser diviso
non puт dal bell'etterno ogni mie stima,
ch'exalta, ond'ella vien, chi piщ 'l somiglia.
Poi che negli occhi ha' tutto 'l paradiso,
per ritornar lа dov'i' t'ama' prima,
ricorro ardendo sott'alle tuo ciglia.
035
El ciglio col color non fere el volto
col suo contrar, che l'occhio non ha pena
da l'uno all'altro stremo ov'egli и volto.
L'occhio, che sotto intorno adagio mena,
picciola parte di gran palla scuopre,
che men rilieva suo vista serena,
e manco sale e scende quand' el copre;
onde piщ corte son le suo palpebre,
che manco grinze fan quando l'aopre.
El bianco bianco, el ner piщ che funebre,
s'esser puт, el giallo po' piщ leonino,
che scala fa dall'una all'altra vebre.
Pur tocchi sotto e sopra el suo confino,
e 'l giallo e 'l nero e 'l bianco non circundi.
036
Oltre qui fu, dove 'l mie amor mi tolse,
suo mercи, il core e vie piщ lа la vita;
qui co' begli occhi mi promisse aita,
e co' medesmi qui tor me la volse.
Quinci oltre mi legт, quivi mi sciolse;
per me qui piansi, e con doglia infinita
da questo sasso vidi far partita
colui c'a me mi tolse e non mi volse.
037
In me la morte, in te la vita mia;
tu distingui e concedi e parti el tempo;
quante vuo', breve e lungo и 'l viver mio.
Felice son nella tuo cortesia.
Beata l'alma, ove non corre tempo,
per te s'и fatta a contemplare Dio.
038
Quanta dolcezza al cor per gli occhi porta
quel che 'n un punto el tempo e morte fura!
Che и questo perт che mi conforta
e negli affanni cresce e sempre dura.
Amor, come virtщ viva e accorta,
desta gli spirti ed и piщ degna cura.
Risponde a me: - Come persona morta
mena suo vita chi и da me sicura. -
Amore и un concetto di bellezza
immaginata o vista dentro al core,
amica di virtute e gentilezza.
039
Del fiero colpo e del pungente strale
la medicina era passarmi 'l core;
ma questo и propio sol del mie signore,
crescer la vita dove cresce 'l male.
E se 'l primo suo colpo fu mortale,
seco un messo di par venne d'Amore
che mi disse: - Ama, anz'ardi; chй chi muore
non ha da gire al ciel nel mondo altr'ale.
I' son colui che ne' prim'anni tuoi
gli occhi tuo infermi volsi alla beltate
che dalla terra al ciel vivo conduce. -
040
Quand'Amor lieto al ciel levarmi и volto
cogli occhi di costei, anzi col sole,
con breve riso ciт che preme e dole
del cor mi caccia, e mettevi 'l suo volto;
e s'i' durassi in tale stato molto,
l'alma, che sol di me lagnar si vole,
avendo seco lа dove star suole,
. . . . . . . . . . .
041
Spirto ben nato, in cu' si specchia e vede
nelle tuo belle membra oneste e care
quante natura e 'l ciel tra no' puт fare,
quand'a null'altra suo bell'opra cede:
spirto leggiadro, in cui si spera e crede
dentro, come di fuor nel viso appare,
amor, pietа, mercй, cose sм rare,
che ma' furn'in beltа con tanta fede:
l'amor mi prende e la beltа mi lega;
la pietа, la mercй con dolci sguardi
ferma speranz' al cor par che ne doni.
Qual uso o qual governo al mondo niega,
qual crudeltа per tempo o qual piщ tardi,
c'a sм bell'opra morte non perdoni?
042
Dimmi di grazia, Amor, se gli occhi mei
veggono 'l ver della beltа c'aspiro,
o s'io l'ho dentro allor che, dov'io miro,
veggio scolpito el viso di costei.
Tu 'l de' saper, po' che tu vien con lei
a torm'ogni mie pace, ond'io m'adiro;
nй vorre' manco un minimo sospiro,
nй men ardente foco chiederei.
- La beltа che tu vedi и ben da quella,
ma cresce poi c'a miglior loco sale,
se per gli occhi mortali all'alma corre.
Quivi si fa divina, onesta e bella,
com'a sй simil vuol cosa immortale:
questa e non quella agli occhi tuo precorre. -
043
La ragion meco si lamenta e dole,
parte ch'i' spero amando esser felice;
con forti esempli e con vere parole
la mie vergogna mi rammenta e dice:
- Che ne riportera' dal vivo sole
altro che morte? e non come fenice. -
Ma poco giova, chй chi cader vuole,
non basta l'altru' man pront' e vittrice.
