ITALO SVEVO
La novella del buon vecchio e della bella
fanciulla
I.
Ci fu un preludio
all'avventura del buon vecchio, ma si svolse senza ch'egli quasi l'avvertisse.
In un breve istante di riposo dovette ricevere nel suo ufficio una vecchia
donna che gli presentava e raccomandava una fanciulla, la propria figlia. Erano
state ammesse alla sua presenza in forza di un biglietto di presentazione di un
suo amico. Il vecchio strappato ai suoi affari non arrivava a levarseli del
tutto dalla mente e guardava intontito il biglietto sforzandosi d'intenderlo
presto e presto liberarsi dalla seccatura.
La vecchia non tacque per
un solo istante, ma egli non ritenne o percepí che qualche breve frase:
- La giovinetta era forte, intelligente e sapeva leggere e scrivere, ma meglio
leggere che scrivere. - Poi una frase che lo colpí perché strana:
- Mia figlia accetta qualsiasi impiego per l'intera giornata purché le
avanzi il breve tempo di cui ha bisogno per il suo bagno quotidiano. - Infine
la vecchia disse la frase che portò la scena ad una rapida conclusione:
alla Tramvia prendono ora delle donne al posto di conduttrici e bigliettarie.
Subito deciso, il vecchio
scrisse un biglietto di raccomandazione per la Direzione della Società
Tramviaria e congedò le due donne. Lasciato ai suoi affari, li
interruppe ancora per un istante per pensare: - Chissà perché
quella vecchia volle dirmi che sua figlia si lava ogni giorno? - Scosse la
testa sorridendo con aria di superiorità. Ciò prova che i vecchi
son ben vecchi quando hanno da fare.
II.
Una vettura tramviaria
correva sul lungo viale di Sant'Andrea. La conduttrice, una bella fanciulla
ventenne, teneva l'occhio bruno fisso sulla via larga, polverosa, piena di
sole, e si compiaceva di far andare a precipizio il carrozzone cosicché agli
scambi le ruote stridevano e la cassa della vettura carica di gente sobbalzava.
Il viale era deserto. Tuttavia la giovinetta procedeva picchiando continuamente
col piedino nervoso la leva azionante il campanello d'allarme. Lo faceva non
per prudenza, ma perché essa era tanto infantile che riusciva a
convertire il lavoro in un giuoco, e le piaceva di correre cosí e di far
rumore con quella macchinetta ingegnosa. Tutti i bambini amano di gridare
quando corrono. Era vestita di cenci colorati. Causa la sua grande bellezza
sembrava travestita. Una giubba rossa sbiadita le lasciava libero il collo,
poderoso in confronto della faccina un po' patita, e libera l'incavatura
precisa che avvia dalla spalla alla delicatezza del petto. Il gonnellino
azzurro era troppo breve, forse perché nel terzo anno di guerra
mancavano le stoffe. Il piedino sembrava nudo in uno scarpino di panno e il
berretto azzurro le schiacciava dei riccioli neri non molto lunghi. Guardando
la sola sua testa si sarebbe potuta credere un maschietto se già
l'attitudine di quella sola parte non avesse tradito civetteria e
vanità.
Sulla piattaforma, intorno
alla bella operaia, c'era tanta gente che la manovra del freno era appena
possibile. Vi si trovava anche il nostro vecchio. Egli doveva arcuarsi a
qualche piú violento sobbalzo della vettura per non venir gettato
addosso alla conduttrice. Era vestito con grande accuratezza, ma anche con la
serietà conforme alla sua età. Veramente una figurina signorile e
gradevole. Ben pasciuto in mezzo a tanta gente pallida e anemica, non
rappresentava per questa ancora un'offesa perché non era né
troppo grasso né troppo fiorente. Dal colore dei suoi capelli e dei suoi
baffetti corti gli si sarebbero dati 60 anni di età o giú di
lí. Non trapelava in lui alcuno sforzo di apparire piú giovane.
Gli anni possono impedire l'amore ed egli da molti anni non aveva pensato a
quello, ma favoriscono gli affari ed egli portava i suoi anni con superbia, e,
se cosí si può dire, giovanilmente.
La prudenza era invece conforme alla sua età, e non si trovava bene in quel carrozzone mastodontico lanciato a tanta velocità. La sua prima parola rivolta alla fanciulla fu di ammonimento: - Signorina!
Al vezzeggiativo signorile
la fanciulla rivolse a lui i begli occhi, esitante, non essendo certa ch'egli
avesse voluto parlare con lei. Il buon vecchio ricavò tanto piacere da
quello sguardo luminoso che ne fu attenuata la sua paura. Mutò
l'ammonimento che avrebbe avuto significato di rampogna, in uno scherzo: - Non
m'importa mica di essere qualche minuto prima al Tergesteo -. Sembrò
sorridesse per il proprio scherzo e cosí poté creder la gente
intorno a lui, ma invece il suo sorriso era stato rivolto a quell'occhio che
gli era parso nello stesso tempo birichino e innocente. Le donne belle sembrano
sempre dapprima intelligenti. Un bel colore o una bella linea sono infatti
l'espressione dell'intelligenza piú assoluta.
Essa non sentí le
parole, ma fu rassicurata perfettamente di quel sorriso che non lasciava dubbio
sulle disposizioni benevole del vecchio. Comprese ch'egli si trovava a disagio
in piedi e gli fece posto perché potesse appoggiarsi accanto a lei sul
parapetto. E la corsa continuò vertiginosa fino al Campo Marzio.
La fanciulla, allora,
guardando il buon vecchio quasi a domandargli un consenso, sospirò: -
Qui comincia la grande noia! -. Il carrozzone si mise infatti a traballare
lento e pesante sulle rotaie.
Quando un vero giovine
s'innamora, il suo amore spesso provoca nel suo cervello delle reazioni che
presto con il suo desiderio non hanno nulla da fare. Quanti giovani che
potrebbero quietarsi beatamente in un letto ospitale, non gettano per aria
almeno la loro casa credendo che per andare a letto con una donna occorra prima
conquistare, creare o distruggere. Invece i vecchi, di cui si dice che sieno
meglio protetti dalle passioni, vi si abbandonano in piena consapevolezza ed
entrano nel letto della colpa solo con debito riguardo ai raffreddori.
Semplice l'amore non
è neppure per i vecchi. Da loro viene complicato nei motivi. Essi sanno
che devono scusarsi. Il nostro vecchio si disse: - Ecco la mia prima vera
avventura dopo la morte di mia moglie. - Secondo il linguaggio dei vecchi
è vera un'avventura in cui c'entri anche il cuore. Si può dire
che raramente un vecchio è tanto giovine da poter avere un'avventura non
vera poiché è un'estensione che serve a mascherare una debolezza.
Cosí i deboli quando danno un pugno impiegano non solo la mano, il
braccio e la spalla, ma anche il petto e l'altra spalla. Il pugno per lo sforzo
troppo esteso diventa debole mentre l'avventura perde in chiarezza e diventa
piú pericolosa.
Poi il vecchio
pensò ch'era l'occhio infantile della giovinetta che l'aveva conquiso. I
vecchi quando amano passano sempre per la paternità e ogni loro
abbraccio è un incesto di cui ha l'acre sapore.
E il terzo pensiero
importante ch'ebbe il vecchio sentendosi deliziosamente colpevole e
deliziosamente giovane fu: - La gioventú ritorna. - L'egoismo del
vecchio è tanto grande che il suo pensiero non resta attaccato
all'oggetto del suo amore neppure per un istante senza ritornare subito a
vedere se stesso. Quando vuole una donna ricorda re Davide che dalle giovinette
si aspettava la gioventú.
Il vecchio da commedia
antica convinto di poter emulare la gioventú, quando pure oggi esista, dev'essere
rarissimo. Il mio vecchio continuò a monologare e si disse: - Ecco una
giovinetta ch'io comprerò… se è in vendita.
- Tergesteo! Non scende? -
domandò la giovinetta prima di far muovere il carrozzone. Il buon
vecchio, nell'imbarazzo, guardò l'orologio: - Procederò per un
altro poco, - disse.
Non v'era piú tanta
gente ed egli non aveva piú alcun pretesto per restare tanto vicino alla
giovinetta. Si rizzò e si appoggiò ad un canto donde poteva
vederla con comodità. Essa dovette accorgersi di essere contemplata
perché quando la manovra non la occupava lo sbirciava con
curiosità.
Egli le chiese da quanto
tempo si trovasse a quel lavoro tanto faticoso. - Da un mese! - Non era tanto
faticoso, essa diceva nell'atto stesso in cui doveva convertire tutto il suo
corpicino in una leva per azionare il freno meccanico, ma talvolta molto
noioso. Il peggio di tutto era che la retribuzione che riceveva non bastava. Il
padre suo lavorava ancora, ma, dato il prezzo di tutti i viveri, era difficile
di uscirne. E, sempre intenta al lavoro, lo interpellò col suo nome di
famiglia: - Se Lei volesse, a Lei sarebbe facile di trovarmi qualche cosa di
meglio, - e lo guardò immediatamente per vedere sulla sua faccia
l'effetto di quella preghiera.
L'improvviso intervento
del proprio nome scosse un poco il buon vecchio. Il nome di un vecchio è
sempre un poco antico e impone perciò degli obblighi a chi lo porta.
Egli cacciò dalla propria faccia ogni traccia di tensione che poteva
tradire il suo desiderio. Non si meravigliò che la giovinetta conoscesse
il suo nome perché la città allora era stata abbandonata da quasi
tutte le famiglie piú ricche e i pochi abbienti che vi risaltavano.
Guardò altrove e disse con serietà: - Ora è un po' difficile!
Ma ci penserò! Che cosa sa fare Lei? - Essa sapeva leggere, scrivere e
far conti. Di lingue non conosceva che il triestino e il friulano.
Una vecchia popolana sulla
piattaforma si mise a ridere rumorosamente: - Il triestino e il friulano! Ah!
Questa è buona! - La giovinetta rideva anche lei mentre il vecchio,
sempre irrigidito nello sforzo di non far comprendere la sua intima
eccitazione, rideva di un riso falso. La popolana cui piaceva di discorrere con
un simile signore non cessò piú di chiacchierare e il vecchio vi
si prestò per poter simulare meglio un'indifferenza. Infine essa li
lasciò soli. Subito il vecchio scattò: - A che ora è
libera Lei? -
- Alle nove di sera.
- Ebbene! - disse il buon
vecchio. - Venga questa sera perché domani sono impedito. - E le diede
il suo indirizzo ch'essa ripeté due o tre volte per non obliarlo.
I vecchi hanno furia
perché la legge di natura sui limiti di età incombe su loro.
Quell'appuntamento chiesto con l'aspetto del filantropo protettore e concesso
con la dovuta gratitudine pur fece trasecolare dalla gioia il vecchio. Come le
cose lo favorivano!
Ma i vecchi amano la
chiarezza negli affari ed egli non si decideva ancora a lasciare quella
piattaforma. Si domandava ansiosamente, dubitando della propria fortuna: - E
basta questo? Non occorre dell'altro? E se essa credesse sul serio di essere
stata invitata ad andare a prendere una raccomandazione onde ottenere un
impiego? - Egli non voleva restare inutilmente eccitato fino alla sera e
avrebbe voluto essere piú sicuro del fatto suo. Ma come dire la parola necessaria
senza compromettere il proprio avito nome neppure dinanzi alla fanciulla nel
caso che essa sinceramente non volesse accettare da lui altro che un impiego?
In fondo la situazione era quasi identica a quella che sarebbe stata nel caso
che egli fosse stato piú giovane di cosí. Ma egli era vecchio! I
giovani dopo un poco di esperienza od anche prima di averne alcuna trovano
tutto quello che occorre mentre il vecchio è un amatore disorganizzato.
La macchina per fare all'amore manca in essi di almeno una rotella.
Infine il vecchio non
inventò ma ricordò. Ricordò che ventenne, dunque una
quarantina d'anni prima, cioè molto prima di sposarsi, ad una donna
(molto piú vecchia di quella sulla piattaforma della tramvia), che con
un pretesto qualunque e dinanzi a terzi aveva già promesso di venire,
egli, a bassa voce, ma concitatamente aveva ripetuto l'invito: - Verrà?
- Sarebbe bastata quella parola. Però qui la strada che invidia l'amore
dei giovani e ride di quello dei vecchi, lo guardava, e perciò non
doveva esserci concitazione nella sua voce.
Nell'atto di abbandonare
il carrozzone egli disse alla giovinetta: - Io l'aspetto dunque questa sera
alle nove. - Poi, ricordando, scoperse che la sua voce, causa la strada o causa
il desiderio, aveva tremato. Ma non subito se ne avvide e quando la giovinetta
rispose: - Certo! Io non mancherò! - stornando per un istante l'occhio
dalle rotaie e rivolgendoglielo, gli parve che la promessa fosse stata fatta al
filantropo. Ma, ripensandoci, tutto fu chiaro come quarant'anni prima. Nel
lampo di quell'occhio s'era rivelata la malizia come nella propria voce
l'ansia. Era certo che s'erano intesi. Madre natura benignamente gli concedeva
un'altra volta, l'ultima, di amare.
III.
Il vecchio si avviò
al Tergesteo col passo piú elastico. Si sentiva molto bene, il buon
vecchio. Forse tutto ciò gli era mancato da troppo tempo. Causa le sue
tante occupazioni egli aveva dimenticato qualche cosa di cui il suo organismo
ancora giovanile realmente abbisognava. Sentendosi tanto bene non ne poteva
dubitare.
