SOFONISBA
Signor, so ben che il cielo e la fortuna
e le vostre virtù v'hanno concesso
il poter far di me ciò che vi piace.
Pur, s'a prigion, ch'è posto in forza altrui,
lice parlare, e supplicare al nuovo
signor de la sua vita e de la morte;
i' chieggio a voi quest'una grazia sola,
la qual è, che vi piaccia per voi stesso
determinare a la persona mia
qualunque stato al voler vostro aggrada,
pur che non mi lasciate ir ne le mani
e ne la servitù d'alcun romano.
Da lei, signor, potete liberarmi
voi solo al mondo; e io di ciò vi priego,
per la regale e gloriosa altezza,
ne la qual poco avanti anco noi fummo;
e per i dèi di questi luoghi, i quali
ricevan entro voi con miglior sorte,
di quella ch'ebbe a l'uscir fuor Siface.
Se nessun'altra cosa in me si fosse,
che l'esser stata moglie di chi fui,
più tosto mi vorrei por ne la fede
d'un nostro, nato in Africa, com'io,
che d'un esterno, nato in altra parte.
Pensate poi quel ch'io mi debbia fare,
sendo cartaginese e sendo figlia
d'Asdrubale, e s'io debbio con ragione
temer l'orrendo arbitrio de' Romani.
Appresso questo, anco a pietà vi muova
il miserrimo stato, ove son ora;
e la felice mia passata vita.
CORO
Non negate, Signor, a tanta donna
questa onesta dimanda e giusti prieghi.
MASSINISSA
Regina, i' non vo' dir gli oltraggi e l'onte,
che Siface mi fe' molti e molt'anni,
per non rinovellar vecchio dolore,
né far minore in voi qualche speranza.
Ma sian, quante si furo; il mio costume
è di perseguitar i miei nimici
fin ch'io gli ho vinti, e poi scordar le offese.
Pur s'io ne le volessi inanzi agli occhi
sempre tenere, e vendicarle tutte,
io non sarei con voi se non cortese;
però ch'esser non può cosa più vile,
che offender donne e oltraggiar coloro,
che sono oppressi senz'alcuno aiuto.
Poi questa vostra giovenile etate,
gli alti costumi e le bellezze rare,
le soavi parole e i dolci prieghi
farìan le tigre divenir pietose.
Sì che scacciate fuor del vostro petto
ogni tristo pensiero, ogni paura,
che da me non arete altro che onore.
Ben duolmi che prometter non vi possa
quel che m'avete voi tanto richiesto,
di non lasciarvi in forza de' Romani;
perch'io non veggio di poterlo fare,
tanto mi truovo sottoposto a loro.
Pur vi prometto di pregarli assai
per porvi in libertà; benché son tali,
che quando ancor non foste in libertate,
non devete temer d'alcuno oltraggio.
CORO
Rinforzate il pregare, alta regina;
che l'arbore non cade al primo colpo.
SOFONISBA
Signore, il vostro ragionar soave,
che dimostra di me qualche pietate,
mi desta dentro al cuor molta speranza.
E però quinci prendo tale ardire,
che, lasciando da parte ogni paura,
io parlerò con voi sicuramente,
benché meco medesma mi vergogno;
che, perch'io sono a questo passo estremo,
non posso dir se non de le mie noie;
che forse offenderan le vostre orecchie.
Pur mi conforta poi, che sempre un buono
dà volentieri aiuto a l'infelice,
e di far questo seco si rallegra.
Però seguendo il ragionar di prima,
vi ripriego ad aver di me pietate:
e a l'alta speranza, che mi date,
deh giungete, signor, questa promessa,
di non lasciar ch'io vada ne le mani
e ne la servitù d'alcun romano.
Già non mi può caper dentr'a la mente,
che nol possiate far, volendol fare.
Qual è colui, ch'ardisca contradirvi,
che non dobbiate fra cotanta preda
prender una sol donna oltra la sorte.
