NUOVA CRONICA
Giovanni Villani
tomo primo
LIBRO PRIMO
Questo libro si chiama la
Nuova cronica, nel quale si tratta di più cose passate, e spezialmente
dell'origine e cominciamento della città di Firenze, poi di tutte le
mutazioni ch'ha avute e avrà per gli tempi: cominciato a compilare nelli
anni della incarnazione di Iesù Cristo MCCC.
I
Comincia il prolago, e il
primo libro.
Con ciò sia cosa che
per gli nostri antichi Fiorentini poche e nonn-ordinate memorie si truovino di
fatti passati della nostra città di Firenze, o per difetto della loro
negligenzia, o per cagione che al tempo che Totile Flagellum Dei la
distrusse si perdessono scritture, io Giovanni cittadino di Firenze,
considerando la nobiltà e grandezza della nostra città a' nostri
presenti tempi, mi pare che si convegna di raccontare e fare memoria
dell'origine e cominciamento di così famosa città, e delle
mutazioni averse e filici, e fatti passati di quella; non perch'io mi senta
sofficiente a tanta opera fare, ma per dare materia a' nostri successori di
nonn-essere negligenti di fare memorie delle notevoli cose che averranno per
gli tempi apresso noi, e per dare esemplo a quegli che saranno delle mutazioni
e delle cose passate, e le cagioni, e perché; acciò ch'eglino si
esercitino adoperando le virtudi e schifino i vizii, e l'aversitadi sostegnano
con forte animo a bene e stato della nostra repubblica. E però io
fedelmente narrerò per questo libro in piano volgare, a ciò che
li laici siccome gli aletterati ne possano ritrarre frutto e diletto; e se in
nulla parte ci avesse difetto, lascio alla correzzione de' più savi. E
prima diremo onde fu il cominciamento della detta nostra città,
conseguendo per gli tempi infino che Dio ne concederà di grazia; e non
sanza grande fatica mi travaglierò di ritrarre e ritrovare di più
antichi e diversi libri, e croniche e autori, le geste e' fatti de' Fiorentini
compilando in questo; e prima l'orrigine dell'antica città di Fiesole,
per la cui distruzione fu la cagione e 'l cominciamento della nostra
città di Firenze. E perché l'esordio nostro si cominci molto di
lungi, in raccontando in brieve altre antiche storie, al nostro trattato ne
pare di nicessità; e fia dilettevole e utile e conforto a' nostri
cittadini che sono e che saranno, in essere virtudiosi e di grande operazione,
considerando come sono discesi di nobile progenie e di virtudiose genti, come
furono gli antichi buoni Troiani, e' valenti e nobili Romani. E acciò
chell'opera nostra sia più laudebile e buona richeggio l'aiuto del
nostro Signore Iesù Cristo, per lo nome del quale ogni opera ha buono
cominciamento, mezzo, e fine.
II
Come per la confusione
della torre di Babello si cominciò ad abitare il mondo.
Noi troviamo per le storie
della Bibbia e per quelle degli Asseriani che Nembrotto il gigante fu il primo
re, overo rettore e ragunatore di congregazione di genti; ch'egli per la sua
forza e séguito signoreggiò tutte le schiatte de' figliuoli di
Noè, le quali furono LXXII; ciò furono XXVII quelle che uscirono
di Sem il primo figliuolo di Noè, e XXX quelle di Cam il secondo
figliuolo di Noè, e XV quelle di Giaffet il terzo figliuolo di
Noè. Questo Nembrot fu figliuolo di Cus che fu figliuolo di Can il
secondo figliuolo di Noè. E per lo suo orgoglio e forza si credette
contrastare adDio, dicendo che Idio era signore del cielo, e egli della terra.
E acciò che Dio non gli potesse più nuocere per diluvio d'acqua,
come avea fatto alla prima etade, sì ordinò di fare la
maravigliosa opera della torre di Babel. Onde Iddio, per confondere il detto
orgoglio, subitamente mandò confusione in tutti viventi, e che operavano
la detta torre fare; e dove tutti parlavano una lingua, ciò era l'ebrea,
si variaro in LXXII diversi linguaggi, che l'uno non intendea l'altro. E per
cagione di ciò rimase per necessità il lavoro della detta torre,
la quale era sì grande che girava LXXX miglia, e era già alta
IIIIm passi, e grossa M passi, che ogni passo è braccia III delle nostre.
E poi quella torre rimase per le mura della grande città di Babbillonia,
la quale è in Caldea, e tanto è addire Babbillonia quanto
confusione. E in quella per lo detto Nembrot e per gli suoi furono prima
adorati gl'idoli di falsi Idii. E fu cominciata la detta torre, overo mura di
Babillonia, VIIc anni apresso che fu il Diluvio, e MMCCCLIIII anni dal
cominciamento del secolo infino alla confusione della torre di Babello. E
troviamo che si penò affare anni CVII: e le genti viveano in que' tempi
lungamente. E nota che in lunga vita, avendo più mogli, aveano molti
figliuoli e discendenti, e multiplicaro in molto popolo, tutto fosse
disordinato e sanza legge. Della detta città di Babillonia fu prima re
che cominciasse battaglie Nino figliuolo Beli, disceso d'Ansur figliuolo di
Sem, il quale Nino fece la grande città di Ninive. E poi dopo lui
regnò Semiramis sua moglie in Babillonia, che fu la più crudele e
dissoluta femmina del mondo, e questa fu al tempo da Abraam.
III
Come si dipartì il
mondo in tre parti, e della prima detta Asia.
Per cagione della detta
confusione convenne di nicessità che' tribi e le schiatte de' viventi
ch'allora erano si dipartissero e abitassono diversi paesi. E la prima generale
partigione fu che in tre patti si divise il mondo, per le schiatte de' primi
tre figliuoli di Noè. La prima e maggiore parte si chiamò Asia,
la quale contiene quasi la metade e più di tutta la terra abitata,
cioè tutta la parte da levante, cominciando dal mare Occiano e Paradiso
terrestro, partendosi dalla parte di settentrione dal fiume di Tanai in
Soldania che mette foce in sul mare Maggiore, detto per la Scrittura Pontico; e
da la parte di mezzodì si parte e confina al diserto che parte Soria da
Egitto, e per lo fiume del Nilo che fa foce a Dammiata in Egitto, e mette capo
nel nostro mare. Questa parte d'Asia contiene più province in sé,
Camia, e India, e Caldea, e Persia, e Asiria, Mesopotania, Media, Erminia,
Giorgia, e Turchia, e Soria, e molte altre province. E questa parte abitaro i
discendenti di Sem, il primo figliuolo di Noè.
IV
De la seconda parte del
mondo detta Africa, e de' suoi confini.
La seconda parte si
chiamò Africa, la quale da levante comincia i suoi confini dal
sopradetto fiume del Nilo, dal mezzogiorno infino nel ponente a lo stretto di
Sibilia e di Setta, cinta e circondata dal mare Uziano, che si chiama il mare
di Libia; e dal settantrione confina col nostro mare detto Mittaterreno. Questa
parte ha in sé Egitto, Numidia, Moriena, e Barberia, e 'l Garbo, e 'l
reame di Setta, e più altre salvatiche province e diserti. Questa parte
fu popolata per gli discendenti di Cam il secondo figliuolo di Noè.
V
Della terza parte del mondo
detta Europia, e de' suoi confini.
La terza parte del mondo si chiama Europia, la quale comincia i suoi confini da levante dal fiume detto Tanai, il qual è in Soldania, overo in Cumania, e mette nel mare de la Tana nominato dal detto fiume, e quel mare si chiama Maggiore; in sul qual mare e parte d'Europia si è parte di Cumania, Rossia, e Bracchia, e Bolgaria, e Alania, stendendosi sopra quel mare infino in Costantinopoli; e poi verso il mezzogiorno Saloniche, e l'isole d'Arcipelago nel nostro mare di Grecia, e tutta Grecia comprende infino in Accaia ov'è la Morea; e poi si torce verso settantrione il mare detto seno Adriatico, chiamato oggi golfo di Vinegia, sopra il quale è parte di Romania verso Durazzo, e la Schiavonia, e alcuno capo d'Ungaria, e stendesi infino ad Istria, e Frioli, e poi torna alla Marca di Trevigi, e a la città di Vinegia; e poi verso il mezzogiorno, agirando il paese d'Italia, Romagna, Ravenna, e la Marca d'Ancona, e Abruzzi, e Puglia, e vanne infino in Calavra a lo 'ncontro a Messina, e l'isola di Cicilia; e poi tornando verso ponente per la riva del nostro mare a Napoli e Gaeta infino a Roma; e poi la Maremma e 'l paese nostro di Toscana infino a Pisa e Genova, lasciandosi allo 'ncontro l'isola di Corsica e di Sardigna, conseguendo la Proenza, apresso la Catalogna, e Araona, e l'isola di Maiolica, e Granata, e parte di Spagna infino allo stretto di Sibilia ove s'afronta con Africa in piccolo spazio di mare; e poi volge a mano diritta in su la riva di fuori del grande mare Uziano, circundando la Spagna, Castello, Portogallo e Galizia verso tramontana, e Navarra, e Brettagna, e Normandia, lasciandosi allo 'ncontro l'isole d'Irlanda; e poi conseguendo, Piccardia, e Fiandra, ed ereame di Francia, lasciandosi allo 'ncontro verso tramontana, in piccolo spazio di partimento di mare, l'isola d'Inghilterra, che la grande Brettagna fu anticamente chiamata, e l'isola di Scozia con essa. E poi di Fiandra conseguendo verso levante e tramontana, Isilanda, e Olanda, e Frisinlanda, Danesmarche, Norvea, e Pollana, conchiudendo in sé tutta Alamagna, e Boemia, e Ungaria, e Sassogna; e poi è Gozia e Svezia, tornando in Rossia e Cumania al sopradetto confine ove cominciammo del fiume di Tanai. Questa terza parte così confinata ha in sé molte altre province infra terra che non sono nominate in questo, e è del tanto la più popolata parte del mondo, però che tiene al freddo, e è più temperata. Questa Europia prima fu abitata da' discendenti di Giafet il terzo figliuolo di Noè, come faremo menzione apresso nel nostro trattato; e eziandio secondo che racconta Escodio maestro di storie, Noè in persona con Iano suo figliuolo, il quale ebbe poi che fu il Diluvio, ne vennero in questa parte d'Europia nelle parti d'Italia, e là finì sua vita. E Iano vi rimase, e di lui uscirono grandi signori e popoli, e fece molte cose in Italia.
VI
Come il re Attalante, nato di quinto grado di Giaffet figliuolo di Noè, prima venne in Europia.
Intra gli altri principali, e che prima arrivasse in questo nostro paese d'Italia, partendosi dalla confusione della torre Babel, fu Attalante, overo Attalo, il quale fu figliuolo di Tagran, o Targoman, che fu figliuolo di Tirras, il quale fu figliuolo di Gomer che fu figliuolo primo di Giaffet. Altri dottori iscrissono che questo Attalo fu de' discendenti di Can, il secondo figliuolo di Noè, in questo modo: che Can ingenerò Cus, e Cus ingenerò Nembrot il gigante, onde è fatta menzione; Nembrot ingenerò Cres, che fu il primo re e abitatore dell'isola di Creti, che per suo nome così fu nominata; Cres ingenerò Cielo, e Cielo ingenerò Saturno, e Saturno generò Iove e Attalo. Di questa nazione furono i re di Grecia, e di Latini, ma non però il detto Attalante, overo Attalo; anzi troviamo che di Saturno nacque Iove, come dice dinanzi, e Tantalo: e quello Iove re di Creti cacciò Saturno suo padre del regno, e venne bene Saturno in Italia, e fece la città di Sutri, detta Saturna, e di lui discesono poi i re di Latini, come innanzi farà menzione. Ma il detto Tantalo fu re in Grecia, e troviamo ch'ebbe grande guerra con Troio re di Troia, e uccise Ganimedes figliuolo di Troio. Ma l'errore dello scrittore fu di Tantalo ad Attalo; ma la vera progenie fu da Attalo, detto Attalante, come dicemmo dinanzi.
VII
Come il re Attalante prima edificò la città di Fiesole.
Questo Attalante ebbe una moglie ch'ebbe nome Eletra. Questa Eletra moglie d'Attalo fu figliuola d'uno altro Attalante re, il quale fu de' discendenti di Can, secondo figliuolo di Noè. Quello Attalante abitò in Africa giù nel ponente, quasi di contro a la Spagna; e per lui nominiamo prima il grande monte ch'è là Monte Attalante, che si dice ch'è sì alto che quasi pare tocchi il cielo, onde i poeti in loro versi feciono favole che quello Attalante sostenea il cielo; e ciò fu che fu grande astrolago. E sue VII figliuole si convertiro nelle VII stelle del Tauro, che volgarmente chiamiamo Galulle. L'una di quelle VII sue figliuole fu la sopradetta Eletra moglie d'Attalante re di Fiesole, il quale Attalante con Eletra sua moglie, con molti che 'l seguiro, per agurio e consiglio d'Appollino suo astrolago e maestro, arivò in Italia nel paese di Toscana, il quale era tutto disabitato di gente umana. E cercando per astronomia tutti i confini d'Europia, per lo più sano e meglio asituato luogo che eleggere si potesse per lui, sì si puose in sul monte di Fiesole, il quale gli parve forte per sito e bene posto. E in su quello poggio cominciò e edeficò la città di Fiesole, per consiglio del detto Appollino, il quale trovò per arte di stronomia che Fiesole era nel migliore luogo e più sano che fosse nella detta terza parte del mondo detta Europia; imperò ch'egli è quasi nel mezzo intra' due mari che acerchiano Italia, cioè il mare di Roma e di Pisa chella Scrittura chiama Mittaterrena, il mare overo seno Adriatico, che oggi s'appella il golfo di Vinegia. E per cagione de' detti mari e per le montagne che vi sono intorno vi regnano i migliori venti e più sani e purificati che in altra parte, e ancora per le stelle che signoreggiano sopra quello luogo. E la detta città fu fondata sotto ascendente di tale segno e pianeta che dà allegrezza e fortezza a tutti gli abitanti più che in altra parte d'Europia; e come più si sale alla sommità del monte, tanto è più sano e migliore. E nella detta cittade ebbe uno bagno, il quale era chiamato bagno reale, che sanava molte infermitadi; e nella detta cittade venia per maraviglioso condotto delle montagne di sopra a Fiesole acque di fontane finissime e sane, onde la città avea grande abondanza. E fece Attalante murare la detta città di fortissime mura, e di maravigliose pietre e grossezza, e con grandi e forti torri, e una rocca in sulla sommità del monte di grandissima bellezza e fortezza, ove abitava il detto re, sì come ancora si mostra e può vedere per le fondamenta delle dette mura, e per lo sito forte e sano. La detta città di Fiesole multiplicò e crebbe d'abitanti in poco tempo, sicché tutto il paese e molto di lungi a sé signoreggiava. E nota ch'ella fu la prima città edificata nella detta terza parte del mondo chiamata Europia, e però fu nominata Fia sola, cioè prima, sanza altra città abitata nella detta parte.
VIII
Come Attalante ebbe tre figliuoli, Italo, e Dardano, e Siccano.
Attalante re di Fiesole, poi ch'ebbe fatta la detta città, ebbe di Eletra sua moglie tre figliuoli; il primo ebbe nome Italo, e per lo suo nome fu iregno d'Italia nominato, e ne fu signore e re; il secondo figliuolo ebbe nome Dardano, il quale fu il primo cavaliere che cavalcasse cavallo con sella e freno. Alcuni scrissono che Dardano fu figliuolo di Iove re di Creti e figliuolo di Saturno, come adietro è fatta menzione; ma non fu vero, però che Iove rimase in Grecia, e' suoi discendenti ne furo re e signori, e sempre nemici de' Troiani; ma Dardano venne d'Italia, e fu figliuolo d'Attalo, come la storia farà menzione. E Vergilio poeta il conferma nel suo libro dell'Eneidos, quando li Dei dissero ad Enea che cercasse il paese d'Italia, là ond'erano venuti i suoi anticessori ch'aveano edificata Troia, e così fu vero. Il terzo figliuolo d'Attalo ebbe nome Siccano, quasi in nostro volgare sezzaio, il quale ebbe una bellissima figliuola nomata Candanzia. Questo Siccano n'andò nell'isola di Cicilia, e funne il primo abitatore, e per lo suo nome fu prima l'isola chiamata Siccania, e per la varietà di volgari delli abitanti è oggi dalloro chiamata Sicilia e da noi Italiani Cicilia. Questo Siccano edificò in Cicilia la città di Saragosa, e fecela capo del reame ond'elli fu re e' suoi discendenti apresso per grandissimo tempo, come fanno menzione le storie di Ciciliani, e Virgilio nell'Eneida.
