Mi chiedi di parlare,
stavolta. Mi chiedi di rompere almeno stavolta
il silenzio che ho scelto, che da anni mi
impongo per non mischiarmi alle cicale. E lo
faccio. Perché ho saputo che anche in Italia
alcuni gioiscono come l'altra sera alla Tv
gioivano i palestinesi di Gaza. Vittoria!
Vittoria!. Uomini, donne, bambini. Ammesso che
chi fa una cosa simile possa essere definito
uomo, donna, bambino. Ho saputo che alcune
cicale di lusso, politici o cosiddetti politici,
intellettuali o cosiddetti intellettuali, nonché
altri individui che non meritano la qualifica di
cittadini, si comportano sostanzialmente nello
stesso modo. Dicono: Bene. Agli americani gli
sta bene. E sono molto molto, molto arrabbiata.
Arrabbiata d'una rabbia fredda, lucida,
razionale. Una rabbia che elimina ogni distacco,
ogni indulgenza. Che mi ordina di rispondergli e
anzitutto di sputargli addosso. Io gli sputo
addosso. Arrabbiata come me, la poetessa
afro-americana Maya Angelou ieri ha ruggito: Be
angry. It's good to be angry, it's healthy.
Siate arrabbiati. Fa bene essere arrabbiati. È
sano. E se a me fa bene io non lo so. Però so
che non farà bene a loro, intendo dire a chi
ammira gli Usama Bin Laden, a chi gli esprime
comprensione o simpatia o solidarietà. Hai
acceso un detonatore che da troppo tempo ha
voglia di scoppiare, con la tua richiesta.
Vedrai. Mi chiedi anche di raccontare come l'ho
vissuta io, quest'Apocalisse. Di fornire insomma
la mia testimonianza. Incomincerò dunque da
quella. Ero a casa, la mia casa è nel centro di
Manhattan, e alle nove in punto ho avuto la
sensazione d'un pericolo che forse non mi
avrebbe toccato ma che certo mi riguardava. La
sensazione che si prova alla guerra, anzi in
combattimento, quando con ogni poro della tua
pelle senti la pallottola o il razzo che arriva,
e rizzi gli orecchi e gridi a chi ti sta accanto:
Down! Get down! Giù! Buttati giù. L'ho
respinta. Non ero mica in Vietnam, non ero mica
in una delle tante e fottutissime guerre che sin
dalla Seconda Guerra Mondiale hanno seviziato la
mia vita! Ero a New York, perbacco, in un
meraviglioso mattino di settembre, anno 2001. Ma
la sensazione ha continuato a possedermi,
inspiegabile, e allora ho fatto ciò che al
mattino non faccio mai. Ho acceso la Tv. Bè,
l'audio non funzionava. Lo schermo, sì. E su
ogni canale, qui di canali ve ne sono quasi
cento, vedevi una torre del World Trade Center
che bruciava come un gigantesco fiammifero. Un
corto circuito? Un piccolo aereo sbadato? Oppure
un atto di terrorismo mirato? Quasi paralizzata
son rimasta a fissarla e mentre la fissavo,
mentre mi ponevo quelle tre domande, sullo
schermo è apparso un aereo. Bianco, grosso. Un
aereo di linea. Volava bassissimo. Volando
bassissimo si dirigeva verso la seconda torre
come un bombardiere che punta sull'obiettivo, si
getta sull'obiettivo. Sicché ho capito. Ho
capito anche perché nello stesso momento l'audio
è tornato e ha trasmesso un coro di urla
selvagge. Ripetute, selvagge. God! Oh, God! Oh,
God, God, God! Gooooooood! Dio! Oddio! Oddio!
Dio, Dio, Dioooooooo! E l'aereo s'è infilato
nella seconda torre come un coltello che si
infila dentro un panetto di burro.
Erano
le 9 e un quarto, ora. E non chiedermi che cosa
ho provato durante quei quindici minuti. Non lo
so, non lo ricordo. Ero un pezzo di ghiaccio.
Anche il mio cervello era ghiaccio. Non ricordo
nemmeno se certe cose le ho viste sulla prima
torre o sulla seconda. La gente che per non
morire bruciata viva si buttava dalle finestre
degli ottantesimi o novantesimi piani, ad
esempio. Rompevano i vetri delle finestre, le
scavalcavano, si buttavano giù come ci si butta
da un aereo avendo addosso il paracadute, e
venivano giù così lentamente. Agitando le gambe
e le braccia, nuotando nell'aria. Sì, sembravano
nuotare nell'aria. E non arrivavano mai. Verso i
trentesimi piani, però, acceleravano. Si
mettevano a gesticolar disperati, suppongo
pentiti, quasi gridassero help-aiuto-help. E
magari lo gridavano davvero. Infine cadevano a
sasso e paf! Sai, io credevo d'aver visto tutto
alle guerre. Dalle guerre mi ritenevo vaccinata,
e in sostanza lo sono. Niente mi sorprende più.
Neanche quando mi arrabbio, neanche quando mi
sdegno. Però alle guerre io ho sempre visto la
gente che muore ammazzata. Non l'ho mai vista la
gente che muore ammazzandosi cioè buttandosi
senza paracadute dalle finestre d'un ottantesimo
o novantesimo o centesimo piano. Alle guerre,
inoltre, ho sempre visto roba che scoppia. Che
esplode a ventaglio. E ho sempre udito un gran
fracasso. Quelle due torri, invece, non sono
esplose. La prima è implosa, ha inghiottito se
stessa. La seconda s'è fusa, s'è sciolta. Per il
calore s'è sciolta proprio come un panetto di
burro messo sul fuoco. E tutto è avvenuto, o m'è
parso, in un silenzio di tomba. Possibile? C'era
davvero, quel silenzio, o era dentro di me?
Devo
anche dirti che alle guerre io ho sempre visto
un numero limitato di morti. Ogni combattimento,
duecento o trecento morti. Al massimo,
quattrocento. Come a Dak To, in Vietnam. E
quando il combattimento è finito, gli americani
si son messi a raccattarli, contarli, non
credevo ai miei occhi. Nella strage di Mexico
City, quella dove anch'io mi beccai un bel po'
di pallottole, di morti ne raccolsero almeno
ottocento. E quando credendomi morta mi
scaraventarono nell'obitorio, i cadaveri che
presto mi ritrovai intorno e addosso mi
sembrarono un diluvio. Bè, nelle due torri
lavoravano quasi cinquantamila persone. E ben
pochi hanno fatto in tempo ad evacuare. Gli
ascensori non funzionavano più, ovvio, e per
scendere a piedi dagli ultimi piani ci voleva
un'eternità. Fiamme permettendo. Non lo
conosceremo mai, il numero dei morti.
(Quarantamila, quarantacinquemila...?). Gli
americani non lo diranno mai. Per non
sottolineare l'intensità di questa Apocalisse.
Per non dar soddisfazione a Usama Bin Laden e
incoraggiare altre Apocalissi. E poi le due
voragini che hanno assorbito le decine di
migliaia di creature son troppo profonde. Al
massimo gli operai dissottèrrano pezzettini di
membra sparse. Un naso qui, un dito là. Oppure
una specie di melma che sembra caffè macinato e
invece è materia organica. Il residuo dei corpi
che in un lampo si polverizzarono. Ieri il
sindaco Giuliani ha mandato altri diecimila
sacchi. Ma sono rimasti inutilizzati.
Che
cosa sento per i kamikaze che sono morti con
loro? Nessun rispetto. Nessuna pietà. No,
neanche pietà. Io che in ogni caso finisco
sempre col cedere alla pietà. A me i kamikaze
cioè i tipi che si suicidano per ammazzare gli
altri sono sempre stati antipatici,
incominciando da quelli giapponesi della Seconda
Guerra Mondiale. Non li ho mai considerati
Pietri Micca che per bloccar l'arrivo delle
truppe nemiche danno fuoco alle polveri e
saltano in aria con la cittadella, a Torino. Non
li ho mai considerati soldati. E tantomeno li
considero martiri o eroi, come berciando e
sputando saliva il signor Arafat me li definì
nel 1972. (Ossia quando lo intervistai ad Amman,
luogo dove i suoi marescialli addestravano anche
i terroristi della Baader-Meinhof). Li considero
vanesi e basta. Vanesi che invece di cercar la
gloria attraverso il cinema o la politica o lo
sport la cercano nella morte propria e altrui.
Una morte che invece del Premio Oscar o della
poltrona ministeriale o dello scudetto gli
procurerà (credono) ammirazione. E, nel caso di
quelli che pregano Allah, un posto nel Paradiso
di cui parla il Corano: il Paradiso dove gli
eroi si scopano le Urì. Scommetto che sono
vanesi anche fisicamente. Ho sotto gli occhi la
fotografia dei due kamikaze di cui parlo nel mio
Insciallah: il romanzo che incomincia con la
distruzione della base americana (oltre
quattrocento morti) e della base francese (oltre
trecentocinquanta morti) a Beirut. Se l'erano
fatta scattare prima d'andar a morire, quella
fotografia, e prima d'andar a morire erano stati
dal barbiere. Guarda che bel taglio di capelli.
Che baffi impomatati, che barbetta leccata, che
basette civettuole...
Eh!
Chissà come friggerebbe il signor Arafat ad
ascoltarmi. Sai, tra me e lui non corre buon
sangue. Non mi ha mai perdonato né le roventi
differenze di opinione che avemmo durante
quell'incontro né il giudizio che su di lui
espressi nel mio libro Intervista con la storia.
Quanto a me, non gli ho mai perdonato nulla.
Incluso il fatto che un giornalista italiano
imprudentemente presentatosi a lui come mio
amico, si sia ritrovato con una rivoltella
puntata contro il cuore. Ergo, non ci
frequentiamo più. Peccato. Perché se lo
incontrassi di nuovo, o meglio se gli concedessi
udienza, glielo urlerei sul muso chi sono i
martiri e gli eroi. Gli urlerei: illustre Signor
Arafat, i martiri sono i passeggeri dei quattro
aerei dirottati e trasformati in bombe umane.
Tra di loro la bambina di quattro anni che si è
disintegrata dentro la seconda torre. Illustre
Signor Arafat, i martiri sono gli impiegati che
lavoravano nelle due torri e al Pentagono.
Illustre Signor Arafat, i martiri sono i
pompieri morti per tentar di salvarli. E lo sa
chi sono gli eroi? Sono i passeggeri del volo
che doveva buttarsi sulla Casa Bianca e che
invece si è schiantato in un bosco della
Pennsylvania perché loro si son ribellati! Per
loro sì che ci vorrebbe il Paradiso, illustre
Signor Arafat. Il guaio è che ora fa Lei il capo
di Stato ad perpetuum. Fa il monarca. Rende
visita al Papa, afferma che il terrorismo non le
piace, manda le condoglianze a Bush. E nella sua
camaleontica abilità di smentirsi, sarebbe
capace di rispondermi che ho ragione. Ma
cambiamo discorso. Io sono molto ammalata, si sa,
e a parlare con gli Arafat mi viene la febbre.