I' conosco e' mie danni, e 'l vero intendo;
dall'altra banda albergo un altro core,
che piщ m'uccide dove piщ m'arrendo.
In mezzo di duo mort' и 'l mie signore:
questa non voglio e questa non comprendo:
cosм sospeso, el corpo e l'alma muore.
044
Mentre c'alla beltа ch'i' vidi in prima
appresso l'alma, che per gli occhi vede,
l'immagin dentro cresce, e quella cede
quasi vilmente e senza alcuna stima.
Amor, c'adopra ogni suo ingegno e lima,
perch'io non tronchi 'l fil ritorna e riede.
045
Ben doverrieno al sospirar mie tanto
esser secco oramai le fonti e ' fiumi,
s'i' non gli rinfrescassi col mie pianto.
Cosм talvolta i nostri etterni lumi,
l'un caldo e l'altro freddo ne ristora,
acciт che 'l mondo piщ non si consumi.
E similmente il cor che s'innamora,
quand'el superchio ardor troppo l'accende,
l'umor degli occhi il tempra, che non mora.
La morte e 'l duol, ch'i' bramo e cerco, rende
un contento avenir, che non mi lassa
morir; chй chi diletta non offende.
Onde la navicella mie non passa,
com'io vorrei, a vederti a quella riva
che 'l corpo per a tempo di qua lassa.
Troppo dolor vuol pur ch'i' campi e viva,
qual piщ c'altri veloce andando vede,
che dopo gli altri al fin del giorno arriva.
Crudel pietate e spietata mercede
me lasciт vivo, e te da me disciolse,
rompendo, e non mancando nostra fede,
e la memoria a me non sol non tolse,
. . . . . . . . . . . .
046
Se 'l mie rozzo martello i duri sassi
forma d'uman aspetto or questo or quello,
dal ministro che 'l guida, iscorge e tiello,
prendendo il moto, va con gli altrui passi.
Ma quel divin che in cielo alberga e stassi,
altri, e sй piщ, col propio andar fa bello;
e se nessun martel senza martello
si puт far, da quel vivo ogni altro fassi.
E perchй 'l colpo и di valor piщ pieno
quant'alza piщ se stesso alla fucina,
sopra 'l mie questo al ciel n'и gito a volo.
Onde a me non finito verrа meno,
s'or non gli dа la fabbrica divina
aiuto a farlo, c'al mondo era solo.
047
Quand'el ministro de' sospir mie tanti
al mondo, agli occhi mei, a sй si tolse,
natura, che fra noi degnar lo volse,
restт in vergogna, e chi lo vide in pianti.
Ma non come degli altri oggi si vanti
del sol del sol, c'allor ci spense e tolse,
morte, c'amor ne vinse, e farlo il tolse
in terra vivo e 'n ciel fra gli altri santi.
Cosм credette morte iniqua e rea
finir il suon delle virtute sparte,
e l'alma, che men bella esser potea.
Contrari effetti alluminan le carte
di vita piщ che 'n vita non solea,
e morto ha 'l ciel, c'allor non avea parte.
048
Come fiamma piщ cresce piщ contesa
dal vento, ogni virtщ che 'l cielo esalta
tanto piщ splende quant'и piщ offesa.
049
Amor, la tuo beltа non и mortale:
nessun volto fra noi и che pareggi
l'immagine del cor, che 'nfiammi e reggi
con altro foco e muovi con altr'ale.
050
Che fie doppo molt'anni di costei,
Amor, se 'l tempo ogni beltа distrugge?
Fama di lei; e anche questa fugge
e vola e manca piщ ch'i' non vorrei.
051
Oilmи, oilmи, ch'i' son tradito
da' giorni mie fugaci e dallo specchio
che 'l ver dice a ciascun che fiso 'l guarda!
Cosм n'avvien, chi troppo al fin ritarda,
com'ho fatt'io, che 'l tempo m'и fuggito:
si trova come me 'n un giorno vecchio.
Nй mi posso pentir, nй m'apparecchio,
nй mi consiglio con la morte appresso.
Nemico di me stesso,
inutilmente i pianti e ' sospir verso,
chй non и danno pari al tempo perso.
Oilmи, oilmи, pur riterando
vo 'l mio passato tempo e non ritruovo
in tutto un giorno che sie stato mio!
Le fallace speranze e 'l van desio,
piangendo, amando, ardendo e sospirando
(c'affetto alcun mortal non m'и piщ nuovo)
m'hanno tenuto, ond'il conosco e pruovo,
lontan certo dal vero.
