Carlo Emilio Gadda

“Studi imperfetti”

 

I. L'ortolano di Rapallo

L'indescrivibile erbivendolo fece una pausa dal gridare e mi guardт con occhi assonnati: si era levato presto, come al solito.

Potei considerarlo.

Una sigaretta spenta gli pendeva ora dalle labbra, aveva la paglietta sul cocuzzolo, in quella posizione che diciamo “ bovisa ”, che mi piace tanto: sulla fronte stretta un ciuf-fo di forti e folti capelli. Al collo un fazzoletto annodato, braccia di bronzo nudo, maglia rosa stinto: sotto si lineava il torace scultoreo.

Seduto al suo banco, dinoccolato, mi guardava dal sotto in su come si guarda un essere inutile e privo di interesse: io non ero capace di comperare zucchetto.

Naso marcato, adusta la faccia, salute inaffiata. Il cipiglio si rifece duro.

Riprese inopinatamente ad urlare: che le sue zucchetto non erano roba da tutti, che soltanto gli intenditori potevano giudicarle: che dei dilettanti non si curava. Aggiunse frasi di sprezzante commiserazione per gli increduli eventuali.

Questi suoi giudizi, urlati in dialetto ligure a dittonghi piщ contratti di un futuro dorico, erano contenuti da un'orditura sintattica potente e geniale. Capii che molti oratori e celebranti ufficiali sono, al paragone, dei poveri stentateli!.

 

II. Preghiera

 

Ho pensato molte volte di voi, poveri morti, sebbene dovessi accudire al lavoro di ufficio e mi sentissi, anche, poco bene.

Siccome si richiede diligenza in ogni adempimento, cosi finii con seguitare gli atti del lavoro: e a voi non ho piщ dedicato quel cosi intenso dolore, che mi pareva la ragione e il senso della mia vita.

Radunando ogni pensiero piщ puro, avrei voluto poter comporre una preghiera che, rivolta a Chi tutto determina, vi ottenesse una infinita consolazione. Ma, come voi vivete nella luce ed io mi dissolvo nell'ombra, cosi capisco bene che и certo impossibile che possa la mia miseria comunque sovvenire alla vostra fulgiditа. E poi, forse la mia voce non suona, non puт essere udita.

Che devo fare? Quando cammino, mi pare che non dovrei. Quando parlo, mi pare che bestemmio; quando nel mezzogiorno ogni pianta si beve la calda luce, sento che colpe e vergogne sono con me.

Perdonatemi!

Io ho cercato di imitarvi e di seguitarvi: ma sono stato respinto. Certo и che commisi dei gravissimi errori, e cosi non fu conceduto che potessi inscrivermi nella vostra Legione.

Cosi mi sono smarrito. Ma penso di voi, compagni morti. Vi sono monti lontani, terribili: ed ecco le nuvole sorgono, come sogni, o come pensieri, dai monti e dalle foreste.

 

III. Certezza

Una grossa formica, che vada sempre e sempre, ed entri nel suo magazzino e ne esca, con un pensiero sempre al lavoro e con un tremendo bruscolo stretto fra i due filuzzi delle branche nervose: il mio contadino indaf arato si moveva dal podere alla casa.

Traeva una fascina e l'ammontonava e poi riusciva con una secchia e la vuotava e poi eccolo con un arnese di nuovo al campo e poi ritorna con una cavagna e la posa. Poi deve battere, poi deve intrecciare.

Poi deve cogliere, poi deve adacquare; poi legare, poi spargere, poi ammucchiare. Poi rivoltare, poi attingere, poi impastonare: poi, con quel pastone, recare anche becchime; poi mungere, poi chiudere, poi trasportare.

E porta e trasporta, la giornata gli si consuma.

I suoni del giorno hanno fatto la loro apparizione e hanno ripetuto com'и la commedia.

Neppur li ha sentiti.

Le voci del giorno hanno cantato una passione. Non n'и piщ nulla.

И solo, sudato.

Solo il suono dell'ora и rituale nel suo celebrare. Viene dalla vecchia torre, come un vecchio ed eterno pensiero.