Preferisco
parlare
dell'invulnerabilità che
tanti, in Europa,
attribuivano all'America.
Invulnerabilità? Ma come
invulnerabilità?!? Più
una società è
democratica e aperta,
più è esposta al
terrorismo. Più un paese
è libero, non governato
da un regime poliziesco,
più subisce o rischia i
dirottamenti o i
massacri che sono
avvenuti per tanti anni
in Italia in Germania e
in altre regioni
d'Europa. E che ora
avvengono, ingigantiti,
in America. Non per
nulla i paesi non
democratici, governati
da un regime poliziesco,
hanno sempre ospitato e
finanziato e aiutano i
terroristi. L'Unione
Sovietica, i paesi
satelliti dell'Unione
Sovietica e la Cina
Popolare, ad esempio. La
Libia di Gheddafi,
l'Iraq, l'Iran, la Siria,
il Libano arafattiano,
lo stesso Egitto, la
stessa Arabia Saudita di
cui Usama Bin Laden è
suddito, lo stesso
Pakistan, ovviamente
l'Afghanistan, e tutte
le regioni musulmane
dell'Africa. Negli
aeroporti e sugli aerei
di quei paesi io mi sono
sempre sentita sicura.
Serena come un neonato
che dorme. L'unica cosa
che temevo era essere
arrestata perché
scrivevo male dei
terroristi. Negli
aeroporti e sugli aerei
europei, invece, mi sono
sempre sentita
nervosetta. Negli
aeroporti e sugli aerei
americani, addirittura
nervosa. E a New York,
due volte nervosa. (A
Washington, no. Devo
ammetterlo. L'aereo sul
Pentagono non me lo
aspettavo davvero). A
mio giudizio, insomma,
non è mai stato un
problema di se: è
sempre stato un problema
di quando. Perché
credi che martedì
mattina il mio
subconscio abbia
avvertito quella
inquietudine, quella
sensazione di pericolo?
Perché credi che
contrariamente alle mie
abitudini abbia acceso
il televisore? Perché
credi che fra le tre
domande che mi ponevo
mentre la prima torre
bruciava e l'audio non
funzionava, ci fosse
quella sull'attentato? E
perché credi che appena
apparso il secondo aereo
abbia capito? Poiché
l'America è il Paese più
forte del mondo, il più
ricco, il più potente,
il più moderno, ci sono
cascati quasi tutti in
quel tranello. Gli
americani stessi, a
volte. Ma la
vulnerabilità
dell'America nasce
proprio dalla sua forza,
dalla sua ricchezza,
dalla sua potenza, dalla
sua modernità. La solita
storia del cane che si
mangia la coda.
Nasce anche
dalla sua essenza
multi-etnica, dalla sua
liberalità, dal suo
rispetto per i cittadini
e per gli ospiti.
Esempio: circa
ventiquattro milioni di
americani sono
arabi-musulmani. E
quando un Mustafà o un
Muhammed viene diciamo
dall'Afghanistan per
visitare lo zio, nessuno
gli proibisce di
frequentare una scuola
di pilotaggio per
imparare a guidare un
757. Nessuno gli
proibisce d'iscriversi a
un'Università (cosa che
spero cambi) per
studiare chimica e
biologia: le due scienze
necessarie a scatenare
una guerra
batteriologica. Nessuno.
Neppure se il governo
teme che quel figlio di
Allah dirotti il 757
oppure butti una fiala
di batteri nel deposito
dell'acqua e scateni una
strage. (Dico se
perché stavolta il
governo non ne sapeva un
bel niente e la
figuraccia fatta dalla
Cia e dall'Fbi va al di
là d'ogni limite. Se
fossi il presidente
degli Stati Uniti io li
caccerei tutti a pedate
nei posteriori per
cretineria). E detto ciò
torniamo al ragionamento
iniziale. Quali sono i
simboli della forza,
della ricchezza, della
potenza, della modernità
americane? Non certo il
jazz e il rock and roll,
il chewing-gum e
l'hamburger, Broadway ed
Hollywood. Sono i suoi
grattacieli. Il suo
Pentagono. La sua
scienza. La sua
tecnologia. Quei
grattacieli
impressionanti, così
alti, così belli che ad
alzar gli occhi quasi
dimentichi le piramidi e
i divini palazzi del
nostro passato. Quegli
aerei giganteschi,
esagerati, che ormai
usano come un tempo
usavano i velieri e i
camion perché tutto qui
si muove con gli aerei.
Tutto. La posta, il
pesce fresco, noi stessi
(E non dimenticare che
la guerra aerea l'hanno
inventata loro. O almeno
sviluppata fino
all'isteria). Quel
Pentagono terrificante,
quella fortezza che fa
paura solo a guardarla.
Quella scienza
onnipresente,
onnipossente. Quella
tecnologia raggelante
che in pochissimi anni
ha stravolto la nostra
esistenza quotidiana, la
nostra millenaria
maniera di comunicare,
mangiare, vivere. E dove
li ha colpiti, il
reverendo Usama Bin
Laden? Sui grattacieli,
sul Pentagono. Come? Con
gli aerei, con la
scienza, con la
tecnologia. By the way:
sai cosa mi impressiona
di più in questo tristo
ultramiliardario, questo
mancato play-boy che
anziché corteggiare le
principesse bionde e
folleggiare nei
night-club (come faceva
a Beirut quando aveva
ventanni) si diverte ad
ammazzar la gente in
nome di Maometto e di
Allah? Il fatto che il
suo sterminato
patrimonio derivi anche
dai guadagni d'una
Corporation
specializzata nel
demolire, e che egli
stesso sia un esperto
demolitore. La
demolizione è una
specialità americana.
Quando ci
siamo incontrati t'ho
visto quasi stupefatto
dall'eroica efficienza e
dall'ammirevole unità
con cui gli americani
hanno affrontato
quest'Apocalisse. Eh,
sì. Nonostante i difetti
che le vengono
continuamente
rinfacciati, che io
stessa le rinfaccio, (ma
quelli dellEuropa e in
particolare dellItalia
sono ancora più gravi),
l'America è un paese che
ha grosse cose da
insegnarci. E a
proposito dell'eroica
efficienza lasciami
cantare un peana per il
sindaco di New York.
Quel Rudolph Giuliani
che noi italiani
dovremmo ringraziare in
ginocchio. Perché ha un
cognome italiano, è un
oriundo italiano, e ci
fa fare bella figura
dinanzi al mondo intero.
E un grande anzi
grandissimo sindaco,
Rudolph Giuliani. Te lo
dice una che non è mai
contenta di nulla e di
nessuno incominciando da
se stessa. E' un sindaco
degno d'un altro
grandissimo sindaco col
cognome italiano,
Fiorello La Guardia, e
tanti dei nostri sindaci
dovrebbero andare a
scuola da lui.
Presentarsi a capo
chino, anzi con la
cenere sul capo, e
chiedergli: Sor
Giuliani, per cortesia
ci dice come si fa?.
Lui non delega i suoi
doveri al prossimo, no.
Non perde tempo nelle
bischerate e nelle
avidità. Non si divide
tra l'incarico di
sindaco e quello di
ministro o deputato.
(C'è nessuno che mi
ascolta nelle tre città
di Stendhal, insomma a
Napoli e a Firenze e a
Roma?). Essendo corso
subito, e subito entrato
nel secondo grattacielo,
ha rischiato di
trasformarsi in cenere
con gli altri. S'è
salvato per un pelo e
per caso. E nel giro di
quattro giorni ha
rimesso in piedi la
città. Una città che ha
nove milioni e mezzo di
abitanti, bada bene, e
quasi due nella sola
Manhattan. Come abbia
fatto, non lo so. E'
malato come me,
pover'uomo. Il cancro
che torna e ritorna ha
beccato anche lui. E,
come me, fa finta
dessere sano: lavora lo
stesso. Ma io lavoro a
tavolino, perbacco,
stando seduta! Lui,
invece... Sembrava un
generale che partecipa
di persona alla
battaglia. Un soldato
che si lancia
all'attacco con la
baionetta. Forza,
gente, forzaaa!
Tiriamoci su le maniche,
sveltiii! Ma poteva
farlo perché quella
gente era, è, come lui.
Gente senza boria e
senza pigrizia, avrebbe
detto mio padre, e con
le palle. Quanto
all'ammirevole capacità
di unirsi, alla
compattezza quasi
marziale con cui gli
americani rispondono
alle disgrazie e al
nemico, bè: devo
ammettere che lì per lì
ha stupito anche me.
Sapevo, sì, che era
esplosa al tempo di
Pearl Harbor, cioè
quando il popolo s'era
stretto intorno a
Roosevelt e Roosevelt
era entrato in guerra
contro la Germania di
Hitler e l'Italia di
Mussolini e il Giappone
di Hirohito. L'avevo
annusata, sì, dopo
l'assassinio di Kennedy.
Ma a questo era seguita
la guerra in Vietnam, la
lacerante divisione
causata dalla guerra in
Vietnam, e in un certo
senso ciò mi aveva
ricordato la loro Guerra
Civile d'un secolo e
mezzo fa. Così, quando
ho visto bianchi e neri
piangere abbracciati,
dico abbracciati, quando
ho visto democratici e
repubblicani cantare
abbracciati God save
America, Dio salvi
l'America, quando gli
ho visto cancellare
tutte le divergenze,
sono rimasta di stucco.
Lo stesso, quando ho
udito Bill Clinton
(persona verso la quale
non ho mai nutrito
tenerezze) dichiarare
Stringiamoci intorno a
Bush, abbiate fiducia
nel nostro presidente.
Lo stesso, quando le
medesime parole sono
state ripetute con forza
da sua moglie Hillary
ora senatore per lo
Stato di New York. Lo
stesso, quando sono
state reiterate da
Lieberman, l'ex
candidato democratico
alla vice-presidenza.
(Soltanto lo sconfitto
Al Gore è rimasto
squallidamente zitto). E
lo stesso quando il
Congresso ha votato
all'unanimità
d'accettare la guerra,
punire i responsabili.
Ah, se
l'Italia imparasse
questa lezione! È un
Paese così diviso,
l'Italia. Così fazioso,
così avvelenato dalle
sue meschinerie tribali!
Si odiano anche
all'interno dei partiti,
in Italia. Non riescono
a stare insieme nemmeno
quando hanno lo stesso
emblema, lo stesso
distintivo, perdio!
Gelosi, biliosi,
vanitosi, piccini, non
pensano che ai propri
interessi personali.