Al Tergesteo arrivò
troppo tardi. Dovette perciò correre al telefono per riparare al
ritardo. Per una mezz'ora gli affari lo riebbero tutto. Anche tale calma fu per
lui un argomento di soddisfazione. Ricordava che in gioventú l'attesa era
stata tale tortura e delizia che poi la gioia aspettata in confronto
impallidiva. La tranquillità gli apparve quale una prova di forza e qui
certamente si ingannava.
Lasciati gli affari,
s'avviò all'albergo ove sempre mangiava come molti altri abbienti che
cosí risparmiavano le provviste immagazzinate. Continuava ad esaminarsi
camminando. Il desiderio in lui era virilmente calmo, ma intero. Non aveva
dubbi e non ricordava neppure che in gioventú, da persona fine quale
egli era, ogni simile avventura aveva agitato nel suo petto tutti i problemi
del male e del bene. Vedeva solo un lato del problema e gli pareva che
ciò ch'egli prendeva gli spettasse se non altro quale un indennizzo per
il tanto tempo in cui era stato privo di tanta gioia. In genere è certo
che la maggior parte dei vecchi crede di aver molti diritti e soli diritti.
Sapendo di non essere piú raggiungibili da un'educazione, credono di
poter vivere proprio come il loro organismo domanda. Il buon vecchio s'assise
al tavolo con un desiderio d'assimilazione che gli ricordava la vera
gioventú. Beato, pensò: - La buona e bella cura comincia.
Tuttavia nel tardo
pomeriggio quando, abbandonato l'ufficio, il vecchio, per risparmiarsi l'attesa
inerte in casa andò a passeggiare lungamente alla riva ed al molo, vi fu
nel suo petto un lieve sobbollimento morale, che non passò senza lasciar
traccia di sé nella sua anima. Non ebbe però alcuna influenza sul
corso delle cose perché egli, come tutti i vecchi e i giovani, fece
quello che gli piacque pur sapendo meglio.
Il tramonto estivo era
chiaro e pallido. Il mare gonfio, stanco e immobile, sembrava scolorito in
confronto del cielo ancora lucente. Si vedevano chiaramente i profili delle
montagne digradanti verso la pianura friulana. Si intravedeva anche l'Hermada e
si sentiva vibrare l'aria scossa dai colpi incessanti del cannone.
Ogni manifestazione di
guerra cui il vecchio assisteva, gli faceva ricordare con uno stringimento di
cuore ch'egli in seguito alla guerra guadagnava tanto denaro. A lui dalla
guerra risultava la ricchezza e l'abiezione. Quel giorno pensò: - Ed io
tento di sedurre una fanciulla del popolo che colà soffre e sanguina! -
Era abituato da lungo tempo al rimorso dei buoni affari che faceva ed egli
continuava a farne ad onta del rimorso. La sua parte di seduttore era nuova e
perciò era piú nuova e intensa la sua resistenza morale. I nuovi
delitti non s'accordano tanto facilmente con le proprie moralissime convinzioni
e ci vuole del tempo per fare adagiare pacificamente gli uni accanto alle
altre, ma non c'è da disperarsene. Intanto là, al molo, in
cospetto dell'Hermada in fiamme il buon vecchio abbandonò il suo
proposito. Avrebbe avviata la sua giovinetta ad un sano lavoro e non sarebbe
stato per lei altri che filantropo.
L'ora fissata per l'appuntamento
era pressoché giunta. La lotta morale aveva reso ancora meno difficile
il compito di attenderla. Il proposito del filantropo accompagnò il buon
vecchio a casa lasciandogli sempre il passo da conquistatore che aveva adottato
la mattina scendendo da quella piattaforma della tramvia.
Neppure a casa la
risoluzione mutò, ma gli atti non vi si conformarono. Offrire una
cenetta alla giovinetta non era piú opera da filantropo. Egli aperse
delle scatole di commestibili delicati e preparò una cenetta fredda prelibata.
Sul tavolo, in mezzo a due bicchieri di cristallo, pose una bottiglia di
sciampagna. Non per altro: il tempo era molto lungo.
Poi venne la giovinetta.
Era molto meglio vestita che alla mattina, ma ciò non fu decisivo
perché piú desiderabile non poteva divenire. Il vecchio in
cospetto dei dolci e dello sciampagna assunse un aspetto paterno cui la
giovinetta non badò perché teneva sempre rivolto l'occhio
innocente alla buona cena. Egli le disse che intendeva di farle insegnare un
po' di tedesco di cui avrebbe abbisognato per l'impiego e allora essa ebbe una
parola che fu decisiva. Dichiarò che era disposta di lavorare tutto il
giorno a patto che le si lasciasse mezz'ora di tempo per il suo bagno.
Il vecchio si mise a
ridere: - Ci conosciamo dunque da molto tempo? Non è Lei quella
giovinetta che venne da me con la mamma… Come sta quella cara signora?
La parola fu veramente
decisiva prima di tutto perché cosí egli aveva appreso che si
conoscevano da tanto tempo. La durata dà ad un'avventura un aspetto piú
serio. Poi anche la garanzia del bagno quotidiano è, specie per un
vecchio, di un'importanza evidente. Adesso, appena, avrebbe potuto intendere,
se ci avesse pensato, la ragione per cui la madre della giovane aveva
menzionato il bagno. Il suo fare da filantropo sparí. La guardò
ridendo negli occhi, quasi volesse irridere al proprio sforzo morale,
l'afferrò per una mano e l'attrasse a sé.
Poi il vecchio avrebbe
voluto riprendere subito il suo aspetto da filantropo. Che scopo c'era ormai di
conservare l'aspetto odioso del seduttore? Ebbe il buon gusto di non parlare
piú di impieghi. Diede invece presto del denaro. Poi, dopo una lieve
esitazione, ne diede separatamente una seconda volta e questo lo destinò
a quella cara Signora, alla mamma. Per apparire filantropico bisogna pur dare
anche a chi non ha meritato. Poi è vero che i vecchi danno sempre il
denaro a rate, mentre i giovani vuotano con un solo gesto la tasca salvo a
pentirsene poi.
La giovinetta ebbe
cosí l'arduo compito di dover accettare per ben due volte il denaro, e
fingere per due volte di non volerne. Per una volta è facile e tocca a
tutte. Ma la seconda volta? Essa non trovò la variazione che occorreva e
ripeté macchinalmente la parola e il gesto che aveva impiegati la prima
volta. Anche la terza volta avrebbe detto: - Del denaro? Io non ne voglio! - e
l'avrebbe preso dichiarando: - Ma io ti voglio bene! - Dopo la seconda volta
restò un po' turbata e il vecchio attribuí tale turbamento al suo
disinteresse. Invece può anche essere ch'essa dubitasse che l'importo
datole fosse stato piccolo e frazionato in due per farlo apparire maggiore.
Quest'avventura tanto
semplice divenne piú complessa nella mente torbida del buon vecchio.
È destino! Per un verso o per l'altro, anche quando un vecchio paga
sapendo che i favori non possono piú essergli regalati, egli finisce
sempre col falsare le avventure d'amore e merita presto il riso di Beaumarchais
e la musica di Rossini. Il mio buon vecchio, - tanto intelligente - non rise
delle parole pur cosí poco elaborate della giovinetta. L'avventura
doveva restare «vera» ed egli collaborava volonteroso alla falsificazione. La
giovinetta era tanto graziosa che nessuna sua parola poteva apparire stonata.
Ora tale falsificazione ebbe qualche importanza ma solo nell'anima del vecchio.
All'esterno non ne ebbe altra che di rendere un po' piú lunga la durata
di quel primo abboccamento ed anche di quelli che seguirono. Se il vecchio
avesse potuto comportarsi secondo il suo desiderio, avrebbe allontanata presto
la giovinetta perché i vecchi hanno l'immoralità breve. Ma con
una donna che ama non si può mica procedere cosí alla spiccia.
Egli non era un vanesio. Pensava: - La giovinetta ama il lusso del mio ufficio,
della mia casa, della mia persona. Forse le piace anche la dolcezza della mia
voce e la finezza dei miei modi. Ama questa mia stanza in cui vi sono tanti
buoni cibi. Ama tante mie cose che un poco può amare anche me. -
L'offerta dell'amore è un bellissimo complimento e piace anche quando
non si sa che farsene. Alla peggio può almeno equivalere ai titoli
cavallereschi delle persone che negoziano in buoi, eppure si sa che ne vanno
tanto gelose. Essa gli disse, ma senza alcuna intenzione di farne una tragedia,
ch'egli era stato il suo primo amante. Ed egli lo credette. Insomma il buon
vecchio dovette trattenersi per non offrire denaro per la terza volta.
S'adagiò tanto volentieri in cosí grande dolcezza da sentirsi
ferito allorché essa gli disse di non amare i giovani e di preferire i
vecchi. Fu un brutto risveglio di sentirsi dare del vecchio e un dolore di
dover inchinarsi per ringraziare della gentile dichiarazione. Però
l'abboccamento anche quando fu meno amoroso non fu certo una tortura per il
buon vecchio. La fanciulla era tutta occupata a distruggere la buona cena che
le era stata offerta e cosí lui poteva riposare a suo agio.
Fu però lieto di
vederla partire e di restare solo. Egli era uso alla conversazione delle
persone serie e non gli era possibile di sopportare per troppo tempo il vacuo
discorso della bella giovinetta. Si dirà che vi sono artisti e
pensatori, gente piú seria del mio vecchio commerciante, che da giovani
sopportano con delizia il cinguettio di una bella bocca. Ma si vede che i
vecchi per certi rapporti sono piú serii dei piú serii giovani.
Il buon vecchio
andò a coricarsi sempre un po' preoccupato. Quando fu nel suo letto
disse: - Non pensiamoci piú. Forse non la vedrò mai piú. -
Era tanto poco sicuro del proprio amore che aveva stabilito con lei che al
prossimo ritrovo l'avrebbe invitata con un bigliettino. Bastava perciò
non scrivere ed egli ridiveniva l'uomo virtuoso ch'era stato sempre.
Prima di pigliar sonno fu
torturato dalla sete. Aveva bevuto troppo e mangiato delle cose troppo condite.
Chiamò la donna che gli dirigeva la casa e ne ebbe un bicchiere d'acqua
e un'occhiataccia di rimprovero. Essa - non piú tanto giovine - aveva
sempre sperato di finire padrona della casa. Poi aveva pensato che il ritegno
del vecchio fosse dovuto al suo spirito di casta e vi si era rassegnata
perché in una o nell'altra casta si nasce senza propria colpa. Ora essa
aveva potuto vedere per un istante la giovinetta quando costei
s'allontanò. Apprese perciò che lo spirito di casta non impediva
nulla al buon vecchio. Ciò equivalse per lei ad un vero e proprio
schiaffo. Si dirà che anche le qualità che rendono piú o
meno desiderabili non dipendono dal proprio merito o demerito. Ma essa riteneva
di avere quelle qualità e perciò era colpevole il vecchio di non
avvedersene.
IV.
La parola con cui il
vecchio richiamò la fanciulla al ritrovo fu scritta pochi giorni
appresso, ben prima di quanto egli l'avesse previsto quella sera coricandosi.
Le scrisse sorridendo, contento di sé. Si lusingò anche che il
secondo abboccamento sarebbe stato piú ricco di gioie. Invece fu
identico al primo. Quando congedò la giovinetta fu altrettanto prudente
come la prima volta e stabilí di nuovo ch'essa sarebbe ritornata a lui
quando egli l'avrebbe richiamata. La richiamò ancor piú presto al
terzo abboccamento, ma il congedo fu lo stesso. Mai arrivò a stabilire
subito il prossimo convegno. Perché il buon vecchio era sempre felice:
quando chiamava la fanciulla e quando la congedava, cioè quando
intendeva di ritornare alla virtú. Se, congedando la fanciulla, egli
avesse subito stabilito il prossimo ritrovo, tale ritorno alla virtú
sarebbe stato meno intero. Cosí invece mancava ogni compromissione e la
sua vita restava regolata e virtuosa con l'eccezione di un brevissimo
intervallo.
Degli abboccamenti poco
piú ci sarebbe da dire se il vecchio non fosse stato colto dopo qualche
tempo da una folle gelosia. Folle non per la sua violenza ma per la sua
stranezza. Ecco: non si manifestava quando egli scriveva alla giovinetta
perché era il momento in cui egli la portava via agli altri; né
quando la congedava perché era il momento in cui agli altri la
consegnava, volonteroso, tutta. La gelosia da lui s'accompagnava proprio
all'amore, nello spazio del tempo. L'amore ne era rilevato e l'avventura
diveniva piú «vera» che mai. Una delizia e un dolore indescrivibile. A
un dato momento gli si figgeva in mente il pensiero che la giovinetta senza
dubbio avesse degli altri amanti e tutti giovani quanto lui era vecchio. Se ne
doleva per sé (oh! tanto!), ma anche per lei che poteva perderci ogni
possibilità di vita decorosa. Guai se si fosse fidata di altri come
s'era fidata di lui. Nella gelosia faceva capolino la propria colpa. È
perciò che a compensare il proprio iniquo esempio, il vecchio
s'abituò a predicare la morale proprio quando faceva all'amore. Le
spiegava quanti pericoli le potevano derivare dagli amori disordinati.
