1
Fuggita
è la stagione che havea conversi
e fiori
in pomi già maturi et còlti;
in ramo
non può più foglia tenersi,
ma
sparte per li boschi assai men folti
si fan
sentire, se adviene che gli atraversi
el
cacciatore, et i pochi paion molti;
la fera,
se ben l’orme vaghe absconde,
non va
segreta per le secche fronde.
2
Tra li
àlbori secchi stassi il laur lieto,
et di
Cyprigna l’odorato arbusto;
verdeggia nelle bianche alpe l’abeto,
et piega
e rami già di neve honusto;
tiene il
cipresso qualche uccel secreto,
et co’
venti combatte il pin robusto;
l’humil
ginepro con le acute foglie
la man
non porge altrui, chi ben lo coglie;
3
la uliva
in qualche dolce piaggia aprica
secondo
il vento par hor verde hor bianca:
Natura
in questi tali serba et nutrica
quel
verde che nell’altre fronde manca.
Già e
peregrini uccei con gran fatica
hanno
condocto la famiglia stanca
di là
dal mare, et pel camin lor mostri
Nereide,
Tritoni et altri mostri.
4
Ha
combattuto dello imperio et vincto
la Nocte,
et prigion mena el breve giorno:
nel
cielo sereno d’ecterne fiamme cincto
lieta el
carro stellato mena intorno
né prima
surge, che in Occeano tinto
si vede
l’altro aurato carro adorno;
Orion
freddo col coltello minaccia
Phebo,
se mostra a·nnoi la bella faccia.
5
Seguon
questo nocturno carro ardente
Vigilie,
Excubie et sollecite Cure,
el Somno
(et bench’e’ sia molto potente,
queste
importune il vincon talhor pure),
e ’
dolci Sogni, che ingannon la mente,
quando è
oppressa da fortune dure:
di
sanità, d’assai thesoro fa festa
alcun
che infermo et povero si desta.
6
Oh miser
quello che in nocte così lunga
non
dorme, et il disiato giorno aspecta,
se
advien che molto et dolce disio il punga,
quale il
futuro giorno li promecta!
Et,
benché ambo le ciglia insieme adgiunga,
e ’
pensieri tristi excluda e ’ dolci ametta,
dormendo
o desto, acciò che il tempo inganni,
gli pare
la nocte un secol di cento anni.
7
Oh miser
chi tra l’onde truova fuora
sì lunga
nocte, assai lontano dal lito,
e ’l
cammin rompe della cieca prora
el
vento, et freme il mare un fero mugito!
Con
molti prieghi et voti Aurora
chiamata, sta col suo vecchio marito.
Numera
tristo et disioso guarda
e passi
lenti della Nocte tarda.
8
Quanto è
diversa, anzi contraria sorte
de’
lieti amanti nella algente bruma,
a cui le
nocte sono chiare et corte,
il
giorno obscuro et tardo si consuma!
Nella
stagione così gelida et forte,
già
rivestiti di novella piuma,
hanno
deposto gli ugelletti alquanto
non so
s’io dica o e lieti versi o ’l pianto.
9
Stridendo in cielo e gru vegonsi a·llunge
l’aer
stampare di varie et belle forme;
et
l’ultima col collo steso agiunge
ove è
quella dinanzi, alle vane orme;
et, poi
che nelli aprichi lochi giunge,
vigile
un guarda, et l’altra schiera dorme:
cuoprono
e prati et van leggieri pe’ laghi
mille
spetie d’uccei dipinti et vaghi.
10
L’aquila
spesso col volato lento
minaccia
tutti, et sopra il stagno vola:
levonsi
insieme et caccionla col vento
delle
penne stridente; et, se pur sola
una fuor
resta del pennuto armento,
l’uccel
di Giove subito la invola:
resta
ingannata, misera, se crede
andarne
a Giove come Ganimede.
11
Zephiro
s’è fuggito in Cipri, et balla
con
Flora, otiosi per la herbetta lieta;
l’aria
non più serena, bella et gialla
Borrea
et Aquilone rompe e inquieta;
l’acqua
corrente et querula incristalla
el
ghiaccio, et stracca hor si riposa cheta:
preso il
pesce nell’onda dura et chiara
resta
come in ambra aurea zanzara.
12
Quel
monte che se oppone a Cauro fero,
che non
molesti il gentil fior, cresciuto
nel suo
grembo d’honor, ricchezze et impero,
cigne di
nebbie el capo già canuto;
gli
omeri candenti, giù dal capo altero,
cuoprono
e bianchi crini, e ’l pecto irsuto
la
horribil barba, che è pel ghiaccio rigida;
fan gli
occhi e ’l naso un fonte, e ’l gel lo infrigida.