Alla propria
carrieruccia, alla
propria gloriuccia, alla
propria popolarità di
periferia. Pei propri
interessi personali si
fanno i dispetti, si
tradiscono, si accusano,
si sputtanano... Io sono
assolutamente convinta
che, se Usama Bin Laden
facesse saltare in aria
la Torre di Giotto o la
Torre di Pisa,
l'opposizione darebbe la
colpa al governo. E il
governo darebbe la colpa
all'opposizione. I
capoccia del governo e i
capoccia
dell'opposizione, ai
propri compagni e ai
propri camerati. E detto
ciò lasciami spiegare da
che cosa nasce la
capacità di unirsi che
caratterizza gli
americani.
Nasce dal
loro patriottismo. Io
non so se in Italia
avete visto e capito
quel che è successo a
New York quando Bush è
andato a ringraziar gli
operai (e le operaie)
che scavando nelle
macerie delle due torri
cercano di salvare
qualche superstite ma
non tiran fuori che
qualche naso o qualche
dito. Senza cedere,
tuttavia. Senza
rassegnarsi, sicché se
gli domandi come fanno
ti rispondono: I can
allow myself to be
exhausted not to be
defeated. Posso
permettermi d'essere
esausto, non d'essere
sconfitto. Tutti.
Giovani, giovanissimi,
vecchi, di mezz'età.
Bianchi, neri, gialli,
marroni, viola...
L'avete visti o no?
Mentre Bush li
ringraziava non facevano
che sventolare le
bandierine americane,
alzare il pugno chiuso,
ruggire: Iuessè! Iuessè!
Iuessè! Usa! Usa! Usa!.
In un paese totalitario
avrei pensato: Ma
guarda come l'ha
organizzata bene il
Potere!. In America, no.
In America queste cose
non le organizzi. Non le
gestisci, non le comandi.
Specialmente in una
metropoli disincantata
come New York, e con
operai come gli operai
di New York. Sono
tipacci, gli operai di
New York. Più liberi del
vento. Quelli non
obbediscono neanche ai
loro sindacati. Ma se
gli tocchi la bandiera,
se gli tocchi la Patria...
In inglese la parola
Patria non c'è. Per dire
Patria bisogna
accoppiare due parole.
Father Land, Terra dei
Padri. Mother Land,
Terra Madre. Native Land,
Terra Nativa. O dire
semplicemente My Country,
il Mio Paese. Però il
sostantivo Patriotism
c'è. L'aggettivo
Patriotic c'è. E a parte
la Francia, forse non so
immaginare un Paese più
patriottico dell'America.
Ah! Io mi son tanto
commossa a vedere quegli
operai che stringendo il
pugno e sventolando la
bandiera ruggivano
Iuessè-Iuessè-Iuessè,
senza che nessuno glielo
ordinasse. E ho provato
una specie di
umiliazione. Perché gli
operai italiani che
sventolano il tricolore
e ruggiscono
Italia-Italia io non li
so immaginare. Nei
cortei e nei comizi gli
ho visto sventolare
tante bandiere rosse.
Fiumi, laghi, di
bandiere rosse. Ma di
bandiere tricolori
gliene ho sempre viste
sventolar pochine. Anzi
nessuna. Mal guidati o
tiranneggiati da una
sinistra arrogante e
devota all'Unione
Sovietica, le bandiere
tricolori le hanno
sempre lasciate agli
avversari. E non è che
gli avversari ne abbiano
fatto buon uso, direi.
Non ne hanno fatto
nemmeno spreco,
graziaddio. E quelli che
vanno alla Messa, idem.
Quanto al becero con la
camicia verde e la
cravatta verde, non sa
nemmeno quali siano i
colori del tricolore.
Mi-sun-lumbard,
mi-sun-lumbard. Quello
vorrebbe riportarci alle
guerre tra Firenze e
Siena. Risultato, oggi
la bandiera italiana la
vedi soltanto alle
Olimpiadi se per caso
vinci una medaglia.
Peggio: la vedi soltanto
negli stadi, quando c'è
una partita
internazionale di calcio.
Unica occasione,
peraltro, in cui riesci
a udire il grido
Italia-Italia.
Eh! C'è una
bella differenza tra un
paese nel quale la
bandiera della Patria
viene sventolata dai
teppisti negli stadi e
basta, e un paese nel
quale viene sventolata
dal popolo intero. Ad
esempio, dagli
irreggimentabili operai
che scavano nelle rovine
per tirar fuori qualche
orecchio o qualche naso
delle creature
massacrate dai figli di
Allah. Oppure per
raccogliere quel caffè
macinato.
Il fatto è
che l'America è un paese
speciale, caro mio. Un
paese da invidiare, di
cui esser gelosi, per
cose che non hanno nulla
a che fare con la
ricchezza eccetera. Lo è
perché è nato da un
bisogno dell'anima, il
bisogno d'avere una
patria, e dall'idea più
sublime che l'Uomo abbia
mai concepito: l'idea
della Libertà, anzi
della libertà sposata
all'idea di uguaglianza.
Lo è anche perché a quel
tempo l'idea di libertà
non era di moda. L'idea
di uguaglianza, nemmeno.
Non ne parlavano che
certi filosofi detti
Illuministi, di queste
cose. Non li trovavi che
in un costosissimo
librone a puntate detto
l'Encyclopedie, questi
concetti. E a parte gli
scrittori o gli altri
intellettuali, a parte i
principi e i signori che
avevano i soldi per
comprare il librone o i
libri che avevano
ispirato il librone, chi
ne sapeva nulla
dell'Illuminismo? Non
era mica roba da
mangiare, l'Illuminismo!
Non ne parlavan neppure
i rivoluzionari della
Rivoluzione Francese,
visto che la Rivoluzione
Francese sarebbe
incominciata nel 1789
ossia tredici anni dopo
la Rivoluzione Americana
che scoppiò nel 1776. (Altro
particolare che gli
antiamericani del
bene-agli-americani-gli-sta-bene
ignorano o fingono di
dimenticare. Razza di
ipocriti).
È un paese
speciale, un paese da
invidiare, inoltre,
perché quell'idea venne
capita da contadini
spesso analfabeti o
comunque ineducati. I
contadini delle colonie
americane. E perché
venne materializzata da
un piccolo gruppo di
leader straordinari: da
uomini di grande cultura,
di gran qualità. The
Founding Fathers, i
Padri Fondatori. Ma hai
idea di chi fossero i
Padri Fondatori, i
Benjamin Franklin e i
Thomas Jefferson e i
Thomas Paine e i John
Adams e i George
Washington eccetera?
Altro che gli
avvocaticchi (come
giustamente li chiamava
Vittorio Alfieri) della
Rivoluzione Francese!
Altro che i cupi e
isterici boia del
Terrore, i Marat e i
Danton e i Saint Just e
i Robespierre! Erano
tipi, i Padri Fondatori,
che il greco e il latino
lo conoscevano come gli
insegnanti italiani di
greco e di latino (ammesso
che ne esistano ancora)
non lo conosceranno mai.
Tipi che in greco s'eran
letti Aristotele e
Platone, che in latino
s'eran letti Seneca e
Cicerone, e che i
principii della
democrazia greca se
l'eran studiati come
nemmeno i marxisti del
mio tempo studiavano la
teoria del plusvalore. (Ammesso
che la studiassero
davvero). Jefferson
conosceva anche
l'italiano. (Lui diceva
toscano). In italiano
parlava e leggeva con
gran speditezza. Infatti
con le duemila piantine
di vite e le mille
piantine di olivo e la
carta da musica che in
Virginia scarseggiava,
nel 1774 il fiorentino
Filippo Mazzei gli aveva
portato varie copie d'un
libro scritto da un
certo Cesare Beccaria e
intitolato Dei Delitti
e delle Pene. Quanto
all'autodidatta Franklin,
era un genio. Scienziato,
stampatore, editore,
scrittore, giornalista,
politico, inventore. Nel
1752 aveva scoperto la
natura elettrica del
fulmine e aveva
inventato il parafulmine.
Scusa se è poco. E fu
con questi leader
straordinari, questi
uomini di gran qualità,
che nel 1776 i contadini
spesso analfabeti e
comunque ineducati si
ribellarono
all'Inghilterra. Fecero
la guerra d'indipendenza,
la Rivoluzione Americana.
Bè...
Nonostante i fucili e la
polvere da sparo,
nonostante i morti che
ogni guerra costa, non
la fecero coi fiumi di
sangue della futura
Rivoluzione Francese.
Non la fecero con la
ghigliottina e coi
massacri della Vandea.
La fecero con un foglio
che insieme al bisogno
dell'anima, il bisogno
d'avere una patria,
concretizzava la sublime
idea della libertà anzi
della libertà sposata
all'uguaglianza. La
Dichiarazione
d'Indipendenza. We hold
these Truths to be
self-evident... Noi
riteniamo evidenti
queste verità. Che tutti
gli Uomini sono creati
uguali. Che sono dotati
dal Creatore di certi
inalienabili Diritti.
Che tra questi Diritti
v'è il diritto alla Vita,
alla Libertà, alla
Ricerca della Felicità.
Che per assicurare
questi Diritti gli
Uomini devono istituire
i governi.... E quel
foglio che dalla
Rivoluzione Francese in
poi tutti gli abbiamo
bene o male copiato, o
al quale ci siamo
ispirati, costituisce
ancora la spina dorsale
dell'America. La linfa
vitale di questa nazione.
Sai perché? Perché
trasforma i sudditi in
cittadini. Perché
trasforma la plebe in
Popolo. Perché la invita
anzi le ordina di
governarsi, d'esprimere
le proprie individualità,
di cercare la propria
felicità. Tutto il
contrario di ciò che il
comunismo faceva
proibendo alla gente di
ribellarsi, governarsi,
esprimersi, arricchirsi,
e mettendo Sua Maestà lo
Stato al posto dei
soliti re. Il comunismo
è un regime monarchico,
una monarchia di vecchio
stampo. In quanto tale
taglia le palle agli
uomini. E quando a un
uomo gli tagli le palle
non è più un uomo
diceva mio padre. Diceva
anche che invece di
riscattare la plebe il
comunismo trasformava
tutti in plebe. Rendeva
tutti morti di fame.
Bè, secondo
me l'America riscatta la
plebe. Sono tutti plebei,
in America. Bianchi,
neri, gialli, marroni,
viola, stupidi,
intelligenti, poveri,
ricchi. Anzi i più
plebei sono proprio i
ricchi. Nella
maggioranza dei casi,
certi piercoli! Rozzi,
maleducati. Lo vedi
subito che non hanno mai
letto Monsignor della
Casa, che non hanno mai
avuto nulla a che fare
con la raffinatezza e il
buon gusto e la
sophistication.