IX
Come Italo e Dardano vennero a concordia a cui dovesse rimanere la città di Fiesole e il regno d'Italia.
Morto il re Attalante nella città di Fiesole, rimasero apresso di lui signori Italo e Dardano suoi figliuoli; e essendo ciascuno di loro signori di grande coraggio, e che ciascuno per sé era degno di signoreggiare il regno d'Italia, sì vennero tralloro in questa concordia, che dovessero andare con loro sacrificii a sacrificare il loro Idio alto Marti, il quale adoravano. E fatti i sacrificii, il domandarono quale di loro dovesse rimanere signore in Fiesole, e quale di loro dovesse andare a conquistare altri paesi e reami. Dal quale idolo ebbono risposto, o per commessione divina o per artificio diabolico, che Dardano dovesse andare a conquistare altre terre e paesi, e Italo dovesse rimanere in Fiesole e nel paese d'Italia. Al quale comandamento e risponso così aseguiro, che Italo rimase nella signoria; e di lui nacquero grandi signori che apresso di lui signoreggiaro non solamente la città di Fiesole e la provincia intorno, ma quasi tutta Italia, e molte città v'edificaro; e la detta città di Fiesole montò in grande potenzia e signoria, infino chella grande città di Roma nonn-ebbe stato e signoria. E con tutta la grande potenzia di Roma, sempre le fu la città di Fiesole nemica e ribella, infino che per gli Romani non fu disfatta, come innanzi farà menzione la vera storia. Lasceremo di più dire al presente di Fiesolani, ch'a luogo e tempo torneremo alla storia, e seguiremo come Dardano si partì di Fiesole, e fu il primo edificatore della grande città di Troia, e l'origine de' re di Troiani, ed eziandio di Romani.
X
Come Dardano arrivò in Frisia, e edificò la città di Dardania, che poi fu la grande Troia.
Dardano, com'ebbe comandamento dal risponso del loro Idio, si partì di Fiesole con Appollino maestro e astrolago del suo padre, e con Candanzia sua nipote, e con grande séguito di sua gente, e arrivò nelle parti d'Asia nella provincia che si chiamava Frigia, per lo nome di Friga di discendenti di Giaffet che prima ne fu abitatore; la quale provincia di Frigia si è di là da la Grecia, passate l'isole d'Arcipelago, in terra ferma, che oggi si signoreggia per li Turchi e si dice Turchia. In quello paese il detto Dardano per consiglio e arte del detto Apollino cominciò ad edificare, e fece una città in sulla riva del detto mare di Grecia, a la quale per lo suo nome puose nome Dardania, e ciò fu IIImCC anni dal cominciamento del secolo. E così fu Dardania chiamata mentre Dardano vivette, e eziandio i figliuoli.
XI
Come Dardano ebbe uno figliuolo ch'ebbe nome Tritamo che fu padre di Troio, per lo quale la città di Troia fu così chiamata.
Il quale Dardano ebbe uno figliuolo ch'ebbe nome Tritamo: di Tritamo nacque Troio e Toraio; ma Troio fu il più savio e valoroso, e per la sua bontà fu signore e re de la detta città e del paese d'intorno, e con Tantalo re di Grecia, figliuolo che fu di Saturno re di Creti, onde facemmo menzione, ebbe grande guerra. E poi dopo la morte del detto Troio, per la bontà e senno e valentia che in lui era regnata, sì piacque al figliuolo e agli uomeni della sua città che per lo suo nome sempre la detta città fosse chiamata Troia; e a la principale e maestra porta de la città, per la memoria di Dardano, rimanesse il nome che avea prima la città, cioè Dardania.
XII
De li re che furono in Troia; e come Troia fu la prima volta distrutta al tempo del re Laumedon.
Del sopradetto Troio, poi che fu morto, rimasono tre figliuoli; il primo ebbe nome Elion, il secondo Ansaraco, il terzo Ganimedes. Il detto Elion edificò in Troia la mastra fortezza e castello reale di magnifica opera, e per lo suo nome Elion fu chiamato. Del detto Elion nacque il re Laumedon, e Titonun che fu padre di Menone, overo Menelao, al cui tempo fu distrutta Troia la prima volta per lo possente Ercore, il quale fu figliuolo della reina Armene figliuola del re Laudan di Creti, e collui Iason figliuolo Anson e nepote del re Pelleus di Polopense, e lo re Talamone di Salamine. E ciò fu per cagione del detto re Laumedon, ch'aveva vietato il porto di Troia al detto Ercore e Iason, e fatta loro onta e villania, e volutoli prendere e uccidere, quando Iason andava a l'isola di Colco ov'era il montone col vello dell'oro, come raccontano i poeti; imperò che 'l detto Laumedon si tenea per nemico di Greci, per cagione che 'l re Tantalo avea morto Ganimedes suo zio e figliuolo di Troio, come innanzi faremo menzione. E per la detta antica guerra, allora rinnovellata, fu la prima distruzione di Troia. E per loro fu morto il detto re Laumedon e molta di sua gente, e distrussono e arsono la detta città di Troia. E 'l detto re Talamone, che al detto conquisto fu molto valoroso, rubò e prese Ansiona figliuola del detto re Laumedon, e menollasene in Grecia, e tennela per sua femmina, overo amica.
XIII
Come il buono re Priamo reedificò la città di Troia.
Apresso la detta prima distruzione di Troia Priamo figliuolo del re Laumedon, il quale essendo giovane non era allora in Troia, tornò poi con aiuto d'amici, e rifece fare e ristorare di nuovo la detta città di Troia di maggiore sito, e grandezza, e fortezza che nonn-era stata dinanzi, e tutta la gente del paese d'intorno vi ricolse e fece abitare, sì che in piccolo tempo multiplicò e crebbe, e divenne delle maggiori e più possenti città del mondo; ché, secondo raccontano le storie, ella girava LXX de le nostre miglia con popolo innumerabile. Questo re Priamo ebbe della sua moglie Eccuba più figliuoli e figliuole: il primo ebbe nome Ettor, il quale fu valentissimo duca, e signore di grande prodezza e senno; l'altro ebbe nome Paris, e l'altro Deifebo, e Elenus, e 'l buono Troiolus; e IIII figliuole, Creusa moglie che fu d'Enea, e Cassandra, e Polisena, e Elionas, e più altri figliuoli di più altre donne, onde la storia di Troia di loro fa menzione, i quali tutti furono maravigliosi in prodezza d'arme. E apresso buon tempo, essendo la detta città in grande e possente stato, e il re Priamo e' figliuoli in grande signoria, Paris e Troiolus suoi figliuoli, e Eneas suo nipote, e Pollidamas colloro compagnia, armarono XX navi, e con quelle navicando, arrivaro in Grecia per vendicare la morte e l'onta dere Laumedon loro avolo, e la distruzione di Troia, e ruberia di Siona loro zia; e arrivaro neregno del re Menelao fratello del re Talamone ch'avea presa Siona, il quale Menelao avea per moglie Elena, la più bella donna che allora fosse al mondo, la quale era ita a una festa di sacrificii in su una loro isola; e veggendola Paris, incontanente innamorò di lei, e presela per forza, e uccisono e rubaro tutti quegli ch'erano a la detta festa e in su quella isola, e tornarsi a Troia. E per molti si dice che la detta reina Elena fu rubata in su l'isola che oggi è chiamata Ischia, e la terra del re Menelao era Baia e Pozzuolo, e 'l paese d'intorno ove è oggi Napoli e Terra detta di Lavoro, che in quegli tempi era abitata da' Greci e detta la Grande Grecia. Ma per quello che troviamo per le vere storie, quella isola ove fu presa Elena fu Citerea, che oggi si chiama il Citri, la quale è in Romania incontro a Malvagia nel paese d'Accaia detto oggi la Morea; e la detta Elena fu serocchia di Castor e di Polluce onde i poeti fanno versi.
XIV
Come Troia fu distrutta per gli Greci.
Per la detta ruberia di Elena il re Menelao core Talamone e col re Agamenone suo fratello, ch'allora era re di Cicilia, con più altri re e signori di Grecia e di più altri paesi, fecero lega e congiura di distruggere Troia, e raunarono M navi con grandissima moltitudine di genti d'arme a cavallo e a piè, e con esse arrivaro e puosono assedio a la grande città di Troia. Al quale assedio stettero per tempo di X anni, VI mesi, e XV dì; e dopo molte aspre e diverse battaglie, e uccisione e tagliamento di gente dall'una parte e dall'altra, e 'l buono Ettor con più de' figliuoli del re Priamo furono morti in battaglia. La detta città di Troia per tradimento fu presa da' Greci, e di notte v'entraro e rubarla, e misero a fuoco e fiamma, e il detto re Priamo uccisero, e quasi tutta sua famiglia, e di cittadini in grande quantità, sì che pochi ne scamparo. De la quale distruzione Omero poeta, e Virgilio, e Ovidio, e Dario, e più altri savi (chi gli vorrà cercare) ne fecero compiutamente menzione in versi e in prosa; e ciò fu anni CCCCXXX anzi che si cominciasse Roma, e IIIImCCLXV anni dal cominciamento del mondo, e nel tempo che Abdon era iudice del popolo Israel. Di questa distruzione di Troia seguì quasi a tutto il mondo grandi mutazioni, e molti principi di reami usciro delli scampati Troiani, siccome innanzi faremo menzione.
XV
Come i Greci chessi partirono dall'asedio di Troia quasi tutti arrivarono male.
Distrutta Troia, i Greci che si partiro dall'asedio, la maggiore parte, arrivaro male, chi per fortuna di mare, e chi per discordie e guerre tralloro. Lasceremo ora di ciò, e diremo di Troiani che scamparo di Troia come arrivaro, acciò che seguiamo nostra storia, mostrando l'origine di cominciamenti di Romani e poi di noi Fiorentini, come dinanzi promettemmo di narrare.
XVI
Come Elenus figliuolo del re Priamo co' figliuoli d'Ettor si partì di Troia.
Intra gli altri che scamparo e si partiro di Troia fu Elenus figliuolo del re Priamo, che non era uomo d'arme, e con Eccuba sua madre, e Cassandra sua serocchia, e con Andromaca moglie che fu di Ettor, e con due figliuoli d'Ettor piccoli garzoni, e con più genti che gli seguiro, arrivaro in Grecia nel paese di Macedonia, e quivi ricevuti da' Greci popolaro il paese e fecero città; che Pirro figliuolo d'Acchille signore del paese prese per moglie Andromaca, moglie che fu d'Ettor di Troia, e di loro usciro poi grandi re e signori.
XVII
Come Antinoro e Priamo il giovane partiti di Troia, edificaro la città di Vinegia, e quella di Padova.
Un'altra gente si partì de la detta distruzione: ciò fu Antinoro che fu uno de' maggiori signori di Troia e fu fratello di Priamo e figliuolo del re Laumedon, il quale fu incolpato molto del tradimento di Troia, e Eneas il sentì, secondo che scrive Dario; ma Virgilio al tutto di ciò lo scolpa. Questo Antinoro con Priamo il giovane, figliuolo del re Priamo, ch'era piccolo fanciullo, e scampò della distruzione di Troia con grande séguito di genti, in numero di XIIm, e grande navilio per mare navicando, arrivaro nelle contrade ov'è oggi Vinegia grande città, e in quelle isolette d'intorno si puosero, acciò che fossero franchi e fuori d'ogni altra iurisdizione e signoria d'altra gente, e di quegli scogli furo gli primi abitatori; onde, crescendo poi, si fece la grande città di Vinegia, che prima ebbe nome Antinora per lo detto Antinoro. E poi il detto Antinoro si partì di là e venne ad abitare in terra ferma ove è oggi Padova la grande città, e elli ne fu il primo abitatore e edificatore; e Padova le puose nome perch'era infra paduli, e per lo fiume del Po che vi corre assai presso, che si chiamava Pado. Il detto Antinoro morì e rimase in Padova, e infino al presente nostro tempo si ritrovò il corpo e la sepoltura sua con lettere intagliate, che faceano testimonianza com'era il corpo d'Antinoro; e da' Padovani fu rinnovata sua sepultura, e ancora oggi si vede in Padova.
XVIII
Come Priamo il terzo fu re in Alamagna e' suoi discendenti re di Francia.
Priamo il terzo, figliuolo di quello Priamo che con Antinoro avea edificata Vinegia, si partì con grande gente del detto luogo e andonne in Pannonia, cioè Ungheria, e nel paese detto Siccabar; e così la nominaro e popolaro di loro gente, e per la prodezza e virtù del detto Priamo ne fu re e signore. Questa gente erano chiamati Galli, overo Gallici, perch'erano biondi; e stettono nel detto luogo lungo tempo, infino a la signoria di Romani, quando signoreggiavano la Germania, cioè Alamagna, infino al tempo che regnava Valentiniano imperadore intorno gli anni di Cristo CCCLXVII. Allora il detto imperadore per cagione che' detti Galli li ataro conquistare una gente che aveano nome Alani, i quali s'erano rubellati dallo 'mperio di Roma, e per la loro forza li sottomisero a lo 'mperio, il detto imperadore li fece franchi X anni del tributo che doveano dare a' Romani, e d'allora innanzi furono chiamati Franchi, onde poi derivò il nome de' Franceschi. E a quello tempo era loro signore uno ch'avea nome Priamo, disceso per lignaggio del primo Priamo che venne in Siccambra. E morto Valentiniano imperadore, e compiuti i detti X anni, i detti chiamati Franchi rifiutaro di dare il tributo allo 'mperio, e per loro fierezza si rubellaro da' Romani, e feciono loro signore Marcomene figliuolo del detto Priamo, e uscirono del loro paese Siccambra, e entrarono in Alamagna, e in quella conquistaro città e castella assai tra 'l fiume Danubio e quello del Reno, le quali erano alla signoria di Romani; e d'allora innanzi gli Romani non v'ebbono libera signoria. E 'l detto Marcomene regnò nella Magna XXX anni, ma ancora erano pagani. Apresso lui fu re di Franchi Ferramonte suo figliuolo, il quale per forza d'arme entrò nel reame che oggi si chiama Francia, e tolselo a' Romani. E per lo loro nome in latino fu chiamata Gallia, e in comune volgare Francia, e gli uomini Franceschi, derivato dal sopradetto nome di Franchi; e ciò fu nelli anni di Cristo intorno CCCCXVIIII.
XIX
Come Ferramonte fu il primo re di Francia, e' suoi discendenti apresso.