Quando l'ombra sfiora le grigie torri, и perchй la notte si china sui casolar!. Allora non ci si vede piщ; nel mucchio del da fare: allora bisogna intermettere.

 

IV. Treno celerт nell'Italia centrale

Alle case cantoniere, bimbe: con un ciuffo e un nastro, due lucidi occhi, mutande disimmetriche: sono piщ lunghe della sottanella, perchй la mamma prevede un rapido sviluppo, pane e fagioli. Oggi, che sono cosм lunghe, domani giа corte.

Sul fiume il ponte, dal fiume il canale. Il verde canale sembra arrestarsi per un misterioso comando a una gran vasca ben fatta.

Pulsando infaticate le bielle, (visibili in curva), il locomotore imbocca il viadotto, sorvola la solitаria centrale. Nell'ombra della valle profonda tutti la ignorano, gli acuti diplomatici, le dame. Nell'ombra di queste macchie vivono soltanto due occhi, torvi topazi: и la lupa, venuta dalla notte, per allattare cщccioli umani; ma i caparbi alternatori portano perennemente la loro soma invisibile, le Francis strascinano i rotars nel perenne freno del campo.

Solitarм giganti, con aperte braccia, valicano la giogaia squallida: reggono monili strani e orditi di fili.

Vi sono lontane cartiere, cotonifici ed altri impianti manifatturieri. Ma questi non si vedono ed и inutile descriverli.

 

V. L'antica basilica

Il cav. Lo Jodice, il brigadiere scelto Di Matteo e due agenti della squadra investigativa gli davano da cinque giorni una caccia implacabile.

Da un bar all'altro, da un quartiere all'altro, da questo mondo ad un altro! Ma la rivoltella, che aveva rubata in America ad un compagno ubriaco, se l'era venduta: e la cena deglutita due di prima era stata l'ultima.

Si lasciт andare, esausto, su quella panca di pietra: vecchie stampe: stringhe, scatole di zolfanelli: e il negoziante non c'era. Lungo lo zoccolo del muro un odore di orina vecchia, dolcezza d'ogni cane.

Lo strazio delle cose remote e perse lo prese: ricordт sua madre.

Davanti, la piazza, il pronao, la chiesa. L'antica basilica affondava i suoi pilastri nella coltre alluvionale che il sabbiatore Ticino e i garzoni accudirono a dirimere da cave Pennine. Tra nubi terribili gli spalti del Monterosa.

Affondava i pilastri nella coltre buona, sotto cui posano gli ossami delle generazioni passate sopra la terra: passate dalla polvere calda del mattino, dai tumulti di Desio e di Parabiago, al buio della terra.

E la torre quadrata и senza bellezza e attende gelide nebbie. Giа gli alberi han freddo, le campane propongono malinconiche meditazioni.

La bellezza! I capitelli corinzi e compositi, i timpani, le panoplie, i bucrani, i chiari, i fulgidi marmi!

Perchй non si ammirano cosм pregevoli ornamenti in terra lombarda? L'arco di mattone и rude sul pilastro quadrato. Segno gentilizio и la croce, che accampava i ribelli contro la maestа dell'Impero, o la vipera, che si sgroviglia dal cuore degli umani.

Vi sono cittа d'altre terre, dove le chiese in legno sono coperte da lastre di zinco ondulato, come i magazzini dei

porti: e tra i docks tettati di zinco si snodano i neri, celeri treni.

Nel pesante bagagliaio essi recano cataste di parallelepipedi, con borchie solide. Dal passaggio centrale della vettura da pranzo, curvandosi sui tavolini, il candido primo cameriere serve impeccabilmente i commensali irrigiditi, mentre agli aghi degli scambi tutto sussulta e traballa. Virtuoso equilibrista! Le aggrovigliate matasse degli spaghetti vengono deposte accuratamente sul piatto di ognuno: segue il secondo, col pomodoro.