Or con periglio pиro;
chй 'l breve tempo m'и venuto manco,
nй sarie ancor, se s'allungassi, stanco.
I' vo lasso, oilmи, nй so ben dove;
anzi temo, ch'il veggio, e 'l tempo andato
mel mostra, nй mi val che gli occhi chiuda.
Or che 'l tempo la scorza cangia e muda,
la morte e l'alma insieme ognor fan pruove,
la prima e la seconda, del mie stato.
E s'io non sono errato,
(che Dio 'l voglia ch'io sia),
l'etterna pena mia
nel mal libero inteso oprato vero
veggio, Signor, nй so quel ch'io mi spero.
052
S'alcun se stesso al mondo ancider lice,
po' che per morte al ciel tornar si crede,
sarie ben giusto a chi con tanta fede
vive servendo miser e 'nfelice.
Ma perchй l'uom non и come fenice,
c'alla luce del sol resurge e riede,
la man fo pigra e muovo tardi el piede.
053
Chi di notte cavalca, el dм conviene
c'alcuna volta si riposi e dorma:
cosм sper'io, che dopo tante pene
ristori 'l mie signor mie vita e forma.
Non dura 'l mal dove non dura 'l bene,
ma spesso l'un nell'altro si trasforma.
054
Io crederrei, se tu fussi di sasso,
amarti con tal fede, ch'i' potrei
farti meco venir piщ che di passo;
se fussi morto, parlar ti farei,
se fussi in ciel, ti tirerei a basso
co' pianti, co' sospir, co' prieghi miei.
Sendo vivo e di carne, e qui tra noi,
chi t'ama e serve che de' creder poi?
I' non posso altro far che seguitarti,
e della grande impresa non mi pento.
Tu non se' fatta com'un uom da sarti,
che si muove di fuor, si muove drento;
e se dalla ragion tu non ti parti,
spero c'un dм tu mi fara' contento:
chй 'l morso il ben servir togli' a' serpenti,
come l'agresto quand'allega i denti.
E' non и forza contr'a l'umiltate,
nй crudeltа puт star contr'a l'amore;
ogni durezza suol vincer pietate,
sм come l'allegrezza fa 'l dolore;
una nuova nel mondo alta beltate
come la tuo non ha 'ltrimenti il core;
c'una vagina, ch'и dritta a vedella,
non puт dentro tener torte coltella.
E non puт esser pur che qualche poco
la mie gran servitщ non ti sie cara;
pensa che non si truova in ogni loco
la fede negli amici, che и sм rara;
. . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . .
Quando un dм sto che veder non ti posso,
non posso trovar pace in luogo ignuno;
se po' ti veggo, mi s'appicca addosso,
come suole il mangiar far al digiuno;
. . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . .
com'altri il ventre di votar si muore,
ch'и piщ 'l conforto, po' che pri' и 'l dolore.
E non mi passa tra le mani un giorno
ch'i' non la vegga o senta con la mente;
nй scaldar ma' si puт fornace o forno
c'a' mie sospir non fussi piщ rovente;
e quando avvien ch'i' l'abbi un po' dintorno,
sfavillo come ferro in foco ardente;
e tanto vorre' dir, s'ella m'aspetta,
ch'i' dico men che quand'i' non ho fretta.
S'avvien che la mi rida pure un poco
o mi saluti in mezzo della via,
mi levo come polvere dal foco
o di bombarda o d'altra artiglieria;
se mi domanda, subito m'affioco,
perdo la voce e la risposta mia,
e subito s'arrende il gran desio,
e la speranza cede al poter mio.
I' sento in me non so che grand'amore,
che quasi arrivere' 'nsino alle stelle;
e quando alcuna volta il vo trar fore,
non ho buco sм grande nella pelle
che nol faccia, a uscirne, assa' minore
parere, e le mie cose assai men belle:
c'amore o forza el dirne и grazia sola;
e men ne dice chi piщ alto vola.
I' vo pensando al mie viver di prima,
inanzi ch'i' t'amassi, com'egli era:
di me non fu ma' chi facesse stima,
perdendo ogni dм il tempo insino a sera;
forse pensavo di cantare in rima
o di ritrarmi da ogni altra schiera?
Or si fa 'l nome, o per tristo o per buono,
e sassi pure almen che i' ci sono.
Tu m'entrasti per gli occhi, ond'io mi spargo,
come grappol d'agresto in un'ampolla,
che doppo 'l collo cresce ov'и piщ largo;
cosм l'immagin tua, che fuor m'immolla,
dentro per gli occhi cresce, ond'io m'allargo
come pelle ove gonfia la midolla;
entrando in me per sм stretto vпaggio,
che tu mai n'esca ardir creder non aggio.
