XXVI
[Aprile-23 giugno 1812]
È
risorto: or come a morte
La sua preda fu
ritolta?
Come ha vinto
l'atre porte,
Come è salvo
un'altra volta
5 Quei che giacque
in forza altrui?
Io lo giuro per
Colui
Che da' morti
il suscitò.
È
risorto: il capo santo
Più non posa
nel sudario;
10 È risorto:
dall'un canto
Dell'avello
solitario
Sta il
coperchio rovesciato:
Come un forte
inebbriato
Il Signor si
risvegliò.
15 Come
a mezzo del cammino,
Riposato alla
foresta,
Si risente il
pellegrino,
E si scote
dalla testa
Una foglia
inaridita,
20 Che, dal ramo
dipartita,
Lenta lenta vi
risté:
Tale il marmo inoperoso,
Che premea
l'arca scavata
Gittò via quel
Vigoroso,
25 Quando l'anima
tornata
Dalla squallida
vallea,
Al Divino che
tacea:
Sorgi, disse,
io son con Te.
Che
parola si diffuse
30 Tra i sopiti
d'Israele!
Il Signor le
porte ha schiuse!
Il Signor, l'Emmanuele!
O sopiti in aspettando,
È finito il
vostro bando:
35 Egli è desso, il
Redentor.
Pria di Lui nel regno eterno
Che mortal
sarebbe asceso?
A rapirvi al
muto inferno,
Vecchi padri,
Egli è disceso:
40 Il sospir del
tempo antico,
Il terror
dell'inimico,
Il promesso
Vincitor.
Ai
mirabili Veggenti,
Che narrarono
il futuro,
45 Come il padre ai
figli intenti
Narra i casi
che già furo,
Si mostrò quel
sommo Sole,
Che, parlando
in lor parole,
Alla terra
Iddio giurò;
50
Quando Aggeo, quando Isaia
Mallevaro al
mondo intero
Che il Bramato
un dì verria;
Quando assorto
in suo pensiero
Lesse i giorni
numerati,
55 E degli anni
ancor non nati
Daniel si
ricordò.
Era
l'alba; e, molli il viso,
Maddalena e
l'altre donne
Fean lamento
sull'Ucciso;
60 Ecco tutta di
Sionne
Si commosse la
pendice,
E la scolta
insultatrice
Di spavento
tramortì.
Un
estranio giovinetto
65 Si posò sul
monumento:
Era folgore
l'aspetto,
Era neve il
vestimento:
Alla mesta che
'l richiese
Diè risposta
quel cortese:
70 È risorto; non è
qui.
Via
co' palii disadorni
Lo squallor
della viola:
L'oro usato a
splender torni:
Sacerdote, in
bianca stola,
75 Esci ai grandi
ministeri,
Tra la luce de'
doppieri,
Il Risorto ad
annunziar.
Dall'altar si mosse un grido:
Godi, o Donna
alma del cielo;
80 Godi; il Dio, cui
fosti nido
A vestirsi il
nostro velo,
È risorto, come
il disse:
Per noi prega:
Egli prescrisse
Che sia legge
il tuo pregar.
85 O
fratelli, il santo rito
Sol di gaudio
oggi ragiona;
Oggi è giorno
di convito;
Oggi esulta
ogni persona:
Non è madre che
sia schiva
90 Della spoglia più
festiva
I suoi bamboli
vestir.
Sia
frugal del ricco il pasto;
Ogni mensa
abbia i suoi doni;
E il tesor,
negato al fasto
95 Di superbe
imbandigioni,
Scorra amico
all'umil tetto,
Faccia il desco
poveretto
Più ridente
oggi apparir.
Lunge il grido e la tempesta
100 De' tripudi
inverecondi:
L'allegrezza
non è questa
Di che i giusti
son giocondi;
Ma pacata in
suo contegno,
Ma celeste,
come segno
105 Della gioia che
verrà.
Oh
beati! a lor più bello
Spunta il sol
de' giorni santi;
Ma che fia di
chi rubello
Torse, ahi
stolto! i passi erranti
110 Nel sentier che a
morte guida?