La giovinetta protestava
di non avere che un amore, quello per lui. - Ebbene! - gridava il vecchio
nobilitato nello stesso tempo dall'amore e dalla morale, - se tu, per ritornare
alla virtú dovessi risolvere di non vedermi piú, io ne sarei
felice. - Qui la giovinetta non rispondeva e ciò per buone ragioni. Per
lei l'avventura era chiara tanto che non le era possibile di mentire come
faceva lui. Non bisognava lasciare per il momento quella relazione. Era anche
facile di tacere quando egli la copriva di baci. Quando però egli si
permetteva uno sfogo piú sincero e parlava, - attribuendoglieli - di
altri amanti, allora essa ritrovava la parola: - Come poteva crederlo? Prima di
tutto essa non passava le vie della città altro che in tramvai, poi sua
madre la sorvegliava e infine nessuno voleva saperne di lei, poveretta! - E
giú un paio di lagrime. Cattiva retorica quella che s'appiglia a tanti
argomenti, ma intanto dal vecchio sparivano l'amore e la gelosia e si poteva
ritornare alla cena.
Si può da
ciò vedere come funzionino regolarmente i vecchi. Dai giovani ogni
singola ora è disordinatamente occupata dai sentimenti piú
disparati mentre dai vecchi ogni sentimento ha la sua ora, tutta. La giovinetta
camminava di conserva col vecchio. Quando la voleva, veniva; se ne andava
quando non la voleva piú. Discutevano! Poi facevano all'amore e
mangiavano indi di buonissimo umore.
Il vecchio, forse,
mangiava e beveva troppo. S'attaccava ad una manifestazione di forza.
Non voglio mica dire che
sia perciò che il vecchio ammalò. È chiaro che un eccesso
di anni è piú pericoloso che un eccesso di vino, di cibo e anche
di amore. Può essere che uno di tali eccessi aggravi l'altro, ma a me
non importa di asserire neppure tanto.
V.
S'era coricato tranquillo
come ogni sera e specialmente quelle sere in cui finalmente dopo di aver
mangiato tutto quello che le era stato offerto, la giovinetta se ne era andata.
Prese presto sonno.
Ricordò poi di aver sognato, ma tanto confusamente che egli niente
piú ricordava. Molte persone dovevano averlo circondato urlando,
discutendo con lui e fra di loro; poi tutte s'erano allontanate ed egli,
frastornato, s'era sdraiato su un sofà per riposare. Allora su un
tavolino proprio all'altezza del sofà vide un grosso topo che lo
guardava con i suoi piccoli occhi lucenti. V'era un riso, anzi una derisione in
quegli occhi. Poi il topo sparí, ma egli con spavento s'accorse che era
penetrato nel suo braccio sinistro e scavando furiosamente procedeva verso il
petto causandogli un dolore insopportabile.
Si destò ansante,
coperto di sudore. Era stato un sogno, ma qualche cosa di reale restava: il
dolore insopportabile. L'immagine dell'oggetto che causava il dolore subito
mutò. Non era piú un topo, ma una spada confitta nella parte
superiore del braccio e di cui la punta arrivava allo sterno; arcuata, non
tagliente ma ruvida e velenosa perché dove toccava comunicava il dolore.
Non gli permetteva il respiro e alcun movimento. La spada si sarebbe potuta
spezzare squarciandolo se egli si fosse mosso. Egli urlava e lo sapeva
perché lo sforzo di farsi sentire gli ledeva la gola, ma non
sentí con certezza il suono che emetteva. C'erano molti rumori in quella
stanza vuota. Vuota? In quella stanza c'era la morte. S'avvicinava a lui dal
soffitto un'oscurità profonda, una nube che quando lo avrebbe raggiunto,
gli avrebbe soppresso il piccolo respiro che ancora gli era concesso e
l'avrebbe tagliato per sempre da ogni luce mandandolo fra le cose basse e sudice.
L'oscurità s'avvicinava lentamente. Quando l'avrebbe raggiunto? Oh!
certo! Poteva anche dilatarsi da un momento all'altro e avvilupparlo e
strangolarlo in un attimo. Cosí era fatta la morte di cui aveva saputo
dall'infanzia in su? Cosí insidiosa e accompagnata da tanto dolore? Egli
si sentiva colare le lagrime dagli occhi. Piangeva dal terrore e non per
destare pietà, perché egli sapeva che pietà non c'era. E
il terrore era tanto grande che a lui parve di essere privo di colpa e di peccato.
Veniva strangolato a quel modo, lui buono e mite e misericordioso.
Quanto tempo durò
quel terrore? Egli non avrebbe saputo dirlo e avrebbe potuto credere che fosse
durato tutta una notte se la notte poi non fosse stata troppo lunga. Gli parve
che prima si fosse allontanata da lui l'oscurità minacciosa e poi il
dolore. La morte non c'era piú e il giorno appresso egli avrebbe
risalutato il sole. Poi il dolore si mosse e fu subito un sollievo. Fu esiliato
piú in alto verso la gola donde poi sparve. Egli s'avvolse nelle
coperte. Batteva i denti dal freddo e un tremito convulso gli impediva il
riposo. Il ritorno alla vita era però completo. Egli non gridò
piú e fu lieto che il suo lamento non fosse stato udito. La donna di
casa - maliziosa - avrebbe ritenuto causa del male la visita della fanciulla
della sera prima, per questa via egli ricordò la fanciulla e, subito,
pensò: - Io all'amore non faccio piú!
VI.
Il dottore, chiamato alla
mattina, esaminò, studiò, e non diede subito grande importanza
all'accesso. Il vecchio gli aveva raccontato l'avventura della sera prima,
compresovi cibo e sciampagna, e al dottore parve che il male fosse dovuto a
quel disordine. Disse ch'era sicuro che il male non si sarebbe ripetuto a patto
che il vecchio avesse saputo vivere in riposo, prendere regolarmente ogni due
ore una certa polvere e si fosse astenuto dal vedere l'oggetto del suo amore e
anche dal pensarci.
Il dottore che aveva la
stessa sua età ed era suo antico amico lo trattava con grande
confidenza: - Tu potrai andare dalla tua amante solo quando te lo
permetterò io.
Il vecchio, che ci teneva
alla propria salute piú del dottore, pensava invece: - Anche quando tu
me lo permettessi non andrei da lei! Stavo tanto meglio prima di conoscerla!
Poi, però, lasciato
solo, pensò subito alla giovinetta per liberarsene definitivamente. Egli
tuttavia ricordava che la giovinetta lo amava. La credeva perciò capace
di venire a trovarlo dopo qualche tempo anche senza suo invito. Tutti sanno la
potenza dell'amore. E allora che figura ci avrebbe fatta lui che aveva deciso
di non riceverla neppure col permesso del dottore? Le scrisse che
improvvisamente e per lungo tempo doveva lasciare la città. Al suo
ritorno l'avrebbe avvisata. Uní alla lettera un importo di denaro
destinato a saldare il conto con la propria coscienza. La lettera si chiudeva
anche con un bacio, scritto dopo un istante di esitazione. No! Quel bacio non
gli aveva alterato il polso.
Il giorno appresso si
sentí rassicurato per una notte tranquilla benché quasi insonne.
Il grande dolore non s'era ripetuto mentre egli, ad onta delle assicurazioni
del medico, aveva temuto di venirne colto ogni notte nell'oscurità. Si
ricoricò piú tranquillo e riacquistò la fiducia, ma non il
sonno. Si sentiva il brontolío del cannone ed il buon vecchio si
domandava: - Perché non hanno ancora inventato il modo di ammazzarsi
senza fare tanto chiasso? - Non era tanto lontano quel giorno in cui il suono
del combattimento aveva destato in lui un sentimento generoso. Ma la malattia
gli toglieva quel residuo di spirito sociale che la vecchiaia non era riuscita
a distruggere in lui.
Il dottore nei prossimi
giorni cacciò delle gocce fra polveretta e polveretta. Poi, per
garantire il sonno notturno, veniva di sera a fargli delle punture. Anche per
l'appetito venne la medicina speciale che bisognava prendere a date ore. Non
mancavano le occupazioni nella giornata del vecchio. E la donna di casa,
reietta nei giorni buoni, divenne molto importante. Il vecchio, che sapeva
essere riconoscente, si sarebbe forse affezionato a lei, che qualche volta
doveva levarsi anche di notte per propinargli delle medicine. Ma essa aveva un
difettaccio: non gli perdonava i suoi trascorsi e vi faceva allusione di
sovente. La prima volta che per cura dovette propinargli una piccola dose di
sciampagna, l'accompagnò con l'osservazione: - È tuttavia di
quella ch'era stata acquistata per tutt'altro scopo.
Per qualche tempo il
vecchio protestò volendo farle credere che fra lui e la giovinetta non
ci fosse altro che un affetto purissimo. Poi, visto ch'essa non si lasciava
smuovere dalla sua convinzione, egli cominciò a credere ch'essa la
sapesse lunga e lo avesse spiato. Chissà in quale istante? Lungamente
indagò per intenderlo. Arrossiva specialmente di quello che la donna
sapeva perché il resto non esisteva, ma con quella maledetta donna
finiva coll'esistere tutto date quelle sue allusioni vaghissime colle quali si
poteva ricordare l'avventura intera. Ne risultò ch'egli non poté
piú soffrire quella donna e la tollerava a sé daccanto soltanto
quando di lei aveva bisogno. Vero che ne aveva bisogno anche per chiacchierare,
cosí che neppure di quest'odio che sarebbe stato abbastanza vitale nulla
risultò. Si limitò a dire a bassa voce al medico: - È
brutta come il peccato.
In quella lotta con la sua
donna ricordava la giovinetta, ma non per rimpiangerla. Egli rimpiangeva solo
la salute o meglio ciò ch'egli riguardava come la propria
gioventú. La gioventú era morta con l'ultima visita della
giovinetta e il rimpianto di questa sussisteva nel rimpianto di quella. Ora,
sul serio, egli avrebbe procurato un impiego alla giovinetta… se egli avesse
riavuto la salute. Poi sarebbe ritornato alla sua grande proficua
attività e non al peccato. Il peccato era quello che danneggiava la
salute.
L'estate andò via.
Uno degli ultimi giorni sereni gli fu concesso di uscire in vettura. Il medico
l'accompagnò. L'esito non fu cattivo perché egli si sentí
lieto della variazione e il suo stato non peggiorò, ma col maltempo che
sopravvenne l'esperimento non si poté ripetere.
Cosí
continuò la sua vita vuota. Non v'era altra novità che nei
medicinali. Ogni medicinale era buono per qualche tempo. Poi per avere lo
stesso effetto bisognava aumentare la dose eppoi sostituirlo con un altro
medicinale. Vero è che dopo qualche mese si ritornava da capo.
In quell'organismo
però si creò un certo equilibrio. Se andava verso la morte il suo
movimento era impercettibile. Non si trattava piú del dolore, eroico per
la sua intensità, di quella notte quando la morte aveva alzato il braccio
per dargli il colpo decisivo. Tutt'altro. Forse - come era allora - non valeva
piú la pena di colpirlo. Egli credeva di stare ogni giorno meglio. Gli
pareva che l'appetito anch'esso fosse ritornato. Ci metteva del tempo ad
ingoiare le sue minestre insipide e credeva sinceramente di mangiare. In casa
c'erano ancora di quelle scatole contenenti cibi eccitanti. Il vecchio ne
prendeva una nelle mani tremanti: leggeva il nome della celebre fabbrica e la
riponeva. Pensava di conservarla per il giorno in cui sarebbe stato meglio. Per
quel giorno erano conservate anche bottiglie di sciampagna. S'era visto che per
la malattia quel vino non giovava.
La parte piú
importante della giornata era quella ch'egli passava ad una finestra nelle ore
piú calde. Quella finestra era un pertugio per cui si vedeva la vita che
continuava a svolgersi sulle strade anche dacché egli ne era stato
esiliato. Se la donna del peccato (cosí egli la chiamava) gli era
vicina, egli criticava con lei il lusso che tuttavia appariva sulle povere vie
di Trieste o compiangeva con tono alquanto enfatico la miseria che vi
transitava in processione. Di faccia alla sua casa vi era un fornaio e spesso a
quella porta si schierava la fila della gente che aspettava il tozzo di pane. Il
vecchio compiangeva quella gente che aspettava con tanta ansietà un pane
mal cotto che a lui faceva schifo, ma qui la sua pietà era una vera
ipocrisia. Egli invidiava coloro che liberamente si muovevano per le vie.
Puerilmente. In massima egli si trovava bene nella stanza protettrice, ben
riscaldata, ma gli sarebbe piaciuto di vedere anche al di là di quella
via. Gli esseri che passavano e destavano la sua curiosità,
perché vestiti troppo bene o troppo male, svoltavano ed ecco che per lui
erano perduti.
Una notte in cui non
poteva dormire, si mise a camminare per la stanza, e nell'ansietà di
moversi e di avere una distrazione andò alla finestra. La fila alla
porta del fornaio era già costituita, tanto lunga che anche di notte
macchiava di nero il marciapiede. Neppure allora compianse sinceramente quella
gente che aveva sonno e non poteva andare a dormire. Egli aveva il letto e non
poteva dormire. Stavano certo meglio i componenti della fila!
In quei giorni ci fu
Caporetto. Le prime notizie del disastro egli le ebbe dal suo medico venuto a
trovarlo per piangere in compagnia del vecchio amico, che egli (povero medico!)
credeva capace di sentire come lui. Invece il vecchio non vide in quell'evento
altro che un beneficio: la guerra si allontanava da Trieste e perciò da
lui. Il medico piangeva: - Non vedremo piú neppure i loro velivoli! - Il
vecchio mormorava: - Infatti! Forse non li vedremo piú! - Sentiva
nell'animo la gioconda speranza di notti tranquille, ma tentava di copiare
sulla propria faccia il dolore che vedeva impresso su quella del medico.