Come quand'entra in una palla il vento,
che col medesmo fiato l'animella,
come l'apre di fuor, la serra drento,
cosм l'immagin del tuo volto bella
per gli occhi dentro all'alma venir sento;
e come gli apre, poi si serra in quella;
e come palla pugno al primo balzo,
percosso da' tu' occhi al ciel po' m'alzo.
Perchй non basta a una donna bella
goder le lode d'un amante solo,
chй suo beltа potre' morir con ella;
dunche, s'i' t'amo, reverisco e colo,
al merito 'l poter poco favella;
c'un zoppo non pareggia un lento volo,
nй gira 'l sol per un sol suo mercede,
ma per ogni occhio san c'al mondo vede.
I' non posso pensar come 'l cor m'ardi,
passando a quel per gli occhi sempre molli,
che 'l foco spegnerien non ch'e' tuo sguardi.
Tutti e' ripari mie son corti e folli:
se l'acqua il foco accende, ogni altro и tardi
a camparmi dal mal ch'i' bramo e volli,
salvo il foco medesmo. O cosa strana,
se 'l mal del foco spesso il foco sana!
055
I' t'ho comprato, ancor che molto caro,
un po' di non so che, che sa di buono,
perc'a l'odor la strada spesso imparo.
Ovunche tu ti sia, dovunch'i' sono,
senz'alcun dubbio ne son certo e chiaro.
Se da me ti nascondi, i' tel perdono:
portandol dove vai sempre con teco,
ti troverei, quand'io fussi ben cieco.
056
Vivo della mie morte e, se ben guardo,
felice vivo d'infelice sorte;
e chi viver non sa d'angoscia e morte,
nel foco venga, ov'io mi struggo e ardo.
057
S'i' vivo piщ di chi piщ m'arde e cuoce,
quante piщ legne o vento il foco accende,
tanto piщ chi m'uccide mi difende,
e piщ mi giova dove piщ mi nuoce.
058
Se l'immortal desio, c'alza e corregge
gli altrui pensier, traessi e' mie di fore,
forse c'ancor nella casa d'Amore
farie pietoso chi spietato regge.
Ma perchй l'alma per divina legge
ha lunga vita, e 'l corpo in breve muore,
non puт 'l senso suo lode o suo valore
appien descriver quel c'appien non legge.
Dunche, oilmи! come sarа udita
la casta voglia che 'l cor dentro incende
da chi sempre se stesso in altrui vede?
La mie cara giornata m'и impedita
col mie signor c'alle menzogne attende,
c'a dire il ver, bugiardo и chi nol crede.
059
S'un casto amor, s'una pietа superna,
s'una fortuna infra dua amanti equale,
s'un'aspra sorte all'un dell'altro cale,
s'un spirto, s'un voler duo cor governa;
s'un'anima in duo corpi и fatta etterna,
ambo levando al cielo e con pari ale;
s'amor d'un colpo e d'un dorato strale
le viscer di duo petti arda e discerna;
s'amar l'un l'altro e nessun se medesmo,
d'un gusto e d'un diletto, a tal mercede
c'a un fin voglia l'uno e l'altro porre:
se mille e mille, non sarien centesmo
a tal nodo d'amore, e tanta fede;
e sol l'isdegno il puт rompere e sciorre.
060
Tu sa' ch'i' so, signor mie, che tu sai
ch'i vengo per goderti piщ da presso,
e sai ch'i' so che tu sa' ch'i' son desso:
a che piщ indugio a salutarci omai?
Se vera и la speranza che mi dai,
se vero и 'l gran desio che m'и concesso,
rompasi il mur fra l'uno e l'altra messo,
chй doppia forza hann'i celati guai.
S'i' amo sol di te, signor mie caro,
quel che di te piщ ami, non ti sdegni,
chй l'un dell'altro spirto s'innamora.
Quel che nel tuo bel volto bramo e 'mparo,
e mal compres' и dagli umani ingegni,
chi 'l vuol saper convien che prima mora.
061
S'i' avessi creduto al primo sguardo
di quest'alma fenice al caldo sole
rinnovarmi per foco, come suole
nell'ultima vecchiezza, ond'io tutt'ardo,
qual piщ veloce cervio o lince o pardo
segue 'l suo bene e fugge quel che dole,
agli atti, al riso, all'oneste parole
sarie cors'anzi, ond'or son presto e tardo.