Ferramonte primo re di Francia regnò XL anni. Apresso lui regnò Clodius, overo Clodoveo il Capelluto, suo figliuolo XVIII anni, e prese la città di Cambragio e 'l paese d'intorno che teneano li Romani, e cacciolli infino al fiume di Somma in Francia. Apresso lui regnò Meroveo suo figliuolo X anni, e molto avanzò il suo reame. Apresso lui regnò Elderigo suo figliuolo XXVI anni; ma per lo suo male reggimento, usando sua vita in lussuria, fu cacciato da' baroni, e toltali la signoria, e fuggissi nel Reno al re Bazin, e là dimorò in esilio VIII anni; poi fu rappellato da' Franceschi. E ebbe uno figliuolo chiamato Clovis, il quale presso lui regnò XXX anni, e fu uomo di grande valore, che conquistò Alamagna, e Cologna e poi in Francia Orliens e Sassona, e tutte le terre che teneano i Romani. E fu il maggiore e il più possente de' suoi anticessori, e fu il primo re di Francia che fosse cristiano per conforto della sua moglie chiamata Croceia, la quale era cristiana. E essendo il detto Clovis asembiato ad una battaglia contra a li Alamanni, si botò a Cristo, s'egli avesse vittoria per lo suo nome, si farebbe egli e sua gente Cristiano; e per virtù di Cristo così avenne, onde si battezzò per mano di santo Remigio arcivescovo di Rens; e nel battesimo dimenticando la clesima, venne visibilemente da cielo una colomba che in becco l'adusse al beato Remigio; e ciò fu gli anni di Cristo Vc. Apresso il detto Clovis detto Clodoves regnò Lottieri suo figliuolo V anni, e apresso Lottieri regnò Chelperiche suo figliuolo XXIII anni. Questi fu fatto uccidere da la moglie chiamata Fredegonda crudelissima; rimase di lui uno piccolo figliuolo di IIII mesi, il quale ebbe nome Lottieri, e regnò XLII anni. Apresso di lui regnò Godoberto suo figliuolo XIIII anni. Questi fece fare la chiesa di Santo Dionigi in Francia. Apresso lui regnò Clovis suo figliuolo XVII anni. Questi fu di mala vita, e molto abassò il reame; ebbe III figliuoli, Lottieri, Tederigo, e Elderigo. Apresso Clovis regnò Lottieri suo primo figliuolo III anni. Poi fu re Tederigo suo fratello I anno, e fu disposto del reame da' suoi baroni per sua misera vita, e rendési monaco a San Donnisi; e feciono re Elderigo terzo fratello, il quale regnò anni XII. E morto Elderigo, fu tratto della badia di San Donnigi Tederigo monaco, e rifatto re, e regnò poi XII anni, con tutto che poco si sapesse intramettere del reame; anzi il governava uno grande barone di Francia suo balio ch'avea nome Ertaire. Ma il primo Pipino, il quale era de' maggiori signori di Francia figliuolo d'Ancherse, e, per lo suo podere, veggendo male governare il reame, e per essere signore e balio del regno, sì combatté col detto Tederigo re e con Ertaire suo balio, e sconfissegli in battaglia, e uccise il detto Ertaire, e Tederigo re mise in pregione, e vivette III anni. E dopo la sua morte fu fatto re Crovis suo primo figliuolo, e regnò sotto il governo di Pipino, che di tutto era balio sovrano, IIII anni. E dopo lui regnò Ideberto fratello del detto Clovis XVIII anni. E poi regnò Dangoberto suo secondo figliuolo IIII anni. E poi regnò Lottieri il quarto suo figliuolo due anni. E tuttora a la signoria de' detti re era Pipino sovrano balio e governatore di tutta Francia, e fu mentre che fu in vita. E poi regnò Cilpericche figliuolo del detto Lottieri V anni, e suo generale balio fu Carlo Martello figliuolo del primo Pipino, il quale ebbe della sua amica, serocchia di Dodone duca d'Equitania. Questo Carlo Martello fu uomo di grande valore e potenzia, bene aventuroso in battaglia: e conquistò tutta Alamagna, Soavia, e Baviera, e Frigia, e Lotteringia, e recolli sotto il reame di Francia. Del sopradetto Cilpericche fu uno figliuolo chiamato Tederigo, il quale regnò XV anni al governo del detto Carlo Martello. Apresso lui regnò Elderigo suo figliuolo VIIII anni; ma nonn-avea se non il nome, e Carlo la signoria. E poi, morto Carlo Martello, il secondo Pipino figliuolo del detto Carlo fu sovrano balio del reame come era stato il padre. Ilderigo re essendo uomo di poco valore, con volontà del papa Stefano ch'allora regnava, per molti servigi fatti per lo detto Pipino a santa Chiesa, e per Carlo Mattello suo padre, come innanzi farà menzione, e con volontà di tutti gli baroni di Francia, il detto Ilderigo re, sì come uomo disutile al reame, fu disposto de la signoria, e rendési monaco, e morì sanza figliuoli, e in lui fallì il primo lignaggio de' re di Francia della schiatta di Priamo. E disposto il detto Ilderigo re, come detto è di sopra, fu consegrato re di Francia per lo detto papa, e con volontà de' baroni, il buono Pipino; e fu fatto dicreto per lo papa che mai non potesse essere re di Francia altri che di suo lignaggio; e ciò fu gli anni di Cristo VIIcLI.
XX
Come il secondo Pipino padre di Carlo Magno fu re di Francia.
Del sopradetto re Pipino discese il buono Carlo Magno suo figliuolo, il quale fu re di Francia e imperadore di Roma; e apresso lui furono VI suoi discendenti imperadori di Roma, e più re di Francia, come innanzi faremo menzione, ove tratteremo del detto Carlo Magno e di suoi discendenti; ma per la loro discordia fallì loro lo 'mperio, e eziandio il diritto stocco reale di Carlo Magno venne meno al tempo d'Ugo Ciappetta duca d'Orliensa, il quale fu poi re di Francia, e sono ancora i suoi discendenti. Onde noi in questo in brieve, quando fia tempo, ne tratteremo, imperò che la loro signoria si mischia molto ne' nostri fatti della città di Firenze, come innanzi faremo menzione. Lasceremo di Franceschi, e torneremo adietro a la vera storia d'Enea di Troia, onde discesono gli re e poi gl'imperadori romani, tornando a nostra materia poi della edificazione di Firenze fatta per gli Romani.
XXI
Com'Eneas si partì di Troia e arrivò a Cartagine in Africa.
Ancora si partì de la detta distruzione di Troia Eneas con Anchises suo padre e con Ascanio suo figliuolo nato di Creusa figliuola del grande re Priamo, con séguito di IIImCCC uomini de la migliore gente di Troia, e ricolsonsi in su XXII navi. Questo Enea fu della schiatta reale di Troiani in questo modo: che Ansaraco figliuolo di Troio e fratello d'Ilion, onde al cominciamento è fatta menzione, ingenerò Daphino, e Daphino ingenerò Anchises, e Anchises ingenerò Enea. Questo Enea fu signore di grande valore, savio, e di grande prodezza, e bellissimo del corpo. Quando si partì di Troia co' suoi, con grande pianto, avendo perduta Creusa sua moglie a lo stormo de' Greci, sì n'andò prima all'isola di..., e sacrificio fece ad Appollo Idio del sole, overo idolo, domandando consiglio e risponso in quale parte dovesse andare; dal quale ebbe risponso e comandamento che dovesse andare nel paese e terra d'Italia, là onde prima erano venuti a Troia Dardano e' suoi anticessori, e dovesse intrare in Italia per lo porto, overo foce, del fiume d'Alba; e dissegli per lo detto risponso che dopo molte fatiche di mare e battaglie nella detta terra d'Italia avrebbe moglie e grande signoria, e della sua schiatta sarebbono possenti re imperadori, i quali farebbono grandissime e notabili cose. Udito ciò, Enea fu molto riconfortato per la buona risposta e promessa: incontanente si mise in mare con sue genti e navile, il quale navicando per più tempo ebbe di molte fortune, e arrivò in molti paesi, e prima nella contrada di Macedonia ove erano già Elenus, e la moglie, e 'l figliuolo d'Ettor; e dopo la dolorosa accoglienza per la ricordanza della ruina di Troia, si partiro. E navicando per diversi mari, ora innanzi, e ora adietro, o a traverso, come gente ignoranti del paese d'Italia, né grandi maestri né pedoti di mare non aveano colloro che gli guidasse, anzi navicavano quasi come la fortuna e' venti del mare gli menava, sì arrivaro nell'isola di Cicilia, che' poeti chiamano Trinacia, e dove è oggi la città di Trapali iscesono in terra; nel quale luogo Anchises suo padre per molta fatica e vecchiezza passò di questa vita, e nel detto luogo fu soppellito alloro maniera con grande solennità. E dopo il grande corrotto fatto per Enea del caro padre, di là si partirono per arrivare in Italia: e per grande fortuna di mare si dipartiro la detta conserva delle navi, e l'una tenne una via, e l'altra un'altra. E l'una delle dette navi con tutta la gente profondò in mare, l'altre arrivaro a li liti d'Africa, non sappiendo l'una dell'altra, là dove si facea la nobile città di Cartagine per la possente e bella reina Dido venuta là di Sidonia, che oggi si chiama Suri; la quale il detto Enea, e Ascanio suo figliuolo, e tutta sua gente delle XXI navi che a quello porto si ritrovaro la detta reina acolse con grande onore, e maggiormente perché la detta reina di grande amore fu presa di Enea incontanente che 'l vide, per modo che per lei vi dimorò Enea più tempo in tanto diletto, che non si ricordava del comandamento degli Dei che dovesse andare in Italia; e per sogno, overo visione, per gli detti Iddei gli fu comandato che più non dovesse dimorare in Africa. Per la qual cosa subitamente con sua gente e navilio si partì di Cartagine; e però la detta reina Dido per lo smaniante amore colla spada del detto Enea ella medesima sé uccise. E chi questa storia più pienamente vorrà trovare legga il primo e secondo libro dell'Eneida che fece il grande poeta Virgilio.
XXII
Come Enea arrivò in Italia.
Partito Enea d'Africa, ancora capitò in Cicilia, là dove avea soppellito il padre Anchises, e in quello luogo fece l'anovale del padre con grandi giuochi e sacrificii, e ricevettono grande onore da Anceste allora re di Cicilia, per lo antico parentado di Troiani discendenti di Siccano di Fiesole. Poi si partì di Cicilia e arrivò in Italia nel golfo di Baia, che oggi si chiama Mare Morto, al capo di Miseno, assai presso dov'è oggi Napoli; ne la quale contrada avea boschi e selve grandissime, e per quelle andando Enea, per fatale guida della Sibilla Erittea menato fu a vedere l'inferno e le pene che vi sono, e poi il limbo; e secondo che racconta Virgilio nel VI libro dell'Eneida, vi trovò e conobbe l'ombre, overo imagini dell'anima del suo padre Anchises, e di Dido, e di più altre anime passate. E per lo detto suo padre gli fu mostrato, overo per visione notificato, tutti i suoi discendenti e loro signoria, e quelli che doveano fare la grande città di Roma. E dicesi per gli più che in quello luogo ove fu per la savia Sibilla menato fue per le diverse caverne di Monte Barbaro il quale è sopra Pozzuolo, che ancora al dì d'oggi sono maravigliose e paurose a riguardare; e altri avisano e stimano che per virtù divina o per arte magica ciò fosse mostrato ad Enea in visione di spirito, per significargli le grandi cose che doveano uscire e essere di suoi discendenti. Ma quale che si fosse, come uscì dello inferno, si partì; e intrato in nave, seguendo le piagge e la foce del fiume del Tevero detto Albola, entrò e arrivò, e disceso in terra, per agurio e per segni conobbe ch'era arrivato nel paese d'Italia, che dalli Iddii gli era promesso; e con grande festa e allegrezza fecero fine a le loro fatiche del navicare, e cominciaro a fare loro abitacoli e fortezze di fossi e di legname de le loro navi. E quello luogo fu poi la città d'Ostia; e quella fortezza feciono per tema de' paesani, i quali per paura di loro, sì come gente straniera e dalloro costumi salvaggia, e per nimici gli trattavano, e più battaglie ebbono co' Troiani per cacciargli del paese, de le quali i Troiani di tutte furono vincitori.
XXIII
Come il re Latino signoreggiava Italia, e come Enea ebbe la figliuola per moglie, e tutto il suo regno.
Signoreggiava in quello paese il regno (ond'era principale la città di Laurenzia che era presso dove è ora la città di Terracina, e ancora appare disfatta) il re Latino, il quale fu de' discendenti dere Saturno che venne di Creti, quando fu cacciato da Iove suo figliuolo, come dinanzi facemo menzione. E quello Saturno arrivò nel paese di Roma che allora signoreggiava Giano, uno de' discendenti di Noè; ma la gente era allora molto grossa, e viveano, quasi come bestie, di frutta e di ghiande, e abitando in caverne. Quello Saturno, savio di scrittura e di costumi, per suo senno e consiglio adirizzò que' popoli a vivere come gente umana, e fecegli lavorare terre e piantare vigne, e edificare case, e terre e città murare, e de la città di Sutri, detta Saturna, fu il primo edificatore, e per lui così ebbe nome; e fu in quella contrada per lo suo studio prima seminato grano, onde quegli del paese l'aveano per uno Idio; e Giano medesimo che n'era signore il fece compagno, e li diede parte nel regno. Questo Saturno regnò in Italia XXXIIII anni, e dopo lui regnò Picco suo figliuolo anni XXXI; e dopo Picco regnò Fauno suo figliuolo XXVIIII anni, e fu morto da' suoi: di Fauno rimase Lavino e Latino. Quello Lavino edificò la città di Lavina; e poco regnò Lavino; e morto lui rimase il regno a Latino, il quale a la città di Lavina mutò il nome in Laurenzia, perché in su la mastra torre nacque uno grande albore d'alloro. Il detto Latino regnò XXXII anni, e fu molto savio, e molto amendò la lingua latina. Questo re Latino avea solamente una figliuola bellissima chiamata Lavina, la quale per la madre era promessa a uno re di Toscana ch'avea nome Turno della città d'Ardea, oggi chiamata Cortona. Toscana ebbe nome il paese e provincia, però che vi furono i primi sacrificatori a l'Idii con fummo d'uncenso, detto tuscio. Venuto Enea nel paese, richiese pace al detto re Latino, e che potesse abitare in esso; dal quale Latino fu ricevuto graziosamente, e non solamente datogli licenzia d'abitarvi, ma gli promise Lavina sua figliuola per moglie, però che per fatale comandamento dell'Iddei avea chella dovesse maritare a straniero, e non a uomo del paese. Per la quale cagione, e per avere il retaggio del re Latino, grandi battaglie ebbe da Enea e Turno, e que' di Laurenzia per più tempo; il quale Turno uccise in battaglia il grande e forte gigante Pallas figliuolo di Menandro re di VII colli, ove è oggi Roma, il quale era venuto in aiuto a Enea; e morinne la vergine Cammilla per mano d'Enea, ch'era maravigliosa in arme. Alla fine il detto Enea vincitore dell'ultima battaglia, e morto di sua mano Turno, Lavina ebbe per moglie, la quale molto amava Enea, e Enea lei, e ebbe la metà del regno del re Latino. E dopo la morte del re Latino, che poco vivette poi, Enea ne fu al tutto signore, il quale dopo la morte del re Latino regnò III anni e morìo: il modo non si sa di certo. Queste istorie Virgilio poeta pienamente ne fa menzione nell'Eneidos; e nota che in ogni cittade ch'avesse rinomo o potenzia avea uno re, che a la comparazione de' presenti nostri tempi era ciascuno re di piccolo essere e potenzia.
XXIV
Come Iulio Ascanio figliuolo d'Enea fu re apresso lui, e li re e signori che discesono di sua progenia.
Morto Enea, Iulio Ascanio suo figliuolo rimase signore deregno de' Latini, e Lavina moglie d'Enea rimase grossa di lui d'uno figliuolo; la quale, per paura che Ascanio suo figliastro non uccidesse lei e la creatura, si fuggì in selve ad abitare con pastori, tanto ch'ella si diliberò, e fece uno figliuolo il quale fu chiamato Silvus Postumus: Silvus, perché nacque in selva; Postumus, perché la madre rimase incinta di lui morto il padre Enea. Quando Ascanio seppe ove Lavina sua matrigna era, e come avea uno figliuolo il quale era suo fratello, mandò per lei e per lo figliuolo che venisse sanza alcuna dottanza; e lei e 'l suo figliuolo venuti, gli trattò benignamente, e a la reina Lavina e al suo figliuolo lasciò la signoria de la città di Laurenzia, e elli edificò la città d'Alba, overo Albania, al tempo di Sansone d'Israel lo forte; la quale Albania è presso dov'è oggi Roma; e di quella fece capo del suo regno, e de' Latini uno co' Troiani. E la detta città fece per agurio, che quando Enea ed elli arrivaro nel paese, in quello luogo ove edificò la detta città, trovaro sotto uno leccio una troia bianca con XXX porcellini bianchi, e però, e per la memoria di Troia la edificò, e puose nome Troia Albania per la sopradetta troia bianca; ma poi gli abitanti la chiamaro pure Albania, onde più re furono apresso, come innanzi faremo menzione. E il detto Ascanio regnò apresso Enea XXXVIII anni, e ebbe due figliuoli; l'uno fu chiamato Iulio, onde nacque la progenia de' Iulii, onde poi furo i re di Roma, e Iulio Cesere, e Catellina, e più nobili Romani sanatori e consoli furo di quella schiatta; l'altro ebbe nome Silvus per lo zio figliuolo di Lavina. Quello Silvo s'inamorò d'una nipote di Lavina, e di lei ebbe uno figliuolo, nel qual partorendo ella morìo, e però gli fu posto nome Bruto; e crescendo poi, disavedutamente in una foresta cacciando uccise Silvus suo padre; il quale per temenza di Silvus Postumus re si fuggìo del paese, e con séguito di sua gente navicando per diversi mari, arrivò nell'isola di Brettagna, che per suo nome, sì come de' primi abitatori e signori, fu così nominata per lui, la quale oggi si chiama Inghilterra: e elli fu l'origine e cominciamento di Brettoni, onde discesero molti grandi e possenti re e signori; intra gli altri il valente Brenno e Bellino fratelli, i quali per loro potenzia sconfissero gli Romani e assediaro Roma, e presolla infino a Campidoglio, e molta persecuzione fecero a' Romani, come racconta Tito Livio maestro di storie. E di loro progenie discese il buono e cortese re Artù onde i ramanzi brettoni fanno menzione; e ancora Gostantino imperadore che dotò la Chiesa fu di loro discendenti; e chi ciò vorrà pienamente trovare cerchi la cronica della badia di Salisbiera in Inghilterra. Ma poi per le disensioni e guerre finìo il legnaggio e signoria di Brettoni, e fu signoreggiata la detta isola e reame da diverse nazioni e genti di Sansogna, e da Fresoni, e di Dannesmarce, e Noverchi, e Ispagnuoli per diversi tempi; ma il legnaggio de' presenti re che sono a' nostri tempi in Inghilterra sono stratti di Guiglielmo Bastardo figliuolo del duca di Normandia, disceso della schiatta di Normandi, il quale per sua prodezza e virtù conquistò Inghilterra, e diliberò da diverse e barbere nazioni chella signoreggiavano. Lasceremo di Brettoni e de' re d'Inghilterra, e torneremo a nostra materia.