Nel pomeriggio, quando
stava bene, riceveva il suo procuratore, un vecchio impiegato che godeva di
tutta la sua fiducia. Negli affari il vecchio rimaneva abbastanza energico e
lucido, e l'impiegato ne traeva la conclusione che la malattia del vecchio non
fosse molto grave e che prima o poi sarebbe ritornato agli affari. Ma l'energia
negli affari era la stessa che lo dirigeva nella tutela della sua salute. La
piú lieve indisposizione lo induceva a rimandare gli affari al giorno
dopo. E per stare meglio sapeva anche dimenticare gli affari non appena il suo
impiegato se n'era andato. Si sedeva davanti alla stufa e amava di gettarvi dei
pezzi di carbone che guardava poi bruciare. Poi chiudeva gli occhi abbacinati e
li riapriva per riprendere lo stesso giuoco. Cosí passava la sera di
giornate pur esse tanto vuote.
Ma cosí non doveva
finire la sua vita. È il destino di certi organismi di non lasciar alcun
residuo per la morte che cosí non arriva ad afferrare altro che un vaso
vuoto. Tutto quanto poteva ardere arse e l'ultima sua fiamma fu la piú
bella.
VII.
Il vecchio era alla
finestra a guardare sulla via. Era un pomeriggio fosco. Il cielo era coperto da
una nebbia grigiastra e il selciato bagnato ad onta che non fosse piovuto da
due giorni. La fila degli affamati andava formandosi dinanzi alla porta del
fornaio.
Il caso volle che la
giovinetta passasse giusto allora dinanzi al balcone occupato da lui. Era senza
cappello, ma al vecchio che non avrebbe saputo indicare alcun particolare del
suo vestito parve meglio messa che nei tempi in cui l'amava. L'accompagnava un
giovane vestito esageratamente alla moda, inguantato, un fine ombrello che si
alzò alto due o tre volte col braccio che volle accompagnare la parola
evidentemente vivace. Anche la giovinetta rideva e ciarlava.
Il vecchio guardava e
ansava. Non era piú la vita altrui che passava per quella via, era la
propria. E il primo istinto del vecchio fu di gelosia. L'amore non c'entrava,
ma solo la piú abbietta gelosia: - Essa ride e si diverte mentre io sono
ammalato. - Avevano sbagliato insieme e a lui ne era derivata la malattia, a
lei nulla. Che fare? Essa procedeva col suo passo leggero e presto sarebbe
arrivata alla svolta della via dove sarebbe scomparsa. Perciò il vecchio
ansava. Non c'era neppur tempo di chiarire i propri pensieri ed egli avrebbe
sentito tanto il bisogno di parlare e di predicarle la morale!
Quando la giovinetta e il
suo compagno scomparvero il vecchio volle tagliar corto alla propria agitazione
che poteva danneggiarlo e disse: - Tanto meglio! Essa vive e si diverte! -.
V'erano due menzogne in quelle poche parole che prima di tutto avrebbero voluto
significare che il vecchio durante la malattia si fosse preoccupato della sorte
della giovinetta eppoi anche che egli sentisse una soddisfazione al vederla
correre a quel modo le vie per divertirsi. Perciò non ne ebbe quiete.
Restava alla finestra e guardava dalla parte dove la giovinetta era scomparsa.
Se fosse ritornata egli l'avrebbe chiamata dalla finestra. Non faceva troppo
freddo eppoi gli pareva necessario di vederla. E qualcuno, sospettoso, dal suo
interno gli domandò: - Perché? Vuoi ricominciare? - Il vecchio si
mise a ridere: - Desiderio? Ma neanche per sogno! - Però guardava sempre
dalla stessa parte con l'atteggiamento del desiderio piú intenso. - Io -
pensò, convinto questa volta di dire la verità, - sarei del tutto
tranquillo se sapessi che quel giovinotto l'ama e vuole sposarla.
Nessuno, neppure lui
stesso avrebbe saputo decifrare l'animo del vecchio, appassionatamente
malcontento della giovinetta e di se stesso. Egli vedeva chiaro che nel
comportamento della giovinetta era implicata una propria responsabilità.
Cercava di diminuirla ricordando ch'egli le aveva predicata la morale e cercava
di obliare il resto. Per riconquistare la tranquillità egli doveva
ripeterle piú chiaramente (cioè ad essa, ch'egli per sé
nulla domandava) i precetti di morale ch'essa poteva aver dimenticati. E v'era
anche il pericolo che essa avesse dimenticato le sue parole e non le sue
azioni.
Corse al tavolo per
scriverle di venire a trovarlo. Perché no? L'avrebbe ricevuta sereno
come tuttavia i suoi dipendenti in ufficio e le avrebbe raccomandato di badare
meglio al suo destino.
Con la penna in mano si
trovò imbarazzato. Voleva farle intendere subito che la lettera non
proveniva da un amante ma da un vecchio rispettabile che la invitava per suo
bene di venire a trovarlo. Prese un biglietto da visita e sotto al proprio nome
scrisse due parole d'invito. Lasciò il biglietto sul tavolo e
ritornò alla finestra. Sarebbe stato meglio ch'essa fosse passata di
nuovo per la via. C'era il pericolo che a quell'invito, strano per lei, essa
non corrispondesse. Ma era importante ch'essa venisse, importante per lui.
Ritornò al tavolo e
riscrisse lo stesso biglietto che le aveva mandato tante volte. Col piú
vivo rossore perché la sua colpa era cosí evocata addirittura
tangibilmente. Ma non aveva da usare riguardi a quella bambina. Gli bastava
d'indurla a venire per gettarla fuori dal proprio destino; e per nettare il suo
destino da una presenza tanto incomoda a lui sembrava non occorresse altro che
di poter dirle chiaramente (piú chiaramente di quanto avesse potuto
farlo in passato): - Per quanto mi concerne, ti domando d'essere virtuosa con
me e con tutti. - Poi sarebbe stato facile di non pensarci piú.
Cercò la quiete col
rendere definitiva la propria risoluzione. Trovò il modo di spedire quel
biglietto senza farlo passare per le mani della sua infermiera. L'appuntamento
era per il giorno appresso nelle ore tarde del pomeriggio. Le prime ore erano
dedicate a cure.
Ritornò alla
finestra. Nel desiderio di nettarsi la coscienza di ogni rimprovero
riandò col pensiero la storia delle relazioni colla giovinetta. Sarebbe
stato strano di attribuirle una importanza. Troppo facile era stato di avere
quella giovinetta. Un'avventura comunissima. Non nella sua vita, però, e
anche importante per la giovinezza e la beltà della fanciulla. -
È certo - pensò il vecchio - che gli altri sono peggiori di me e
che oggi, poi, io sono superiore a tutti. - Gli pareva un vanto di non sentire
alcun desiderio e un secondo vanto ancora maggiore di chiamare a sé la
giovinetta per farle del bene.
Le avrebbe dato del
denaro. Quanto? Due… tre… cinquecento corone. Il denaro bisognava darlo se non
altro per acquisire il diritto di educare. Poi l'avrebbe messa in guardia
contro gli amori disordinati. Anche in passato aveva predicato contro gli
amori, ma bisognava far ora dimenticare ch'egli aveva tentato allora di mettere
il proprio amore fra quelli permessi.
Su la via si svolse una
scena che attrasse tutta la sua attenzione. Ne scorse già da lontano gli
attori perché venivano dalla parte ch'egli fissava. Un fanciullo di
forse otto o dieci anni, scalzo, scendeva la via traendosi dietro per mano un
uomo evidentemente ubriaco. Pareva che il fanciullo fosse conscio della sua
responsabilità. Procedeva con un passo piccolo ma risoluto. Guardava di
tratto in tratto dietro di sé il grande uomo che pareva convinto di
dover seguirlo, eppoi guardava dinanzi a sé per vedere la propria via.
Certo egli sapeva di dover consigliare e dirigere. Cosí giunsero sotto
le finestre del vecchio. A quel punto il fanciullo scese dal marciapiedi per
camminare meglio e non subito fu seguito dall'uomo. Perciò avvenne che
le loro braccia allacciate andarono a cozzare contro il colonnino di un fanale.
Non subito il fanciullo intese che avrebbe dovuto retrocedere per accompagnarsi
all'uomo. Aveva fretta e probabilmente fece male all'ubriaco premendone la mano
sul colonnino. Costui fu preso da un improvviso furore. Si svincolò dal
fanciullo e subito gli menò un calcio atterrandolo. Per fortuna la sua
ebbrezza gli impediva la rapidità dei movimenti, perché si capiva
che si raccoglieva per picchiare ancora. Il fanciullo, a terra, si celava
puerilmente la faccia col braccio per proteggersi e piangeva, guardando
terrorizzato l'ubriaco ch'era chino su lui e non riusciva a riacquistare
l'equilibrio.
Il vecchio, alla finestra,
fu invaso dal terrore. Aperse le lastre dimenticando per un istante la cura
della propria salute e si mise a gridare con la sua voce roca chiamando aiuto.
Subito, dalla fila alla porta del fornaio accorsero molte persone, tante, che,
presto, il vecchio non poté piú vedere né il fanciullo
né l'ubriaco. Richiuse la finestra, chiamò l'infermiera e,
ansimante, si gettò su una poltrona. Era troppo per lui. Le gambe non lo
reggevano piú.
Nella sua lunga
solitudine, egli aveva accarezzato una grande ambizione e s'era creduto
benefico e superiore a tutti, ma ora appena provava una sensazione veramente
nuova e sorprendente di vera, istintiva bontà. Per un breve tempo
restò buono e generoso senza che il suo sentimento fosse oscurato da
alcun pensiero a se stesso. È ben vero che non fece alcun atto che
avvicinasse a lui quel povero fanciullo abbisognante di soccorso e di conforto.
Non ci pensò neppure; ma nel pensiero accarezzava con grande emozione la
puerile figura abbattuta. Scoperse anche nella propria memoria un particolare
che valse ad aumentare la sua pietà: egli aveva visto il pianto del
fanciullo, ma non aveva sentito alcun suo grido. Forse il fanciullo si
vergognava di essere punito in pubblico e la sua vergogna, che gli impediva di
attrarre l'attenzione degli altri, era piú forte del suo terrore. Povero,
piccolo essere reso perciò anche piú inerme.
Ben presto però il
vecchio ritornò alla sua occupazione abituale: alla cura di se stesso.
Intanto il suo sentimento generoso gli aveva allargato tanto bene il petto che
poté subito constatare un beneficio da quel suo abbandono. Per
continuarne l'effetto parlò con la sua infermiera della sua grande
avventura. Disse di aver salvato lui quel fanciullo: - Se io non avessi
gridato, quell'omaccio lo avrebbe spezzato. - Invece era possibile che il suo
roco grido non fosse neppure giunto fino alla via.
Ritornò col
pensiero alla fanciulla e qualche contatto si costituí nel suo pensiero
fra il fanciullo maltrattato e la giovinetta che sulla stessa via veniva
trascinata a perdizione da uno zerbinotto. La comprensione per il fanciullo lo
portò fino a rimproverarsi di non aver fatto per lui altro che
spalancare la finestra e gridare.
Si liberò da tale
pensiero pensando: - Io ho da pensare ad una disgrazia e basta per me!
La notte fu sino al
mattino insonne. Non soffriva e giaceva meditando. Capiva benissimo che la sua
coscienza non era tranquilla ma non ne vedeva la ragione. Decise di dare una
somma anche maggiore alla giovinetta. Gli parve che sarebbe bastato di indurla
a dirsi grata per riavere la coscienza tranquilla.
Verso mattina
s'addormentò ed ebbe un sogno: camminava al sole tenendo per mano la
bella fanciulla, proprio come l'ubriaco teneva per mano il ragazzo. Anch'essa
lo precedeva di poco, ciò che a lui serviva per vederla meglio. Era
bellissima, vestita di cenci colorati come il primo giorno in cui egli l'aveva
vista. Camminava picchiando il piccolo piede al suolo e ad ogni suo passo
risonava il campanello d'allarme come quel giorno sul viale di Sant'Andrea. Il
vecchio che fino allora era proceduto col suo passo lento, si sforzò di
raggiungere la giovinetta. Essa era divenuta per lui la donna del suo
desiderio, tutta, coi suoi cenci, col suo passo e persino quel suono argentino
del campanello che doveva essere attaccato al suo piedino. Poi fu subito stanco
e volle sciogliere la sua mano da quella della giovinetta. Non vi riuscí
che quando esausto cadde a terra. La giovinetta come un automa si
allontanò da lui senza neppur guardarlo, con lo stesso passo sempre
sonoro per il campanello d'allarme. Portava il sesso ad altri? A lui nel sogno
di ciò non importò. Si destò. Era coperto di sudore come
quella notte della grande angina.
- Sozzo! Oh! Sozzo! -
gridò addirittura spaventato del proprio sogno. Volle chetarsi
ricordando che il sogno non appartiene a chi lo fa ma che gli è mandato
da potenze occulte. Ma la sozzura era evidentemente sua. Ebbe certo maggior
rimorso per il sogno fatto di quanto ne avesse avuto per quella recente
realtà cui aveva consciamente collaborato. In mezzo alle cure che
riempivano la sua mattina egli che non poteva liberarsi dal ricordo
dell'avventura notturna ebbe un'ispirazione: fra il ragazzo atterrato e battuto
e la fanciulla del sogno che come un automa offriva la propria bellezza
esisteva un'analogia. - E fra me e l'ubriaco? - indagò il vecchio. Volle
sorridere al paragone impossibile. Poi pensò: - Posso tuttavia riparare
beneficandola e istruendola meglio.