Nel Signor chi
si confida
Col Signor
risorgerà.
XXVII
[9 novembre 1812-19 aprile 1813]
Tacita un giorno a non so qual pendice
Salia d'un
fabbro nazaren la sposa;
Salia non vista
alla magion felice
D'una pregnante
annosa;
5 E
detto: “Salve” a lei, che in reverenti
Accoglienze
onorò l'inaspettata,
Dio lodando,
sclamò: Tutte le genti
Mi chiameran
beata.
Deh!
con che scherno udito avria i lontani
10 Presagi allor
l'età superba! Oh tardo
Nostro
consiglio! oh degl'intenti umani
Antiveder
bugiardo!
Noi
testimoni che alla tua parola
Ubbidiente
l'avvenir rispose,
15 Noi serbati
all'amor, nati alla scola
Delle celesti
cose,
Noi
sappiamo, o Maria, ch'Ei solo attenne
L'alta promessa
che da Te s'udia,
Ei che in cor
la ti pose: a noi solenne
20 È il nome tuo,
Maria.
A
noi Madre di Dio quel nome sona:
Salve beata!
che s'agguagli ad esso
Qual fu mai
nome di mortal persona,
O che gli vegna
appresso?
25 Salve
beata! in quale età scortese
Quel sì caro a
ridir nome si tacque?
In qual dal
padre il figlio non l'apprese?
Quai monti mai,
quali acque
Non
l'udiro invocar? La terra antica
30 Non porta sola i
templi tuoi, ma quella
Che il Genovese
divinò, nutrica
I tuoi cultori
anch'ella.
In
che lande selvagge, oltre quei mari
Di sì barbaro
nome fior si coglie,
35 Che non conosca
de' tuoi miti altari
Le benedette
soglie?
O
Vergine, o Signora, o Tuttasanta,
Che bei nomi ti
serba ogni loquela!
Più d'un popol
superbo esser si vanta
40 In tua gentil
tutela.
Te,
quando sorge, e quando cade il die,
E quando il
sole a mezzo corso il parte,
Saluta il
bronzo, che le turbe pie
Invita ad
onorarte.
45 Nelle
paure della veglia bruna,
Te noma il
fanciulletto; a Te, tremante,
Quando ingrossa
ruggendo la fortuna,
Ricorre il
navigante.
La
femminetta nel tuo sen regale
50 La sua spregiata
lacrima depone,
E a Te beata,
della sua immortale
Alma gli
affanni espone;
A
Te che i preghi ascolti e le querele,
Non come suole
il mondo, né degl'imi
55 E de' grandi il
dolor col suo crudele
Discernimento
estimi.
Tu
pur, beata, un dì provasti il pianto,
Né il dì verrà
che d'oblianza il copra:
Anco ogni
giorno se ne parla; e tanto
60 Secol vi corse
sopra.
Anco ogni giorno se ne parla e plora
In mille parti;
d'ogni tuo contento
Teco la terra
si rallegra ancora,
Come di fresco
evento.
65 Tanto
d'ogni laudato esser la prima
Di Dio la Madre
ancor quaggiù dovea;
Tanto piacque
al Signor di porre in cima
Questa
fanciulla ebrea.
O
prole d'Israello, o nell'estremo
70 Caduta, o da sì
lunga ira contrita,
Non è Costei,
che in onor tanto avemo,
Di vostra fede
uscita?
Non
è Davidde il ceppo suo? Con Lei
Era il pensier
de' vostri antiqui vati,
75 Quando annunziaro
i verginal trofei
Sopra l'inferno
alzati.
Deh!
a Lei volgete finalmente i preghi,
Ch'Ella vi
salvi, Ella che salva i suoi;
E non sia gente
né tribù che neghi
80 Lieta cantar con
noi:
Salve, o degnata del secondo nome,
O Rosa, o
Stella ai periglianti scampo,
Inclita come il
sol, terribil come
Oste schierata
in campo.