Ma perchй piщ dolermi, po' ch'i' veggio
negli occhi di quest'angel lieto e solo
mie pace, mie riposo e mie salute?
Forse che prima sarie stato il peggio
vederlo, udirlo, s'or di pari a volo
seco m'impenna a seguir suo virtute.
062
Sol pur col foco il fabbro il ferro stende
al concetto suo caro e bel lavoro,
nй senza foco alcuno artista l'oro
al sommo grado suo raffina e rende;
nй l'unica fenice sй riprende
se non prim'arsa; ond'io, s'ardendo moro,
spero piщ chiar resurger tra coloro
che morte accresce e 'l tempo non offende.
Del foco, di ch'i' parlo, ho gran ventura
c'ancor per rinnovarmi abbi in me loco,
sendo giа quasi nel numer de' morti.
O ver, s'al cielo ascende per natura,
al suo elemento, e ch'io converso in foco
sie, come fie che seco non mi porti?
063
Sм amico al freddo sasso и 'l foco interno
che, di quel tratto, se lo circumscrive,
che l'arda e spezzi, in qualche modo vive,
legando con sй gli altri in loco etterno.
E se 'n fornace dura, istate e verno
vince, e 'n piщ pregio che prima s'ascrive,
come purgata infra l'altre alte e dive
alma nel ciel tornasse da l'inferno.
Cosм tratto di me, se mi dissolve
il foco, che m'и dentro occulto gioco,
arso e po' spento aver piщ vita posso.
Dunche, s'i' vivo, fatto fummo e polve,
etterno ben sarт, s'induro al foco;
da tale oro e non ferro son percosso.
064
Se 'l foco il sasso rompe e 'l ferro squaglia,
figlio del lor medesmo e duro interno,
che farа 'l piщ ardente dell'inferno
d'un nimico covon secco di paglia?
065
In quel medesmo tempo ch'io v'adoro,
la memoria del mie stato infelice
nel pensier mi ritorna, e piange e dice:
ben ama chi ben arde, ov'io dimoro.
Perт che scudo fo di tutti loro...
066
Forse perchй d'altrui pietа mi vegna,
perchй dell'altrui colpe piщ non rida,
nel mie propio valor, senz'altra guida,
caduta и l'alma che fu giа sм degna.
Nй so qual militar sott'altra insegna
non che da vincer, da campar piщ fida,
sie che 'l tumulto dell'avverse strida
non pиra, ove 'l poter tuo non sostegna.
O carne, o sangue, o legno, o doglia strema,
giusto per vo' si facci el mie peccato,
di ch'i' pur nacqui, e tal fu 'l padre mio.
Tu sol se' buon; la tuo pietа suprema
soccorra al mie preditto iniquo stato,
sм presso a morte e sм lontan da Dio.
067
Nuovo piacere e di maggiore stima
veder l'ardite capre sopr'un sasso
montar, pascendo or questa or quella cima,
e 'l mastro lor, con aspre note, al basso,
sfogare el cor colla suo rozza rima,
sonando or fermo, e or con lento passo,
e la suo vaga, che ha 'l cor di ferro,
star co' porci, in contegno, sott'un cerro;
quant'и veder 'n un eminente loco
e di pagli' e di terra el loro ospizio:
chi ingombra 'l desco e chi fa fora 'l foco,
sott'a quel faggio ch'и piщ lor propizio;
chi ingrassa e gratta 'l porco, e prende gioco,
chi doma 'l ciuco col basto primizio;
el vecchio gode e fa poche parole,
fuor dell'uscio a sedere, e stassi al sole.
Di fuor dentro si vede quel che hanno:
pace sanza oro e sanza sete alcuna.
El giorno c'a solcare i colli vanno,
contar puo' lor ricchezze ad una ad una.
Non han serrami e non temon di danno;
lascion la casa aperta alla fortuna;
po', doppo l'opra, lieti el sonno tentano;
sazi di ghiande, in sul fien s'adormentano.
L'invidia non ha loco in questo stato;
la superbia se stessa si divora.
Avide son di qualche verde prato,
o di quell'erba che piщ bella infiora.
Il lor sommo tesoro и uno arato,
e 'l bomero и la gemma che gli onora;
un paio di ceste и la credenza loro,
e le pale e le zappe e' vasi d'oro.
O avarizia cieca, o bassi ingegni,
che disusate 'l ben della natura!
Cercando l'or, le terre e ' ricchi regni,
vostre imprese superbia ha forte e dura.
L'accidia, la lussuria par v'insegni;
l'invidia 'l mal d'altrui provvede e cura:
non vi scorgete, in insaziabil foco,
che 'l tempo и breve e 'l necessario и poco.