Nel corso della giornata
ebbe anche altri dubbii. E se nella realtà egli avesse da comportarsi
come s'era comportato nel sogno? Sta bene che i sogni sono mandati da altri e
che la propria responsabilità non c'entra, ma egli era vecchio
abbastanza per sapere che anche nella realtà, talvolta, in certe azioni,
non si riconosce se stessi. Per esempio lui era entrato in quell'avventura dopo
quella storica passeggiata al molo nella quale era stato accompagnato da
tutt'altri propositi. Ora se i suoi propositi attuali non avessero avuto
maggior efficacia di quelli di allora, addio pace eppoi addio salute e certo
anche addio vita.
Ma qui spuntò nel vecchio
una decisione di vera nobiltà. Risolse di abbandonare la vita piuttosto
che ritornare a vivere solitario come prima in mezzo alla sua farmacia. Oggi,
specie dopo di quel sogno, si sentiva ancora piú desideroso di vivere e
di agire. Oggi, se avesse assistito di nuovo al maltrattamento del fanciullo
non si sarebbe saputo abbandonare al riposo come il giorno prima. Ed egli
pensò che anche quando avesse chiarito la sua posizione con la
fanciulla, egli avrebbe potuto ritrovare e beneficare anche il giovinetto. Solo
che ora la cosa era troppo complicata e bisognava aspettare la visita di
qualche amico influente che avrebbe incaricato delle ricerche necessarie. Ai
tanti altri bambini che si trovavano in circostanze simili e a portata di mano,
il vecchio non pensò e quello che egli amava per averlo visto battere fu
presto da lui dimenticato.
Al medico egli disse
qualche cosa della sua avventura notturna. Il vecchio amico, che ogni giorno
trovava il modo di scoprire un indizio della prossima guarigione, sorrise: -
Vedi che ritorna la salute, anzi la gioventú.
- Che cominci cosí
la salute e la gioventú? - domandò il vecchio perplesso. Ebbene!
Egli di quella gioventú non voleva saperne. Voleva la calma, la
serenità, la vera salute. Prima di tutto voleva liberarsi da ogni
rimprovero per il contegno da lui avuto con la giovinetta. Il dottore non
poteva indovinare che allora il suo paziente era deciso di curarsi a modo suo
tanto piú che il vecchio stesso non avrebbe saputo dirglielo. Egli
stesso non sapeva che correva dietro una nuova cura.
Nel pomeriggio il vecchio
dormí a lungo di un sonno ristoratore e privo di sogni. Si destò
sorridente come un bambino da quel sonno finalmente innocente perché
privo di immagini.
Poi preparò la cena
per la fanciulla proprio come la prima volta in cui l'aveva attesa. Prima di
accingersi a tale lavoro ebbe un istante di esitazione. Ma poi si disse che
prima o poi la giovinetta avrebbe dovuto sentire da lui parole dure e prediche
meno divertenti e che perciò era bene di offrirle il compenso cui essa
apparentemente teneva tanto. Aperse perciò con accuratezza le scatole
che per tanto tempo aveva tenute in serbo. Sorrideva vuotandole nei piatti
preparati sul solito tavolino: si trattava di indorare una pillola che alla
giovinetta sarebbe potuta sembrare amara.
Assistendo a tanti
preparativi, la sua infermiera s'allarmò. Non avrebbe essa avuto il
dovere di avvisare il dottore? Il vecchio la rassicurò con aria di
superiorità. L'ultimo suo sonno era stato tranquillo, ed il precedente
dimenticato. Perciò il sospetto dell'infermiera non poteva neppure
offenderlo. Le disse che essa avrebbe potuto assistere all'abboccamento dalla
stanza vicina. Per la prima volta parlò chiaramente del passato
confessando quello ch'essa sapeva o di cui almeno dubitava. - I trascorsi di
gioventú devono essere dimenticati. Ad ogni modo non possono piú
essere ripetuti. - Ma l'infermiera non si quietò. Per quanto non le
mancasse nulla in quella casa, pure le spiaceva di veder preparati per altri
quei buoni cibi. Velenosamente rispose: - Cinque mesi or sono Lei era dunque
giovine!
- Solo cinque mesi sono
trascorsi da allora? - domandò il vecchio stupito. A lui pareva fosse
trascorso un secolo dall'ultima visita della giovinetta. Rifece il conto e
trovò che quel periodo di tempo non raggiungeva neppure i cinque mesi.
Non rispose all'infermiera, ma dubitò di essere vecchio essendo stato
tanto giovine cinque mesi prima. Non dubitò però del proprio
sincero desiderio di morale e di bontà.
VIII.
La giovinetta, come
sempre, fu puntuale all'appuntamento. Nel vecchio non c'era stata
quell'ansietà nell'attesa come in passato. Da ciò egli ebbe
conforto: se il sogno aveva simulato eccitazioni sessuali, la realtà -
ora ne aveva la certezza - era fatta tutt'altrimenti. Ma una grande sorpresa
gli diede l'enorme emozione da cui fu preso al rivedere il caro viso della
giovinetta. Ora s'avvedeva ch'era escluso ch'egli assumesse con lei, come s'era
proposto, le arie di un capo ufficio. Quasi sveniva. Come era incantevole
quella faccina dai grandi occhi, di cui sapeva ogni linea per averla baciata, e
come era armoniosa quella voce udita da lui quando commentava atti di cui
provava rimorso. Non trovava parole per salutarla e lungamente tenne la piccola
manina inguantata nelle proprie. Era tanto bello di voler bene. Sorgeva per lui
una nuova, un'ultima gioventú? Una nuova cura piú efficace di
tutte?
Poi la guardò. Il
volto gli parve meno fresco. Attorno alla bocca che cinque mesi prima gli era
sembrata un fiore appena sbocciato, qualche linea s'era spostata.
Orizzontalmente la bocca s'era un poco allungata e le labbra sembravano meno
alte. Qualche cosa d'amaro? Un rancore per lui, forse? Perché - ora
soltanto lo ricordava - egli aveva promesso amore e protezione, e
improvvisamente s'era sottratto a qualunque impegno che avesse avuto con lei.
Perciò le sue prime parole furono dette per domandare perdono. Le
raccontò che quella volta quando le aveva scritto di dover lasciare la
città, s'era invece ammalato. Descrisse la grande angina, che pur
giaceva tanto lontano da lui, come se ne avesse sofferto fino alla vigilia. In
certo modo, perciò, mentí, ma solo per essere sicuro di ottenere
subito il perdono.
Essa, però, non ci
pensava di serbargli rancore. Tutt'altro! Aveva subito fatto atto di baciarlo
addirittura sulla bocca. Egli porse la guancia e sfiorò la sua con le
proprie labbra. - Che peccato! - essa disse - sarebbe stato pur meglio che tu
fossi partito piuttosto che ammalare.
Egli, per vederla meglio,
la fece sedere all'altro capo del tavolo. Dev'essere stato coordinato da madre
natura il fatto che i vecchi vedono meno bene da vicino con quello che non
c'è scopo per essi di avere gli oggetti a portata di mano.
Subito osservò
stupito che i riccioli che il giorno prima egli aveva visto svolazzare liberi
all'aria, erano ora coperti da un cappello elegante adorno di piume dai colori
fini e sobrii. Perché quella metamorfosi come si poteva dirla a Trieste,
ove il cappello delle donne designa addirittura la classe cui esse
appartengono? Veniva da lui in cappello e non lo portava per camminare le vie?
Strano! E com'era mutata nel modo di vestire! Quella non era piú una
fanciulla del popolo, ma apparteneva alla borghesia per il cappellino, e per il
vestito dal taglio elegante e dalle stoffe abbondanti come si usava allora
quando le stoffe mancavano. Appartenevano pure alla borghesia, ma un po'
degenere, quelle calze di seta trasparenti che proteggevano poco le gambe dal
freddo, e gli scarpini laccati. Non solo per affetto il vecchio non seppe
assumere l'aria burbera che aveva premeditata, ma anche per un po' di
soggezione. Essa era indubbiamente la persona piú elegante con la quale
egli da lungo tempo avesse conversato. Egli, invece, era vestito ben comodo e
non portava neppure il colletto perché lo affannava. Con gesto istintivo
portò le mai al collo per accertarsi di aver abbottonata la camicia.
Donde potevano essere
venuti tutti i denari che occorrevano per acquistare tutte quelle belle cose?
Anziché pensare a quello che aveva da dire il vecchio si perdette in calcoli.
Quanti denari le aveva rimessi lui cinque mesi prima? Potevano bastare i denari
dati da lui per spiegare tanto lusso?
Essa lo guardava
sorridendo e pareva aspettasse. Egli aveva già deciso di non assumere
per il momento l'aspetto di un mentore tanto piú che gli pareva di
ammonire abbastanza dando un esempio di virtú. Fu proprio perché
non sapeva che altro dire che le domandò: - Sei tuttavia al tramway?
Dapprima sembrò
ch'essa non avesse bene sentito: - Al tramway? - Poi parve ricordasse. Non era
un posto adatto per una giovine. Lo aveva lasciato da parecchio tempo.
Egli l'invitò a
mangiare. Era un modo di guadagnare tempo perché in lui c'era il dubbio
se non avesse dovuto farle un rimprovero per l'abbandono del lavoro. Mentre
essa s'accingeva a mangiare levandosi lentamente i guanti, egli le
domandò: - E che cosa fai ora?
- Ora? - domandò la
giovinetta anch'essa esitante. Poi sorrise: - Ora sto cercando un impiego e
dovresti procurarmene tu uno.
- Ben volentieri, - disse
il vecchio. - Non appena sarò guarito ti prendo con me in ufficio. Hai
studiato un po' di tedesco?
- Bravo! Il tedesco! -
disse essa ridendo di cuore. - Noi due abbiamo cominciato a volerci bene col
tedesco e si potrebbe continuare a studiarlo insieme. - Era una proposta che
egli finse di non intendere.
Essa si mise a mangiare,
ma molto compostamente. Il coltello e la forchetta lavoravano con grande
sicurezza e alla boccuccia arrivavano i bocconi nella giusta misura mentre alle
cene cui egli l'aveva convitata prima anche i ditini avevano dovuto collaborare
al frazionamento del cibo e al suo trasporto. Al vecchio parve di dover
compiacersi di trovarla tanto affinata.
Egli era titubante sempre.
Se continuava a ridere e sorridere con lei, dove sarebbe arrivato? Per non
offenderla volle parlare solo della propria colpa: - Se quel giorno mi fossi
avvicinato a te solo per consigliarti per il tuo meglio…
Il buon senso semplice
della giovinetta ebbe qui una obbiezione che doveva occupare il vecchio anche
piú tardi: - Ma se tu non ti fossi innamorato di me non ti saresti
neppure avvicinato. - Infatti egli riconobbe subito che se egli non fosse stato
tenuto su quella piattaforma del tramway dal suo desiderio, sarebbe disceso al
Tergesteo senza neppur avvedersi che la giovinetta avrebbe potuto aver bisogno
di lui.
Essa non aveva preso molto
sul serio le sue parole perché subito gli disse: - Ero carina su quel
carrozzone? Di' la verità! Ti piacevo molto! - Si levò,
andò da lui e gli fece una carezza sulla guancia che quel giorno era
stata rasata. Egli non poté fare a meno di corrispondere alla carezza
poggiandole la mano sotto il mento.
Egli volle riprendere il
filo del suo discorso: - Io ero troppo vecchio per te e avrei dovuto saperlo.
- Vecchio! - essa
protestò. - Io ti volevo bene perché mi piacevi con quel tuo
aspetto distinto! - Al complimento egli dovette sorridere davvero contento.
Egli sapeva di avere anche da vecchio una figura distinta e se ne compiaceva
tuttavia.
- Se poi - essa aggiunse
mangiando - tu volessi adottarmi da figlia, bada che siamo ancora in tempo. Non
sarei forse una bella figlia?
Trapelava una grande
presunzione da ogni parola ch'essa diceva e a lui sembrava che la fanciulla del
popolo fosse stata differente. Nei cenci, proprio quando lo aveva sedotto, essa
era stata tanto piú morale. Mangiando essa trovava il tempo di stendersi
sulla poltrona e sporgere alla vista del vecchio le gambe elegantemente
calzate. Adottarla? Una donna che gli faceva vedere delle gambe che non
gl'importavano?
L'ira lo rese piú
eloquente. - Già quel giorno io m'avvicinai a te per farti del bene e
avviarti ad una vita migliore. Ricordi che ti parlai d'impieghi e studii? Lo
ricordi? Poi la passione ebbe il sopravvento. Ma ricordi che subito la prima
sera volli riparlare di lavoro eppoi ne parlai la seconda e sempre ogni volta
che ti vidi? Poi ti dissi anche di stare attenta e di non lasciarti trascinare
ad altri amori disordinati. Ricordi? - Aveva cosí detto e senz'alcuno
sforzo che anche il proprio amore era stato disordinato.
E respirò. Visto
che la giovinetta ricordava tutto quello ch'egli voleva e nient'altro,
respirò. Gli pareva d'essere nettato da ogni rimprovero e credeva che
adesso avrebbe potuto dedicarsi ad insegnare la morale alla giovinetta senza
trovare impedimento nell'esempio ch'egli stesso aveva dato. Con la propria
infermiera egli era stato piú sincero ed aveva scusati gli antichi
trascorsi con la propria gioventú. Con la giovinetta, invece, tendeva a
cancellare quei trascorsi con le parole con le quali li aveva accompagnati.