XXVIII
[13 luglio-29 settembre 1813]
Qual masso che dal vertice
Di lunga erta
montana,
Abbandonato
all'impeto
Di rumorosa
frana,
5 Per lo
scheggiato calle
Precipitando a
valle,
Batte sul fondo
e sta;
Là
dove cadde, immobile
Giace in sua
lenta mole;
10 Né, per mutar di
secoli,
Fia che riveda
il sole
Della sua cima
antica,
Se una virtude
amica
In alto nol
trarrà:
15 Tal
si giaceva il misero
Figliol del
fallo primo,
Dal dì che
un'ineffabile
Ira promessa
all'imo
D'ogni malor
gravollo,
20 Donde il superbo
collo
Più non potea
levar.
Qual mai tra i nati all'odio,
Quale era mai
persona,
Che al Santo
inaccessibile
25 Potesse dir:
perdona?
Far novo patto
eterno?
Al vincitore
inferno
La preda sua
strappar?
Ecco ci è nato un Pargolo,
30 Ci fu largito un
Figlio:
Le avverse
forze tremano
Al mover del
suo ciglio:
All'uom la mano
Ei porge,
Che si ravviva,
e sorge
35 Oltre l'antico
onor.
Dalle magioni eteree
Sgorga una
fonte, e scende,
E nel borron
de' triboli
Vivida si
distende:
40 Stillano mèle i
tronchi
Dove copriano i
bronchi,
Ivi germoglia
il fior.
O
Figlio, o Tu cui genera
L'Eterno,
eterno seco;
45 Qual ti può dir
de' secoli:
Tu cominciasti
meco?
Tu sei: del
vasto empireo
Non ti
comprende il giro:
La tua parola
il fe'.
50 E Tu
degnasti assumere
Questa creata
argilla?
Qual merto suo,
qual grazia
A tanto onor
sortilla?
Se in suo
consiglio ascoso
55 Vince il perdon,
pietoso
Immensamente
Egli è.
Oggi Egli è nato: ad Efrata,
Vaticinato
ostello,
Ascese un'alma
Vergine,
60 La gloria
d'Israello,
Grave di tal
portato:
Da cui promise
è nato,
Donde era
atteso uscì.
La
mira Madre in poveri
65 Panni il Figliol
compose,
E nell'umil
presepio
Soavemente il
pose;
E l'adorò:
beata!
Innanzi al Dio
prostrata,
70 Che il puro sen
le aprì.
L'Angel del cielo, agli uomini
Nunzio di tanta
sorte,
Non de' potenti
volgesi
Alle vegliate
porte;
75 Ma tra i pastor
devoti,
Al duro mondo
ignoti,
Subito in luce
appar.
E
intorno a Lui, per l'ampia
Notte calati a
stuolo,
80 Mille celesti
strinsero
Il
fiammeggiante volo;
E accesi in
dolce zelo,
Come si canta
in cielo,
A Dio gloria
cantar.
85
L'allegro inno seguirono,
Tornando al
firmamento:
Tra le varcate
nuvole
Allontanossi, e
lento
Il suon sacrato
ascese,
90 Fin che più nulla
intese
La compagnia
fedel.
Senza indugiar, cercarono
L'albergo
poveretto
Que' fortunati, e videro,
95 Siccome a lor fu
detto,
Videro in panni
avvolto,
In un presepe
accolto,
Vagire il Re
del Ciel.
Dormi, o Fanciul; non piangere;
100 Dormi, o Fanciul
celeste:
Sovra il tuo
capo stridere
Non osin le
tempeste,
Use sull'empia
terra,
Come cavalli in
guerra,
105 Correr davanti a
Te.
Dormi, o Celeste: i popoli
Chi nato sia
non sanno;
Ma il dì verrà
che nobile
Retaggio tuo
saranno;
110 Che in quell'umil
riposo,
Che nella polve
ascoso,
Conosceranno il
Re.
XXIX
[3 marzo 1814-15 ottobre 1815]
O tementi dell'ira ventura,
Cheti e gravi
oggi al tempio moviamo,
Come gente che
pensi a sventura,
Che improvviso
s'intese annunziar.