13
La
nebulosa ghirlanda che cigne
l’alte
tempie gli mette Noto in testa;
Borrea
da l’alpe poi la caccia et spigne,
et nudo
et bianco el vecchio capo resta;
Noto
sopra l’ale humide et maligne
la
nebbia porta, et par di nuovo il vesta:
così
Morello irato, hor carco hor lieve,
minaccia
al piano subiecto hor acqua hor neve.
14
Partesi
de Ethyopia caldo et tinto
Austro,
et satia l’assetate spugne
nell’onde salse di Tirreno intinto;
appena
a’ destinati luoghi giugne,
gravido
d’acqua et da’ nugoli cinto
et
stanco, stringe poi ambo le pugne:
e fiumi
lieti contro all’acque amiche
escono
allhor delle caverne antiche.
15
Rendon
gratie ad Occean padre, adorni
d’ulva
et di fronde fluviali le tempie;
suonan
per festa e rochi et torti corni;
tumido
il ventre, già superbo, s’empie;
lo
sdegno, conceputo molti giorni
contro
alle ripe timide, s’adempie:
spumoso
ha rotto già lo inimico argine,
né serva
il corso dello antico margine.
16
Non per
vie lunghe o per cammino oblico
a guisa
di serpenti, a gran volumi,
sollecitan la via al padre antico:
congiungon l’onde insieme e lontan’ fiumi
et dice
l’uno all’altro, come amico,
nuove
del suo paese et de’ costumi:
così
insieme, in una strana voce,
cercon,
né truovon, la smarrita foce.
17
Quando
gonfiato et largo si ristrigne
tra li
alti monti d’una chiusa valle,
stridon
frenate, turbide et maligne
l’onde,
et miste con terra paion gialle;
et grave
petre sopra petre pigne,
irato a’
sassi dello angusto calle;
l’onde
spumose gira, horribil freme:
vede il
pastor da alto, et, secur, teme.
18
Tal
fremito piangendo rende trista
la terra
dentro al cavo ventre adusta:
caccia
col fumo fuor fiamma âcqua mista
gridando, ch’esce per la bocca angusta,
terribile alli orecchi et alla vista:
teme,
vicina, il suon alta et robusta
Volterra, et e lagon’ torbidi che spumano,
et piove
aspecta se più alto fumano.
19
Così
cruciato il fer torrente frende
superbo,
et le contrarie ripe rode;
ma, poi
che nel piano largo si distende,
quasi
contento alhora appena se ode:
incerto
se in su torna o se pur scende,
ha de’
monti distanti facto prode:
già
vincitore al cheto lago incede,
di rami
et tronchi pien, montane prede.
20
A pena è
suta a tempo la villana
pavida
âprire alle bestie la stalla;
porta il
figlio, che piange, nella zana;
segue la
figlia grande, et ha la spalla
grave di
panni vili, lini et lana;
va
l’altra vecchia masseritia a galla
nuotono
e porci et, spaventati, e buoi,
le
pecorelle, et non si toson poi.
21
Alcun
della famiglia s’è ridocto
in cima
della casa, et su dal tecto
la
povera ricchezza vede ir socto,
la
fatica, la speme; et, per sospecto
di se
stesso, non duolsi et non fa mocto:
teme
alla vita el cuor nel tristo pecto,
né delle
cose car’ par conto faccia:
così la
magior cura ogn’altra caccia.
22
La nota
et verde ripa alhor non frena
e pesci
lieti, che han più ampli spatii;
l’antica
et giusta voglia alquanto è piena
di
vedere nuovi liti; et, non ben satii,
questo
nuovo piacere vaghi gli mena
a vedere
le ruine et ’ grandi stratii
delli
edificii, et sopto l’acqua e muri
veggon
lieti et anchor non ben sicuri.
23
In guisa
alhora di piccola isoletta
Ombrone
amante superbo Ambra cigne;
Ambra,
non meno da Laur dilecta,
geloso
se ’l rivale la tocca et strigne;
Ambra
driàde, a Delia sua accepta
quanto
alcuna che stral fuor d’arco pigne;
tanto
bella et gentile che alfine li nuoce,
leggieri
di piedi et più ch’altra veloce.
24
Fu da’
primi anni questa nympha amata
dal suo
Laur gentile, pastore alpino,
d’un
casto amore, né era penetrata
lasciva
fiamma al pecto peregrino.
Fuggendo
il caldo un dì nuda era entrata
nell’onde fredde de Ombrone, d’Appennino
figlio,
superbo in vista et ne’ costumi
pel
padre antico et ’ cento frati fiumi.