XXV
Come Silvius secondo figliuolo d'Enea fu re apresso Ascanio, e come di lui discesono gli re di Latini, d'Albania, e di Roma.
Dopo la morte di Iulio Ascanio fu signore e re del regno de' Latini Silvius Postumus figliuolo d'Enea e della reina Lavina, come adietro è fatta menzione, e regnò XXVIIII anni con grande senno e prodezza, e dopo lui furo XII re di sua progenia, l'uno apresso l'altro, i quali regnaro CCCL anni, e tutti ebbono sopranome Silvius per lo sopradetto primo Silvius Postumus; ché dopo lui regnò Enea Silvius suo figliuolo XXXII anni, dopo Enea regnò Capis Silvius suo figliuolo XXVIII anni: questi edificò la città di Capova in Campagna; dopo Capis regnò Latino Silvius suo figliuolo L anni, al tempo di David re d'Israel; dopo Latino regnò Alba Silvius suo figliuolo XL anni, al tempo di Salamone; dopo costui regnò Egittus Silvius suo figliuolo XXIIII anni, al tempo di Roboam re di Giudea; dopo costui regnò Carpentus Silvius suo figliuolo XVII anni, al tempo di Giosafat re di Giudea; dopo costui regnò Tiberino Silvius suo figliuolo VIIII anni, al tempo del re Ocotia di Giudea, il quale Tiberino anegò nel fiume d'Albola passandolo, e per lo suo nome fue sempre poi chiamato Tibero; dopo Tiberino regnò Agrippa Silvius suo figliuolo XL anni, al tempo di Ieu re d'Israel; dopo Agrippa regnò Aremolus Silvius suo figliolo XVIIII anni: questi puose intra' monti ov'è ora Roma la signoria degli Albani. Dopo costui regnò Aventino Silvius suo figliuolo XXXVIII anni, e edeficò sopra il monte di Roma che per lui fu chiamato Monte Aventino, e in quello fu soppellito al tempo d'Amasia re di Giudea. Dopo costui regnò Procas Silvius suo figliuolo XXIII anni, al tempo di Ozia re di Giudea; dopo costui regnò Amulus Silvius suo figliuolo XLIIII anni, al tempo di Gioatam re di Giudea, il quale Amulus per sua malizia e forza cacciò deregno Munitore suo maggiore fratello che dovea essere re, e la figliuola del detto Munitore, che Rea era chiamata, fece rinchiudere in munistero, acciò che di lei non nascesse reda. E essendo ella al servigio del tempio della vergine Vesta, concepette occultamente a uno portato due figliuoli, Romolus e Remolus, dello Iddio Marti di battaglia, come ella confessò e dicono i poeti, o forse più tosto del sacerdote di Marti: e quella trovata in sacrilegio, fu fatta dal detto Emulus soppellire viva viva per lo 'ncesto commesso là ov'è oggi la città di Rieti, che per lo suo nome poi fu Reata appellata; e i detti suoi figliuoli comandò fossero gittati in Tevero; ma da' ministri del re per la innocenzia non furono morti, ma gittati in pruni presso alla riva del Tevero; e quivi, si dice, furono lattati e nutriti da una lupa. Ma trovandogli uno pastore chiamato Faustulus, gli portò a Laurenzia sua moglie che gli nutricasse, e così fece. Questa Laurenzia era bella, e di suo corpo guadagnava come meretrice, e però da' vicini era chiamata Lupa; onde si dice furono nutricati da lupa.
XXVI
Come Romulus e Remolus cominciaro la città di Roma.
Dapoi che Romulus e Remolus furono cresciuti in loro etade, per la loro forza e virtude cominciaro a signoreggiare tutti gli altri pastori, e poi sappiendo la loro reale nazione, congregarono ladroni, e fuggitivi, e isbanditi, e gente d'ogni condizione disposta a mal fare, e colloro isforzo cominciaro a prendere e signoreggiare il paese, e 'l regno del loro zio Emulus presono per forza e la città d'Albana, e lui uccisero, e ristituirlo a Numitore loro avolo. I quali Romulus e Remolus, lasciata Albana a Numitore, edificaro prima e chiusero di mura la grande e nobile città di Roma, con tutto che prima era in diverse parti in monti e in valli abitata anticamente, e con borghi e villate sparte e fortezze; ma i detti la recaro in una a modo di città, CCCCLIIII anni apresso la struzione di Troia, e IIIImIIIIcLXXXIIII anni dal cominciamento del mondo, quando regnava in Giudea il re Agazim, avendo Romolo XXII anni. E la signoria d'Albana recaro poi in Roma e feciolla capo del reame di Latini, e per lo nome del detto Romulus fu dallui nominata Roma. E poi il detto Romolus fece morire il suo avolo Numitore per essere al tutto signore, e eziandio Remulus suo fratello, perché passò le mura di Roma contro a suo comandamento. E 'l detto Romolus signoreggiando Roma; infra III anno che l'avea cominciata, non avendo mogli né femmine colloro, faccendo pensatamente una festa e giuochi, venutevi le femmine de' Sabini, le presero e ritennero per loro; e poi l'ordinò con leggi e statuti come cittade, e chiamò C, i migliori uomini della città e più antichi, per suoi consiglieri, i quali fece chiamare padri coscritti e sanatori, perché' loro nomi furono per lui fatti scrivere in tavole d'oro. E così regnò Romolo signore e re VIII anni, e in etade di XXX anni, essendo di costa a uno fiume, compreso da una nuvola, non si ritrovò mai, né si seppe di sua morte, se non che per gli savi s'avisa ch'anegasse in quello fiume. Ma i Romani dissono e aveano oppinione chello Iddio Marti chell'avea creato l'avesse portato intra li Dei in anima e corpo per la sua podestà e signoria. Potete vedere come il comune popolo erano ignoranti del vero Iddio.
XXVII
Come Numa Pompilius fu re de' Romani apresso la morte di Romulus.
Morto Romulus sanza nullo erede, fu retta la città di Roma per gli detti C sanatori uno anno; a la fine, per lo comune bene della republica, elessero a re e loro signore Numa Pompilius, che fu etc. Questi fu savio di scienzia e di costumi, ed amendò molto le leggi e lo stato di Roma, e fece tempi ove s'adorassero li loro Idei, e fu uomo d'onesta vita, e recando quasi tutte le città vicine sotto la signoria e legge di Roma per lo suo senno, e dichiarò l'ordine di dodici mesi dell'anno, e 'l bisesto, che prima erano X con grande confusione del corso solare e lunare. E regnò per lo suo senno e virtù sanza avere guerra con niuno vicino XLI anno in grande stato, e pace, e signoria, secondo il piccolo podere ch'allora aveva Roma; e ciò fu al tempo di Zecchia re di Giudea e de' figliuoli Manases.
XXVIII
Come furo in Roma VII re, l'uno apresso l'altro infino a Tarquino, e come al suo tempo perderono la signoria.
Apresso Numa Pompilius regnò Tulius Ostilius XXXII anni, al tempo di Manases re di Giudea. Questi fu crudele e guerriere, e fu il primo che portasse porpora e onori reali, e ruppe la pace a' Sabini, e dopo molte battaglie per forza li sottomise a sua signoria; e poi fu morto di folgore. Apresso Tulius regnò Marcus Marcius XXIII anni, al tempo di Iosia re di Giudea, che fu figliuolo de la figliuola del buono re Numa Pompilius, e ebbe grande guerra co' Latini di Laurenzia e d'Albania; a la fine per forza gli recò sotto sua signoria, e a Roma fece il tempio di Iano. Apresso lui regnò Priscus Tarquinus XXXVII anni. Questi agrandì molto Roma, e fece il Campidoglio, e sottomise i Sabini che s'erano rubellati, e fu quegli che prima volle trionfo di sua vittoria, e fece il tempio di Iove, capo di loro Iddei, e regnò al tempo che Nabuccodinosor distrusse Ierusalem e il tempio di Salamone: a la fine fu morto per gli figliuoli del sopradetto Marzio. Apresso costui regnò Servius Tulius XXXIIII anni, al tempo di Sedecchia re di Giudea, e ebbe al suo tempo aspre battaglie co' Sabini, e crebbe la città di Roma assai, e fu il primo che mettesse imposte o dazi, overo censo, nella città di Roma a pagare; alla fine l'uccise Tarquinus Superbus che era suo genero. E nota che poi che Roma fu fondata o richiusa per Romolo, fu caporale regno di sé medesima, e nemica del regno de' Latini e di tutte le città vicine, e sempre ebbe guerra con ciascuna, infino che al tutto l'ebbe sottoposte a sua signoria. Apresso regnò il settimo re di Romani Tarquino Superbo XXIII anni, al tempo di Ciro re di Persia. Questi in tutte sue opere fue pessimo e crudele, e avea uno suo figliuolo ch'avea nome similemente Tarquino e era crudele e dissoluto in lussuria, prendendo per forza quale donna o pulcella gli piacesse in Roma. A la fine, come racconta Valerio e Tito Livio, giacendo per forza co la bella e onesta Lucrezia figliuola di Bruto sanatore, nato per ischiatta di Giulio Ascanio, e consorto per ischiatta del detto re Tarquino, ella per conservagione di sua castità, e dare asempro all'altre, sé medesima uccise innanzi al padre, e al marito e suoi parenti. Onde Roma per lo dissoluto peccato corse e si commosse a romore, e cacciaro il re Tarquino e il figliuolo, e ordinaro e feciono dicreto che mai non avesse più re in Roma, ma che si reggesse a consoli, mutando d'anno in anno col consiglio de' sanatori; e il primo consolo fu il detto Bruto e Lucio Tarquinus grandi cittadini e nobili; e questo fu CCL anni dal cominciamento di Roma, al tempo di Dario figliuolo d'Itaspio re di Persia. E così falliro gli re in Roma, che aveano regnato circa CCXLIIII anni.
XXIX
Come Roma si resse lungo tempo per la signoria de' consoli e sanatori infino che Giulio Cesare si fece imperadore.
Rimasa la signoria di Roma a' consoli e sanatori, cacciati gli re, il detto Tarquino re e 'l figliuolo co la forza del re Procena di Toscana, che regnava nella città di Chiusi, feciono molta guerra a' Romani; ma a la fine gli Romani rimasero vincitori. E poi si resse e governò la republica di Roma CCCCL anni per consoli e sanatori, e talora dittatori, che durava V anni loro signoria, e erano quasi come imperadori, che ciò che diceano convenia fosse fatto; e altri ufici diversi, come furono tribuni del popolo, e pretori, e censori, e ciliarche. E in questo tempo ebbe in Roma più diverse mutazioni e guerre e battaglie, non solamente co vicini, ma con tutte le nazioni del mondo; i quali Romani, per forza d'arme e virtù e senno di buoni cittadini, quasi tutte le province e reami e signori del mondo domaro, e recaro sotto loro signoria, e feciono loro tributarie con grandissime battaglie e uccisioni di molti popoli del mondo, e di Romani medesimi, in diversi tempi, quasi innumerabile a contare. E ancora tra' cittadini medesimi per invidia della signoria e questioni da' grandi e popolani, e riposando le guerre di fuori, molte battaglie e tagliamenti per più volte tra' cittadini ebbe; e a giunta acciò di tempi in tempi pestilenzie incomportabili ebbono gli Romani; e questo reggimento durò infino a le grandi battaglie che furo tra Iulio Cesare e Pompeo, e poi co' figliuoli, il quale vinto da Cesare, il detto Cesare levò l'uficio de' consoli e dittatori, e egli primo si fece chiamare imperadore. E apresso lui Ottaviano Agusto, che signoreggiò in pace dopo molte battaglie tutto l'universo mondo, al tempo che nacque Iesù Cristo, anni VIIc dopo la dificazione di Roma; e così mostra che Roma si reggesse a signoria di re CCLIIII anni, e di consoli CCCCL anni, sì come di sopra avemo detto, e ancora più distesamente per Tito Livio e più altri autori. Ma nota che la grande potenzia di Romani nonn-era solamente in loro, sennon per tanto ch'erano capo e guidatori; ma tutti gli Toscani principalmente, e poi tutti gl'Italiani seguivano nelle guerre e nelle battaglie loro, e erano tutti chiamati Romani. Ma lasceremo omai l'ordine delle storie di Romani e degli imperadori, se non in tanto quanto aparterrà a nostra materia, tornando al nostro proposito della edificazione della città di Firenze, come promettemmo di dire. E avemo fatto sì lungo esordio perché ci era di necessità per mostrare come l'origine de' Romani edificatori de la città di Firenze, sì come appresso farà menzione, fue stratto di nobili Troiani; e l'origine e cominciamento di Troiani nacque e venne da Dardano figliuolo del re Attalante della città di Fiesole, siccome brievemente avemo fatta menzione; e de' discendenti poi nobili Romani e di Fiesolani, per la forza de' Romani, fatto è uno popolo chiamati Fiorentini.
XXX
Come in Roma fu fatta la congiurazione per Catellina e suoi seguaci.
Nel tempo ancora che Roma si reggeva a la signoria di consoli, anni da VIcLXXX poi chella detta città fu fatta, essendo consolo Marco Tulio Cecerone e Gaius Antonio, e Roma in grande e felice stato e signoria, Catellina nobilissimo cittadino, disceso di sua progenia della schiatta reale di Tarquino, essendo uomo di dissoluta vita, ma prode e ardito in arme, e bello parlatore, ma poco savio, avendo invidia di buoni uomini, ricchi e savi, che signoreggiavano la città, non piacendogli la loro signoria, congiurazione fece con più altri nobili e altri seguaci disposti a mal fare, e ordinò d'uccidere gli consoli e parte de' sanatori, e di disfare loro uficio, e correre, e rubare, e mettere da più parti fuoco nella città, e poi farsene signore. E sarebbegli venuto fatto, se non che fu riparato per lo senno e provedenza del savio consolo Marco Tulio. Così si difese la città di tanta pistilenzia, e trovata la detta congiurazione e tradimento, e per la grandezza e potenza del detto Catellina, e perché Tulio era nuovo cittadino in Roma, venuto il padre da Capova, overo d'un'altra villa di Campagna, non ardì di fare prendere Catellina né giustiziare, come al suo misfatto si convenia; ma per suo grande senno e bello parlare il fece partire della città; ma più di suoi congiurati e compagni, de' maggiori cittadini, e tale dell'ordine de' sanatori che partito Catellina rimasero in Roma, fece prendere, e nelle carcere faccendogli strangolare moriro, sì come racconta ordinatamente il grande dottore Salustio.
XXXI
Come Catellina fece ribellare la città di Fiesole a la città di Roma.
Catellina partito di Roma, con parte de' suoi seguaci se ne venne in Toscana, ove Manlius uno de' suoi principali congiurati e capitano era raunato con gente ne la città antica di Fiesole. E venuto là Catellina, la detta città da la signoria de' Romani fece rubellare, raunandovi tutti gli rubelli e sbanditi di Roma e di più altre province, e gente dissoluta e disposta a guerra e a mal fare, e cominciò aspra guerra a Romani. Li Romani, sentendo ciò, ordinaro che Gaius Antonio consolo e Publio Preteus con una milizia di cavalieri e popolo grandissimo venissono in Toscana ad oste contro a la città di Fiesole e contro a Catellina, e mandaro per loro lettere e messaggi a Quintus Metellus che tornava di Francia con grande oste di Romani, che simigliante fosse colla sua forza da l'altra parte all'asedio di Fiesole, e per seguire Catellina e suoi seguaci.
XXXII
Come Catellina e' suoi seguaci furono sconfitti da' Romani nel piano di Piceno.