5 Non s'aspetti di
squilla il richiamo;
Nol concede il
mestissimo rito:
Qual di donna
che piange il marito,
È la veste del
vedovo altar.
Cessan gl'inni e i misteri beati,
10 Tra cui scende,
per mistica via,
Sotto l'ombra
de' pani mutati,
L'ostia viva di
pace e d'amor.
S'ode un carme:
l'intento Isaia
Proferì questo
sacro lamento,
15 In quel dì che un
divino spavento
Gli affannava
il fatidico cor.
Di
chi parli, o Veggente di Giuda?
Chi è costui
che, davanti all'Eterno,
Spunterà come
tallo da nuda
20 Terra, lunge da
fonte vital?
Questo fiacco pasciuto di scherno,
Che la faccia
si copre d'un velo,
Come fosse un
percosso dal cielo,
Il novissimo
d'ogni mortal?
25 Egli
è il Giusto, che i vili han trafitto,
Ma tacente, ma
senza tenzone;
Egli è il
Giusto; e di tutti il delitto
Il Signor sul
suo capo versò.
Egli è il
santo, il predetto Sansone,
30 Che morendo
francheggia Israele;
Che volente
alla sposa infedele
La fortissima
chioma lasciò.
Quei che siede sui cerchi divini,
E d'Adamo si
fece figliolo;
35 Né sdegnò coi
fratelli tapini
Il funesto
retaggio partir:
Volle l'onte, e
nell'anima il duolo,
E l'angosce di
morte sentire,
E il terror che
seconda il fallire,
40 Ei che mai non
conobbe il fallir.
La
repulsa al suo prego sommesso,
L'abbandono del
Padre sostenne:
Oh spavento!
l'orribile amplesso
D'un amico
spergiuro soffrì.
45 Ma simìle
quell'alma divenne
Alla notte
dell'uomo omicida:
Di quel Sangue
sol ode le grida,
E s'accorge che
Sangue tradì.
Oh
spavento! lo stuol de' beffardi
50 Baldo insulta a
quel volto divino,
Ove intender
non osan gli sguardi
Gl'incolpabili
figli del ciel.
Come l'ebbro
desidera il vino,
Nell'offese
quell'odio s'irrita;
55 E al maggior dei
delitti gl'incita
Del delitto la
gioia crudel.
Ma
chi fosse quel tacito reo,
Che davanti al
suo seggio profano
Strascinava il
protervo Giudeo,
60 Come vittima
innanzi a l'altar,
Non lo seppe il
superbo Romano;
Ma fe' stima il
deliro potente,
Che giovasse
col sangue innocente
La sua vil
sicurtade comprar.
65 Su
nel cielo in sua doglia raccolto
Giunse il suono
d'un prego esecrato:
I Celesti
copersero il volto:
Disse Iddio:
Qual chiedete sarà.
E quel Sangue
dai padri imprecato
70 Sulla misera
prole ancor cade,
Che, mutata
d'etade in etade,
Scosso ancor
dal suo capo non l'ha.
Ecco appena sul letto nefando
Quell'Afflitto
depose la fronte,
75 E un altissimo
grido levando,
Il supremo
sospiro mandò:
Gli uccisori
esultanti sul monte
Di Dio l'ira
già grande minaccia,
Già dall'ardue
vedette s'affaccia,
80 Quasi accenni:
Tra poco verrò
O
gran Padre! per Lui che s'immola,
Cessi alfine
quell'ira tremenda;
E de' ciechi
l'insana parola
Volgi in
meglio, pietoso Signor.
85 Sì, quel Sangue
sovr'essi discenda;
Ma sia pioggia
di mite lavacro:
Tutti errammo;
di tutti quel sacro -
santo Sangue
cancelli l'error.
E
tu, Madre, che immota vedesti
90 Un tal Figlio
morir sulla croce,
Per noi prega,
o regina de' mesti,
Che il possiamo
in sua gloria veder;
Che i dolori,
onde il secolo atroce
Fa de' boni più
tristo l'esiglio,
95 Misti al santo
patir del tuo Figlio,
Ci sian pegno
d'eterno goder.