Pareva che ci fosse
riuscito e ne provò una gioia indicibile. Credette di poter guardare il
mondo intero oggettivamente trovandosi finalmente fuori di tutte le
compromissioni cui tutti son spinti dalle proprie debolezze. Se fosse stato
veramente l'osservatore oggettivo che credeva, avrebbe potuto accorgersi che
nella fanciulla sussisteva tuttavia qualche cosa di popolare, di semplice e
d'ingenuo, e averne gioia. Essa continuava a mangiare di buon appetito e diceva
di ricordare tutto quello ch'egli non voleva. Non aveva affatto capito
perché egli parlasse a quel modo, ma non si sorprendeva delle sue
parole. Non si sarebbe affatto meravigliata se egli si fosse poi messo a
baciarla ed abbracciarla come in passato. Poteva cioè essere che in
passato egli avesse usato di fare a l'amore prima e predicare poi, mentre, dopo
la sua grave malattia, avesse deciso di cominciare dalla predica; e non era suo
il compito di intendere la ragione di tale nuovo aspetto.
Però essa
asserí di aver sempre tenuto conto delle sue raccomandazioni. Non le
aveva mai dimenticate e mai s'era abbandonata ad amori disordinati. Lo diceva
serenamente, continuando a masticare e senza studiare affatto la faccia del suo
interlocutore per vedere se lui ci credesse.
Egli non le credette, ma
si sentiva in obbligo di dimostrarle un poco di riconoscenza perché era
stata tanto accondiscendente con lui. - Brava, - le disse, - sono molto
contento di te. Mi fai un vero regalo conservandoti onesta e vedrai che te ne
sarò molto grato. - Gli sembrava di aver fatto molto in quel primo
abboccamento. Il resto si poteva riservarlo al giorno appresso dopo di essersi
preso il tempo necessario alla riflessione. Tuttavia non seppe cambiar discorso
e non solo perché i vecchi sono un po' come i coccodrilli che non
cambiano facilmente direzione, ma anche perché oramai con la giovinetta
egli non aveva che un legame. In fondo piú di uno con lei non aveva mai
avuto, solo che non era piú lo stesso. - E quel giovinotto, col quale
passasti ieri sotto le mie finestre?
Essa non subito
ricordò di essere passata per quella via. Lo ricordò dopo uno
sforzo di memoria anzi di ragionamento: doveva essere passata per quella via
essendo giunta a quell'altra da casa sua. Il giovinotto era un suo cugino
ritornato dagli studii. Un ragazzo cui non bisognava dare importanza.
Di nuovo egli non le
credette, ma gli parve per il momento di non dover insistere. Prima di
congedarla - pretestò una grande stanchezza - le diede del denaro,
questa volta non chiuso in una busta, ma contato accuratamente sul tavolo.
Guardò la fanciulla per poter gioire della sua riconoscenza. Non ne vide
molta. Prima di tutto a lei ripugnava sempre di parlare di denaro e il vecchio
dovette piú volte invitarla di assistere a quel computo perché
essa guardava via; poi la somma non era grande in verità perché
allora con quei denari si potevano comperare tutt'al piú gli stivali che
la giovinetta portava.
Essa se ne andò
dopo di avergli dato un gran bacione e certamente pensò che l'amore
veniva riservato al secondo abboccamento.
IX.
Il vecchio quando voleva
mettere ordine nei propri pensieri usava di chiacchierare con la persona che
aveva a mano, dunque sempre la sua nemica e la sua unica compagna,
l'infermiera. Perciò le racconto ch'egli si sentiva sollevato
perché la giovinetta aveva ricordato anche le lezioni di morale da lui
datele in passato, e non s'arrestò per un'occhiataccia di meraviglia che
l'infermiera gli inviò. Le raccontò poi bonariamente, come se
avesse pensato a voce alta, ch'egli intendeva ora di beneficare la giovinetta e
disse anche la somma di denaro che quel giorno intanto le aveva dato.
L'infermiera
scattò. Diventava sempre cattiva quando sentiva nominare la giovinetta,
ma cominciò con lo sprezzare la cifra di denaro che a lui era sembrata
tanto vistosa. Non fu accorta - come poi si vedrà, - ma allora
perseguí una certa sua politica con la quale tendeva a farsi aumentare
il salario. Effettivamente il vecchio non aveva ancora capito come il denaro
fosse divenuto piú vile che mai. Poi, appena essa soggiunse: - In quanto
a quella lí - l'accenno vago della mano era per la fanciulla - le
è facile di ricordare le belle lezioni di morale da voi date; è
certo che ne approfittò per bene.
Questa seconda
osservazione fu per il vecchio meno importante della prima; gli appariva
gravissimo il fatto che s'era bruttato di avarizia proprio quando aveva voluto
mostrarsi tanto generoso. Se era vero quello che diceva l'infermiera egli aveva
sbagliato gravemente perché quella somma doveva rappresentare il proprio
riscatto che non poteva essere pagato con un importo lieve.
Questa fu la prima ragione
di malcontento dopo tanta fiducia di arrivare alla quiete. In fondo il rimorso
non è altro che il risultato di un dato modo di guardarsi in uno
specchio. Ed egli si vide misero e piccolo. Sempre egli aveva pagato troppo
poco quella giovinetta. Per certe gioie gli uomini generosi assumono
equivalenti impegni. Per non assumerne alcuno egli ricordava di non avere in
passato neppur preso anticipatamente degli appuntamenti con lei cosí che
quando ne ebbe abbastanza gli bastò di non richiamarla. Gli altri uomini
usano di pagare le donne ogni giorno perché esse devono mangiare anche
quando nulla si chiede da loro. Lui invece l'aveva fatta lavorare alla Tramvia
perché potesse mangiare ogni giorno eppoi l'aveva pagata in modo che a
lui era sembrato signorile perché gli era parso di non dover altro che
il fitto di poche ore. Cosí egli aveva condotto quell'avventura ch'egli,
per diminuire l'aspetto sconcio, aveva voluto designare di «vera».
E gli parve che questo
fosse il rimorso vero, non il fatto ch'egli, vecchio, si fosse attaccato ad una
giovinetta. Perché avrebbe dovuto rimordergli se egli avesse presa con
sé la giovinetta e messa al posto di quell'odiosa infermiera? Il vecchio
sorrise, con un poco d'amarezza, ma sorrise. La giovinetta era eternamente a
sé da canto! La grande angina sarebbe intervenuta ben prima. Non adesso
perché egli era sicuro che avrebbe potuto vivere vicinissimo alla
giovinetta senz'aver a temere alcuna tentazione. Lo seccava ch'essa con lui
continuasse ad assumere quelle arie di sirena e questa era la ragione per cui
egli ora non avrebbe potuto sopportarla accanto a sé.
Ma in passato, avendola
amata, il suo obbligo sarebbe stato di tenerla con sé e sarebbe stata
educata meglio. Cosí facevano i giovani, mentre i vecchi amavano e
correvano via o spingevano da sé l'oggetto amato.
Come doveva esser stato
ridicolo lui quando l'aveva costretta ad assistere alla revisione di quella
gran somma ch'egli le offriva! Ma a ciò poteva riparare. Ordinò
subito all'impiegato di fargli avere per il primo giorno appresso una somma
vistosa di denaro.
Poteva riparare anche ad
altro. Provando per essa solo un affetto paterno poteva pur tentare di
educarla. Se ne sentiva la forza. Solo doveva prepararsi bene prima
d'incontrarla. Adesso non gli importava piú di farle ricordare quelle
sciocche parole dalle quali soleva far accompagnare le manifestazioni della
propria corruzione. Era stato debole con lei perché ancora sempre
preoccupato dell'insensato desiderio di apparire puro.
Per qualche tempo
restò ancora a meditare sulla poltrona. Gli sarebbe stato comodo di
spiegare a qualcuno le proprie intenzioni prima di metterle in atto. Anche
negli affari egli usava consultarsi col procuratore per avere la visone netta
di quello ch'egli voleva. Ma in questo affare da lui condotto da solo non
poteva avere il consiglio di nessuno. Certo con la sua infermiera non doveva
parlarne.
Ed è proprio
cosí che nei suoi tardi anni il mio buon vecchio divenne scrittore.
Quella sera scrisse solo degli appunti per la conferenza ch'egli voleva tenere
alla giovinetta. Abbastanza alla breve: raccontava le proprie colpe senza
attenuarle. Egli aveva voluto approfittare di lei e sottrarsi a qualunque
obbligo verso di lei. Queste le sue due colpe. Era tanto semplice di scriverle!
Avrebbe egli avuto il coraggio di ripetere ciò alla giovinetta?
Perché no quando egli era pronto a pagare? Pagare con denaro e pagare di
persona, cioè educarla e tutelarla. Quello zerbinotto non avrebbe avuto
piú tanto facile il giuoco. Ecco che, scrivendo, veniva a galla anche
costui che pur doveva avere avuto la sua parte nei dolori e nei rimorsi del
vecchio.
Questi appunti furono
scritti prima a matita eppoi copiati accuratamente a penna. I manoscritti in
quella stanza non correvano pericolo perché la sua infermiera non sapeva
leggere. Scrivendoli in penna vi aggiunse una morale piú generale un po'
noiosa e retorica. A lui pareva di aver corretto e completato. Invece aveva
distrutto. Ma era inevitabile questo in un novellino. In passato il buon vecchio
era stato uno scettico. Ora che la sua infermità aveva squilibrato il
suo organismo si sentiva propenso alla protezione dei deboli e nello stesso
tempo incline alla propaganda. Egli credette tutt'ad un tratto di aver qualche
cosa da dire e non mica alla sola giovinetta.
Rilesse il manoscritto e a
dire la verità fu una disillusione. Ma non assoluta perché egli
credette di aver pensato bene e di aver scritto male. Ciò in un secondo
tentativo avrebbe potuto essere corretto. Intanto gli pareva che quegli appunti
potevano servirgli per la giovinetta. Per lui che tante volte dacché
aveva aperti gli occhi al senno aveva dovuto star a sentire predicazioni di
morale, quella roba non faceva. Ma la giovinetta era probabilmente stanca a
quell'ora di molte cose di questo mondo, ma non di morale. Forse quelle parole
ch'egli aveva scritto sentendole ma che ora, leggendole, non sentiva
piú, l'avrebbero commossa.
Anche quella notte fu
inquieta ma non sgradevole. L'insonnia prolungata è sempre un po'
delirante. Non tutte le cellule rimangono deste. Certe realtà scompaiono
e quelle che restano deste si sviluppano senza freno. Il vecchio sorrideva a se
stesso come a grande scrittore. Egli sapeva di aver da dire qualche cosa al
mondo, solo in quel dormiveglia non sapeva bene che cosa. Però era
cosciente di essere a mezzo addormentato e sarebbe pur venuto il giorno e la
luce a completare la sua mente.
Quando finalmente, verso
la mattina, s'addormentò, ebbe un sogno che cominciò bene e che
finí male. Egli si trovava in mezzo ad una folla di uomini disposti in
circolo sulla grande piazza d'armi. Egli presentava a tutti la giovinetta
vestita dei suoi cenci colorati e tutti l'applaudivano come se l'avesse fatta
lui cosí bella. Poi essa s'aggrappava a un trapezio che attaccato ad un
trolley camminava in circolo proprio al di sopra di tutta quella gente. E come
essa passava tutti le carezzavano le gambe. Anche lui ansioso aspettava quelle
gambe per carezzarle, ma a lui mai giungevano e quando a lui giunsero non ne
aveva piú bisogno. E tutta quella gente si mise a urlare. Urlava una
parola sola, ma egli non la intese finché non fu trascinato ad urlarla
anche lui. Suonava: aiuto!
Si destò coperto da
un sudore freddo: la grande angina lo crocifiggeva sul letto. Moriva. La morte,
nella stanza, non era rappresentata che da un batter d'ali. Era la morte stessa
che era penetrata in lui assieme alla spada velenosa che s'arcuava nel suo
braccio e nel suo petto. Egli era tutto dolore e paura. Piú tardi
pensò che alla sua disperazione avesse collaborato anche il rimorso per
il sozzo sogno. Ma nel grande dolore potevano capire tutti i sentimenti che
nella sua vita gli avessero offuscata l'anima e perciò anche la sua
avventura con la giovinetta.
Quando il dolore e la
paura sparvero egli studiò ancora quella sua suprema preoccupazione.
Forse egli credeva con quello studio di avviarsi ad una grande cura. Come era
importante quella giovinetta nella sua vita! Per causa sua s'era ammalato. Ora
essa lo perseguitava nei sogni e lo minacciava di morte. Era piú importante
di tutti e di tutto il resto della sua vita. Anche quello che in lei
disprezzava era importante. Ecco che quelle gambe che in realtà lo
avevano indignato, nel sogno lo avevano corrotto. Nel sogno essa era apparsa
vestita di cenci ma le gambe erano proprio quelle del giorno prima, coperte di
calze di seta.
Venne il medico con le sue
solite prescrizioni e la sua solita calma fiduciosa, inalterabile finché
l'angina pectoris toccava a lui, solo per la cura. Dichiarò che
questo sarebbe stato l'ultimo assalto. - Il grande dolore era anzi un sintomo
favorevole visto che negli organismi sfatti non si producono mai grandi dolori.
- Poi: s'avvicinava la buona stagione. Era certo che la guerra stava per finire
e che il vecchio avrebbe potuto recarsi in qualche buon luogo di cura.
L'infermiera non
dimenticò di avvisare il medico della visita che il vecchio aveva
ricevuta il giorno prima. Il medico, sorridendo, raccomandò di non
accettare piú simili visite finché egli non lo avesse permesso.
Con fermezza virile il
vecchio respinse la proibizione. Bisognava guarirlo senza proibirgli nulla.
Quella visita non poteva averlo danneggiato e si risentiva di quella
supposizione come di un'offesa. In seguito egli avrebbe chiamato a sé la
giovinetta e l'avrebbe veduta di frequente. Il medico - se l'avesse voluto -
avrebbe potuto accertarsi che quelle visite non potevano nuocergli.