Sentendo Catellina che' Romani venieno per asediarlo nella città di Fiesole, e già era Antonio e Preteius con loro oste nel piano di Fiesole in su la riva del fiume d'Arno, e aveano novelle come Metello era già in Lombardia coll'oste sua di tre legioni che venia di Francia, e veggendo che 'l soccorso che aspettava de' suoi ch'erano rimasi in Roma gli era fallito, diliberò per suo consiglio di non rinchiudersi nella città di Fiesole, ma d'andarne in Francia; e però di quella città si partì con sua gente e con uno signore di Fiesole ch'aveva nome Fiesolano, e fece ferrare i suoi cavagli a ritroso, acciò che pattendosi, le ferrate de' cavagli mostrassono che gente fosse entrata in Fiesole e non uscita, per fare badare i Romani a la città, e poterne andare più salvamente. E di notte partito per ischifare Metello, non tenne il diritto cammino dell'alpi, che noi chiamiamo l'alpe di Bologna, ma si mise per lo piano di costa a le montagne, e arrivò di là ov'è oggi la città di Pistoia nel luogo detto Campo a Piceno, ciò fu di sotto ov'è oggi il castello di Piteccio, per intendimento di valicare per quella via l'alpi Apennine, e riuscire in Lombardia; ma sentendo poi sua partita Antonius e Preteius, incontanente il seguiro colloro oste per lo piano, sicché il sopragiunsero nel detto luogo, e Metello d'altra parte fece mettere guardie a' passi delle montagne, acciò che non potesse per quelle passare. Catellina, veggendosi così distretto e che non poteva schifare la battaglia, si mise a la fortuna del combattere egli e' suoi con grande franchezza e ardire, ne la quale battaglia ebbe grande tagliamento di Romani dentro, e di rubelli, e di Fiesolani; a la fine dell'aspra battaglia Catellina fu in quello luogo di Picceno sconfitto e morto con tutta sua gente; e 'l campo rimase a' Romani con dolorosa vittoria, per modo che i detti due consoli, con XX a cavallo scampati sanza più, per vergogna non ardiro tornare in Roma. La qual cosa da' Romani non si potea credere, se prima i sanatori non vi mandaro per vedere il vero; e quello trovato, grandissimo dolore n'ebbe in Roma. E chi questa storia più a pieno vuole trovare legga il libro di Salustio detto Catellinario. I tagliati e' fediti della gente di Catellina scampati di morte della battaglia, tutto fossono pochi, si ridussero ov'è oggi la città di Pistoia, e quivi con vili abitacoli ne furono i primi abitatori per guerire di loro piaghe. E poi per lo buono sito e grasso luogo multiplicando i detti abitanti, i quali poi edificaro la città di Pistoia, e per la grande mortalità e pistolenza che fu presso a quello luogo, e di loro gente e di Romani, le puosero nome Pistoia; e però nonn-è da maravigliare se i Pistolesi sono stati e sono gente di guerra fieri e crudeli intralloro e con altrui, essendo stratti del sangue di Catellina e del rimaso di sua così fatta gente, sconfitta e tagliata in battaglia.
XXXIII
Come Metello con sue milizie fece guerra a' Fiesolani.
Da poi che Metello, il quale era in Lombardia presso a le montagne dell'alpi Appennine nelle contrade di Modona, udita la sconfitta e morte di Catellina, tostamente venne con sua oste al luogo dov'era stata la battaglia, e veduti i morti, per istupore de la diversa e grande mortalità temette, maravigliandosi come di cosa impossibile. Ma poi egli e la sua gente igualmente ispogliò il campo de' suoi Romani come quello de' nimici, rubando ciò che vi trovaro; e ciò fatto, venne verso Fiesole per assediare la città. I Fiesolani vigorosamente prendendo l'arme, usciro della città al piano, combattendo con Metello e con sua oste, e per forza il ripinsono e cacciaro di là dal fiume d'Arno con grande danno di sua gente, il quale co' suoi in su i colli, overo ripe del fiume, s'acampò; e' Fiesolani colloro oste si misero dall'altra parte del fiume d'Arno verso Fiesole.
XXXIV
Come Metello e Fiorino sconfissono i Fiesolani in su la riva d'Arno.
Metello la notte vegnente ordinò e comandò che parte della sua gente di lungi dall'oste de' Fiesolani passassono il fiume d'Arno, e si riponessono in aguato tra la città di Fiesole e l'oste de' Fiesolani, e di quella gente fece capitano Fiorino, nobile cittadino di Roma della schiatta..., il quale era suo pretore, ch'è tanto a dire come mariscalco di sua oste; e Fiorino, come per lo consolo fu comandato, così fece. La mattina, al fare del giorno, Metello armato con tutta sua gente, passando il fiume d'Arno, cominciò la battaglia a' Fiesolani, e' Fiesolani difendendo vigorosamente il passo del fiume, e nel fiume d'Arno sosteneano la battaglia. Fiorino, il quale era colla sua gente nell'aguato, come vide cominciata la battaglia, uscì francamente al di dietro al dosso de' Fiesolani che nel fiume combatteano con Metello. I Fiesolani, isproveduti dell'aguato, veggendosi subitamente assaliti per Fiorino di dietro e da Metello dinanzi, isbigottiti gittarono l'armi e fuggiro sconfitti verso la città di Fiesole, onde molti di loro furono morti e presi.
XXXV
Come i Romani la prima volta assediaro Fiesole, e come morì Fiorino.
Sconfitti e cacciati i Fiesolani della riva d'Arno, Fiorino pretore co l'oste di Romani puose campo di là dal fiume d'Arno verso la città di Fiesole, che v'aveva due villette, l'una si chiamava villa Arnina, e l'altra Camarte, overo campo o domus Marti, ove i Fiesolani alcuno giorno della semmana faceano mercato di tutte cose colloro ville e terre vicine. Il consolo fece con Fiorino dicreto che niuno dovesse vendere né comperare pane, o vino, o altre cose che ad uso di battaglia fossono, se nonne nel campo ov'era posto Fiorino. Dopo questo, Quinto Metello consolo mandò incontanente a Roma che mandassero gente d'arme all'asedio della città di Fiesole: per la quale cosa i sanatori feciono ordine che Iulio Cesare, e Cecerone, e Macrino con più legioni di genti armati dovessero venire all'asedio e distruzzione di Fiesole; i quali venuti, assediaro la detta città. Cesere puose suo campo nel colle che soprastava la cittade; Macrino ne l'altro colle, overo monte; e Cecerone dall'altra parte; e così stettono per VI anni all'asedio della detta città, avendola per lungo asedio e per fame quasi distrutta. E simigliante que' dell'oste, per lungo dimoro e per più difetti scemati ed afieboliti, si partiro dall'asedio, e si ritornaro a Roma, salvo che Fiorino vi rimase all'asedio con sua gente nel piano ov'era prima acampato, e chiusesi di fossi e di steccati a modo di battifolle, overo bastita, e tenea molto afflitti i Fiesolani; e così gli guerreggiò lungo tempo. Poi assicurandosi troppo, e avendogli per niente, e li Fiesolani ripresa alcuna lena, e ricordandosi del male che Fiorino avea loro fatto e faceva, subitamente, e come disperati, si misero di notte con iscale e con ingegni ad assalire il campo, overo battifolle, di Fiorino, e elli e la sua gente con poca guardia, e dormendo, non prendendo guardia de' Fiesolani, furono sorpresi; e Fiorino e la moglie e' figliuoli morti, e tutta sua oste in quello luogo furono quasi morti, che pochi ne scamparono; e il detto castello e battifolle disfatto, e arso, e tutto abattuto per gli Fiesolani.
XXXVI
Come per la morte di Fiorino i Romani tornaro all'assedio di Fiesole.
Come la novella fu saputa a Roma, gli consoli e' sanatori e tutto il Comune dolutosi della disaventura avenuta al buono duca Fiorino, incontanente ordinaro che di ciò fosse vendetta, e che oste grandissima un'altra volta tornassero a distruggere la città di Fiesole, intra' quali furono eletti questi duchi: Rainaldo conte, Cecerone, Teberino, Macrino, Albino, Igneo Pompeo, Cesere, Camertino, Sezzio conte tudertino, cioè di Todi, il quale era con Iulio Cesere e di sua milizia. Questi puose suo campo presso a Camarte, quasi ov'è oggi Firenze; Cesere si puose a campo in sul monte che soprastava la città, ch'è oggi chiamato Monte Cecero, ma prima ebbe nome Monte Cesaro per lo suo nome, overo per lo nome di Cecerone; ma innanzi tengono per Cesere, però ch'era maggiore signore nell'oste. Rainaldo puose suo campo in sul monte allo 'ncontro a la città di là dal Mugnone, e per suo nome infino a oggi è così chiamato; Macrino in sul monte ancora oggi nominato per lui; Camertino nella contrada che ancora per gli viventi per lo suo nome è chiamata Camerata. E tutti gli altri signori di sopra nominati, ciascuno puose per sé suo campo intorno a la città, chi in monte e chi in piano; ma di più non rimase propio nome che oggi sia memoria. Questi signori con loro milizie di gente a cavallo e a piede grandissima, assediando la città, con ordine s'apparecchiaro di fare maggiori battaglie a la città che la prima volta; ma per la fortezza della città i Romani invano lavorando, e molti di loro per lo soperchio d'assedio e soperchio di fatica sono morti, que' maggiori signori, consoli e sanatori, quasi tutti si tornaro a Roma: solo Cesere con sua milizia rimase all'asedio. E in quella stanza comandò a' suoi che dovessero andare nella villa di Camarti presso al fiume d'Arno, e ivi edificassero parlatorio per potere in quello fare suo parlamento, e una sua memoria lasciarlo: questo edificio in nostro volgare avemo chiamato Parlagio. E fu fatto tondo e in volte molto maraviglioso, con piazza in mezzo. E poi si cominciavano gradi da sedere tutto al torno. E poi di grado in grado sopra volte andavano allargandosi infino a la fine dell'altezza, ch'era alto più di LX braccia. E avea due porte, e in questo si raunava il popolo a fare parlamento. E di grado in grado sedeano le genti: al di sopra i più nobili, e poi digradando secondo la dignità delle genti; e era per modo che tutti quegli del parlamento si vedeva l'uno l'altro in viso. E udivasi chiaramente per tutti ciò che uno parlava; e capevavi ad agio infinita moltitudine di genti; e 'l diritto nome era parlatorio. Questo fu poi guasto al tempo di Totile, ma ancora a' nostri dì si ritruovano i fondamenti e parte delle volte presso a la chiesa di San Simone a Firenze, e infino al cominciamento de la piazza di Santa Croce; e parte de' palagi de' Peruzzi vi sono su fondati; e la via ch'è detta Anguillaia, che va a Santa Croce, va quasi per lo mezzo di quello Parlagio.
XXXVII
Come la città di Fiesole s'arendé a' Romani, e fu distrutta e guasta.
Stato l'assedio a Fiesole la detta seconda volta, e consumata e affritta molto la cittade sì per fame, e sì perché alloro furono tolti i condotti dell'acque e guasti, s'arrendéo la città a Cesere e a' Romani in capo di due anni e quattro mesi e VI dì che vi si puose l'asedio, a patti, chi ne volesse uscire fosse salvo. Presa la terra per li Romani, fu spogliata d'ogni ricchezza, e per Cesere fu distrutta, e tutta infino a' fondamenti abattuta; e ciò fu intorno anni LXXII anzi la Natività di Cristo.
LIBRO SECONDO
I
Qui comincia il secondo libro della edificazione di Firenze la prima volta: come di primo fue edificata la città di Firenze.
Distrutta la città di Fiesole, Cesere con sua oste discese al piano presso alla riva del fiume d'Arno, là dove Fiorino con sua gente era stato morto da' Fiesolani, e in quello luogo fece cominciare ad edificare una città, acciò che Fiesole mai non si rifacesse, e rimandò i cavalieri latini, i quali seco avea, arricchiti delle ricchezze de' Fiesolani; i quali Latini Tudertini erano appellati. Cesere adunque, compreso l'edificio della città, e messovi dentro due ville dette Camarti e villa Arnina, voleva quella appellare per suo nome Cesaria. Il sanato di Roma sentendolo, non sofferse che per suo nome Cesere la nominasse; ma feciono dicreto e ordinaro che quegli maggiori signori ch'erano stati a la guerra di Fiesole e all'asedio dovessono andare a fare edificare con Cesere insieme, e popolare la detta cittade, e qualunque di loro soprastesse alavorio, cioè facesse più tosto il suo edificio, appellasse la cittade di suo nome, o come allui piacesse. Allora Macrino, Albino, Igneo Pompeo, Marzio apparecchiati di fornimenti e di maestri, vennero da Roma alla cittade che Cesere edificava, e inviandosi con Cesere si divisono l'edificare in questo modo: che Albino prese a smaltare tutta la cittade, che fue uno nobile lavoro e bellezza e nettezza della cittade, e ancora oggi del detto ismalto si truova cavando, massimamente nel sesto di San Piero Scheraggio, e in porte San Piero, e in porte del Duomo, ove mostra fosse l'antica città. Macrino fece fare il condotto dell'acqua in docce e in arcora, faccendola venire di lungi a la città per VII miglia, acciò chella città avesse abondanza di buona acqua da bere, e per lavare la cittade; e questo condotto si mosse infino dal fiume detto la Marina a piè di monte Morello, ricogliendo in se tutte quelle fontane sopra Sesto, e Quinto, e Colonnata. E in Firenze faceano capo le dette fontane a uno grande palagio che si chiamava termine, capud aque, ma poi in nostro volgare si chiamò Capaccia, e ancora oggi in Terma si vede dell'anticaglia. E nota che gli antichi per santade usavano di bere acque di fontane menate per condotti, perché erano più sottili e più sane che quelle de' pozzi, però che pochi, o quasi pochissimi, beveano vino, ma i più acqua di condotto, ma non di pozzo; e pochissime vigne erano allora. Igneo Pompeo fece fare le mura della cittade di mattoni cotti, e sopra i muri della città edificò torri ritonde molto spesse, per ispazio dall'una torre a l'altra di XX cubiti, sicché le torri erano di grande bellezza e fortezza. Del compreso e giro della città non troviano cronica che ne faccia menzione; se non che quando Totile Flagellum Dei la distrusse, fanno le storie menzione ch'ell'era grandissima. Marzio l'altro signore romano fece fare il Campidoglio al modo di Roma, cioè palagio, overo la mastra fortezza della cittade, e quello fu di maravigliosa bellezza; nel quale l'acqua del fiume d'Arno per gora con cavate fogne venia e sotto volte, e in Arno sotterra si ritornava; e la cittade per ciascuna festa dello sgorgamento di quella gora era lavata. Questo Campidoglio fu ov'è oggi la piazza di Mercato Vecchio, di sopra a la chiesa di Santa Maria in Campidoglio: e questo pare più certo. Alcuni dicono che fu ove oggi si chiama il Guardingo, di costa a la piazza ch'è oggi del popolo dal palazzo de' priori, la quale era un'altra fortezza. Guardingo fu poi nomato l'anticaglia de' muri e volte che rimasono disfatte dopo la distruzione di Totile, e stavanvi poi le meretrici. I detti signori, per avanzare l'uno l'edificio dell'altro, con molta sollecitudine si studiavano, ma in uno medesimo tempo per ciascuno fu compiuto; sicché nullo di loro ebbe aquistata la grazia di nominare la città a sua volontà, sì che per molti fu al cominciamento chiamata la piccola Roma. Altri l'appellavano Floria, perché Fiorino fu ivi morto, che fu il primo edificatore di quello luogo, e fu in opera d'arme e in cavalleria fiore, e in quello luogo e campi intorno ove fu la città edificata sempre nasceano fiori e gigli. Poi la maggiore parte degli abitanti furono consenzienti di chiamarla Floria, sì come fosse in fiori edificata, cioè con molte delizie. E di certo così fu, però ch'ella fu popolata della migliore gente di Roma, e de' più sofficienti, mandati per gli sanatori di ciascuno rione di Roma per rata, come toccò per sorte che l'abitassono; e accolsono colloro quelli Fiesolani che vi vollono dimorare e abitare. Ma poi per lungo uso del volgare fu nominata Fiorenza: ciò s'interpetra spada fiorita. E troviamo ch'ella fu edificata anni VIcLXXXII dopo l'edificazione di Roma, e anni LXX anzi la Nativitade del nostro signore Iesù Cristo. E nota, perché i Fiorentini sono sempre in guerra e in disensione tra loro, che nonn-è da maravigliare, essendo stratti e nati di due popoli così contrari e nemici e diversi di costumi, come furono gli nobili Romani virtudiosi, e' Fiesolani ruddi e aspri di guerra.
II
Come Cesere si partì di Firenze e andonne a Roma, e fu fatto consolo per andare contro a' Franceschi.