Poi i treni si arrestano sotto le volte basilicali cui sperimentati ingegneri hanno calcolato, applicando i teoremi di Castigliano e di Maxwell. Negli atri vasti della stazione riversano la folla di tutti: le stupende signore, i solidi uomini dell'industria e del traffico: e viaggiatori in generale.

Ricordт ancora sua madre.

 

VI. La morte di Puk

Quel suo occhio diceva: “ Kant ha ragione ”. Diedri e prismi, luci ed ombre e colori vanivano: le cosiddette mosche avevano lasciato ogni paura.

Eppure con che rabbia, con che prontezza le sapea prendere al volo! Poi starnutava.

Adesso moriva: ossia capiva che la rabbia, i prismi, i rumori sospetti e la luce stessa e tutto non erano se non un catalogo vano.

Egli aveva servito con fedeltа; quale causa? Che domande!.... Con quale premio?.... Che c'entra, che c'entra!

C'era anche la favola del cane ben pasciuto, che s'imbatte nella nobile e sarcastica predica del cane magro.

Ma era una stupidaggine.

Egli aveva dato il coraggio, l'allegrezza, la devozione, la vita: ciт, non era sua colpa, gli metteva addosso un tremendo appetito. Dagli uomini, che comandano, quel suo fervido sentire era stato ripagato a tocchi di pane: abboccandoli a volo, si levava il male. Per conto suo, poi, s'era aiutato trafugando polpette.

Nel cacciarsi ferocemente dentro la macchia, non aveva mai pensato che esistono scrittori di favole.

Puk (era tanto stanco!) potи ancora riepilogare: una volontа buona lo aveva sempre animato!

Adesso moriva: ossia tutto perdeva, per lui, il significato di quando era nato e cresciuto.

Altri si sarebbero occupati delle diverse faccende, che erano in corso, interpretando le cose secondo schemi convenzionali.

 

VII. Sogno ligure

Entrando nella chiesa, c'era un odor chiuso, fresco, un po' muffo, di vecchie grosse mura nobili genovesi: e volte, con stucchi solenni e freddi, dove il barocco ha stentatamente curvato l'aulico e rigido cinquecento. Non и facile piegare chi и duro.

Dentro quegli stucchi lo Strozzi, il Magnasco e il potente Ferrari avrebbero potuto essere con dignitа corniciati.

C'era quel fresco odore di chiuso nobilesco, seicentesco, grosse mura, inarrivabili finestre: di lа dalle quali l'animo avrebbe potuto bere del cobalto, indaco, spezie, lontani mari.

Li corrono moreschi pirati e nel fulgore accecante vi и guardia delle torri pisane.

Nessuno и visto: da dietro le feritoie scrutano se nel denso e misterioso meriggio, come si aduna un turbine, si palesi lo stormo delle fuste da preda.

Scrigni con gemme e ricchissimi drappi: nei visi turpi de' barbareschi и l'avorio dei denti, che la ferocia discopre. Baleno dei lucenti pugnali.

Ma i provvedimenti dei sagaci ammiragli faranno libero il mare. Occorre che alle loro deliberazioni si addivenga in sede di consiglio e si dia registro ad ognuna: sorgano salde le mura, che l'impeto dei fortunali raggiunge il verde Polcйvera. Se ne commetta l'incarico all'Alessio, si consulti il vecchio Filarete, siano mandati a chiamare quegli altri, giа, lo Strozzi, il Magnasco, il potente Ferrari.

Il mare di lapislazuli, squamato d'oro, urlava profondo contro i sugheri enormi ch'egli va bugnando dalla scogliera. Gli ulivi ed i pini facevano rade o fresche ombre sul clivo ripido, poi precipite. E, nelle altissime fronde, il ven-1 to issava dolcezze, memorie, speranze: fragore giocondo!

Sulla terrazza che circonda il faro, una formosissima! donna sculacciava tremendamente un suo pargolo, forse il | sesto; che invece di piangere, rideva e frignava e poi stril1ava, dimenando all'indietro le gambe grasse, forti, come nuotasse.

C'era il sentiero degli inglesi, con parapetto, alcuni dei quali furono anche poeti e vollero che i sogni loro avessero da questo mare ogni luce.