Color c'anticamente, al secol vecchio,
si trasser fame e sete d'acqua e ghiande
vi sieno esemplo, scorta, lume e specchio,
e freno alle delizie, alle vivande.
Porgete al mie parlare un po' l'orecchio:
colui che 'l mondo impera, e ch'и sм grande,
ancor disidra, e non ha pace poi;
e 'l villanel la gode co' suo buoi.
D'oro e di gemme, e spaventata in vista,
adorna, la Ricchezza va pensando;
ogni vento, ogni pioggia la contrista,
e gli agщri e ' prodigi va notando.
La lieta Povertа, fuggendo, acquista
ogni tesor, nй pensa come o quando;
secur ne' boschi, in panni rozzi e bigi,
fuor d'obrighi, di cure e di letigi.
L'avere e 'l dar, l'usanze streme e strane,
el meglio e 'l peggio, e le cime dell'arte
al villanel son tutte cose piane,
e l'erba e l'acqua e 'l latte и la sua parte;
e 'l cantar rozzo, e ' calli delle mane,
и 'l dieci e 'l cento e ' conti e lo suo carte
dell'usura che 'n terra surger vede;
e senza affanno alla fortuna cede.
Onora e ama e teme e prega Dio
pe' pascol, per l'armento e pel lavoro,
con fede, con ispeme e con desio,
per la gravida vacca e pel bel toro.
El Dubbio, el Forse, el Come, el Perchй rio
no 'l puт ma' far, chй non istа fra loro:
se con semplice fede adora e prega
Iddio e 'l ciel, l'un lega e l'altro piega.
El Dubbio armato e zoppo si figura,
e va saltando come la locuste,
tremando d'ogni tempo per natura,
qual suole al vento far canna paluste.
El Perchй и magro, e 'ntorn'alla cintura
ha molte chiave, e non son tanto giuste,
c'agugina gl'ingegni della porta,
e va di notte, e 'l buio и la suo scorta.
El Come e 'l Forse son parenti stretti,
e son giganti di sм grande altezza,
c'al sol andar ciascun par si diletti,
e ciechi fur per mirar suo chiarezza;
e quello alle cittа co' fieri petti
tengon, per tutto adombran lor bellezza;
e van per vie fra sassi erte e distorte,
tentando colle man qual istа forte.
Povero e nudo e sol se ne va 'l Vero,
che fra la gente umмle ha gran valore:
un occhio ha sol, qual и lucente e mero,
e 'l corpo ha d'oro, e d'adamante 'l core;
e negli affanni cresce e fassi altero,
e 'n mille luoghi nasce, se 'n un muore;
di fuor verdeggia sм come smeraldo,
e sta co' suo fedel costante e saldo.
Cogli occhi onesti e bassi in ver' la terra,
vestito d'oro e di vari ricami,
il Falso va, c'a' iusti sol fa guerra;
ipocrito, di fuor par c'ognuno ami;
perch'и di ghiaccio, al sol si cuopre e serra;
sempre sta 'n corte, e par che l'ombra brami;
e ha per suo sostegno e compagnia
la Fraude, la Discordia e la Bugia.
L'Adulazion v'и poi, ch'и pien d'affanni,
giovane destra e di bella persona;
di piщ color coperta di piщ panni,
che 'l cielo a primavera a' fior non dona:
ottien ciт che la vuol con dolci inganni,
e sol di quel che piace altrui ragiona;
ha 'l pianto e 'l riso in una voglia sola;
cogli occhi adora, e con le mani invola.
Non и sol madre in corte all'opre orrende,
ma и lor balia ancora, e col suo latte
le cresce, l'aьmenta e le difende.
068
Un gigante v'и ancor, d'altezza tanta
che da' sua occhi noi qua giщ non vede,
e molte volte ha ricoperta e franta
una cittа colla pianta del piede;
al sole aspira e l'alte torre pianta
per aggiunger al cielo, e non lo vede,
chй 'l corpo suo, cosм robusto e magno,
un occhio ha solo e quell'ha 'n un calcagno.
Vede per terra le cose passate,
e 'l capo ha fermo e prossim'a le stelle;
di qua giщ se ne vede dua giornate
delle gran gambe, e irsut' ha la pelle;
da indi in su non ha verno nй state,
chй le stagion gli sono equali e belle;
e come 'l ciel fa pari alla suo fronte,
in terra al pian col piи fa ogni monte.