Nonostante i soldi che
sprecano nel vestirsi,
ad esempio, son così
ineleganti che in
paragone la regina
d'Inghilterra sembra
chic. Però sono
riscattati, perdio. E a
questo mondo non c'è
nulla di più forte, di
più potente, della plebe
riscattata. Ti rompi
sempre le corna con la
Plebe Riscattata. E con
l'America le corna se le
sono sempre rotte tutti.
Inglesi, tedeschi,
messicani, russi,
nazisti, fascisti,
comunisti. Da ultimo se
le son rotte perfino i
vietnamiti che dopo la
vittoria son dovuti
scendere a patti con
loro sicché quando un ex
presidente degli Stati
Uniti va a fargli una
visitina toccano il
cielo con un dito. Bienvenu,
Monsieur le President,
bienvenu!. Il guaio è
che i vietnamiti non
pregano Allah. E con i
figli di Allah la
faccenda sarà dura.
Molto lunga e molto dura.
Ammenoché il resto
dell'Occidente non
smetta di farsela
addosso. E ragioni un po'
e gli dia una mano.
Non sto
parlando, ovvio, alle
iene che se la godono a
veder le immagini delle
macerie e ridacchiano
bene-agli-americani-gli-sta-bene.
Sto parlando alle
persone che pur non
essendo stupide o
cattive, si cullano
ancora nella prudenza e
nel dubbio. E a loro
dico: sveglia, gente,
sveglia! Intimiditi come
siete dalla paura
d'andar contro corrente
cioè d'apparire razzisti
(parola oltretutto
impropria perché il
discorso non è su una
razza, è su una
religione), non capite o
non volete capire che
qui è in atto una
Crociata alla rovescia.
Abituati come siete al
doppio gioco, accecati
come siete dalla miopia,
non capite o non volete
capire che qui è in atto
una guerra di religione.
Voluta e dichiarata da
una frangia di quella
religione, forse,
comunque una guerra di
religione. Una guerra
che essi chiamano Jihad.
Guerra Santa. Una guerra
che non mira alla
conquista del nostro
territorio, forse, ma
che certamente mira alla
conquista delle nostre
anime. Alla scomparsa
della nostra libertà e
della nostra civiltà.
All'annientamento
del nostro modo di
vivere e di morire, del
nostro modo di pregare o
non pregare, del nostro
modo di mangiare e bere
e vestirci e divertirci
e informarci Non capite
o non volete capire che
se non ci si oppone, se
non ci si difende, se
non si combatte, la
Jihad vincerà. E
distruggerà il mondo che
bene o male siamo
riusciti a costruire, a
cambiare, a migliorare,
a rendere un po' più
intelligente cioè meno
bigotto o addirittura
non bigotto. E con
quello distruggerà la
nostra cultura, la
nostra arte, la nostra
scienza, la nostra
morale, i nostri valori,
i nostri piaceri...
Cristo! Non vi rendete
conto che gli Usama Bin
Laden si ritengono
autorizzati a uccidere
voi e i vostri bambini
perché bevete il vino o
la birra, perché non
portate la barba lunga o
il chador, perché andate
al teatro e al cinema,
perché ascoltate la
musica e cantate le
canzonette, perché
ballate nelle discoteche
o a casa vostra, perché
guardate la televisione,
perché portate la
minigonna o i calzoncini
corti, perché al mare o
in piscina state ignudi
o quasi ignudi, perché
scopate quando vi pare e
dove vi pare e con chi
vi pare? Non v'importa
neanche di questo,
scemi? Io sono atea,
graziaddio. E non ho
alcuna intenzione di
lasciarmi ammazzare
perché lo sono.
Da vent'anni
lo dico, da vent'anni.
Con una certa mitezza,
non con questa passione,
vent'anni fa su questa
roba scrissi un articolo
di fondo per il
Corriere. Era
l'articolo di una
persona abituata a stare
con tutte le razze e
tutti i credi, d'una
cittadina abituata a
combattere tutti i
fascismi e tutte le
intolleranze, d'una
laica senza tabù. Ma era
anche l'articolo di una
persona indignata con
chi non sentiva il puzzo
di una Guerra Santa a
venire, e ai figli di
Allah gliene perdonava
un po' troppe. Feci un
ragionamento che suonava
press'appoco così,
vent'anni fa. Che senso
ha rispettare chi non
rispetta noi? Che senso
ha difendere la loro
cultura o presunta
cultura quando loro
disprezzano la nostra?
Io voglio difendere la
nostra, e v'informo che
Dante Alighieri mi piace
più di Omar Khayan.
Apriti cielo. Mi
crocifissero. Razzista,
razzista!. Eh, furono
gli stessi progressisti
(a quel tempo si
chiamavano comunisti) a
crocifiggermi. Del resto
quell'insulto me lo
presi anche quando i
sovietici invasero
l'Afghanistan. Li
ricordi quei barbuti con
la sottana e il turbante
che prima di sparare il
mortaio, anzi a ciascun
colpo di mortaio,
berciavano le lodi del
Signore? Allah akbar!
Allah akbar!. Io li
ricordo bene. E a veder
accoppiare la parola Dio
al colpo di mortaio, mi
venivano i brividi. Mi
pareva d'essere nel
Medioevo, e dicevo: I
sovietici sono quello
che sono. Però bisogna
ammettere che a far
quella guerra proteggono
anche noi. E li
ringrazio. Riapriti
cielo. Razzista,
razzista!. Nella loro
cecàggine non volevan
neanche sentirmi parlare
delle mostruosità che i
figli di Allah
commettevano sui
militari fatti
prigionieri. (Gli
segavano le braccia e le
gambe, rammenti? Un
vizietto a cui s'erano
già abbandonati in
Libano coi prigionieri
cristiani ed ebrei). Non
volevano che lo dicessi,
no. E pur di fare i
progressisti
applaudivano gli
americani che
rincretiniti dalla paura
dellUnione Sovietica
riempivan di armi
l'eroico-popolo-afghano.
Addestravano i barbuti,
e coi barbuti un
barbutissimo Usama Bin
Laden.
Via-i-russi-dall'Afghanistaaaan!
I-russi-
devono-andarsene-dall'Afghanistaaaan!
Bè, i russi se ne sono
andati dall'Afghanistan:
contenti? E
dall'Afghanistan i
barbuti del barbutissimo
Usama Bin Laden sono
arrivati a New York con
gli sbarbati siriani
egiziani iracheni
libanesi palestinesi
sauditi che componevano
la banda dei diciannove
kamikaze identificati:
contenti? Peggio: ora
qui si discute sul
prossimo attacco che ci
colpirà con le armi
chimiche, biologiche,
radioattive, nucleari.
Si dice che la nuova
strage è inevitabile
perché lIraq gli
fornisce il materiale.
Si parla di
vaccinazioni, di
maschere a gas, di
peste. Ci si chiede
quando avverrà...
Contenti?
Alcuni non
sono né contenti né
scontenti. Se ne fregano
e basta. Tanto l'America
è lontana, tra l'Europa
e l'America c'è un
oceano... Eh, no, cari
miei. No. C'è un filo
d'acqua. Perché quando è
in ballo il destino
dell'Occidente, la
sopravvivenza della
nostra civiltà, New York
siamo noi. L'America
siamo noi. Noi italiani,
noi francesi, noi
inglesi, noi tedeschi,
noi austriaci, noi
ungheresi, noi slovacchi,
noi polacchi, noi
scandinavi, noi belgi,
noi spagnoli, noi greci,
noi portoghesi. Se
crolla l'America, crolla
l'Europa. Crolla
l'Occidente, crolliamo
noi. E non solo in senso
finanziario cioè nel
senso che, mi pare, vi
preoccupa di più. (Una
volta, ero giovane e
ingenua, dissi ad Arthur
Miller: Gli americani
misurano tutto coi soldi,
non pensano che ai soldi.
E Arthur Miller mi
rispose: Voi no?). In
tutti i sensi crolliamo,
caro mio. E al posto
delle campane ci
ritroviamo i muezzin, al
posto delle minigonne ci
ritroviamo il chador, al
posto del cognacchino il
latte di cammella.
Neanche questo capite,
neanche questo volete
capire?!? Blair lo ha
capito. È venuto qui e
ha portato anzi
rinnovato a Bush la
solidarietà degli
inglesi. Non una
solidarietà espressa con
le chiacchiere e i
piagnistei: una
solidarietà basata sulla
caccia ai terroristi e
sullalleanza militare.
Chirac, no. Come sai la
scorsa settimana era qui
in visita ufficiale.
Una visita
prevista da tempo, non
una visita ad hoc. Ha
visto le macerie delle
due torri, ha saputo che
i morti sono un numero
incalcolabile anzi
inconfessabile, ma non
s'è sbilanciato. Durante
l'intervista alla Cnn
ben quattro volte la ma
amica Cristiana Amanpour
gli ha chiesto in qual
modo e in qual misura
intendesse schierarsi
contro questa Jihad, e
per quattro volte Chirac
ha evitato una risposta.
È sgusciato via come
un'anguilla. Veniva
voglia di gridargli: Monsieur
le President! Ricorda lo
sbarco in Normandia? Lo
sa quanti americani sono
crepati in Normandia per
cacciare i nazisti anche
dalla Francia?. Escluso
Blair, del resto,
neanche fra gli altri
europei vedo Riccardi
Cuor di Leone. E
tantomeno ne vedo in
Italia dove il governo
non ha individuato
quindi arrestato alcun
complice o sospetto
complice di Usama Bin
Laden. Perdio, signor
cavaliere, perdio!
Malgrado la paura della
guerra, in ogni paese
d'Europa è stato
individuato e arrestato
qualche complice di
Usama Bin Laden. In
Francia, in Germania, in
Inghilterra, in Spagna...
Ma in Italia dove le
moschee di Milano e di
Torino e di Roma
traboccano di mascalzoni
che inneggiano a Usama
Bin Laden, di terroristi
in attesa di far saltare
in aria la Cupola di San
Pietro, nessuno. Zero.
Nulla. Nessuno. Mi
spieghi, signor
cavaliere: son così
incapaci i Suoi
poliziotti e carabinieri?
Son così coglioni i Suoi
servizi segreti? Son
così scemi i Suoi
funzionari? E son tutti
stinchi di santo, tutti
estranei a ciò che è
successo e succede, i
figli di Allah che
ospitiamo? Oppure a fare
le indagini giuste, a
individuare e arrestare
chi finoggi non avete
individuato e arrestato,
Lei teme di subire il
solito ricatto
razzista-razzista? Io,
vede, no.