E non dite, signor, che dai Romani
non deggia dubitar d'alcuno oltraggio;
che per la nimicizia di tant'anni,
omai ci è noto quanto son crudeli;
e quanto aspro per loro odio si porta,
e al nostro paese, e al nostro sangue:
anzi da lor senz'alcun dubbio aspetto
vergogna e strazio: intolerabil danno;
cosa ch'è da fuggir più che la morte.
Sì ch'io vi priego, e supplico, signore,
che vi piaccia da questi liberarmi.
Fatemi questa grazia, ch'io vi chieggio,
per le care ginocchia, ch'or abbraccio;
per la vittoriosa vostra mano
piena di fede e di valor, ch'io bacio.
Altro rifugio a me non è rimaso
che voi, dolce signore, a cui ricorro,
sì come al porto de la mia salute.
E se ciascuna via pur vi sia chiusa
di tormi da l'arbitrio di costoro,
toglietemi da lor col darmi morte.
Questa per grazia estrema vi dimando;
la qual è in vostra libertà di certo;
però, caro signor, non la negate;
e a sì glorioso e bel principio,
che fatto avete per la mia salute,
deh donate per fin questa promessa.
CORO
Gran forza aver dovrebbon le parole,
che son mosse dal cuore e dolcemente
escon di bocca d'una bella donna.
MASSINISSA
Talora è buono aver molti rispetti,
e talor si richiede essere audace.
Ma se l'audacia mai si deve usare,
usar si dee ne l'opere pietose.
Io so per me, che son di tal natura,
che non m'allegro mai de l'altrui male
e volentieri aiuto ogniun ch'è oppresso,
perché null'altra cosa ci può fare
tanto simili a Dio, quanto ci rende
il dar salute a gli omini mortali.
Ora, volendo dar nuova risposta
a' vostri ardenti e graziosi prieghi
(a cui se fosse il mio volere avverso,
mi parrebbe di far cosa da fiera),
dico che fermamente vi prometto
di far per voi ciò che m'avete chiesto.
E se si troverà qualcun sì audace,
ch'ardisca di toccarvi pur la vesta,
io gli farò sentir ch'io son offeso,
e ben dovessi abandonarvi il regno.
E per maggior chiarezza la man destra
toccar vi voglio; ed or per questa giuro,
e per quel Dio, che m'ha dato favore
a racquistare il mio paterno impero,
che servato vi fia quel che prometto;
e non andrete in forza de' Romani,
mentre che sarà vita in queste membra.
CORO
O risposta cortese, o parlar pio,
degno di laude, e di memoria eterna.
SOFONISBA
In che voce poss'io scioglier la lingua,
che degnamente a voi grazie ne renda
di questa liberal vostra risposta;
la qual si vede veramente degna
del nome e dell'altezza, in che voi siete.
Però s'io temo, e sto col cuor sospesa,
né so dov'io mi volga le parole,
non sono (al parer mio) di scusa indegna;
perché a me pare un'impossibil cosa,
parlar di questo, quanto si conviene,
e non dir poche, né soverchie lodi.
Benché nessuna laude esser soverchia
puote a sì degno e glorioso fatto.
Pur molte volte un valoroso spirto
si sdegna, s'ei si loda oltra misura.
Sì che per non mi porre in tal periglio,
lascerò di lodarvi, e perché ancora
scema ogni laude in bocca d'una donna.
E solo vi dirò che tanta grazia
non è mai per uscirmi de la mente,
mentre che di me stessa mi ricordi.
Ma perché m'ha l'estrema mia fortuna
tolto ogni cosa, salvo che la vita
(la qual però da voi sola conosco,
e pronta son per voi spenderla ancora),
i' pregherò quel Dio, che su dal cielo
risguarda e cura l'opere mortali,
che in vece mia, per questa sì bell'opra,
vi renda degno ed onorato merto.
MASSINISSA
Altro merto non vo', però che il bene
solo si deve far, perch'egli è bene;
il quale è il fin di tutte l'opre umane.
SOFONISBA
Il premio è pur quel che la gente invita
spesse fiate a l'onorate imprese.
MASSINISSA
Sì, quella gente, a cui non è ancor nota
quanta dolcezza del ben far si prende.
SOFONISBA
Sia pur come si voglia, ch'io ne priego
Iddio, che renda a voi merto di questo,
per onorar così pietoso aiuto.