XXX
[21 giugno-2 ottobre 1817]
Madre de' Santi, immagine
Della città
superna,
Del sangue
incorruttibile
Conservatrice
eterna;
5 Tu che, da tanti
secoli,
Soffri,
combatti e preghi,
Che le tue
tende spieghi
Dall'uno
all'altro mar;
Campo di quei che sperano;
10 Chiesa del Dio
vivente,
Dov'eri mai?
qual angolo
Ti raccogliea
nascente,
Quando il tuo
Re, dai perfidi
Tratto a morir
sul colle,
15 Imporporò le
zolle
Del suo sublime
altar?
E
allor che dalle tenebre
La diva spoglia
uscita,
Mise il potente
anelito
20 Della seconda
vita;
E quando, in
man recandosi
Il prezzo del
perdono,
Da questa polve
al trono
Del Genitor
salì;
25
Compagna del suo gemito,
Conscia de'
suoi misteri,
Tu, della sua
vittoria
Figlia immortal,
dov'eri?
In tuo terror
sol vigile,
30 Sol nell'obblio
secura,
Stavi in
riposte mura,
Fino a quel
sacro dì,
Quando su te lo Spirito
Rinnovator
discese
35 E l'inconsunta
fiaccola
Nella tua
destra accese;
Quando, segnal
de' popoli,
Ti collocò sul
monte,
E ne' tuoi
labbri il fonte
40 Della parola
aprì.
Come la luce rapida
Piove di cosa
in cosa,
E i color vari
suscita
Dovunque si
riposa;
45 Tal risonò
moltiplice
La voce dello
Spiro:
L'Arabo, il
Parto, il Siro
In suo sermon
l'udì.
Adorator degl'idoli,
50 Sparso per ogni
lido,
Volgi lo
sguardo a Solima,
Odi quel santo
grido:
Stanca del vile
ossequio,
La terra a Lui
ritorni:
55 E voi che aprite
i giorni
Di più felice
età,
Spose, che desta il subito
Balzar del
pondo ascoso;
Voi già vicine
a sciogliere
60 Il grembo
doloroso;
Alla bugiarda
pronuba
Non sollevate
il canto
Cresce serbato
al Santo
Quel che nel
sen vi sta.
65
Perché, baciando i pargoli,
La schiava
ancor sospira?
E il sen che
nutre i liberi
Invidiando
mira?
Non sa che al
regno i miseri
70 Seco il Signor
solleva?
Che a tutti i
figli d'Eva
Nel suo dolor
pensò?
Nova franchigia annunziano
I cieli, e
genti nove;
75 Nove conquiste, e
gloria
Vinta in più
belle prove;
Nova, ai
terrori immobile
E alle lusinghe
infide,
Pace, che il
mondo irride,
80 Ma che rapir non
può.
O
Spirto! supplichevoli
A' tuoi solenni
altari,
Soli per selve
inospite,
Vaghi in
deserti mari,
85 Dall'Ande algenti
al Libano,
D'Erina
all'irta Haiti,
Sparsi per
tutti i liti,
Uni per Te di
cor,
Noi
T'imploriam! Placabile
90 Spirto, discendi
ancora,
A' tuoi cultor
propizio,
Propizio a chi
T'ignora;
Scendi e
ricrea; rianima
I cor nel
dubbio estinti;
95 E sia divina ai
vinti
Mercede il
vincitor.
Discendi Amor; negli animi
L'ire superbe
attuta:
Dona i pensier
che il memore
100 Ultimo dì non
muta;
I doni tuoi
benefica
Nutra la tua
virtude;
Siccome il sol
che schiude
Dal pigro germe
il fior;
105 Che
lento poi sull'umili
Erbe morrà non
còlto,
Né sorgerà coi
fulgidi
Color del lembo
sciolto,
Se fuso a lui
nell'etere
110 Non tornerà quel
mite
Lume, dator di
vite,
E infaticato
altor.