Cristo! Io non nego a
nessuno il diritto di
avere paura. Chi non ha
paura della guerra è un
cretino. E chi vuol far
credere di non avere
paura alla guerra, lho
scritto mille volte, è
insieme un cretino e un
bugiardo. Ma nella Vita
e nella Storia vi sono
casi in cui non è lecito
aver paura. Casi in cui
aver paura è immorale e
incivile. E quelli che,
per debolezza o mancanza
di coraggio o abitudine
a tenere il piede in due
staffe si sottraggono a
questa tragedia, a me
sembrano masochisti.
Masochisti,
sì, masochisti. Perché
vogliamo farlo questo
discorso su ciò che tu
chiami
Contrasto-fra-le-Due-Culture?
Bè, se vuoi proprio
saperlo, a me dà
fastidio perfino parlare
di due culture: metterle
sullo stesso piano come
se fossero due realtà
parallele, di uguale
peso e di uguale misura.
Perché dietro la nostra
civiltà c'è Omero, c'è
Socrate, c'è Platone,
c'è Aristotele, c'è
Fidia, perdio. C'è
l'antica Grecia col suo
Partenone e la sua
scoperta della
Democrazia. C'è l'antica
Roma con la sua
grandezza, le sue leggi,
il suo concetto della
Legge. Le sue sculture,
la sua letteratura, la
sua architettura. I suoi
palazzi e i suoi
anfiteatri, i suoi
acquedotti, i suoi ponti,
le sue strade. C'è un
rivoluzionario, quel
Cristo morto in croce,
che ci ha insegnato (e
pazienza se non lo
abbiamo imparato) il
concetto dell'amore e
della giustizia. C'è
anche una Chiesa che mi
ha dato l'Inquisizione,
d'accordo. Che mi ha
torturato e bruciato
mille volte sul rogo,
d'accordo. Che mi ha
oppresso per secoli, che
per secoli mi ha
costretto a scolpire e
dipingere solo Cristi e
Madonne, che mi ha quasi
ammazzato Galileo
Galilei. Me lo ha
umiliato, me lo ha
zittito. Però ha dato
anche un gran contributo
alla Storia del Pensiero:
sì o no? E poi dietro la
nostra civiltà c'è il
Rinascimento. C'è
Leonardo da Vinci, c'è
Michelangelo, c'è
Raffaello, cè la musica
di Bach e di Mozart e di
Beethoven. Su su fino a
Rossini e Donizetti e
Verdi and Company.
Quella musica senza la
quale noi non sappiamo
vivere e che nella loro
cultura o supposta
cultura è proibita. Guai
se fischi una canzonetta
o mugoli il coro del
Nabucco. E infine c'è la
Scienza, perdio. Una
scienza che ha capito
parecchie malattie e le
cura. Io sono ancora
viva, per ora, grazie
alla nostra scienza: non
quella di Maometto. Una
scienza che ha inventato
macchine meravigliose.
Il treno, l'automobile,
l'aereo, le astronavi
con cui siamo andati
sulla Luna e su Marte e
presto andremo
chissàddove. Una scienza
che ha cambiato la
faccia di questo pianeta
con l'elettricità, la
radio, il telefono, la
televisione, e a
proposito: è vero che i
santoni della sinistra
non vogliono dire ciò
che ho appena detto?!?
Dio, che bischeri! Non
cambieranno mai. Ed ora
ecco la fatale domanda:
dietro allaltra cultura
che cè?
Boh! Cerca
cerca, io non ci trovo
che Maometto col suo
Corano e Averroè coi
suoi meriti di studioso.
(I Commentari su
Aristotele eccetera),
Arafat ci trova anche i
numeri e la matematica.
Di nuovo berciandomi
addosso, di nuovo
coprendomi di saliva,
nel 1972 mi disse che la
sua cultura era
superiore alla mia,
molto superiore alla mia,
perché i suoi nonni
avevano inventato i
numeri e la matematica.
Ma Arafat ha la memoria
corta. Per questo cambia
idea e si smentisce ogni
cinque minuti. I suoi
nonni non hanno
inventato i numeri e la
matematica. Hanno
inventato la grafia dei
numeri che anche noi
infedeli adopriamo, e la
matematica è stata
concepita quasi
contemporaneamente da
tutte le antiche civiltà.
In Mesopotamia, in
Grecia, in India, in
Cina, in Egitto, tra i
Maya... I suoi nonni,
Illustre Signor Arafat,
non ci hanno lasciato
che qualche bella
moschea e un libro col
quale da
millequattrocento anni
mi rompono le scatole
più di quanto i
cristiani me le rompano
con la Bibbia e gli
ebrei con la Torah. E
ora vediamo quali sono i
pregi che distinguono
questo Corano. Davvero
pregi? Dacché i figli di
Allah hanno
semidistrutto New York,
gli esperti dell'Islam
non fanno che cantarmi
le lodi di Maometto:
spiegarmi che il Corano
predica la pace e la
fratellanza e la
giustizia. (Del resto lo
dice anche Bush, povero
Bush. E va da sé che
Bush deve tenersi buoni
i ventiquattro milioni
di americani-musulmani,
convincerli a spifferare
quel che sanno sugli
eventuali parenti o
amici o conoscenti
devoti a Usama Bin Laden).
Ma allora come la
mettiamo con la storia
dell'Occhio-per-Occhio-
Dente-per-Dente? Come la
mettiamo con la faccenda
del chador anzi del velo
che copre il volto delle
musulmane, sicché per
dare una sbirciata al
prossimo quelle infelici
devon guardare
attraverso una fitta
rete posta all'altezza
degli occhi? Come la
mettiamo con la
poligamia e col
principio che le donne
debbano contare meno dei
cammelli, che non
debbano andare a scuola,
non debbano andare dal
dottore, non debbano
farsi fotografare
eccetera? Come la
mettiamo col veto degli
alcolici e la pena di
morte per chi li beve?
Anche questo sta nel
Corano. E non mi sembra
mica tanto giusto, tanto
fraterno, tanto pacifico.
Ecco dunque
la mia risposta alla tua
domanda sul
Contrasto-delle-Due-Culture.
Al mondo c'è posto per
tutti, dico io. A casa
propria tutti fanno quel
che gli pare. E se in
alcuni paesi le donne
sono così stupide da
accettare il chador anzi
il velo da cui si guarda
attraverso una fitta
rete posta all'altezza
degli occhi, peggio per
loro. Se son così
scimunite da accettar di
non andare a scuola, non
andar dal dottore, non
farsi fotografare
eccetera, peggio per
loro. Se son così
minchione da sposare uno
stronzo che vuole
quattro mogli, peggio
per loro. Se i loro
uomini sono così grulli
da non bere la birra e
il vino, idem. Non sarò
io a impedirglielo. Ci
mancherebbe altro. Sono
stata educata nel
concetto di libertà, io,
e la mia mamma diceva:
Il mondo è bello perché
è vario. Ma se
pretendono d'imporre le
stesse cose a me, a casa
mia... Lo pretendono.
Usama Bin Laden afferma
che l'intero pianeta
Terra deve diventar
musulmano, che dobbiamo
convertirci all'Islam,
che con le buone o con
le cattive lui ci
convertirà, che a tal
scopo ci massacra e
continuerà a
massacrarci. E questo
non può piacerci, no.
Deve metterci addosso
una gran voglia di
rovesciar le carte,
ammazzare lui. Però la
cosa non si risolve, non
si esaurisce, con la
morte di Usama Bin
Laden. Perché gli Usama
Bin Laden sono decine di
migliaia, ormai, e non
stanno soltanto in
Afghanistan o negli
altri paesi arabi.
Stanno dappertutto, e i
più agguerriti stanno
proprio in Occidente.
Nelle nostre città,
nelle nostre strade,
nelle nostre università,
nei gangli della
tecnologia. Quella
tecnologia che qualsiasi
ottuso può maneggiare.
La Crociata è in atto da
tempo. E funziona come
un orologio svizzero,
sostenuta da una fede e
da una perfidia
paragonabile soltanto
alla fede e alla
perfidia di Torquemada
quando gestiva
l'Inquisizione. Infatti
trattare con loro è
impossibile. Ragionarci,
impensabile. Trattarli
con indulgenza o
tolleranza o speranza,
un suicidio. E chi crede
il contrario è un
illuso.
Te lo dice
una che quel tipo di
fanatismo lo ha
conosciuto abbastanza
bene in Iran, in
Pakistan, in Bangladesh,
in Arabia Saudita, in
Kuwait, in Libia, in
Giordania, in Libano, e
a casa sua. Cioè in
Italia. Lo ha
conosciuto, ed anche
attraverso episodi
triviali, anzi
grotteschi, ne ha avuto
raggelanti conferme. Io
non dimentico mai quel
che mi accadde
all'ambasciata iraniana
di Roma quando chiesi il
visto per recarmi a
Teheran, per
intervistare Khomeini, e
mi presentai con le
unghie smaltate di
rosso. Per loro, segno
di immoralità. Mi
trattarono come una
prostituta da bruciare
sul rogo. Mi ingiunsero
di levarlo
immediatamente quel
rosso. E se non gli
avessi detto anzi urlato
che cosa gradivo levare,
anzi tagliare a loro...
Non dimentico nemmeno
quel che mi accadde a
Qom, la città santa di
Khomeini, dove in quanto
donna venni respinta da
tutti gli alberghi. Per
intervistare Khomeini
dovevo mettermi il
chador, per mettermi il
chador dovevo togliermi
i blue jeans, per
togliermi i blue jeans
dovevo appartarmi, e
naturalmente avrei
potuto effettuare
l'operazione
nell'automobile con la
quale ero giunta da
Teheran. Ma l'interprete
me lo impedì.
Lei-è-pazza,
lei-è-pazza,
a-fare-una-cosa-simile-a-Qom-si-finisce-fucilati.
Preferì portarmi all'ex
Palazzo Reale dove un
custode pietoso ci
ospitò, ci prestò l'ex
Sala del Trono. Infatti
io mi sentivo come la
Madonna che per dare
alla luce il Bambin Gesù
si rifugia insieme a
Giuseppe nella stalla
scaldata dall'asino e
dal bue. Ma a un uomo e
a una donna non sposati
fra loro il Corano vieta
di appartarsi dietro una
porta chiusa, ahimé, e
d'un tratto la porta si
aprì. Il mullah addetto
al Controllo della
Moralità irruppe
strillando
vergogna-vergogna,
peccato-peccato, e v'era
solo un modo per non
finire fucilati:
sposarsi. Firmare l'atto
di matrimonio a scadenza
(quattro mesi) che il
mullah ci sventolava
sulla faccia. Il guaio è
che l'interprete aveva
una moglie spagnola, una
certa Consuelo per nulla
disposta ad accettare la
poligamia, e io non
volevo sposare nessuno.