MASSINISSA
Assai merto m'ha reso, ch'ei m'ha fatto
grazia di dire e poter forse fare
cosa, che tanto a voi diletta e piace.
SOFONISBA
Or così sia, signor; ditemi poi
che debbia far, che dal consiglio vostro
i' non intendo punto dilungarmi.
MASSINISSA
Parrebbe a me (s'a voi questo non spiace)
d'andare in casa, u' penseren del modo
da mantenervi la promessa fede.
SOFONISBA
Sì, caro signor mio, non mi mancate.
MASSINISSA
Di poca fede adunque dubitate?
SOFONISBA
Io non dubito già, ma il gran disìo
mi sprona sì, che fa parer ch'io tema.
MASSINISSA
Non dubitate, ch'egli è mio costume
d'attender sempre mai quel ch'io prometto,
e ho in odio colui che dentr'al cuore
tien una cosa, e ne la lingua un'altra.
SOFONISBA
Andiamo adunque, e s'a le buone imprese
non è sempre contraria la fortuna,
debbian sperar che ci sarà seconda.
CORO
Almo celeste raggio,
de la cui santa luce
s'adorna il cielo e si ristora il mondo,
il cui certo viaggio
sì belle cose adduce,
che il viver di qua giù si fa giocondo,
perché sendo ritondo,
infinito ed eterno,
il dì dopo la sera,
e dopo primavera,
mena la state, e poi l'autunno e il verno,
onde la terra e il mare
s'empie di cose preziose e rare;
menaci un giorno fuore,
che non sia tanto carco,
come son questi, di soverchi affanni.
Tu sai con qual dolore
da un mal ne l'altro varco,
e già comincio a trappassarvi gli anni.
Ben come i primi danni
si pose a far Siface
al buon figliuol di Gala,
dissi: Quest'opra mala
ci sturberà la nostra antica pace.
Ahi troppo il divinai,
che pace ferma poi non ci fu mai.
Lassa, da indi in qua, quante rapine,
quant'ire, quanti torti,
quante ferite e morti
si son vedute in quest'almo paese!
I più leggiadri giovani e i più forti
quasi son giunti al fine;
da queste aspre ruine
tutte sian state lungamente offese:
chi per soverchie spese
ha visto il caro albergo impoverito;
chi ne le rotte squadre,
lassa v'ha perso il padre,
chi il figlio, chi il fratello, e chi 'l marito;
chi s'ha visto di braccio
tor la figliuola, e farne le sue voglie;
chi parve al sol di ghiaccio
vedendo ir carco altrui de le sue spoglie.
Se con ragion mi doglio,
dical Muluca e Tusca,
che vider l'acque lor di sangue tinte.
Non è deserto scoglio,
né valle, o selva offusca,
che non sian state a lagrimar sospinte,
per vedersi dipinte
di sangue i rami e il dorso;
e per udir sospiri,
e lacrime, e martiri,
di chi fornìa de la sua vita il corso,
lasciando i corpi loro
preda di cane e pasto d'avoltoro.
E or quando credea
dover fornirsi i mali,
veggio rinovellar le nostre piaghe.
Ahimé, più non dovea
con colpi sì mortali
ferirci il ciel, com'or par che c'impiaghe.
O nostre menti vaghe
d'esser al fin felici,
qual vi s'aggiunge peso?
Il re nel campo è preso.
e la cittate è piena di nimici:
null'altra più ci resta
cosa crudele a sopportar, che questa.
Ben fra tante ruine una speranza
ancor ne mostra il volto;
che il nuovo re par volto
al bene, e a l'aver d'altrui pietate.
Con che parole ha la regina accolto?
Con che dolce sembianza?
Che se medesma avanza
di grazia, gentilezza e di bontate.
O cara libertate,
quinci prender tu puoi qualcuna speme.
Che se in buon stato fia
l'alta regina mia,
forse rimoverà quel che or ci prieme.
E perché ha sempre avuto
tanta cura di noi, qual di se stessa,
spero di fermo aiuto
se servata le fia l'alta promessa.
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