Com'a noi и 'l minuzzol dell'arena,
sotto la pianta a lui son le montagne;
fra ' folti pel delle suo gambe mena
diverse forme mostruose e magne:
per mosca vi sarebbe una balena;
e sol si turba e sol s'attrista e piagne
quando in quell'occhio il vento seco tira
fummo o festuca o polvere che gira.
Una gran vecchia pigra e lenta ha seco,
che latta e mamma l'orribil figura,
e 'l suo arrogante, temerario e cieco
ardir conforta e sempre rassicura.
Fuor di lui stassi in un serrato speco,
nelle gran rocche e dentro all'alte mura;
quand'и lui in ozio, e le' in tenebre vive,
e sol inopia nel popol prescrive.
Palida e gialla, e nel suo grave seno
il segno porta sol del suo signore:
cresce del mal d'altrui, del ben vien meno,
nй s'empie per cibarsi a tutte l'ore;
il corso suo non ha termin nй freno,
e odia altrui e sй non porta amore;
di pietra ha 'l core e di ferro le braccia,
e nel suo ventre il mare e ' monti caccia.
Sette lor nati van sopra la terra,
che cercan tutto l'uno e l'altro polo,
e solo a' iusti fanno insidie e guerra,
e mille capi ha ciascun per sй solo.
L'etterno abisso per lor s'apre e serra,
tal preda fan nell'universo stuolo;
e lor membra ci prendon passo passo,
come edera fa el mur fra sasso e sasso.
069
Ben provvide natura, nй conviene
a tanta crudeltа minor bellezza,
chй l'un contrario l'altro ha temperato.
Cosм puт 'l viso vostro le mie pene
tante temprar con piccola dolcezza,
e lieve fare quelle e me beato.
070
Crudele stella, anzi crudele arbitrio
che 'l potere e 'l voler mi stringe e lega;
nй si travaglia chiara stella in cielo
dal giorno [in qua?] che mie vela disciolse,
ond'io errando e vagabondo andai,
qual vano legno gira a tutti e' venti.
Or son qui, lasso, e all'incesi venti
convien varar mie legno, e senza arbitrio
solcar l'alte onde ove mai sempre andai.
Cosм quagiщ si prende, preme e lega
quel che lassщ giа 'll'alber si disciolse,
ond'a me tolsi la dote del cielo.
Qui non mi regge e non mi spinge il cielo,
ma potenti e terrestri e duri venti,
chй sopra di me non so qual si disciolse
per [darli mano?] e tormi del mio arbitrio.
Cosм fuor di mie rete altri mi lega.
Mie colpa и, ch'ignorando a quello andai?
Maladetto [sie] 'l dм che пo andai
col segno che correva su nel cielo!
Se non ch'i' so che 'l giorno el cor non lega,
nй sforza l'alma, ne' contrari venti,
contra al nostro largito e sciolto arbitrio,
perchй [...] e pruove ci disciolse.
Dunche, se mai dolor del cor disciolse
sospiri ardenti, o se orando andai
fra caldi venti a quel ch'и fuor d'arbitrio,
[...], pietoso de' mie caldi venti,
vede, ode e sente e non m'и contra 'l cielo;
chй scior non si puт chi se stesso lega.
Cosм l'atti suo perde chi si lega,
e salvo sй nessun ma' si disciolse.
E come arbor va retto verso il cielo,
ti prego, Signor mio, se mai andai,
ritorni, come quel che non ha venti,
sotto el tьo grande el mпo arbitrio.
Colui che sciolse e lega 'l mio arbitrio,
ov'io andai agl'importuni venti,
fa' mie vendetta, s' tu mel desti, o cielo.
071
I' l'ho, vostra mercи, per ricevuto
e hollo letto delle volte venti.
Tal pro vi facci alla natura i denti,
co' 'l cibo al corpo quand'egli и pasciuto.
I' ho pur, poi ch'i' vi lasciai, saputo
che Cain fu de' vostri anticedenti,
nй voi da quel tralignate altrimenti;
chй, s'altri ha ben, vel pare aver perduto.
Invidiosi, superbi, al ciel nimici,
la caritа del prossimo v'и a noia,
e sol del vostro danno siete amici.
Se ben dice il Poeta di Pistoia,
istieti a mente, e basta; e se tu dici
ben di Fiorenza, tu mi dai la soia.
Qual prezпosa gioia
и certo, ma per te giа non si intende,
perchй poca virtщ non la comprende.
072
Se nel volto per gli occhi il cor si vede,
altro segno non ho piщ manifesto
della mie fiamma; addunche basti or questo,
signor mie caro, a domandar mercede.
Forse lo spirto tuo, con maggior fede
ch'i' non credo, che sguarda il foco onesto
che m'arde, fie di me pietoso e presto,
come grazia c'abbonda a chi ben chiede.