Tale atteggiamento del
vecchio in quello stesso giorno subito dopo di aver tanto sofferto era la
manifestazione di una grande vera nobiltà. Egli stesso sentiva di dare
una prova di forza. Gli altri non potevano sapere che la grande angina non era
stata l'avventura piú importante di quella notte. La sua vita non poteva
svolgersi fra letto e lettuccio come sino ad allora. Doveva divenire piú
intensa e piú estesa perché il suo pensiero non poteva aggirarsi
intorno alla propria personcina. Intendeva di seguire le prescrizioni del
medico, ma credeva di saper anche dell'altro ch'era importante per la sua cura
e ch'egli non voleva dire al medico.
Il medico non discusse
perché da buon praticone com'era non credeva che la discussione fosse
una buona cura.
La cessazione di un grande
dolore è una grande dolcezza e il vecchio ne visse per quel giorno. La
libertà di moversi e di respirare è una vera felicità per
chi ne è stato privo e sia pure per qualche istante. Tuttavia egli,
quello stesso giorno, trovò il tempo di scrivere alla giovinetta. Le
mandava i denari che le aveva destinati fin dal giorno prima e l'avvisava che
gliene avrebbe mandati altri in seguito. La pregava di non venire da lui
finché egli non l'avesse chiamata visto che s'era ammalato.
Egli ora sapeva ch'egli
amava la fanciulla dai cenci colorati e l'amava come una figlia. L'aveva
posseduta in realtà e l'aveva posseduta nel sogno, anzi nei due sogni.
In ambedue i sogni, affermava il vecchio a se stesso non sapendo che i sogni si
fanno di notte e si completano di giorno, c'era stato un grande dolore forse
causa del male da cui era stato colto, quello della compassione. Cosí
era fatto il destino della giovinetta ed egli vi aveva collaborato. Per colpa
sua essa aveva camminato le vie col campanello di richiamo attaccato ai piedi
oppure, addirittura legata ad un trolley, era scivolata su quel cerchio,
offrendosi agli occhi e alle mani degli uomini. E non importava che la
giovinetta ch'era stata a trovarlo il giorno prima, non avesse saputo destare
nel suo animo alcun sentimento di compassione o di affetto. Essa, ora, era
fatta cosí e bisognava salvarla mutandola in modo da farla ridivenire la
buona, cara fanciulla, che - purtroppo! - era stata sua e che egli ora amava
per la sua debolezza che chiamava carezze e protezione.
Quanta dolcezza gli
derivava da tale proposito! Una dolcezza che invadeva ogni sua fibra ma che
modificava ogni cosa ed ogni persona, persino la sua infermiera, ma anzi
persino la propria malattia che egli pensava di poter combattere.
Già il giorno
appresso egli chiamò il notaio e fece un testamento col quale
all'infuori di alcuni legati che a lui parvero importanti, ma che in confronto
al suo patrimonio erano esigui, legò tutto quanto possedeva alla
giovinetta. Ecco ch'essa almeno non avrebbe piú avuto alcun bisogno di
vendersi.
L'educazione della
giovinetta avrebbe cominciato quando egli, dopo di essersi raccolto, sarebbe
stato capace di dargliela. Impiegò alcuni giorni a rifare gli appunti
stesi il giorno prima e che dovevano servire di base alle prediche che voleva
tenere alla giovinetta. Poi li distrusse non essendone soddisfatto. Egli ora
sapeva esattamente dove stava l'errore commesso da lui e da lei e che aveva
procurato a lui la malattia e a lei la corruzione. Non era il fatto di non aver
pagato adeguatamente l'amore o di avere abbandonato la giovinetta che doveva
rimordergli. Egli aveva sbagliato quando l'aveva accostata a quel modo. Era quello
l'errore che bisognava studiare. Perciò cominciò a stendere nuove
note sui rapporti che dovevano e potevano correre fra giovani e vecchi. Egli
sentiva di non aver diritto d'interdire l'amore alla giovinetta. L'amore, per
essa, poteva ancora essere morale, ma bisognava interdirle ogni amore
disordinato e prima di tutto l'amore coi vecchi. Nei suoi appunti, per qualche
tempo, egli cercò di cacciare accanto ai vecchi che bisognava evitare
anche quello zerbinotto dall'ombrello fine ch'egli non aveva ancora
dimenticato. Ciò gli complicava il compito e rendeva i suoi appunti meno
sicuri e diritti. Lo zerbinotto poi scomparve da quegli appunti e restarono
soli, di faccia l'uno all'altro, il vecchio e la giovine.
Il tempo passava ed egli
non si sentiva mai pronto a chiamare a sé la giovinetta. Aveva scritto
molto, ma bisognava metter ordine in quei suoi appunti perché fossero a
portata di mano al momento in cui ve ne sarebbe stato bisogno. Faceva pervenire
alla giovinetta ogni settimana col mezzo del proprio impiegato un certo importo
e le scriveva che non stava ancora abbastanza bene per riceverla. Credeva di
dire la verità il buon vecchio ed era vero che del tutto bene non stava,
ma non certo peggio di quanto era stato prima dell'ultimo assalto. Però
ora tendeva alla salute assoluta dell'uomo operoso e quella non era ancora
giunta.
Si sentiva meglio
perché in lui era rinata la fiducia. Questa fiducia per un certo tempo
aumentò continuamente in rapporto diretto all'attaccamento suo alla
vita, cioè al suo lavoro. Un giorno, rileggendo quanto aveva scritto,
nacque nella mente del vecchio la teoria, la pura teoria e dalla quale fu
eliminata la giovinetta e lui stesso. Anzi la teoria nacque precisamente per
queste due eliminazioni. La giovinetta che riceveva da lui solo denaro perdette
presto ogni importanza. Le piú forti impressioni finiscono col lasciare
nell'animo solo una leggera eco che non si percepisce se non si ricerca, e a
quell'ora il vecchio, dal ricordo di quella giovinetta ch'egli aveva amata e che
non esisteva piú, sentiva sorgere un coro di voci giovanili che
domandavano soccorso. In quanto a lui, in seguito alla teoria, cambiò
d'aspetto per una doppia metamorfosi. Prima di tutto egli divenne tutt'altra
cosa di quel vecchio egoista che aveva corrotto una giovinetta per goderne e
non pagarla, perché si vedeva confuso con mille altri che volentieri
avrebbero fatto o facevano la stessa cosa. Non era possibile soffrirne. La sua
si trovava accanto a migliaia d'altre teste candide e sotto a quel candore
v'era in tutte la stessa malizia. Lui, poi, divenne tutt'altra cosa di tutti
gli altri! Egli era l'alto, il puro teorista nettato dalla sua sincerità
da ogni malizia. Ed era una sincerità facile perché non si
trattava di confessare, ma di studiare e scoprire.
Non scriveva piú
per la giovinetta. Avrebbe dovuto tenersi terra terra per essere da lei
compreso e non ne valeva la pena. Egli credeva di scrivere per la
generalità e forse anche per il legislatore. Non ricercava egli una
parte importante delle leggi morali che, secondo lui, dovevano reggere il
mondo?
Sconfinata era la fiducia
che fu versata nel suo animo dal lavoro. La teoria era lunga e perciò
non si poteva morire prima di averla compiuta. Gli pareva di non dover aver
fretta. Una potenza superiore avrebbe vigilato perché egli potesse
arrivare alla fine della sua opera tanto importante. Fece il titolo con la sua
bella e grande scrittura: Dei rapporti tra vecchiaia e gioventú.
Poi, quando s'accinse alla prefazione, pensò che per la pubblicazione
avrebbe dovuto far disegnare una bella vignetta illustrativa del titolo. Non
trovò il modo di mettervi quella piattaforma della Tramvia con la
giovinetta al freno e un vecchio che la strappa al lavoro. Era difficile, anche
da parte del miglior disegnatore, di esprimere chiaramente l'idea con quegli
elementi. Poi ebbe un'ispirazione (non gli mancava neppure un'ispirazione): la
vignetta doveva rappresentare un fanciullo decenne che conduce un vecchio
ubriaco. Chiamò anche un disegnatore che eseguisse subito il disegno. Ne
ebbe uno sgorbio e il vecchio lo rifiutò e dichiarò che quando
sarebbe stato ben sano avrebbe cercato lui stesso in città il
disegnatore che facesse al caso suo.
Nella bella stagione
ch'era finalmente arrivata, il vecchio si metteva a scrivere già di buon
mattino. Lasciava poi volentieri di scrivere per sottoporsi alle solite cure
perché ciò non significava un'interruzione del suo lavoro. Niente
poteva stornare il suo pensiero che camminava e si evolveva sempre. Scriveva
poi di nuovo fino all'ora della colazione poi dormiva per un'oretta sulla sua
poltrona, di un sonno tranquillo e privo di sogni e ritornava al suo tavolo per
rimanervi scrivendo e meditando fino all'ora della sua passeggiata giornaliera
in vettura. Andava a Sant'Andrea accompagnato dalla sua infermiera o, talvolta,
dal medico. Faceva qualche passo lungo la spiaggia. Guardava l'orizzonte dove
tramontava il sole, con tutt'altro occhio - a lui pareva - di quello che aveva
avuto in passato per le bellezze della natura. Gli pareva di esserne piú
intimamente parte ora che meditava su alti problemi invece di fare affari. E
guardava il mare colorito e il cielo terso associandosi in certo modo a tanta
purezza perché se ne sentiva degno.
Poi cenava e passava
ancora un'oretta a bearsi del proprio lavoro rileggendo le cartelle che
andavano accumulandosi in un cassetto del suo tavolo. Nel suo letto puro,
accompagnato dalla sua teoria, dormiva di un sonno sereno. Una volta
sognò della sua giovinetta vestita di cenci colorati e non
ricordò neppure in quel sogno ch'esistesse quell'altra giovinetta dalle
calze di seta. Con essa parlò in tedesco ch'essa parlava
intelligibilmente. Niente di eccitante neppure quella volta e a lui ciò
parve una grande prova della riacquistata salute.
Avrebbe voluto avere
accanto a sé qualcuno cui poter leggere l'opera sua e controllarla sulla
propria viva voce e sulla faccia altrui. Ma questa facilitazione non
poté avere. Egli sapeva, con la pratica di scrittore che aveva
già acquisita, come la teoria fosse insidiata da un pericolo grande:
quello di allontanarsi dalla linea che le era assegnata dalla realtà.
Quante cartelle non furono sacrificate perché in esse egli si era
lasciato deviare dal suono delle parole! Per aiutarsi egli aveva descritto su
una cartella il suo punto di partenza e la teneva sempre a sé dinanzi:
il vecchio è fatto in modo che la potenza di cui dispone può
divenir dannosa al giovine il quale, solo, è importante per l'avvenire
dell'umanità. Bisogna renderlo attento a ciò. Visto che
però egli detiene la potenza che conquistò durante la sua lunga
esistenza è necessario ch'egli la dedichi al vantaggio del giovine. Per
restare alla verità il moralista si riferiva poi esattamente alla
propria avventura: bisognava ottenere che il vecchio non desiderasse la
giovinetta su quella piattaforma senz'altro curarsi della domanda di soccorso
rivoltagli dalla bella giovinetta. Altrimenti la vita ora appassionata e
corrotta sarebbe divenuta pura ma di ghiaccio.
Seguivano molti punti
d'esclamazione per segnare la difficoltà del compito che il moralista
s'imponeva. Come infatti si sarebbe potuto provare ai vecchi, ch'era loro
dovere di curarsi come di figlie di quelle fanciulle che - se fosse stato
permesso - essi si sarebbero prese per amanti? La pratica insegnava che i
vecchi erano disposti di prendersi a cuore il destino solo di quelle giovinette
ch'essi già avevano avute per amanti. Occorreva provare che non era
necessario di passare per l'amore per arrivare all'affetto.
Il pensiero del vecchio
batteva su questo modo: finora ne sorrideva perché riteneva che come la
indagine metodica procedeva egli avrebbe potuto veder piú chiari i
particolari del problema.
Tentò di associare
al proprio lavoro la sua infermiera. Non avrebbe domandato da lei altro che di
starlo a sentire. Alle prime sue parole costei divenne furiosa: - Ancora di
quella lí si occupa lei?
Era evidente che ogni
teoria moriva strangolata se si cominciava dal designare come quella
lí la giovinetta vera madre di quella.
Allora tentò col
dottore. Pareva che questi amasse la teoria. Il dottore constatava una vera
miglioria nello stato del vecchio e perciò non poteva che amare quella
teoria che gli pareva utile. Però gli era difficile di accettarla per
sé. Anche lui vecchio, trovandosi in buona salute, guardava col vivo
desiderio della persona intelligente alla vita e non ammetteva di essere
escluso da alcuna sua manifestazione.
- In fondo - egli disse al
vecchio, - tu vuoi attribuirci un'importanza troppo grande. Non siamo mica
tanto seducenti. - Guardava il vecchio poi guardava se stesso nello specchio.
- Eppure seduciamo, -
disse il vecchio sicuro della sua esperienza.
- Quando ci capita non
è tanto male, - osservò il dottore sorridendo.
Anche il vecchio
tentò di sorridere, ma fu una smorfia. Egli sapeva invece ch'era molto
male.
Il dottore ricordava
allora di essere prima di tutto medico e cessava di discutere la teoria,
cioè la medicina cui egli stesso attribuiva una importanza. Volle
persino aiutare alla teoria, collaborarvi, ma era naturale che dove egli
toccava distruggeva i fantasmi del vecchio: - Se lo desideri - disse al vecchio
- io ti procuro un'opera dal titolo: Il vecchio. La vecchiaia,
purtroppo, vi è considerata quale una malattia. Non di lunga durata,
però.