Tantomeno un iraniano
con la moglie spagnola e
nient'affatto disposta
ad accettare la
poligamia. Nel medesimo
tempo non volevo finir
fucilata ossia perdere
l'intervista con
Khomeini. In tal dilemma
mi dibattevo e...
Ridi, ne son
certa. Ti sembrano
barzellette. Bè, allora
il seguito di questo
episodio non te lo
racconto. Per farti
piangere ti racconto
quello dei dodici
giovanotti impuri che
finita la guerra del
Bangladesh vidi
giustiziare a Dacca. Li
giustiziarono sul campo
dello stadio di Dacca, a
colpi di baionetta nel
torace o nel ventre, e
alla presenza di
ventimila fedeli che
dalle tribune
applaudivano in nome di
Dio. Tuonavano Allah
akbar, Allah akbar. Lo
so, lo so: nel Colosseo
gli antichi romani,
quegli antichi romani di
cui la mia cultura va
fiera, si divertivano a
veder morire i cristiani
dati in pasto ai leoni.
Lo so, lo so: in tutti i
paesi d'Europa i
cristiani, quei
cristiani ai quali
malgrado il mio ateismo
riconosco il contributo
che hanno dato alla
Storia del Pensiero, si
divertivano a veder
bruciare gli eretici.
Però è trascorso
parecchio tempo, siamo
diventati un pochino più
civili, e anche i figli
di Allah dovrebbero aver
compreso che certe cose
non si fanno. Dopo i
dodici giovanotti impuri
ammazzarono un bambino
che per salvare il
fratello condannato a
morte s'era buttato sui
giustizieri. A lui
schiacciarono la testa
con gli scarponi da
militare. E se non ci
credi, bè: rileggi la
mia cronaca o la cronaca
dei giornalisti francesi
e tedeschi che
inorriditi quanto me
erano lì con me. Meglio:
guardati le fotografie
che uno di essi scattò.
Comunque il punto che mi
preme sottolineare non è
questo. È che, concluso
lo scempio, i ventimila
fedeli (molte donne)
lasciarono le tribune e
scesero nel campo. Non
in maniera scomposta,
cialtrona, no. In
maniera ordinata,
solenne. Lentamente
composero un corteo e,
sempre in nome di Dio,
passarono sopra i
cadaveri. Sempre
tuonando Allah-akbar,
Allah-akbar. Li
distrussero come le due
Torri di New York. Li
ridussero a un tappeto
sanguinolento di ossa
spiaccicate.
Oh, potrei
continuare all'infinito.
Dirti cose mai dette,
cose da farti rizzare i
capelli in testa. Su
quel rimbambito di
Khomeini, ad esempio,
che dopo l'intervista
tenne un comizio a Qom
per dichiarare che io lo
accusavo di tagliare i
seni alle donne. Da tale
comizio ricavò un video
che per mesi venne
trasmesso alla
televisione di Teheran
sicché, quando l'anno
successivo tornai a
Teheran, venni arrestata
appena scesa dall'aereo.
E la vidi brutta, sai,
proprio brutta. Era il
periodo degli ostaggi
americani... potrei
parlarti di quel Mujib
Rahman che, sempre a
Dacca, aveva ordinato ai
suoi guerriglieri di
eliminarmi in quanto
europea pericolosa, e
meno male che a rischio
della propria vita un
colonnello inglese mi
salvò. O di quel
palestinese di nome
Habash che per venti
minuti mi fece tenere un
mitragliatore puntato
alla testa. Dio, che
gente! I soli coi quali
abbia avuto un rapporto
civile restano il povero
Alì Bhutto cioè il primo
ministro del Pakistan,
morto impiccato perché
troppo amico
dellOccidente, e il
bravissimo re di
Giordania: re Hussein.
Ma quei due erano
musulmani quanto io son
cattolica. Comunque
voglio darti la
conclusione del mio
ragionamento. Una
conclusione che non
piacerà a molti, visto
che difendere la propria
cultura, in Italia, sta
diventando peccato
mortale. E visto che
intimiditi
dallimpropria parola razzista,
tutti tacciono come
conigli.
Io non vado a
rizzare tende alla Mecca.
Io non vado a cantar
Paternostri e Avemarie
dinanzi alla tomba di
Maometto. Io non vado a
fare pipì sui marmi
delle loro moschee, non
vado a fare la cacca ai
piedi dei loro minareti.
Quando mi trovo nei loro
paesi (cosa dalla quale
non traggo mai diletto)
non dimentico mai
d'essere un'ospite e una
straniera. Sto attenta a
non offenderli con abiti
o gesti o comportamenti
che per noi sono normali
e per loro inammissibili.
Li tratto con doveroso
rispetto, doverosa
cortesia, mi scuso se
per sbadatezza o
ignoranza infrango
qualche loro regola o
superstizione. E questo
urlo di dolore e di
sdegno io te l'ho
scritto avendo dinanzi
agli occhi immagini che
non sempre mi davano le
apocalittiche scene con
le quali ho incominciato
il discorso. A volte
invece di quelle vedevo
l'immagine per me
simbolica (quindi
infuriante) della gran
tenda con cui un'estate
fa i mussulmani somali
sfregiarono e smerdarono
e oltraggiarono per tre
mesi piazza del Duomo a
Firenze. La mia città.
Una tenda
rizzata per biasimare
condannare insultare il
governo italiano che li
ospitava ma non gli
concedeva le carte
necessarie a scorrazzare
per lEuropa e non gli
lasciava portare in
Italia le orde dei loro
parenti. Mamme, babbi,
fratelli, sorelle, zii,
zie, cugini, cognate
incinte, e magari i
parenti dei parenti. Una
tenda situata accanto al
bel palazzo
dell'Arcivescovado sul
cui marciapiede tenevano
le scarpe o le ciabatte
che nei loro paesi
allineano fuori dalle
moschee. E insieme alle
scarpe o le ciabatte, le
bottiglie vuote
dell'acqua con cui si
lavavano i piedi prima
della preghiera. Una
tenda posta di fronte
alla cattedrale con la
cupola del Brunelleschi,
e a lato del Battistero
con le porte d'oro del
Ghiberti. Una tenda,
infine, arredata come un
rozzo appartamentino:
sedie, tavolini,
chaise-longues,
materassi per dormire e
per scopare, fornelli
per cuocere il cibo e
appestare la piazza col
fumo e col puzzo. E,
grazie alla consueta
incoscienza dell'Enel
che alle nostre opere
d'arte tiene quanto
tiene al nostro
paesaggio, fornita di
luce elettrica. Grazie a
un radio-registratore,
arricchita dalla
vociaccia sguaiata d'un
muezzin che puntualmente
esortava i fedeli,
assordava gli infedeli,
e soffocava il suono
delle campane. Insieme a
tutto ciò, le gialle
strisciate di urina che
profanavano i marmi del
Battistero. (Perbacco!
Hanno la gettata lunga,
questi figli di Allah!
Ma come facevano a
colpire l'obiettivo
separato dalla ringhiera
di protezione e quindi
distante quasi due metri
dal loro apparato
urinario?) Con le gialle
strisciate di urina, il
fetore dello sterco che
bloccava il portone di
San Salvatore al Vescovo:
la squisita chiesa
romanica (anno Mille)
che sta alle spalle di
piazza del Duomo e che i
figli di Allah avevano
trasformato in cacatoio.
Lo sai bene.
Lo sai bene
perché fui io a
chiamarti, pregarti di
parlarne sul Corriere,
ricordi? Chiamai anche
il sindaco che, glielo
concedo, venne
gentilmente a casa mia.
Mi ascoltò, mi dette
ragione. Ha ragione, ha
proprio ragione.... Ma
la tenda non la tolse.
Se ne dimenticò o non
gli riuscì. Chiamai
anche il ministro degli
Esteri che era un
fiorentino, anzi uno di
quei fiorentini che
parlano con l'accento
molto fiorentino, nonché
coinvolto nella faccenda.
E pure lui, glielo
concedo, mi ascoltò. Mi
dette ragione: Eh, sì.
Ha ragione, sì. Ma per
toglier la tenda non
mosse un dito e, quanto
ai figli di Allah che
urinavano sul Battistero
e smerdavano San
Salvatore al Vescovo,
presto li accontentò. (Mi
risulta che i babbi e le
mamme e i fratelli e le
sorelle e gli zii e le
zie e i cugini e le
cognate incinte ora
stiano dove volevano
stare). Cioè a Firenze e
in altre città dEuropa.
Allora cambiai sistema.
Chiamai un simpatico
poliziotto che dirige
l'ufficio-sicurezza e
gli dissi: Caro
poliziotto, io non sono
un politico. Quando dico
di fare una cosa, la
faccio. Inoltre conosco
la guerra e di certe
cose me ne intendo. Se
entro domani non levate
la fottuta tenda, io la
brucio. Giuro sul mio
onore che la brucio, che
neanche un reggimento di
carabinieri riuscirebbe
a impedirmelo, e per
questo voglio essere
arrestata. Portata in
galera con le manette.
Così finisco su tutti i
giornali. Bè, essendo
più intelligente degli
altri, nel giro di poche
ore lui la levò. Al
posto della tenda rimase
soltanto un'immensa e
disgustosa macchia di
sudiciume. Però fu una
vittoria di Pirro. Lo fu
in quanto non influì per
niente sugli altri
scempi che da anni
feriscono e umiliano
quella che era la
capitale dell'arte e
della cultura e della
bellezza, non scoraggiò
per niente gli altri
arrogantissimi ospiti
della città: gli
albanesi, i sudanesi, i
bengalesi, i tunisini,
gli algerini, i
pakistani, i nigeriani
che con tanto fervore
contribuiscono al
commercio della droga e
della prostituzione a
quanto pare non proibito
dal Corano. Eh, sì: sono
tutti dov'erano prima
che il mio poliziotto
togliesse la tenda.
Dentro il piazzale degli
Uffizi, ai piedi della
Torre di Giotto. Dinanzi
alla Loggia dell'Orcagna,
intorno alle Logge del
Porcellino. Di faccia
alla Biblioteca
Nazionale, all'entrata
dei musei. Sul Ponte
Vecchio dove ogni tanto
si pigliano a coltellate
o a revolverate. Sui
Lungarni dove hanno
preteso e ottenuto che
il Municipio li
finanziasse (Sissignori,
li finanziasse). Sul
sagrato della Chiesa di
San Lorenzo dove si
ubriacano col vino e la
birra e i liquori, razza
di ipocriti, e dove
dicono oscenità alle
donne. (La scorsa estate,
su quel sagrato, le
dissero perfino a me che
ormai sono un'antica
signora. E va da sé che
mal gliene incolse. Oooh,
se mal gliene incolse!