O felice quel dм, se questo и certo!
Fermisi in un momento il tempo e l'ore,
il giorno e 'l sol nella su' antica traccia;
acciт ch'i' abbi, e non giа per mie merto,
il desпato mie dolce signore
per sempre nell'indegne e pronte braccia.
073
Mentre del foco son scacciata e priva,
morir m'и forza, ove si vive e campa;
e 'l mie cibo и sol quel c'arde e avvampa,
e di quel c'altri muor, convien ch'i' viva.
074
I' piango, i' ardo, i' mi consumo, e 'l core
di questo si nutrisce. O dolce sorte!
chi и che viva sol della suo morte,
come fo io d'affanni e di dolore?
Ahi! crudele arcier, tu sai ben l'ore
da far tranquille l'angosciose e corte
miserie nostre con la tuo man forte;
chй chi vive di morte mai non muore.
075
Egli и pur troppo a rimirarsi intorno
chi con la vista ancide i circustanti
sol per mostrarsi andar diporto attorno.
Egli и pur troppo a chi fa notte il giorno,
scurando il sol co' vaghi e be' sembianti,
aprirgli spesso, e chi con risi e canti
ammuta altrui non esser meno adorno.
076
Non so se s'и la desпata luce
del suo primo fattor, che l'alma sente,
o se dalla memoria della gente
alcun'altra beltа nel cor traluce;
o se fama o se sogno alcun produce
agli occhi manifesto, al cor presente,
di sй lasciando un non so che cocente
ch'и forse or quel c'a pianger mi conduce.
Quel ch'i' sento e ch'i' cerco e chi mi guidi
meco non и; nй so ben veder dove
trovar mel possa, e par c'altri mel mostri.
Questo, signor, m'avvien, po' ch'i' vi vidi,
c'un dolce amaro, un sм e no mi muove:
certo saranno stati gli occhi vostri.
077
Se 'l foco fusse alla bellezza equale
degli occhi vostri, che da que' si parte,
non avrie 'l mondo sм gelata parte
che non ardessi com'acceso strale.
Ma 'l ciel, pietoso d'ogni nostro male,
a noi d'ogni beltа, che 'n voi comparte,
la visiva virtщ toglie e diparte
per tranquillar la vita aspr'e mortale.
Non и par dunche il foco alla beltate,
chй sol di quel s'infiamma e s'innamora
altri del bel del ciel, ch'и da lui inteso.
Cosм n'avvien, signore, in questa etate:
se non vi par per voi ch'i' arda e mora,
poca capacitа m'ha poco acceso.
078
Dal dolce pianto al doloroso riso,
da una etterna a una corta pace
caduto son: lа dove 'l ver si tace,
soprasta 'l senso a quel da lui diviso.
Nй so se dal mie core o dal tuo viso
la colpa vien del mal, che men dispiace
quante piщ cresce, o dall'ardente face
de gli occhi tuo rubati al paradiso.
La tuo beltа non и cosa mortale,
ma fatta su dal ciel fra noi divina;
ond'io perdendo ardendo mi conforto,
c'appresso a te non esser posso tale.
Se l'arme il ciel del mie morir destina,
chi puт, s'i' muoio, dir c'abbiate il torto?
079
Felice spirto, che con zelo ardente,
vecchio alla morte, in vita il mio cor tieni,
e fra mill'altri tuo diletti e beni
me sol saluti fra piщ nobil gente;
come mi fusti agli occhi, or alla mente,
per l'altru' fiate a consolar mi vieni,
onde la speme il duol par che raffreni,
che non men che 'l disio l'anima sente.
Dunche, trovando in te chi per me parla
grazia di te per me fra tante cure,
tal grazia ne ringrazia chi ti scrive.
Che sconcia e grande usur saria a farla,
donandoti turpissime pitture
per rпaver persone belle e vive.
080
I' mi credetti, il primo giorno ch'io
mira' tante bellezze uniche e sole,
fermar gli occhi com'aquila nel sole
nella minor di tante ch'i' desio.
Po' conosciut'ho il fallo e l'erro mio:
chй chi senz'ale un angel seguir vole,
il seme a' sassi, al vento le parole
indarno isparge, e l'intelletto a Dio.
Dunche, s'appresso il cor non mi sopporta
l'infinita beltа che gli occhi abbaglia,
nй di lontan par m'assicuri o fidi,
che fie di me? qual guida o qual scorta
fie che con teco ma' mi giovi o vaglia,
s'appresso m'ardi e nel partir m'uccidi?