Il vecchio discusse: -
Malattia la vecchiaia? Malattia una parte della vita? E che cosa sarebbe allora
la gioventú?
- Credo che neppur essa
sia l'assoluta salute, - disse il medico, - ma è un'altra cosa. La
gioventú molto spesso piglia delle malattie, ma sono usualmente delle
malattie prive di complicazioni. Invece nei vecchi anche un raffreddore
è una malattia complicata. Questo pur dovrebbe significare qualche cosa.
- Ciò significa
soltanto che il vecchio è debole. È infatti - gridò il
vecchio vittoriosamente - nient'altro che un giovine indebolito. - L'aveva
trovata. Questa scoperta andava a far parte della sua teoria che grandemente se
ne avvantaggiava. - Perciò e acciocché la sua debolezza non si
converta in malattia ha bisogno di una morale ben solida. - La modestia gl'impediva
di dire che tale morale sarebbe stata fornita dall'opera sua, ma lo
pensò.
Quest'abboccamento col
dottore da cui gli era provenuto tanto vantaggio avrebbe dovuto incoraggiare ad
averne degli altri. Ma un giorno il dottore tradí tanto chiaramente la
sua intima fede, che il vecchio comprese che fra loro due non v'era alcun punto
di contatto.
Nel corso delle sue
elucubrazioni, il vecchio un giorno si trovò a dover analizzare quali
diritti spettassero alla vecchiaia verso la gioventú. Dio mio! La Bibbia
non era mica stata scritta invano. Doveva la gioventú obbedienza alla
vecchiaia? Rispetto? Affetto?
Il dottore si mise a
ridere e quando rideva amava di rivelare il suo piú intimo pensiero. -
Obbedienza? Immediata perché non bisogna far aspettare i vecchi.
Rispetto? Tutte le giovinette di Trieste in ginocchio perché si possa
piú facilmente sceglierle. Affetto? Di quello buono e solido, braccia al
collo o altrove e bocca su bocca.
Insomma il povero vecchio
non aveva fortuna e non trovava l'anima gemella. Egli non sapeva che al dottore
mancava l'esperienza della grande angina e che non era perciò un vecchio
come lui.
Anche tale discussione
ebbe un effetto, ma negativo. Diverse cartelle già scritte vennero poste
dal vecchio in quarantena, entro un foglio bianco su cui scrisse: - Che cosa
deve la gioventú alla vecchiaia?
Talvolta la teoria
s'ingarbugliava ed era difficile di procedere. Il vecchio allora si sentiva
molto male. Aveva riposto il lavoro pensando che un breve riposo gli avrebbe
dato la chiarezza di cui mancava, ma come le giornate trascorrevano vuote!
Subito la morte era piú vicina. Il vecchio ora trovava il tempo di
sentire la pulsazione malsicura del proprio cuore e il proprio respiro
affaticato e rumoroso.
Fu in uno di tali periodi
ch'egli mandò a pregare la giovinetta di venire da lui. Sperava che
sarebbe bastato di rivederla per sentir rinnovato il proprio rimorso ch'era il
principale stimolo a scrivere. Ma neppure da quella parte gli venne l'aiuto
sperato.
La giovinetta aveva
continuato ad evolversi. Elegantissima come l'altra volta s'era evidentemente
aspettata d'essere accolta a baci. Il vecchio non fu molto severo e questa
volta non per imbarazzo, ma perché gl'importava poco. Egli a quest'ora
amava tutta la gioventú, maschi e femmine, compresa la cara giovinetta
vestita di cenci e affatto questa pupattola tanto superba dei propri vestiti da
parlarne davanti allo specchio.
S'era però tanto
evoluta da lagnarsi che il denaro non le bastava piú e pregava di
aumentare il suo stipendio.
Qui il vecchio
sfoderò la propria antica pratica d'affari. - Perché credi ch'io
ti debba denaro? - domandò sorridendo.
- Non sei stato tu che
m'hai sedotta? - domandò la povera giovinetta che doveva esser stata
istruita da qualcuno.
Il vecchio rimase calmo.
Purtroppo il rimprovero non gli faceva piú né caldo né
freddo. Discusse e disse che quando si faceva all'amore si era in due e che da
parte sua non c'era stata né violenza né astuzia.
Essa subito si
lasciò convincere e non insistette. Probabilmente era pentita e seccata
di aver parlato a quel modo, lei che aveva sempre fatto del suo meglio per non
apparire interessata.
Egli, per renderla ancora
piú buona e sperando di aver a sentire almeno in minima parte l'antica
emozione, le raccontò che l'aveva ricordata nel proprio testamento.
- Lo so e te ne ringrazio,
- disse essa. Il vecchio non rilevò la stranezza per cui essa credeva di
sapere di un suo testamento ch'era tenuto segreto e accettò i suoi
ringraziamenti.
Quell'abboccamento lo
disilluse al punto che si propose di rifare il proprio testamento e lasciare il
residuo della propria sostanza a qualche istituto di beneficenza.
Non fece nulla solo
perché i teoristi sono persone molto lente quando si tratta di agire.
X.
Ed è cosí
che il vecchio si trovò solo di faccia alla sua teoria.
Intanto la prefazione
lunghissima all'opera sua era terminata e, secondo lui, era riuscita
splendidamente, tanto che la rileggeva continuamente per ricavarne lo stimolo a
procedere oltre.
In quella prefazione egli
s'era soltanto prefisso di provare come l'umanità avesse bisogno
dell'opera sua. Egli non sapeva, ma questa era la parte piú facile di
tale opera. Infatti ogni opera che intende di creare una teoria si divide in
due parti. La prima si dedica alla distruzione di teorie preesistenti o, meglio
ancora, alla critica dello stato di fatto esistente, mentre la seconda ha il
difficile compito di ricostruire le cose su nuove basi; cosa abbastanza
difficile. Ad un teorista avvenne di aver pubblicato da vivo due interi volumi
per provare che le cose procedevano male e nel modo piú ingiusto. Il
mondo andò per aria e non si regolò neppure quando gli eredi del
teorista pubblicarono il terzo volume, postumo, dedicato quello alla
ricostruzione delle cose. Una teoria è sempre una cosa complessa e
facendola non si intravvedono subito tutte le sue illazioni. Sorgono dei
teoristi che predicano la distruzione di una bestia, p. e. dei gatti. Si
scrive, si scrive e non subito ci si accorge che intorno alla teoria, sua
conseguenza, pullulano i topi. Solo molto tardi il teorista capita
nell'imbarazzo e, angosciato, si domanda: «Che me ne farò di questi
topi?».
Il mio vecchio era ancora
molto lontano da tale imbarazzo. Niente di piú bello e di piú
fluido della prefazione ad una teoria. Il vecchio scopriva che alla
gioventú a questo mondo mancava qualche cosa che avrebbe reso la
gioventú ancor piú bella: una sana vecchiaia che l'ami e
l'assista. Non mancarono studii e meditazioni anche per la prefazione
perché con questa bisognava stabilire tutta l'estensione del problema.
Dunque il vecchio partiva dal principio come la Bibbia. I vecchi - quando non
erano ancora tanto vecchi - avevano riprodotto nei giovani se stessi con grande
facilità e con qualche piacere. Passando la vita da uno all'altro organismo
era difficile di accertarsi se la stessa s'era elevata o migliorata. I secoli
storici dietro di noi erano troppo brevi per trarne l'esperienza. Ma dopo la
riproduzione poteva esserci progresso spirituale se l'associazione fra vecchi e
giovani era perfetta e se una gioventú sana poteva appoggiarsi ad una
vecchiaia sanissima. Scopo del libro era dunque di dimostrare per il bene del
mondo la necessità della sanità del vecchio. Secondo il vecchio
il futuro mondo, cioè la potenza dei giovini che questo futuro faranno,
dipendeva dall'assistenza e dagli insegnamenti dei vecchi.
La prefazione aveva anche
una seconda parte. Se il vecchio avesse potuto ne avrebbe fatte molte parti. La
seconda cercava di provare il vantaggio che al vecchio sarebbe derivato da una sua
propria relazione pura con la gioventú. Coi figli la purezza era facile,
ma non poteva mica essere impura coi compagni dei figli. Il vecchio - se puro -
sarebbe vissuto piú sano e piú a lungo, ciò che secondo
lui sarebbe stato una bella utilità per la società.
Il primo capitolo era
anch'esso una prefazione. Bisognava pur descrivere lo stato attuale delle cose!
I vecchi abusavano della gioventú e la gioventú disprezzava i
vecchi. I giovini facevano delle leggi per impedire ai vecchi di restare alla
direzione degli affari e dal canto loro i vecchi ottenevano delle leggi per
impedire l'ascensione dei giovini quand'erano troppo giovini. Non rivela questa
rivalità uno stato di cose pernicioso per il progresso umano? Che
c'entrava l'età nella designazione ai pubblici uffici?
Queste prefazioni di cui
io dò solo il nocciolo diedero da fare e molta salute al povero vecchio
per vari mesi. Poi ci furono altri capitoli che camminarono abbastanza
facilmente e non l'affannarono ad onta del suo stato di debolezza: i capitoli
polemici. Uno fu dedicato a negare che la vecchiaia sia una malattia. Al
vecchio pareva di essere stato molto felice in quel capitolo. Come si poteva
credere che la vecchiaia che non era altro che la continuazione della
gioventú fosse una malattia? Doveva pur essere intervenuto un altro
elemento per mutare la salute in malattia; quest'elemento il vecchio non sapeva
trovarlo.
Poi, nel proposito del
vecchio, l'opera avrebbe dovuto scindersi in due parti. Una doveva trattare del
modo come la società avrebbe dovuto organizzarsi per avere dei vecchi
sani e l'altra dell'organizzazione della gioventú per regolare i suoi
rapporti con la vecchiaia.
Qui però il vecchio
ad ogni tratto si trovava interrotto nel suo lavoro dall'invasione dei
roditori. Ho già detto di quelle cartelle ch'erano state da lui riposte
coperte da un foglio di carta con la riserva di riprenderle in lavoro quando
qualche suo dubbio sarebbe stato chiarito. Vi si associarono poi molti altri
pacchetti di cartelle.
Cosí egli ricordava
sempre che il denaro aveva avuto una parte importante nella sua avventura con
la giovinetta. Per alcuni giorni scrisse che i denari (che di solito
appartengono ai vecchi) si dovrebbero sequestrare perché non possano
servire a corrompere ed è meraviglioso che passarono tante ore prima
ch'egli si accorgesse come sarebbe stato doloroso per lui di venir privato del
suo denaro. E allora smise di scrivere sull'argomento e ripose le cartelle
relative in attesa di maggior luce.
Un'altra volta
pensò di descrivere come sin dalla prima classe elementare si dovesse
ricordare che scopo della vita è di divenire un vecchio sano. La
gioventú quando pecca non soffre e non fa soffrire tanto. Poi il peccato
del vecchio è circa equivalente a due peccati del giovine. È un
peccato a parte anche l'esempio ch'egli dà. Dunque - secondo il teorista
- da bel principio bisognerebbe studiare di diventar vecchio sanamente. Ma poi
gli parve che in tale ragionamento la via alla virtú non fosse ben
segnata. Se il peccato del giovine aveva un'importanza tanto lieve dove si
poteva cominciare l'educazione del vecchio? E sul foglio nel quale
seppellí quelle cartelle annotò: - Da studiarsi quando
l'educazione del vecchio ha da cominciare.
Ci furono delle cartelle
in cui il vecchio si sforzò di provare che per avere una vecchiaia sana
bisognava circondarla di giovini sani. Il sistema di riporre le cartelle e di
non distruggerle favoriva le contraddizioni di cui l'autore non s'accorgeva. In
queste ultime cartelle risultò nell'autore una certa ira contro la gioventú.
In complesso era vero che se la gioventú fosse stata sana la vecchiaia
non avrebbe potuto peccare. Già la maggior forza fisica la proteggeva da
attentati. Sulla carta che involse tanta filosofia era scritto: - Da chi ha da
cominciare la morale?
E il vecchio andò
accumulando i suoi dubbi credendo di fabbricare qualche cosa. Ma tuttavia la
lotta era superiore alle sue forze e quando ritornò l'inverno anche il
medico s'accorse di un ulteriore decadenza fisica del paziente. Fece delle indagini
e finí con l'indovinare che la teoria che aveva fatto tanto bene ora
faceva del male. - Perché non cambi argomento? - gli chiese. - Dovresti
riporre quel lavoro lí e dedicarti a qualche altra cosa.
Il vecchio non volle
confidarsi e asserí che lavorucchiava tanto per passare il tempo. Temeva
l'occhio del critico, ma pensava di temerlo solo finché non avesse
compiuto l'opera.
L'intervento del medico
questa volta non ebbe un buon effetto. Il vecchio volle accingersi a compiere
l'opera sciogliendo un dubbio dopo l'altro e incominciò a riprendere
l'esame di ciò che al vecchio spetti da parte dei giovini. Scrisse per
varii giorni, sempre piú agitato, poi per varii giorni stette al tavolo
leggendo e rileggendo quanto aveva scritto.
Ravvolse di nuovo le
vecchie e le nuove cartelle nel lenzuolo sul quale era scritta la domanda a cui
non sapeva rispondere. Poi affannosamente sotto a quella scrisse varie volte la
parola: - Nulla!
***
Lo trovarono stecchito con
la penna in bocca sulla quale era passato l'ultimo anelito suo.