Dapoi chella città di Firenze fu fatta e popolata, Iulio Cesare irato perché n'era stato il primo edificatore, e avea avuta la vittoria della città di Fiesole, e nonn-avea potuto nominare la cittade per suo nome, sì si partì di quella, e tornossi a Roma, e per suo studio e valore fue eletto consolo, e mandato contro a' Franceschi, ove dimorò per X anni al conquisto di Francia, e d'Inghilterra, e d'Alamagna: e lui tornando con vittoria a Roma, gli fu vietato il triunfo, perché aveva passato il dicreto fatto per Pompeo consolo e' sanatori per invidia, sotto colore d'onestà, che nullo dovesse stare in neuna balia più di V anni. In quale Cesare co le sue milizie tornando con oltremontani, Franceschi, e Tedeschi, e Italiani, Pisani, Pirati, Pistolesi, e ancora co' Fiorentini suoi cittadini, pedoni, e cavalieri, e rombolatori menò seco a fare cittadinesche battaglie, perché gli fu vietato il triunfo; ma più per essere signore di Roma, come lungo tempo avea disiderato, contro a Pompeo e il senato di Roma combattéo. E dopo la grande battaglia tra Cesere e Pompeo, quasi tutti morti furo in Ematia, cioè Tesaglia in Grecia, come pienamente si legge per Lucano poeta, chi le storie vorrà trovare. E Cesere, avuta la vittoria di Pompeo e di molti re e popoli ch'erano in aiuto de' Romani che gli erano nimici, si tornò a Roma, e sì si fece primo imperadore di Roma, che tanto è a dire come comandatore sopra tutti. E apresso lui fue Ottaviano Agustus suo nipote e figliuolo adottivo, il quale regnava quando Cristo nacque, e dopo molte vittorie signoreggiò tutto il mondo in pace; e d'allora innanzi fu Roma a signoria d'imperio, e tenne sotto la sua giuridizione e dello imperio tutto l'universo mondo.
III
Come i Romani e gl'imperadori ebbono insegna, e come dalloro l'ebbe la città di Firenze, e altre cittadi.
Al tempo di Numa Pompilius per divino miracolo cadde in Roma da cielo uno scudo vermiglio, per la qual cosa e agurio i Romani presono quella insegna e arme, e poi v'agiunsono S.P.Q.R. in lettere d'oro, cioè Senato del popolo di Roma: e così dell'origine della loro insegna diedono a tutte le città edificate per loro, cioè vermiglia. Così a Perugia, a Firenze, e a Pisa; ma i Fiorentini per lo nome di Fiorino e della città v'agiunsono per intrasegna il giglio bianco, e' Perugini talora il grifone bianco, e Viterbo il campo rosso, e li Orbitani l'aquila bianca. Ben'è vero che' signori romani, consoli e dittatori, dapoi che l'aguglia per agurio aparve sopra Tarpea, cioè sopra la camera del tesoro di Campidoglio, come Tito Livio fa menzione, si presono l'arme in loro insegne ad aquila; e troviamo che 'l consolo Mario ne la battaglia de' Cimbri ebbe le sue insegne con l'aquila d'argento, e simile insegna portava Catellina quando fu sconfitto da Antonio nelle parti di Pistoia, come recita Salustio. E 'l grande Pompeo la portò in campo azzurro e l'aquila d'argento: e Iulio Cesare la portò il campo vermiglio e l'aquila ad oro, come fa menzione Lucano in versi, dicendo: Signa parens aquilas, et pila minantia pilas. Ma poi Ottaviano Agusto, suo nipote e successore imperadore, la mutò, e portò il campo ad oro, e l'aquila naturale di colore nero a similitudine della signoria dello imperio, che come l'aquila è sovra ogni uccello, e vede chiaro più ch'altro animale, e vola infino al cielo dell'emisperio del fuoco, così lo 'mperio dé essere sopra ogni signoria temporale. E appresso Ottaviano tutti gli imperadori de' Romani l'hanno per simile modo portata; ma Gostantino, e poi gli altri imperadori de' Greci ritennono la 'nsegna di Iulio Cesare, cioè il campo vermiglio e l'aquila ad oro, ma con due capi. Lasceremo delle insegne del comune di Roma e degl'imperadori, e torneremo a nostra materia sopra i fatti della città di Firenze.
IV
Come la città di Firenze fu camera de' Romani e dello imperio.
La città di Firenze in quello tempo era camera d'imperio, e come figliuola e fattura di Roma in tutte cose, e da' Romani abitata; e però de' propii fatti di Firenze a quegli tempi non troviamo cronica né altre storie che ne facciano grande memoria. E di ciò nonn-è da maravigliare, però che' Fiorentini erano sudditi e una co' Romani, e per Romani si trattavano per l'universo mondo, e come i Romani andavano ne' loro eserciti e nelle loro battaglie. E troviamo nelle storia di Giulio Cesare, nel secondo libro di Lucano, quando Cesare assediò Pompeo nella città di Brandizio in Puglia, uno de' baroni e signori della città di Firenze ch'avea nome Lucere era in compagnia di Cesare e fue alla battaglia delle navi a la bocca del porto di Brandizio, valente uomo d'arme e virtudioso; e molti altri Fiorentini furono in quello esercito e battaglie con Cesare e di sua parte; però che quando fue la discordia da Giulio Cesare a Pompeo e del senato di Roma, quegli della città di Firenze e d'intorno al fiume d'Arno tennero la parte di Cesare. E di ciò fa menzione Lucano nel detto libro ove dice in versi:
Vulturnusque celer, notturneque conditor aure
Sarnus, et umbrosae Liris per regna marisque.
E così dimoraro i Fiorentini mentre che' Romani ebbono stato e signoria. Bene si truova per alcuno scritto che uno Uberto Cesare, sopranomato per Iulio Cesare, che fu figliuolo di Catellina, rimaso in Fiesole picciolo garzone dopo la sua morte, egli poi per Iulio Cesare fue fatto grande cittadino di Firenze, e avendo molti figliuoli, egli e poi la sua schiatta furono signori della terra gran tempo, e di loro discendenti furono grandi signori e grandi schiatte in Firenze; e che gli Uberti fossoro di quella progenie si dice. Questo non troviamo per autentica cronica che per noi si pruovi.
V
Come in Firenze fu fatto il tempio di Marti, il quale oggi si chiama il Duomo di Santo Giovanni.
Dapoi che Cesere, e Pompeo, e Macrino, e Albino, e Marzio prencipi de' Romani edificatori della nuova città di Firenze si tornarono a Roma, compiuti i loro lavori, la città cominciò a crescere e moltiplicare di Romani e di Fiesolani insieme, che rimasono a l'abitazione di quella; e in poco tempo si fece buona città secondo il tempo d'allora, che gl'imperadori e 'l senato di Roma l'avanzavano alloro podere, quasi come un'altra piccola Roma. I cittadini di quella, essendo in buono stato, ordinaro di fare nella detta cittade uno tempio maraviglioso all'onore dello Iddio Marte, per la vittoria che' Romani avieno avuta della città di Fiesole, e mandaro al senato di Roma che mandasse loro gli migliori e più sottili maestri che fossono in Roma, e così fu fatto. E feciono venire marmi bianchi e neri, e colonne di più parti di lungi per mare, e poi per Arno; feciono conducere e macigni e colonne da Fiesole, e fondaro e edificaro il detto tempio nel luogo che si chiamava Camarti anticamente, e dove i Fiesolani faceano loro mercato. Molto nobile e bello il feciono a otto facce, e quello fatto con grande diligenzia, il consecraro allo Iddio Marti, il quale era Idio di Romani, e feciollo figurare innintaglio di marmo in forma d'uno cavaliere armato a cavallo; il puosono sopra una colonna di marmo in mezzo di quello tempio, e quello tennero con grande reverenzia e adoraro per loro Idio mentre che fu il paganesimo in Firenze. E troviamo che il detto tempio fu cominciato al tempo che regnava Ottaviano Agusto, e che fu edificato sotto ascendente di sì fatta costellazione, che non verrà meno quasi in etterno: e così si truova scritto in certa parte, e intagliato nello spazzo del detto tempio.
VI
Racconta del sito della provincia di Toscana.
Quando per noi s'è detto della prima edificazione della città di Firenze e di quella di Pistoia, si è convenevole e di necessità che si dica dell'altre città vicine di Toscana quello che n'avemo trovato per le croniche di loro principii e cominciamenti brievemente, per tornare poi a nostra materia. Narreremo in prima del sito della provincia di Toscana. Toscana comincia da la parte di levante al fiume del Tevero, il quale si muove nell'alpi di Pennino de la montagna chiamata Falterona, e discende per la contrada di Massa Tribara, e dal Borgo San Sipolcro, e poi la Città di Castello, e poi sotto la città di Perugia, e poi appresso di Todi, istendendosi per terra di Sabina e di Roma, e ricogliendo in sé molti fiumi, entra per la città di Roma infino in mare ove fa foce di costa a la città di Ostia, presso a Roma a XX miglia; e la parte di qua dal fiume, che si chiama Trastibero, e il Portico di Santo Pietro di Roma è della provincia di Toscana. E da la parte del mezzogiorno si ha Toscana il mare detto Terreno, che colle sue rive batte la contrada di Maremma, e Piombino, e Pisa, e per lo contado di Lucca e di Luni infino a la foce del fiume della Magra, che mette in mare a la punta della montagna del Corbo di là da Luni e di Serrezzano, da la parte di ponente. E discende il detto fiume della Magra delle montagne di Pennino di sopra a Pontriemoli, tra la riviera di Genova e 'l contado di Piagenza in Lombardia, ne le terre de' marchesi Malaspina. Il quarto confine di Toscana di verso settentrione sono le dette alpi Apennine, le quali confinano e partono la provincia di Toscana da Lombardia e Bologna e parte di Romagna; e gira la detta provincia di Toscana VIIc miglia. Questa provincia di Toscana ha più fiumi: intra gli altri reale e maggiore si è il nostro fiume d'Arno, il quale nasce di quella medesima montagna di Falterona che nasce il fiume del Tevero che va a Roma. E questo fiume d'Arno corre quasi per lo mezzo di Toscana, scendendo per le montagne de la Vernia, ove il beato santo Francesco fece sua penitenzia e romitaggio, e poi passa per la contrada di Casentino presso a Bibbiena e a piè di Poppio, e poi si rivolge verso levante, vegnendo presso a la città d'Arezzo a tre miglia, e poi corre per lo nostro Valdarno di sopra, scendendo per lo nostro piano, e quasi passa per lo mezzo de la nostra città di Firenze. E poi uscito per corso del nostro piano, passa tra Montelupo e Capraia presso a Empoli per la contrada di Greti e di Valdarno di sotto a piè di Fucecchio, e poi per lo contado di Lucca e di Pisa, raccogliendo in sé molti fiumi, passando poi quasi per mezzo la città di Pisa ove assai è grosso, sicché porta galee e grossi legni; e presso di Pisa a V miglia mette in mare; e il suo corso è di spazio di miglia CXX. E del detto fiume d'Arno l'antiche storie fanno menzione: Vergilio nel VII libro dell'Eneidos parlando della gente che fu in aiuto al re Turno incontra Enea di Troia con questi versi: Sarrastris populos, equa rigat equora Sarnus; e Paulo Orosio raccontando in sue storie del fiume d'Arno disse che quando Anibal di Cartagine, tornando di Spagna in Italia, passò le montagne d'Apennino, vegnendo sopra i Romani, ove si combattéo in sulago di Perugia col valente consolo Flamineo da cui fu sconfitto, in quel luogo dice che passando Anibal l'alpi Apennine, per la grande freddura che v'ebbe, discendendo poi in su i paduli del fiume d'Arno sì perdé tutti gli suoi leofanti, che non ne gli rimase se none uno solo, e la maggiore parte de' suoi cavagli e bestie vi moriro; e egli medesimo per la detta cagione vi perdé uno de' suoi occhi del capo. Questo Anibal mostra per nostro arbitrare ch'egli scendesse l'alpi tra Modona e Pistoia, e paduli fossono per lo fiume d'Arno da piè di Firenze insino di là da Signa: e questo si pruova, che anticamente tra Signa e Montelupo nel mezzo del corso del fiume d'Arno, ove si ristrigne in piccolo spazio tra rocce di montagne, aveva una grandissima pietra che si chiamava e chiama Golfolina, la quale per sua grandezza e altezza comprendeva tutto il corso del fiume d'Arno, per modo che 'l facea ringorgare infino assai presso ov'è oggi la città di Firenze, e per lo detto ringorgamento si spandea l'acqua del fiume d'Arno, e d'Ombrone, e di Bisenzo per lo piano sotto Signa, e di Settimo, e di Prato, e di Micciole, e di Campi, infino presso a piè de' monti, faccendo paduli. Ma e' si truova, e per evidente sperienzia si vede, che la detta pietra Golfolina per maestri con picconi e scarpelli per forza fu tagliata e dibassata, per modo che 'l corso del fiume d'Arno calò e dibassò, sicché i detti paduli scemaro e rimasero terra guadagnabile. Bene racconta Tito Livio quasi per simili parole, dicendo che 'l passo, e dove s'acampò Anibal, fu tra la città di Fiesole e quella d'Arezzo. Avisiamo che passasse l'alpi a Pennino per la contrada di Casentino, e paduli poteano simile essere tra l'Ancisa e 'l piano di Fegghine, e potea essere o nell'uno luogo o nell'altro, però che anticamente il fiume d'Arno avea in più luogora rattenute e paduli; ma dove chessi fosse, assai avemo detto sopra il nostro fiume d'Arno, per trarre d'ignoranza e fare avisati i presenti moderni viventi di nostra città, e gli strani che sono e saranno. Lasceremo di ciò, e diremo in brieve de la potenzia che anticamente avea la nostra provincia di Toscana, che si confà a la nostra materia.
VII
Della potenzia e signoria ch'avea la provincia di Toscana innanzi che Roma avesse stato.
Dapoi ch'avemo detto del sito e confini de la nostra provincia di Toscana, sì ne pare convenevole di dire in brieve dello stato e signoria che Toscana avea anzi che Roma avesse podere. La provincia di Toscana innanzi al detto tempo fu di grande potenzia e signoria. E non solamente lo re di Toscana chiamato Procena, che facea capo del suo reame nella città di Chiusi, il quale col re Tarquino assediò Roma, era signore della provincia di Toscana; ma le sue confine, dette colonne, erano infino a la città d'Adria in Romagna in su il golfo del mare di Vinegia, per lo cui nome anticamente quello mare è detto seno Adriatico; e nelle parti di Lombardia erano i suoi confini e colonne di Toscana infino di là dal fiume di Po e del Tesino, infino al tempo di Tarquino Prisco re de' Romani, che la gente de' Galli, detti oggi Franceschi, e quella de' Germani, detti oggi Tedeschi, di prima passaro in Italia per guida e condotto d'uno Italiano della città di Chiusi, il quale passò i monti per ambasciadore, per fare commuovere gli oltramontani contro a' Romani, e portò seco del vino, il quale dagli oltramontani non era in uso, né conosciuto per bere, però che di là nonn avea mai avuto vino né vigna; il quale vino per gli signori di là assaggiato, parve loro molto buono; e intra l'altre cagioni, con altre grandi impromesse, quella della ghiottornia del buono vino gl'indusse a passare i monti, udendo come Italia era piantadosa di vino, e larga d'ogni bene e vittuaglia. E indussegli ancora il passare di qua, che per lo loro buono stato erano sì cresciuti e multiplicati di gente, che a pena vi poteano capere. Per la qual cosa passando i monti in Italia i Galli e' Germani, de' primi furono Brenno e Bellino, i quali guastarono gran parte di Lombardia e del nostro paese di Toscana, e poi assediaro la città di Roma e presolla infino al Campidoglio, con tutto che innanzi si partissono furono sconfitti in Toscana dal buono Cammillo ribello di Roma, siccome Tito Livio in sue storie fa menzione. E poi più altri signori Gallici, e Germani, e Gotti, e d'altre nazioni barbere passaro in Italia di tempi in tempi, faccendo in Lombardia e in Toscana grandi battaglie co' Romani, come si truovano ordinatamente per le storie che scrisse il detto Tito Livio maestro di storie. Lasceremo de la detta materia, e diremo i nomi delle città e vescovadi della nostra provincia di Toscana.
VIII
Questi sono i vescovadi de le città di Toscana.
La chiesa e sedia di San Piero di Roma la qual è di qua dal fiume del Tibero in Toscana, il vescovado di Fiesole, la città di Firenze, la città di Pisa, la qual è arcivescovado per grazia, come in questo fia menzione, la città di Lucca, il vescovado dell'antica città di Luni, la città di Pistoia, la città di Siena, la città d'Arezzo, la città di Perugia, la città di Castello, la città di Volterra, la città di Massa, la città di Grosseto, il vescovado di Soana in Maremma, la città antica di Chiusi, la città d'Orbivieto, il vescovado di Bagnoregio, la città di Viterbo, la città di Toscanella, il vescovado di Castri, la città di Nepi, l'antichissima città di Sutri, la città d'Orti, il vescovado di Civitatensi. Avendo detti i nomi di XXV vescovadi e città di Toscana, diremo in ispezialità del cominciamento e orrigine d'alquante di quelle città famose a' nostri tempi onde sapremo il vero per antiche storie e croniche, tornando poi a nostra materia.