Perт accade piщ spesso che essi si dedichino al traffico. Prospero, Duca legittimo di Milano, incantatore delle , tempeste, questo mare circonda l'isola luminosa ove sorri- i de la tua dolce figlia.

Sul mare nessuna nave in quell'ora, nemmeno inglese.

 

VIII. Diario di bordo

Oceano Atlantico.

Venerdм, 8 dicembre 1922. Ore 10.30'.

A bordo del “ Principessa Mafalda ”.

Quando la barca su cui era salita darа, accompagnata da Piero, non potи piщ seguitarci e si smarrм nel porto, lasciai la tolda di poppa, riposi il mio fazzoletto verde a disegni e mi avviai lentamente alla mia classe. L'una pomeridiana era passata: 30 novembre 1922, giovedм. Servivano giа la colazione nel salone da pranzo. Chiesi al maмtre dove potessi sedermi. M'indicт una tavola, dov'erano due, presso la vetrata di destra. Mi sedetti al mio posto, volgendo le spalle alla prora. E mentre i servi andavano e venivano con passi silenziosi sul tappeto e qualche posata tinniva, studiai sul cartoncino il menu. Quel primo senso d'oppressione e di nausea che m'avea colto al veder la mia cella, sul primo entrarvi, quando mi sedetti, fra Clara e Luigi che rimanevano in piedi, и ora passato. Le vetrate, gli argenti, il tappeto, i servi inguantati e l'aspetto della bionda, sorridente Riviera (che mi ricorda la gita fatta lo scorso anno, da Genova a Rapallo, sul “ Bon voyage ”) tolgono a questi momenti i pensieri dolorosi, le recenti angosce del distacco dalla mamma, da Clara.

Tutto mi dice: mangia, sta' bene! Intanto un quatto commensale и venuto a sedersi alla nostra tavola: и giovane, calvo, bassotto: e mangia tacendo.

Invece una conversazione vivace и tra i due altri: un vecchietto spagnolo, elegante ed arzillo, che si fermerа a Barcellona, e un signore che non capisco se sia argentino o italiano, tutto raso.

Il signore spagnolo, secco e netto, sorridente e rubicondo, con candidissima biancheria, parla del piщ e del meno con vivacitа: e vanta, ad un certo punto, la saggia neutralitа spagnola, confrontandola con l'intervento italiano, semenza d'inenarrabili mali, fra cui il deprecato svalutamento della lira.

Il signore raso approva, se pure senza entusiasmo.

Poi il signore spagnolo parla dei suoi viaggi, degli amici che lo attendono; e scioglie un inno a San Remo, incantato sorriso della Italia, e ricorda poi ancora viaggi, amici, e tante cose. Lo trovo intelligente e simpatico, e che sa godere bene la sua vita: e invidio anche i suoi soldi sottintesi, che gli hanno permesso di essere piщ intelligente di me.

I servi portano le ultime cose, le frutta, silenti, rapidi, assorti nei loro problemi di posateria e di smistamento. Di lа dalle vetrate и la Liguria piena di sole. Guardo, stanco, il cartoncino dalla sigla in oro rilevato N. G. I., dal titolo rosso P.fo Principessa Mafalda; i nomi dei piatti sono in italiano, compreso il consumato. Quel fregio d'oro m'ha distratto, m'ha distratto l'arazzo che sta nel grande quadrato della parete: sta bene, c'и del gusto. Come l'arazzo и rettangolare, le due aree laterali che non riesce a tenere sono di damasco verde, a fiorami. I due verdi da lato, le figure cavalieresche nel mezzo, le bella cornice di legno, i fiori di cui le tavole sono soffuse, le lampade da tavolino, il soffice tappeto verdeazzurro, e i cristalli e gli argenti sono ciт che viene con me per il signorile Mediterraneo. Rimangono le rocce e i giardini, ed i fari.

Rimangono i dipinti, i palazzi, le drogherie. Poi anche i monti, quelli che vedo ancora e quelli che giа sono dispariti .....



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