Uno sta ancora lì a
mugulare sui suoi
genitali). Nelle
storiche strade dove
bivaccano col pretesto
di vender-la-merce. Per
merce intendi borse e
valige copiate dai
modelli protetti da
brevetto, quindi
illegali, gigantografie,
matite, statuette
africane che i turisti
ignoranti credono
sculture del Bernini,
roba-da-annusare. (Je
connais mes droits,
conosco i miei diritti
mi sibilò, sul Ponte
Vecchio, uno a cui avevo
visto vendere la
roba-da-annusare). E
guai se il cittadino
protesta, guai se gli
risponde
quei-diritti-vai-ad-esercitarli-a-casa-tua.
Razzista, razzista!.
Guai se camminando tra
la merce che blocca il
passaggio un pedone gli
sfiora la presunta
scultura del Bernini. Razzista,
razzista!. Guai se un
Vigile Urbano gli si
avvicina, azzarda: Signor
figlio di Allah,
Eccellenza, le
dispiacerebbe spostarsi
un capellino e lasciar
passare la gente?. Se
lo mangiano vivo. Lo
aggrediscono col
coltello. Come minimo,
gli insultano la mamma e
la progenie. Razzista,
razzista!. E la gente
sopporta, rassegnata.
Non reagisce nemmeno se
gli gridi ciò che il mio
babbo urlava durante il
fascismo: Ma non ve ne
importa nulla della
dignità? Non ce l'avete
un po' d'orgoglio,
pecoroni?.
Succede anche
nelle altre città, lo so.
A Torino, per esempio.
Quella Torino che fece
l'Italia e che ormai non
sembra nemmeno una città
italiana. Sembra Algeri,
Dacca, Nairobi, Damasco,
Beirut. A Venezia.
Quella Venezia dove i
piccioni di piazza San
Marco sono stati
sostituiti dai tappetini
con la merce e perfino
Otello si sentirebbe a
disagio. A Genova.
Quella Genova dove i
meravigliosi palazzi che
Rubens ammirava tanto
sono stati sequestrati
da loro e deperiscono
come belle donne
stuprate. A Roma. Quella
Roma dove il cinismo
della politica d'ogni
menzogna e d'ogni colore
li corteggia nella
speranza d'ottenerne il
futuro voto, e dove a
proteggerli c'è lo
stesso Papa. (Santità,
perché in nome del Dio
Unico non se li prende
in Vaticano? A
condizione che non
smerdino anche la
Cappella Sistina e le
statue di Michelangelo e
i dipinti di Raffaello:
sia chiaro). Mah! Ora
son io che non capisco.
Anziché figli-di-Allah
in Italia li chiamano lavoratori
stranieri. Oppure mano-d'opera-di-cui-v'è-bisogno.
E sul fatto che alcuni
di loro lavorino, non ho
alcun dubbio. Gli
italiani son diventati
talmente signorini.
Vanno in vacanza alle
Seychelles, vengon a New
York per comprare i
lenzuoli da
Bloomingdale's. Si
vergognano a fare gli
operai e i contadini, e
non puoi più associarli
col proletariato. Ma
quelli di cui parlo, che
lavoratori sono? Che
lavoro fanno? In che
modo suppliscono al
bisogno della mano
d'opera che l'ex
proletariato italiano
non fornisce più?
Bivaccando nella città
col pretesto della
merce-da-vendere?
Bighellonando e
deturpando i nostri
monumenti? Pregando
cinque volte al giorno?
E poi c'è un'altra cosa
che non capisco. Se
davvero son tanto poveri,
chi glieli dà i soldi
per il viaggio sulla
nave o sul gommone che
li porta in Italia? Chi
glieli dà i dieci
milioni a testa (come
minimo dieci milioni)
necessari a comprarsi il
biglietto? Non glieli
darà mica Usama Bin
Laden allo scopo
davviare una conquista
che non è solo una
conquista di anime, è
anche una conquista di
territorio?
Bè, anche se
non glieli dà, questa
faccenda non mi convince.
Anche se i nostri ospiti
sono assolutamente
innocenti, anche se fra
loro non c'è nessuno che
vuole distruggermi la
Torre di Pisa o la Torre
di Giotto, nessuno che
vuol mettermi il chador,
nessuno che vuol
bruciarmi sul rogo di
una nuova Inquisizione,
la loro presenza mi
allarma. Mi incute
disagio. E sbaglia chi
questa faccenda la
prende alla leggera o
con ottimismo. Sbaglia,
soprattutto, chi
paragona l'ondata
migratoria che s'è
abbattuta sull'Italia e
sull'Europa con l'ondata
migratoria che si
rovesciò sull'America
nella seconda metà
dell'Ottocento anzi
verso la fine
dell'Ottocento e
all'inizio del Novecento.
Ora ti dico perché.
Non molto
tempo fa mi capitò di
captare una frase
pronunciata da uno dei
mille presidenti del
Consiglio di cui
l'Italia s'è onorata in
pochi decenni. Eh,
anche mio zio era un
emigrante! Io lo ricordo
mio zio che con la
valigetta di fibra
partiva per l'America!.
O qualcosa del genere.
Eh, no, caro mio. No.
Non è affatto la stessa
cosa. E non lo è per due
motivi abbastanza
semplici. Il primo è che
nella seconda metà
dell'Ottocento l'ondata
migratoria in America
non avvenne in maniera
clandestina e per
prepotenza di chi la
effettuava. Furono gli
americani stessi a
volerla, sollecitarla. E
per un preciso atto del
Congresso. Venite,
venite, ché abbiamo
bisogno di voi. Se
venite, vi si regala un
bel pezzo di terra. Ci
hanno fatto anche un
film, gli americani.
Quello con Tom Cruise e
Nicole Kidman, e del
quale m'ha colpito il
finale. La scena dei
disgraziati che corrono
per piantare la
bandierina bianca sul
terreno che diventerà
loro, sicché solo i più
giovani e i più forti ce
la fanno. Gli altri
restano con un palmo di
naso e alcuni nella
corsa muoiono. Chio
sappia, in Italia non
c'è mai stato un atto
del Parlamento che
invitasse anzi
sollecitasse i nostri
ospiti a lasciare i loro
paesi.
Venite-venite-ché-abbiamo-tanto-bisogno-di-voi,
se-venite-vi-regaliamo-il-poderino-nel-Chianti.
Da noi ci sono venuti di
propria iniziativa, coi
maledetti gommoni e in
barba ai finanzieri che
cercavano di rimandarli
indietro. Più che duna
emigrazione sè trattato
dunque duna invasione
condotta allinsegna
della clandestinità. Una
clandestinità che
disturba perché non è
mite e dolorosa. È
arrogante e protetta dal
cinismo dei politici che
chiudono un occhio e
magari tutti e due. Io
non dimenticherò mai i
comizi con cui lanno
scorso i clandestini
riempiron le piazze
dItalia per ottenere i
permessi di soggiorno.
Quei volti distorti,
cattivi. Quei pugni
alzati, minacciosi.
Quelle voci irose che mi
riportavano alla Teheran
di Khomeini. Non li
dimenticherò mai perché
mi sentivo offesa dalla
loro prepotenza in casa
mia, e perché mi sentivo
beffata dai ministri che
ci dicevano: Vorremmo
rimpatriarli ma non
sappiamo dove si
nascondono. Stronzi! In
quelle piazze ve nerano
migliaia, e non si
nascondevano affatto.
Per rimpatriarli sarebbe
bastato metterli in fila,
prego-gentile-signore-saccomodi,
e accompagnarli ad un
porto od aeroporto.
Il secondo
motivo, caro nipote
dello zio con la
valigetta di fibra, lo
capirebbe anche uno
scolaro delle elementari.
Per esporlo bastano un
paio di elementi. Uno:
lAmerica è un
continente. E nella
seconda metà
dellOttocento cioè
quando il Congresso
Americano dette il via
allimmigrazione, questo
continente era quasi
spopolato. Il grosso
della popolazione si
condensava negli stati
dellEst ossia gli stati
dalla parte
dellAtlantico, e nel
Mid-West cera ancora
meno gente. La
California era quasi
vuota. Beh, lItalia non
è un continente. È un
paese molto piccolo e
tuttaltro che spopolato.
Due: lAmerica è un
paese assai giovane. Se
pensi che la Guerra
dIndipendenza si svolse
alla fine del 1700, ne
deduci che ha appena
duecento anni e capisci
perché la sua identità
culturale non è ancora
ben definita. LItalia,
al contrario, è un paese
molto vecchio. La sua
storia dura da almeno
tremila anni. La sua
identità culturale è
quindi molto precisa e
bando alle chiacchiere:
non prescinde da una
religione che si chiama
religione cristiana e da
una chiesa che si chiama
Chiesa Cattolica. La
gente come me ha un bel
dire:
io-con-la-chiesa-cattolica-non-c'entro.
C'entro, ahimé c'entro.
Che mi piaccia o no,
c'entro. E come farei a
non entrarci? Sono nata
in un paesaggio di
chiese, conventi, Cristi,
Madonne, Santi. La prima
musica che ho udito
venendo al mondo è stata
la musica della campane.
Le campane di Santa
Maria del Fiore che
all'Epoca della Tenda la
vociaccia sguaiata del
muezzin soffocava. È in
quella musica, in quel
paesaggio, che sono
cresciuta. È attraverso
quella musica e quel
paesaggio che ho
imparato cos'è
l'architettura, cos'è la
scultura, cos'è la
pittura, cos'è l'arte. È
attraverso quella chiesa
(poi rifiutata) che ho
incominciato a chiedermi
cos'è il Bene, cos'è il
Male, e perdio...
Ecco: vedi?
Ho scritto un'altra
volta perdio. Con
tutto il mio laicismo,
tutto il mio ateismo,
son così intrisa di
cultura cattolica che
essa fa addirittura
parte del mio modo
d'esprimermi. Oddio,
mioddio, graziaddio,
perdio, Gesù mio, Dio
mio, Madonna mia, Cristo
qui, Cristo là. Mi
vengon così spontanee,
queste parole, che non
m'accorgo nemmeno di
pronunciarle o di
scriverle. E vuoi che te
la dica tutta? Sebbene
al cattolicesimo non
abbia mai perdonato le
infamie che m'ha imposto
per secoli incominciando
dall'Inquisizione che
m'ha pure bruciato la
nonna, povera nonna,
sebbene coi preti io non
ci vada proprio
d'accordo e delle loro
preghiere non sappia
proprio che farne, la
musica delle campane mi
piace tanto. Mi
accarezza il cuore. Mi
piacciono pure quei
Cristi e quelle Madonne
e quei Santi dipinti o
scolpiti. Infatti ho la
mania delle icone. Mi
piacciono pure i
monasteri e i conventi.
Mi danno un senso di
pace, a volte invidio
chi ci sta. E poi
ammettiamolo: le nostre
cattedrali son più belle
delle moschee e delle
sinagoghe. Si o no? Sono
più belle anche delle
chiese protestanti.