IX
Della città di Perugia.
La città di Perugia fu assai antica, e secondo che raccontano le loro croniche, ella fu da' Romani edificata in questo modo: che tornando uno oste de' Romani de la Magna, perch'avea il loro consolo chiamato Persus dimorato al conquisto più tempo che non diceva il dicreto de' Romani, si furono isbanditi e divietati che non tornassono a Roma, sicché rimasono in quello luogo ove è l'uno corno della città di Perugia, siccome esiliati e nemici del Comune. Poi gli Romani mandarono sopra loro una oste, i quali si puosono di contro alloro in su l'altro corno per guerreggiargli, siccome ribelli del Comune di Roma; ma ivi stati più tempo, e riconosciuti insieme, si pacificaro l'uno oste e l'altra, e per lo buono sito rimasono abitanti in quello luogo. Poi di due luoghi feciono la città di Perugia, e per lo nome del primo consolo che ivi si puose fu così nominata. Poi pacificatisi co' Romani, furono contenti della città di Perugia, e favoreggiarla assai e diedolle stato, quasi per tenere sotto loro giuridizione le città di quella contrada. Poi Totile Flagellum Dei la distrusse, come fece Firenze e più altre città d'Italia, e fece marterizzare santo Erculano vescovo della detta città.
X
Della città di Arezzo.
La città d'Arezzo prima ebbe nome Aurelia, e fu grande città e nobile, e in Aurelia furono anticamente fatti per sottilissimi maestri vasi rossi con diversi intagli di tutte forme di sottile intaglio, che veggendoli parevano impossibili a essere opera umana; e ancora se ne truovano. E di certo ancora si dice che 'l sito e l'aria d'Arezzo genera sottilissimi uomini. La detta città d'Aurelia fu anche distrutta per lo detto Totile, e fecela arare e seminare di sale, e d'allora innanzi fu chiamata Arezzo, cioè città arata.
XI
Della città di Pisa.
La città di Pisa fu prima chiamata Alfea. Troviamo mandò aiuto ad Enea contro a Turno, e ciò dice Vergllio nel VI libro dell'Eneidos; ma poi ella fu porto dello 'mperio de' Romani dove s'aduceano per mare tutti gli tributi e censi che li re e tutte le nazioni e paesi del mondo ch'erano sottoposti a' Romani rendeano allo 'mperio di Roma, e là si pesavano, e poi si portavano a Roma; e però che il primo luogo ove si pesava non era sofficiente a tanto strepito, vi si feciono due luoghi ove si pesava, e però si diclina il nome di Pisa in gramatica: pluraliter, nominativo hee Pise; e così per l'uso del porto e detti pesi, genti vi s'acolsono ad abitare, e crebbono e edificaro la città di Pisa poi ad assai tempo dopo l'avenimento di Cristo, con tutto che prima per lo modo detto era per molte genti abitata, ma non come città murata.
XII
Della città di Lucca.
La città di Lucca ebbe in prima nome Fridia, e chi dice Aringa; ma perché prima si convertì a la vera fede di Cristo che città di Toscana, e prima ricevette vescovo, ciò fu santo Fridiano, che per miracolo di Dio rivolse il Serchio, fiume presso a la detta città, e diegli termine, che prima era molto pericoloso e guastava la contrada, e per lo detto santo prima fu luce di fede, sì fu rimosso il primo nome e chiamata Luce, e oggi per lo corrotto volgare si chiama Lucca. E truovasi che il detto beato Fridiano vegnendo da Lucca a Firenze in pellegrinaggio per visitare la chiesa ov'è il corpo di santo Miniato a Monte, non potendo entrare in Firenze perché ancora erano pagani, e trovando il fiume d'Arno molto grosso per grandi piove, si mise a passare in su una piccola navicella contro al volere del barcaiuolo, e per miracolo di Dio passò liberamente e tosto, come l'Arno fosse piccolo, e colà dove arrivò fu poi per gli cattolici fiorentini fatta la chiesa di Santo Fridiano per sua devozione.
XIII
Della città di Luni.
La città di Luni, la quale è oggi disfatta, fu molto antica, e secondo che troviamo nelle storie di Troia, della città di Luni v'ebbe navilio e genti a l'aiuto de' Greci contra gli Troiani; poi fu disfatta per gente oltramontana per cagione d'una donna moglie d'uno signore, che andando a Roma, in quella città fu corrotta d'avoltero; onde tornando il detto signore con forza la distrusse, e oggi è diserta la contrada e malsana. E nota chelle marine erano anticamente molto abitate, e quasi infra terra poche città avea e pochi abitanti, ma in Maremma e in Maretima verso Roma a la marina di Campagna avea molte città e molti popoli, che oggi sono consumati e venuti a niente per corruzzione d'aria: che vi fu la grande città di Popolonia, e Soana, e Talamone, e Grosseto, e Civitaveglia, e Mascona, e Lansedonia che furono co la loro forza a l'asedio di Troia; e in Campagna Baia, Pompeia, Cumina, e Laurenza, e Albana. E la cagione perché oggi sono quelle terre de la marina quasi disabitate e inferme, e eziandio Roma peggiorata, dicono gli grandi maestri di stronomia che ciò è per lo moto dell'ottava spera del cielo, che in ogni C anni si muta uno grado verso il polo di settentrione, cioè tramontana, e così farà infino a XV gradi in MD anni, e poi tornerà adietro per simile modo, se fia piacere di Dio che 'l mondo duri tanto; e per la detta mutazione del cielo è mutata la qualità della terra e dell'aria, e dov'era abitata e sana è oggi disabitata e inferma, et e converso. Ed oltre acciò naturalmente veggiamo che tutte le cose del mondo hanno mutazione, e vegnono e verranno meno, come Cristo di sua bocca disse, che neuna cosa ci ha stato fermo.
XIV
Della città di Viterbo.
La città di Viterbo fu fatta per gli Romani, e anticamente fu chiamata Vegezia, e' cittadini Vegentini. E gli Romani vi mandavano gl'infermi per cagione de' bagni ch'escono del bulicame, e però fu chiamata Vita Erbo, cioè vita agl'infermi, overo città di vita.
XV
Della città d'Orbivieto.
La città d'Orbivieto si fu simile fatta per gli Romani, e Urbis Veterum ebbe nome, cioè a dire città de' vecchi, perché gli uomini vecchi di Roma v'erano mandati a stare per migliore aria ch'a Roma per mantenere loro santade; e per lo lungo uso e buono sito ve ne ristettono assai ad abitarla, e popolarla di gente.
XVI
Della città di Cortona.
La città di Cortona fue antichissima, fatta al tempo di Giano e de' primi abitanti di Italia; e Turno che si combatté con Enea per Lavina fu re di quella, come detto è dinanzi, e per lo suo nome prima ebbe nome Turna.
XVII
Della città di Chiusi
La città di Chiusi simile fu antichissima e potentissima, fatta ne' detti tempi, e assai prima che Roma, e fune signore e re Procena, che col re Tarquino scacciato di Roma fu ad assediare Roma, come racconta Tito Livio.
XVIII
Della città di Volterra.
La città di Volterra prima fu chiamata Antonia, e fu molto antica, fatta per gli discendenti d'Italia; e, secondo che si leggono i ramanzi, indi fu il buono Buovo d'Antonia.
XIX
Della città di Siena.
La città di Siena è assai nuova città, ch'ella fu cominciata intorno agli anni di Cristo VIcLXX, quando Carlo Martello, padre del re Pipino di Francia, co' Franceschi andavano nel regno di Puglia in servigio di santa Chiesa a contastare una gente che si chiamavano i Longobardi, pagani, e eretici, e ariani, onde era loro re Grimaldo di Morona, e facea suo capo in Benivento, e perseguitava gli Romani e santa Chiesa. E trovandosi la detta oste de' Franceschi e altri oltramontani ov'è oggi Siena, si lasciaro in quello luogo tutti gli vecchi e quegli che non erano bene sani, e che non poteano portare arme, per non menarglisi dietro in Puglia; e quegli rimasi in riposo nel detto luogo, vi si cominciaro ad abitare, e fecionvi due residii a modo di castella, ove è oggi il più alto della città di Siena, per istare più al sicuro; e l'uno abitacolo e l'altro era chiamato Sena, dirivando di quegli che v'erano rimasi per vecchiezza. Poi crescendo gli abitanti, si raccomunò l'uno luogo e l'altro, e però secondo gramatica si diclina in plurali: pluraliter nominativo hee Sene. E dapoi a più tempo crescendo, in Siena ebbe una grande e ricca albergatrice chiamata madonna Veglia. Albergando in suo albergo uno grande legato cardinale che tornava delle parti di Francia a la corte a Roma, la detta donna gli fece grande onore, e non gli lasciò pagare nulla spensaria. Il legato, ricevuta cortesia, la domandò se in corte volesse alcuna grazia. Richieselo la donna divotamente che per lo suo amore procurasse che Siena avesse vescovado; promisele di farne suo podere, e consigliolla che facesse che 'l Comune di Siena facesse ambasciadori, e mandasse al papa a procurallo; e così fu fatto. Il legato sollecitando, il papa udì la petizione, e diede vescovo a' Sanesi, e 'l primo fu messer Gualteramo. E per dotare il vescovado, si tolse una pieve al vescovado d'Arezzo, e una a quello di Perugia, e una a quello di Chiusi, e una a quello di Volterra, e una a quello di Grosseto, e una a quello di Massa, e una a quello d'Orbivieto, e una a quello di Firenze, e una a quello di Fiesole; e così ebbe Siena vescovado, e fu chiamata città: e per lo nome e onore de la detta madonna Veglia, per cui fu prima promossa e domandata la grazia, sì fu sempre sopranomata Siena la Veglia.
XX
Torna la storia a' fatti della città di Firenze, e come santo Miniato vi fu martorizzato per Decio imperadore.
Dapoi che brievemente avemo fatta alcuna menzione de le nostre città vicine di Toscana, torneremo a nostra materia a raccontare de la nostra città di Firenze; e sì come innarrammo dinanzi, la detta città si resse grande tempo al governo e signoria degl'imperadori di Roma, e spesso venieno gl'imperadori a soggiornare in Firenze quando passavano in Lombardia, e ne la Magna, e in Francia al conquisto delle province. E troviamo che Decio imperadore l'anno suo primo, ciò fu gli anni di Cristo CCLII, essendo in Firenze sì come camera d'imperio, dimorandovi a suo diletto, e il detto Decio perseguitando duramente i Cristiani dovunque gli sentiva e trovava, udì dire come il beato santo Miniato eremita abitava presso a Firenze con suoi discepoli e compagni, in una selva che si chiamava Arisbotto fiorentina, di dietro là dove è oggi la sua chiesa sopra la città di Firenze. Questo beato Miniato fu figliuolo del re d'Erminia primogenito, e lasciato il suo reame per la fede di Cristo, per fare penitenzia e dilungarsi dal suo regno passò di qua da mare al perdono a Roma, e poi si ridusse nella detta selva, la quale allora era salvatica e solitaria, però che la città di Firenze non si stendea né era abitata di là da l'Arno, ma era tutta di qua, salvo che uno solo ponte v'avea sopra l'Arno, non però dove sono oggi, ma si dice per molti ch'era l'antico ponte de' Fiesolani, il quale era da Girone a Candegghi: e quella era l'antica e diritta strada e cammino da Roma a Fiesole, e per andare in Lombardia e di là da' monti. Il detto Decio imperadore fece prendere il detto beato Miniato, come racconta la sua storia: grandi doni e proferte gli fece fare, sì come a figliuolo di re, acciò che rinegasse Cristo; e elli costante e fermo nella fede non volle suoi doni, ma sofferse diversi martiri; a la fine il detto Decio gli fece tagliare la testa ove è oggi la chiesa di Santa Candida a la Croce al Gorgo; e più fedeli di Cristo ricevettono martirio in quello luogo. E tagliata la testa del beato Miniato, per miracolo di Cristo co le sue mani la ridusse al suo imbusto, e co' suoi piedi andò e valicò l'Arno, e salì in sul poggio dove è oggi la chiesa sua, che allora v'avea uno piccolo oratorio in nome del beato Piero Appostolo, dove molti corpi di santi martiri furono soppelliti; e in quello luogo santo Miniato venuto, rendé l'anima a Cristo, e il suo corpo per gli Cristiani nascosamente fu ivi soppellito; il quale luogo per gli meriti del beato santo Miniato da' Fiorentini, dapoi che furono divenuti Cristiani, fue divotamente venerato, e fattavi una picciola chiesa al suo onore. Ma la grande e nobile chiesa de' marmi che v'è oggi a' nostri tempi troviamo che fue poi fatta per lo procaccio del venerabile padre messere Alibrando vescovo e cittadino di Firenze negli anni di Cristo MXIII, cominciata a dì XXVI del mese d'aprile per comandamento e autorità del cattolico e santo imperadore Arrigo secondo di Baviera e della sua moglie imperatrice santa Cunegonda che in quegli tempi regnava, e diedono e dotarono la detta chiesa di molte ricche posessioni in Firenze e nel contado per l'anime loro, e feciono reparare e reedificare la detta chiesa, sì come è ora, di marmi; e feciono traslatare il corpo del beato Miniato nell'altare il qual è sotto le volte de la detta chiesa con molta reverenza e solennità fatta per lo detto vescovo e chericato di Firenze, con tutto il popolo uomini e donne de la città di Firenze; ma poi per lo Comune di Firenze si compié la detta chiesa, e si feciono le scalee de' macigni giù per la costa, e ordinaro sopra la detta opera di Santo Miniato i consoli dell'arte di Calimala, e che l'avessono in guardia.
XXI
Come santo Crisco e' suoi compagni furono martirizzati nel contado di Firenze.
Ancora in quegli tempi di Decio imperadore, dimorando il detto Decio in Firenze, fece perseguitare il beato Crisco con suoi compagni e discepoli, il quale fu delle parti di Germania gentile uomo, e faceva penitenzia con santo Miniato, prima nella selva d'Arisbotto detta di sopra, e poi in quelle selve di Mugello ov'è oggi la sua chiesa, cioè San Cresci a Valcava; e in quello luogo egli co' suoi seguaci da' ministri di Decio furono martirizzati. Avemo raccontate le storie di questi due santi, acciò che s'abbiano in reverenza e in memoria a' Fiorentini, sì come per la fede di Cristo in questa nostra contrada furono martirizzati, e sono i loro santi corpi. Bene troviamo noi per più antiche croniche che al tempo di Nerone imperadore nella nostra città di Firenze e nella contrada prima fu recata da Roma la verace fede di Cristo per Frontino e Paulino discepoli di santo Piero, ma ciò fu tacitamente e in pochi fedeli, per paura de' vicarii e proposti degl'imperadori, ch'erano idolatri, e perseguivano li Cristiani dovunque gli trovavano; e così dimoraro infino al tempo di Gostantino imperadore e di santo Silvestro papa.
XXII
Di Gostantino imperadore e de' suoi discendenti, e le mutazioni che ne furono in Italia.
Troviamo che la nostra città di Firenze si resse sotto la guardia dello imperio de' Romani intorno di CCCL anni, dapoi che prima fu fondata, tenendo legge pagana e cultivando l'idoli, con tutto che assai v'avesse de' Cristiani per lo modo ch'è detto, ma dimoravano nascosi in diversi romitaggi e caverne di fuori da la città, e quegli ch'erano dentro non si palesavano Cristiani per la tema delle persecuzioni che gl'imperadori di Roma, e de' loro vicari e ministri facevano a' Cristiani, infino al tempo del grande Gostantino figliuolo di Gostantino imperadore, e d'Elena sua moglie figliuola del re di Brettagna, il quale fu il primo imperadore cristiano, e adotò la Chiesa di tutto lo 'mperio di Roma, e diede libertà a' Cristiani al tempo del beato Silvestro papa, il quale il battezzò e fece Cristiano, mondandolo della lebbra per virtù di Cristo; e ciò fu negli anni di Cristo intorno CCCXX. Il detto Gostantino fece fare in Roma molte chiese all'onore di Cristo, e abattuti tutti li templi del paganesimo e dell'idoli, e riformata la santa Chiesa in sua libertà e signoria, e ripreso il temporale dello 'mperio della Chiesa sotto certo censo e ordine, se ne andò in Costantinopoli, e per suo nome così la fece nominare, che prima avea nome Bisanzia, e misela in grande stato e signoria: e di là fece sua sedia, lasciando di qua nello 'mperio di Roma suoi patrici, overo censori, cioè vicarii, che difendeano e combatteano per Roma e per lo 'mperio. Dopo il detto Gostantino, che regnò più di XXX anni tra nello 'mperio di Roma e in quello di Gostantinopoli, e' rimasono di lui tre figliuoli, Gostantino, e Gostanzio, e Costante, i quali tralloro ebbono guerra e dissensione, e l'uno di loro era Cristiano, ciò fue Gostantino, e l'altro eretico, ciò fue Gostanzio, e perseguitò i Cristiani d'una resia che si cominciò in Gostantinopoli per uno chiamato Arrio, la quale per lo suo nome si chiamò ariana, e molto errore sparse per tutto il mondo e nella Chiesa di Dio. Questi figliuoli di Gostantino per la loro dissensione guastarono molto lo 'mperio di Roma e quasi abandonaro, e d'allora innanzi sempre parve che andasse al dichino e scemando la sua signoria: e cominciaro ad essere due e tre imperadori a una volta, e chi signoreggiava in Gostantinopoli, chi lo 'mperio di Roma, e tale era Cristiano, e tale eretico ariano, perseguitando i Cristiani e la Chiesa; e durò molto tempo, e tutta Italia ne fu maculata. Degli altri imperadori passati, e di quegli che furono poi, non facciamo ordinata memoria, se non di coloro che pertengono a nostra materia; ma chi per ordine gli vorrà trovare, legga la cronica martiniana, e in quella gl'imperadori e li papa che furono per gli tempi troverrà ordinatamente.