25
Come le
membra virginali entrorno
nella
acqua bruna et gelida sentìo,
et,
mosso da·leggiadro corpo adorno,
della
spilonca uscì l’altero iddio;
dalla
sinistra prese il torto corno,
et nudo
el resto, acceso di disio,
difende
il capo inculto a’ phebei raggi
coronato
d’abeti et montàn’ faggi.
26
Et verso
il loco ove la nympha stassi
giva
pian piano, coperto dalle fronde;
né era
visto, né sentire e passi
lasciava
il mormorio delle chiare onde.
Così
vicino tanto alla nympha fassi
che
giugner crede le suo trecce bionde,
et
quella bella nympha in braccio havere,
et,
nudo, el nudo et bel corpo tenere.
27
Sì come
pesce, alhora, che incauto cuopra
el
pescator con rara et soptil maglia,
fugge la
rete, qual sente di sopra,
lasciando, per fuggire, alcuna scaglia;
così la
nympha, quando par si scuopra,
fugge lo
dio, che addosso si li scaglia,
né fu sì
presta, anzi fu sì presto elli,
che in
man lasciolli alcun de’ sua capelli.
28
Et,
saltando dell’onde, strigne il passo;
di timor
piena fugge nuda et scalza;
lascia e
panni et li strali, l’arco e ’l turcasso;
non cura
e pruni acuti o l’aspra balza;
resta lo
dio dolente aflicto et lapso;
pel
dolore le man’ strigne, al cielo li occhi alza;
maladisce la mano crudele et tarda,
quando e
biondi capelli svelti guarda.
29
Et
seguendola, alhora, diceva: «O mano,
a
vellere e be’ crini presta et feroce,
ma
a·ttener quel corpo più che humano
et farmi
lieto, ohimè, poco veloce!».
Così
piangendo il primo errore invano,
credendo
almeno agiugner con la boce
dove
arrivar non puote il passo tardo,
gridava:
«O nympha, un fiume sono, et ardo!
30
Tu
m’accendesti in mezzo alle fredde acque
el pecto
d’uno ardente disir cieco:
perché,
come nell’onda el corpo giacque,
non
giace, ché staria meglio assai, con meco?
Se
l’ombra et l’acqua mia chiara ti piacque,
più
bella ombra, più bella acqua ha el mio speco.
Piaccionti le mia cose, et non piaccio io:
et son
pur d’Appennino figliuolo, et dio».
31
La
nympha fugge, et sorda a’ prieghi fassi;
a’
bianchi piè agiugne ale il timore.
Sollecita lo dio, correndo, e passi,
facti a
seguir veloci dallo amore;
vede da’
pruni et da’ taglienti sassi
e
bianchi piè ferire con gran dolore;
cresce
el disio, pel quale et ghiaccia et suda,
vedendola fugire sì bella et nuda.
32
Timida
et vergognosa Ambra pur corre;
nel
corso a’ venti rapidi non cede;
le
leggier’ piante sulle spighe porre
potria,
et sosterrieno il gentil piede;
vedesi
Ombrone ognor più campo tôrre,
la
nympha ad ogni passo manco vede:
già nel
piano largo tanto il corso avanza,
che di
giugnerla perde ogni speranza.
33
Già pria
per li alti monti aspri et repenti
venìa
tra’ sassi con rapido corso;
e passi
a·llei manco expediti, et lenti,
faceano
a·llui sperare qualche soccorso;
ma
giunto, lapso, giù ne’ pian’ patenti,
fu messo
quasi al fiume stanco un morso:
poi che
non può col piè, per la campagna
col
disio et cogli occhi l’acompagna.
34
Che
debbe fare lo innamorato iddio,
poi che
la bella nympha più non giugne?
Quanto
gli è più negata, più disio
lo
’nnamorato core accende et pugne.
La
nympha era già presso ove Arno mio
riceve
Ombrone, et l’onde si congiugne:
Ombrone,
Arno veggendo, si conforta,
et surge
alquanto la speranza morta.
35
Grida
da·llungi: «O Arno, a cui refugge
la
magior parte di noi fiumi thoschi,
la bella
nympha, che come uccel fugge,
da me
seguìta in tanti monti et boschi,
sanza
alcuna piatate el cor mi strugge,
né par
che amor el duro cor conoschi:
rendimi
lei, et la speranza persa,
et el
legier corso suo rompi e ’ntraversa.
36
Io sono
Ombrone che·lle mia cerule onde
per te
raccoglio: a·tte tutte le serbo,
et facte
tue diventon sì prophonde,
che
sprezzi et ripe et ponti, alto et superbo;
questa è
mia preda, et queste trecce bionde,
qual’ in
man porto con dolore acerbo,
ne fan
chiar segno; in te mie speme è sola:
soccorri
presto, ché la nympha vola!».