Noi
T'imploriam! Ne' languidi
Pensier
dell'infelice
115 Scendi piacevol
alito,
Aura
consolatrice:
Scendi bufera
ai tumidi
Pensier del
violento;
Vi spira uno
sgomento
120 Che insegni la
pietà.
Per
Te sollevi il povero
Al ciel, ch'è
suo, le ciglia;
Volga i lamenti
in giubilo,
Pensando a Cui
somiglia;
125 Cui fu donato in
copia,
Doni con volto
amico,
Con quel tacer
pudico,
Che accetto il
don ti fa.
Spira de' nostri bamboli
130 Nell'ineffabil
riso;
Spargi la casta
porpora
Alle donzelle
in viso;
Manda alle
ascose vergini
Le pure gioie
ascose;
135 Consacra delle
spose
Il verecondo
amor.
Tempra de' baldi giovani
Il confidente
ingegno;
Reggi il viril
proposito
140 Ad infallibil
segno;
Adorna le
canizie
Di liete voglie
sante;
Brilla nel
guardo errante
Di chi sperando
muor.
XXXI
Frammenti
...in omnibus Christus.
PAUL, Col.,
III, 11.
Multa
quidem membra, unum autem corpus.
Cor.,
1, XII, 20.
Omnes enim vos estis Unum in
Christo Jesu.
Gal.,
III, 28.
[1821 (Parenti); novembre 1830 (Busetto);
1847 (Lesca)]
. . . . . .
. . . .
Cercando col cupido sguardo,
Tra il vel della nebbia terrena,
Quel sol che in
sua limpida piena
V'avvolge or
beati lassù;
5 Il
secol vi sdegna, e superbo
Domanda qual
merto agli altari
V'addusse; che
giovin gli avari
Tesor di
solinghe virtù.
A
Lui che nell'erba del campo
10 La spiga vitale
ripose,
Il fil di tue
vesti compose,
Del farmaco i
succhi temprò;
Che
il pino inflessibile agli austri,
Che docile il
salcio alla mano,
15 Che il larice ai
verni, e l'ontano
Durevole
all'acque creò;
A
Quello domanda, o sdegnoso,
Perché
sull'inospite piagge,
All’alito
d'aure selvagge,
20 Fa sorgere il
tremulo fior,
Che
spiega dinanzi a Lui solo
La pompa del
candido velo,
Che spande ai
deserti del cielo
Gli olezzi del
calice, e muor.
25 E voi
che, gran tempo, per ciechi
Sentier di
lusinghe funeste
Correndo
all'abisso, cadeste
In grembo a
un'immensa pietà;
E
come l'umor, che nel limo
30 Errava sotterra
smarrito,
Da subita vena
rapito,
Che al giorno
la strada gli fa,
Si
lancia, e seguendo l'amiche
Angustie con
ratto gorgoglio,
35 Si vede d'in cima
allo scoglio
In lucido
sgorgo apparir;
Sorgeste già puri, e la vetta,
Sorgendo,
toccaste, dolenti
E forti, a
magnanimi intenti
40 Nutrendo nel
pianto l'ardir;
Un
timido ossequio non veli
Le piaghe che
il fallo v'impresse:
Un segno divino
sovr'esse
La man, che le
chiuse, lasciò.
45 Tu
sola a Lui festi ritorno
Ornata del
primo suo dono;
Te sola più su
del perdono
L'Amor che può
tutto locò;
Te
sola dall'angue nemico
50 Non tocca né
prima né poi;
Dall'angue, che
appena su noi
L'indegna
vittoria compiè,
Traendo l'oblique rivolte,
Rigonfio e
tremante, tra l'erba,
55 Sentì sulla testa
superba
Il peso del
puro tuo piè.
. . . . .
. . . . . .
XXXII
Tu sì che a noi t'ascondi:
L'occhio ti
cerca invano;
Ma l'opre di
tua mano
Ti svelano, o
Signor.
5
Tutto del tuo gran nome
In terra, in
ciel, favella;
Risplende in
ogni stella,
È scritto in
ogni fior.
. . . . .
. . . .