Guarda, il cimitero
della mia famiglia è un
cimitero protestante.
Accoglie i morti di
tutte le religioni ma è
protestante. E una mia
bisnonna era valdese.
Una mia prozia,
evangelica. La bisnonna
valdese non l'ho
conosciuta. La prozia
evangelica, invece, sì.
Quand'ero bambina mi
portava sempre alle
funzioni della sua
chiesa in via de' Benci
a Firenze, e... Dio,
quanto m'annoiavo! Mi
sentivo talmente sola
con quei fedeli che
cantavano i salmi e
basta, quel prete che
non era un prete e
leggeva la Bibbia e
basta, quella chiesa che
non mi sembrava una
chiesa e che a parte un
piccolo pulpito aveva un
gran crocifisso e basta.
Niente angeli, niente
Madonne, niente incenso...
Mi mancava perfino il
puzzo dell'incenso, e
avrei voluto trovarmi
nella vicina basilica di
Santa Croce dove queste
cose c'erano. Le cose
cui ero abituata. E
aggiungo: nella mia casa
di campagna, in Toscana,
v'è una minuscola
cappella. Sta sempre
chiusa. Dacché la mamma
è morta non ci va
nessuno. Però a volte ci
vado, a spolverare, a
controllare che i topi
non ci abbiano fatto il
nido, e nonostante la
mia educazione laica mi
ci trovo a mio agio.
Nonostante il mio
mangiapretismo, mi ci
muovo con disinvoltura.
E credo che la
stragrande maggioranza
degli italiani ti
confesserebbe la
medesima cosa. (A me la
confessò Berlinguer).
Santiddio! (Ci
risiamo). Sto dicendoti
che noi italiani non
siamo nelle condizioni
degli americani: mosaico
di gruppi etnici e
religiosi, guazzabuglio
di mille culture, nel
medesimo tempo aperti ad
ogni invasione e capaci
di respingerla. Sto
dicendoti che, proprio
perché è definita da
molti secoli e molto
precisa, la nostra
identità culturale non
può sopportare un'
ondata migratoria
composta da persone che
in un modo o nell'altro
vogliono cambiare il
nostro sistema di vita.
I nostri valori. Sto
dicendoti che da noi non
c'è posto per i muezzin,
per i minareti, per i
falsi astemi, per il
loro fottuto Medioevo,
per il loro fottuto
chador. E se ci fosse,
non glielo darei. Perché
equivarrebbe a buttar
via Dante Alighieri,
Leonardo da Vinci,
Michelangelo, Raffaello,
il Rinascimento, il
Risorgimento, la libertà
che ci siamo bene o male
conquistati, la nostra
Patria. Significherebbe
regalargli l'Italia. E
io l'Italia non gliela
regalo.
Io sono
italiana. Sbagliano gli
sciocchi che mi credono
ormai americana. Io la
cittadinanza americana
non l'ho mai chiesta.
Anni fa un ambasciatore
americano me la offrì
sul Celebrity Status, e
dopo averlo ringraziato
gli risposi: Sir, io
all'America sono assai
legata. Ci litigo sempre,
la rimprovero sempre,
eppure le sono
profondamente legata.
L'America è per me un
amante anzi un marito al
quale resterò sempre
fedele. Ammesso che non
mi faccia le corna.
Voglio bene a questo
marito. E non dimentico
mai che se non si fosse
scomodato a fare la
guerra a Hitler e
Mussolini, oggi parlerei
tedesco. Non dimentico
mai che se non avesse
tenuto testa all' Unione
Sovietica, oggi parlerei
russo. Gli voglio bene e
m'è simpatico. Mi piace
ad esempio il fatto che
quando arrivo a New York
e porgo il passaporto
col Certificato di
Residenza, il doganiere
mi dica con un gran
sorriso: Welcome home.
Benvenuta a casa. Mi
sembra un gesto così
generoso, così
affettuoso. Inoltre mi
ricorda che l'America è
sempre stata il Refugium
Peccatorum della gente
senza patria. Ma io la
patria ce l'ho già, Sir.
La mia Patria è l'Italia,
e l'Italia è la mia
mamma. Sir, io amo
l'Italia. E mi
sembrerebbe di rinnegare
la mia mamma a prendere
la cittadinanza
americana. Gli risposi
anche che la mia lingua
è l'italiano, che in
italiano scrivo, che in
inglese mi traduco e
basta. Nello stesso
spirito in cui mi
traduco in francese,
cioè sentendolo una
lingua straniera. E poi
gli risposi che quando
ascolto l'Inno di Mameli
mi commuovo. Che a udire
quel Fratelli-d'Italia,
l'Italia-s'è-desta,
parapà-parapà-parapà, mi
viene il nodo alla gola.
Non mi accorgo nemmeno
che come inno è bruttino.
Penso solo: è l'inno
della mia Patria. Del
resto il nodo alla gola
mi vien pure a guardare
la bandiera bianca rossa
e verde che sventola.
Teppisti degli stadi a
parte, s'intende. Io ho
una bandiera bianca
rossa e verde
dell'Ottocento. Tutta
piena di macchie,
macchie di sangue, tutta
rosa dai topi. E sebbene
al centro vi sia lo
stemma sabaudo (ma senza
Cavour e senza Vittorio
Emanuele II e senza
Garibaldi che a quello
stemma si inchinò noi
l'Unità d'Italia non
l'avremmo fatta), me la
tengo come l'oro. La
custodisco come un
gioiello. Siamo morti
per quel tricolore,
Cristo! Impiccati,
fucilati, decapitati.
Ammazzati dagli
austriaci, dal Papa, dal
Duca di Modena, dai
Borboni. Ci abbiamo
fatto il Risorgimento,
col quel tricolore. E
l'Unità d'Italia, e la
guerra sul Carso, e la
Resistenza. Per quel
tricolore il mio
trisnonno materno
Giobatta combatté a
Curtatone e Montanara,
rimase orrendamente
sfregiato da un razzo
austriaco. Per quel
tricolore i miei zii
paterni sopportarono
ogni pena dentro le
trincee del Carso. Per
quel tricolore mio padre
venne arrestato e
torturato a Villa Triste
dai nazi-fascisti. Per
quel tricolore la mia
intera famiglia fece la
Resistenza e l'ho fatta
anch'io. Nelle file di
Giustizia e Libertà, col
nome di battaglia Emilia.
Avevo quattordici anni.
Quando l'anno dopo mi
congedarono
dall'Esercito
Italiano-Corpo Volontari
della Libertà, mi sentii
così fiera. Gesummaria,
ero stata un soldato
italiano! E quando venni
informata che col
congedo mi spettavano
14.540 lire, non sapevo
se accettarle o no. Mi
pareva ingiusto
accettarle per aver
fatto il mio dovere
verso la Patria. Poi le
accettai. In casa
eravamo tutti senza
scarpe. E con quei soldi
ci comprai le scarpe per
me e per le mie
sorelline.
Naturalmente
la mia patria, la mia
Italia, non è l'Italia
d'oggi. L'Italia
godereccia, furbetta,
volgare degli italiani
che pensano solo ad
andare in pensione prima
dei cinquant'anni e che
si appassionano solo per
le vacanze all'estero o
le partite di calcio.
L'Italia cattiva,
stupida, vigliacca,
delle piccole iene che
pur di stringere la mano
a un divo o una diva di
Hollywood venderebbero
la figlia a un bordello
di Beirut ma se i
kamikaze di Usama Bin
Laden riducono migliaia
di newyorchesi a una
montagna di cenere che
sembra caffè macinato
sghignazzan contenti
bene-agli-americani-gli-sta-bene.
L'Italia squallida,
imbelle, senz'anima, dei
partiti presuntuosi e
incapaci che non sanno
né vincere né perdere
però sanno come
incollare i grassi
posteriori dei loro
rappresentanti alla
poltroncina di deputato
o di ministro o di
sindaco. L'Italia ancora
mussolinesca dei
fascisti neri e rossi
che ti inducono a
ricordare la terribile
battuta di Ennio Flaiano:
In Italia i fascisti si
dividono in due
categorie: i fascisti e
gli antifascisti. Non è
nemmeno l'Italia dei
magistrati e dei
politici che ignorando
la consecutio-temporum
pontificano dagli
schermi televisivi con
mostruosi errori di
sintassi. (Non si dice Credo
che è: animali! Si dice
Credo che sia). Non è
nemmeno l'Italia dei
giovani che avendo
simili maestri affogano
nell'ignoranza più
scandalosa, nella
superficialità più
straziante, nel vuoto.
Sicché agli errori di
sintassi loro aggiungono
gli errori di ortografia
e se gli domandi chi
erano i Carbonari, chi
erano i liberali, chi
era Silvio Pellico, chi
era Mazzini, chi era
Massimo D'Azeglio, chi
era Cavour, chi era
Vittorio Emanuele II, ti
guardano con la pupilla
spenta e la lingua
pendula. Non sanno nulla
al massimo sanno
recitare la comoda parte
degli aspiranti
terroristi in tempo di
pace e di democrazia,
sventolare le bandiere
nere, nasconder la
faccia dietro i
passamontagna, i piccoli
sciocchi. Gli inetti. E
tantomeno è lItalia
delle cicale che dopo
aver letto questi
appunti mi odieranno per
aver scritto la verità.
Tra una spaghettata e
laltra mi malediranno,
mi augureranno dessere
uccisa dai loro protetti
cioè da Usama Bin Laden.
No, no: la mia Italia è
un'Italia ideale. È
l'Italia che sognavo da
ragazzina, quando fui
congedata dall'Esercito
Italiano-Corpo Volontari
della Libertà, ed ero
piena di illusioni.
Un'Italia seria,
intelligente, dignitosa,
coraggiosa, quindi
meritevole di rispetto.
E quest'Italia,
un'Italia che cè anche
se viene zittita o
irrisa o insultata, guai
a chi me la tocca. Guai
a chi me la ruba, guai a
chi me la invade. Perché,
che a invaderla siano i
francesi di Napoleone o
gli austriaci di
Francesco Giuseppe o i
tedeschi di Hitler o i
compari di Usama Bin
Laden, per me è lo
stesso. Che per
invaderla usino i
cannoni o i gommoni,
idem.
Col che ti
saluto affettuosamente,
caro il mio Ferruccio, e
t'avverto: non chiedermi
più nulla. Meno che mai,
di partecipare a risse o
a polemiche vane. Quello
che avevo da dire l'ho
detto. La rabbia e
l'orgoglio me l'hanno
ordinato. La coscienza
pulita e l'età me
l'hanno consentito. Ma
ora devo rimettermi a
lavorare, non voglio
essere disturbata. Punto
e basta.