37
Arno
vedendo Ombrone, da pietà mosso,
per che
el tempo non basta a far risposta,
ritenne
l’acqua, et già gonfiato et grosso
da·llungi al corso della bella Ambra osta.
Fu da
nuovo timore freddo et percosso
el
vergin pecto, quanto più s’acosta:
drieto
Ombron sente, et innanzi vede un lago,
né sa
che farsi, il cor gelato et vago.
38
Come
fera cacciata et già difesa
da’
can’, fuggendo la bocca bramosa,
fuor del
periglio già, la rete tesa
veggendo
innanzi agli occhi, paurosa,
quasi
già certa dovere essere presa,
né fugge
innanzi o indrieto tornar osa,
teme e
cani, alla rete non si fida,
non sa
che farsi, et spaventata grida;
39
tal
della bella nympha era la sorte:
da ogni
parte da paura oppressa,
non sa
che farsi, se non disiar morte;
vede
l’un fiume et l’altro che s’apressa,
et
disperata alhor gridava forte:
«O casta
dea, a cui io fui concessa
dal caro
padre et dalla madre antica,
unica
aiuta all’ultima fatica!
40
Diana
bella, questo pecto casto
non
maculò giammai folle disio:
guardalo
hor tu, perch’io, nympha, non basto
a dua
nimici; et l’uno et l’altro è dio.
Col
desio del morire m’è sol rimasto
al core
el casto amore di Laur mio;
portate,
o venti, questa voce extrema
a·lLaur
mio, che la mia morte gema!».
41
Né eron
quasi della bocca fore
queste
parole, che i candidi piedi
furno
occupati da novel rigore;
crescerli poi et farsi un saxo vedi,
mutar le
membra e ’l bel corpo colore
ma pur,
che donna fussi anchor tu credi:
le
membra mostron come suol figura
bozzata
et non finita in pietra dura.
42
Ombrone
pel corso faticato et lapso,
per la
speranza della cara preda
prende
nuovo vigore et strigne il passo,
et par
che quasi in braccio havere la creda:
crescer
veggendo innanzi agli occhi il sasso,
ignaro
anchora, non sa donde proceda;
ma poi,
veggendo vana ogni suo voglia,
si ferma
pieno di maraviglia et doglia.
43
Come in
un parco cerva o altra fera,
ch’è di
materia o picciol muro chiuso,
soprafacta da’ cani campar non spera
vicina
al muro, et per timor là suso
salta,
et si lieva innanzi al can legiera,
resta el
can dentro misero et deluso;
non
potendo seguire dove è salita,
fermasi,
et guarda el loco onde è fuggita;
44
così lo
dio ferma la veloce orma,
guarda
piatoso il bel saxo crescente,
el saxo,
che anchor serba qualche forma
di bella
donna, et qualche poco sente;
et come
amore et la pietà lo ’nforma,
di
pianto bagna il sasso amaramente,
dicendo:
«O Ambra mia, queste son l’acque,
ove
bagnar già el bel corpo ti piacque!
45
Io non
haria creduto in dolor tanto
che la
propia piatà, vinta da quella
della
mia nympha, si fugissi alquanto:
per la
maggior pietà d’Ambra mia bella,
questa,
non già la mia, muove in me il pianto.
Et pur
la vita trista et meschinella,
anchor
che ecterna, quando meco penso,
è peggio
in me, che in lei non haver senso.
46
Lapso,
ne’ monti miei paterni excelsi
son
tante nymphe, et sicura è ciascuna;
tra
mille belle la più bella scelsi,
non so
come; et amando sol questa una,
primo
segno di amore e crini svelsi,
et
caccia’la della acqua fresca et bruna;
tenera
et nuda poi, fuggendo exangue
tinse le
spine e ’ sassi el sacro sangue.
47
Et
finalmente in un sasso conversa,
per
colpa solo del mio crudele disio,
non so,
non sendo mia, come l’ho persa,
né posso
perder questo viver mio:
in
questo è troppo la mia sorte adversa,
misero
essendo et inmortale dio;
ché,
s’io potessi pure almen morire,
potria
il giusto inmortale dolor finire.
48
Io ho
imparato come si compiacci
a donna
amata et il suo amor guadagni,
che a
quella che più ami più dispiacci!
O Borea
algente, che gelato stagni,
l’acque
correnti fa s’induri et ghiacci,
che,
petra facto, la nympha acompagni:
né sol
già mai co’ raggi chiari et gialli
risolva
in acqua e rigidi cristalli».