XXIII
Come la fede cristiana fu prima nella città di Firenze.
Nel tempo che 'l detto grande Gostantino si fece Cristiano, e diede signoria e libertà a la Chiesa, e santo Silvestro papa regnò nel papato palese in Roma, si sparse per Toscana e per tutta Italia, e poi per tutto il mondo la vera fede e credenza di Gesù Cristo. E nella nostra città di Firenze si cominciò a coltivare la verace fede, e abbattere il paganesimo al tempo di... che ne fu vescovo di Firenze, fatto per Silvestro papa; e del bello e nobile tempio de' Fiorentini, ond'è fatta menzione adietro, i Fiorentini levaro il loro idolo, il quale appellavano lo Idio Marti, e puosollo in su un'alta torre presso al fiume d'Arno, e nol vollono rompere né spezzare, però che per loro antiche memorie trovavano che il detto idolo di Marti era consegrato sotto ascendente di tale pianeta, che come fosse rotto o commosso in vile luogo, la città avrebbe pericolo e danno, e grande mutazione. E con tutto che i Fiorentini di nuovo fossono divenuti Cristiani, ancora teneano molti costumi del paganesimo, e tennero gran tempo, e temeano forte il loro antico idolo di Marti; sì erano ancora poco perfetti nella santa fede. E ciò fatto, il detto loro tempio consecrato all'onore d'Iddio e del beato santo Giovanni Batista, e chiamarlo Duomo di Santo Giovanni; e ordinaro che si celebrasse la festa il dì della sua nativitade con solenni oblazioni e che si corresse uno palio di sciamito; e sempre per usanza s'è fatto in quello giorno per gli Fiorentini. E feciono fare le fonti del battesimo in mezzo del tempio ove si battezzavano le genti e' fanciulli, e fanno ancora; e 'l giorno di sabato santo, che si benedice ne le dette fonti l'acqua del battesimo e il fuoco, ordinato chessi spandesse il detto fuoco santo per la città a modo che si faceva in Gerusalem, che per ciascuna casa v'andasse uno con una faccellina ad accendere. E di quella solennità venne la dignità ch'hanno la casa de' Pazzi de la grande faccellina, intorno fa di CLXX anni dal MCCC anni addietro, per uno loro antico nomato Pazzo, forte e grande della persona, che portava la maggiore faccellina che niuno altro, e era il primo che prendea il fuoco santo, e poi gli altri da lui. Il detto Duomo si crebbe, poi che fue consecrato a Cristo, ove è oggi il coro e l'altare del beato Giovanni; ma al tempo che 'l detto Duomo fu tempio di Marti, non v'era la detta agiunta, né 'l capannuccio, né la mela di sopra; anzi era aperto di sopra al modo di Santa Maria Ritonda di Roma, acciò che il loro idolo Idio Marti ch'era in mezzo al tempio fosse scoperto al cielo. Ma poi dopo la seconda redificazione di Firenze nel MCL anni di Cristo, si fece fare il capannuccio di sopra levato in colonne, e la mela, e la croce dell'oro ch'è di sopra, per li consoli dell'arte di Calimala, i quali dal Comune di Firenze ebbono in guardia la fabbrica della detta opera di Santo Giovanni. E per più genti che hanno cerco del mondo dicono ch'elli è il più bello tempio, overo duomo, del tanto che si truovi: e a' nostri tempi si compié il lavorio delle storie a moises dipinte dentro. E troviamo per antiche ricordanze che la figura del sole intagliata nello ismalto, che dice: En giro torte sol ciclos, et rotor igne, fu fatta per astronomia; e quando il sole entra nel segno del Cancro, in sul mezzogiorno, in quello luogo luce per lo aperto di sopra ov'è il capannuccio.
XXIV
Della venuta di Gotti e di Vandali in Italia, e come distrussono il paese e assediaro la città di Firenze al tempo di santo Zenobio vescovo di Firenze.
Dapoi chello 'mperio de' Romani si traslatò di Roma in Grecia per Gostantino, e quasi fu partito, e talora abandonato per gli suoi successori, venne molto scemando. Per la qual cosa negli anni di Cristo circa IIIIc, regnando nello 'mperio di Roma e di Gostantinopoli Arcadio e Onorio figliuoli di Teodosio, una gente barbera delle parti tra 'l settentrione e levante, delle province che si chiamano Gozia e Svezia, di là dal fiume del Danubio, scese uno signore ch'ebbe nome Alberigo re de' Gotti, con grande seguito della gente di quegli paesi, e per loro forza passaro in Africa, e distrussolla in grande parte, e tornando in Italia, per forza distrussono grande parte di Roma, e la provincia d'intorno ardendo, e uccidendo chiunque loro si parava innanzi, sì come gente pagana e sanza alcuna legge, volendo disfare e abbattere lo 'mperio de' Romani; e in grande parte il consumaro. E poi, negli anni di Cristo IIIIcXV intorno, Rodagio re de' Gotti, successore del detto Alberigo, ancora passò in Italia con innumerabile esercito di gente; venne per distruggere la città di Roma, e guastò molto della provincia di Lombardia e di Toscana. Per la detta cagione gli Romani veggendosi così aflitti, e forte temendo del detto Rodagio che già era in Toscana, e poi si puose all'asedio della loro città di Firenze, mandato per soccorso in Gostantinopoli a lo 'mperadore. Per la qual cosa Onorio imperadore venne in Italia per soccorrere lo 'mperio di Roma, e coll'oste de' Romani venne in Toscana a la città di Firenze per contastare il detto Rodagio, overo Rodagoso, il quale era all'asedio di Firenze con CCm di Gotti e più; il quale per la volontà di Dio spaventò, sentendo la venuta dello 'mperadore Onorio, si ritrassono ne' monti di Fiesole e d'intorno, e ne le valli; e ivi ridotti in arido luogo e non proveduti di vittuaglia, assediati d'intorno a le montagne da Onorio e dall'oste de' Romani, più per miracolo divino che per forza umana (imperciò che a comparazione de' Gotti l'oste dello imperadore Onorio era quasi niente); ma per la fame e sete sofferta per più giorni per li Gotti, s'arendero i Gotti presi, dopo molto grande quantità prima morti di fame, i quali come bestie furono tutti venduti per servi, e per uno danaio diedono l'uno, con tutto che per la fame e disagio che aveano avuto, la maggiore parte si moriro in brieve tempo a danno de' comperatori che gli aveano a soppellire; e Rodagaso, di nascosto fuggito de la sua oste, da' Romani fu preso e morto. E così mostra che niuna signoria né grandezza nonn-ha fermo stato, e che non venga meno; ché sì come anticamente gli Romani andavano per l'universe parti del mondo conquistando e sottomettendosi le province e' popoli sotto loro giuridizione, così per diversi popoli e nazioni furono aflitti e tribulati lungo tempo, come innanzi farà menzione; e quegli che lo 'mperio consumarono furono a la fine distrutti per le loro peccata.
Essendo la nostra provincia di Toscana stata in questa afflizzione, e la città di Firenze per la venuta e assedio de' Gotti in grande tribolazione, sì era in Firenze per vescovo uno santo padre ch'ebbe nome Zenobio. Questi fu cittadino di Firenze, e fue santissimo uomo, e molti miracoli fece Idio per lui, e risucitò morti, e si crede che per gli suoi meriti la città nostra fosse libera da' Gotti, e dopo la sua vita santa molti miracoli fece. E simile santificò collui santo Crescenzio e santo Eugenio suo diacano e soddiacano, i quali sono soppelliti i loro corpi santi nella chiesa di Santa Reparata, la quale prima fu nomata Santo Salvadore; ma per la vittoria che Onorio imperadore co' Romani e co' Fiorentini ebbono contra Rodagaso re de' Gotti il dì di santa Reparata, fu a sua reverenza rimosso il nome a la grande chiesa di Santo Salvadore in Santa Reparata, e rifatto Santo Salvadore in vescovado, com'è a' nostri dì. Il detto santo Zenobio morì a San Lorenzo fuori de la città, e recando il suo corpo a Santa Reparata, toccò uno olmo che era secco nella piazza dì Santo Giovanni, e incontanente tornò verde e fiorìo; e per memoria di ciò v'è oggi una croce in su una colonna in quello luogo.
LIBRO TERZO
I
Qui comincia il terzo libro: come la città di Firenze fu distrutta per Totile Flagellum Dei re de' Gotti e de' Vandali.
Negli anni di Cristo CCCCXL, al tempo di santo Leo papa, e di Teodosio e Valentiniano imperadori, nelle parti d'aquilone fu uno re de' Vandali e di Gotti che si chiamava Bela, sopranomato Totile. Questi fu barbaro, e sanza legge, e crudele di costumi e di tutte cose, nato della provincia di Gozia e di Svezia, e per la sua crudeltà uccise il fratello, e molte diverse nazioni di genti per sua forza e potenzia si sottopuose; e poi si dispuose di distruggere e consumare lo 'mperio de' Romani, e disfare Roma; e così per sua signoria raunò innumerabile gente del suo paese, di Svezia, e di Gozia, e poi di Pannonia, cioè Ungaria, e di Dannesmarche, per entrare in Italia. E volendo passare in Italia, da' Romani, e Borgognoni, e Franceschi fu contrastato, e grande battaglia contra lui fatta nelle contrade di Lunina, cioè Frioli e Aquilea, co la maggiore mortalità di gente che mai fosse in neuna battaglia dall'una parte e dall'altra; e fu morto il re di Borgogna, e Totile come sconfitto si tornò in suo paese co la gente che gli era rimasa. Ma poi volendo seguire suo proponimento di distruggere lo 'mperio di Roma, si raunò maggiore esercito di gente che prima, e venne in Italia. E prima si puose ad assedio a la città d'Aquilea e stettevi per tre anni, e poi la prese e arse e distrusse con tutte le genti; e intrato in Italia, per simile modo distrusse Vincenza, e Brescia, e Bergamo, e Milano, e Ticino, e quasi tutte le terre di Lombardia, salvo Modona per gli meriti di santo Giminiano che n'era vescovo, che per quella città trapassando con sua gente, per miracolo di Dio nolla vide se non quando ne fu fuori, e per lo miracolo la lasciò che nolla distrusse; e distrusse Bologna, e fece martorizzare santo Procolo vescovo di Bologna, e così quasi tutte le terre di Romagna distrusse. E poi trapassando in Toscana, trovò la città di Firenze poderosa e forte. Udendo la nominanza di quella, e come era edificata da nobilissimi Romani, e era camera dello imperio e di Roma, e come in quella contrada era stato morto Rodagasio re de' Gotti suo anticessore con così grande moltitudine di Gotti, come adietro è fatta menzione, comandò che fosse assediata, e più tempo vi stette invano. E veggendo che per assedio nolla potea avere, imperciò ch'era fortissima di torri, e di mura, e di molta buona gente, per inganno, e lusinghe, e tradimento s'ingegnò d'averla; ché i Fiorentini aveano continuo guerra colla città di Pistoia. Totile si rimase di guastare intorno a la città, e mandò a' Fiorentini che volea essere loro amico, e in loro servigio distruggere la città di Pistoia, promettendo e mostrando alloro grande amore, e di dare loro franchigie con molti larghi patti. I Fiorentini male aveduti (e però furono poi sempre in proverbio chiamati ciechi) credettono a le sue false lusinghe e vane promessioni, apersogli le porte, e misollo nella città lui e sua gente; e albergò nel Campidoglio. Il crudele tiranno essendo nella città con tutta sua forza, e con falsi sembianti mostrava amore a' cittadini, uno giorno fece richiedere a suo consiglio li maggiori e più possenti caporali de la terra in grande quantità. E come giugnevano in Campidoglio, passando ad uno ad uno per uno valico di camera, gli facea uccidere e amazzare, non sentendo l'uno dell'altro, e poi gli facea gittare nelli acquidocci del Campidoglio, cioè la gora d'Arno ch'andava sotterra per lo Campidoglio, acciò che niuno se n'acorgesse. E così ne fece morire in grande quantità, che niente se ne sentiva nella città di Firenze, se non che all'uscita della città ove si scoprivano i detti acquidocci, overo gora, e rientravano inn-Arno, si vedea tutta l'acqua rossa e sanguinosa. Allora la gente s'acorse dello inganno e tradimento; ma fu indarno e tardi, però che Totile aveva fatto armare tutta sua gente, e come s'avide chella sua crudelità era scoperta, comandò che corressono la terra uccidendo piccoli e grandi, uomini e femmine; e così fue fatto sanza riparo, però che li cittadini erano sanza arme e isproveduti; e truovasi che in quello tempo avea nella città di Firenze XXIIm d'uomini d'arme, sanza gli vecchi e' fanciugli. La gente della città veggendosi a tale dolore e distruzione venuti, chi potéo scampare il fece, fuggendosi in contado, e nascondendosi in fortezze, e in boschi, e caverne; ma molti e più de' cittadini ne furono morti, e tagliati, e presi, e la città fue tutta spogliata d'ogni sustanzia e ricchezza per gli detti Gotti, Vandali, e Ungari. E poi che Totile l'ebbe così consumata di genti e dell'avere, comandò che fosse distrutta e arsa e guasta, e non vi rimanesse pietra sopra pietra; e così fu fatto, se non che da l'occidente rimase una delle torri che Igneo Pompeo avea edificata, e dal settentrione e dal mezzogiorno una delle porte, e infra la città presso a la porta casa, sive domo, interpetriamo il Duomo di Santo Giovanni, chiamato prima casa di Marti. E di vero mai non fue disfatto, né disfarà in etterno, se non al die iudicio; e così si truova scritto nello ismalto del detto Duomo. E ancora vi rimasono l'alte torri, overo templi, segnati per alfabeto, che così gli troviamo in antiche croniche, le quali non sappiamo interpetrare: ciò sono S e casa P e casa F. Porte IIII avea la città, e VI postierle; e torri di maravigliosa fortezza erano sopra le porte. E l'idolo dello Idio Marti che' Fiorentini levarono del tempio e puosono sopra una torre, allora cadde inn-Arno, e tanto vi stette quanto la città stette disfatta. E così fu distrutta la nobile città di Firenze dal pessimo Totile a dì XXVIII di giugno negli anni di Cristo CCCCL, e anni VcXX da la sua edificazione; e nella detta città fu morto il beato Maurizio vescovo di Firenze a gran tormento per la gente di Totile, e il suo corpo giace in Santa Reparata.
II
Come Totile fece reedificare la città di Fiesole.
Distrutta la città di Firenze, Totile se n'andò in sul monte ov'era stata l'antica città di Fiesole, e con sue bandiere, e tende, e trabacche, e quivi s'acampò, e comandò che la detta città si redificasse, e fece bandire che chiunque volesse tornare ad abitare in quella fosse sicuro e franco, giurando allui d'essere contra li Romani, e acciò chella città di Firenze non si rifacesse mai. Per la quale cosa molti che anticamente erano stati discesi di Fiesole vi tornarono ad abitare, e de' Fiorentini medesimi isfuggiti, che non sapeano ove si dovessono abitare né andare. E così in poco tempo fu rifatta e redificata la città di Fiesole, e fatta forte di mura e di gente, e poi, come prima era, e fu sempre ribella di Roma. E perché noi facciamo in questa nostra storia digressione, lasciando come Firenze rimase diserta e disfatta, e seguendo le storie e' fatti de' Vandali, e de' Gotti, e de' Longobardi, i quali signoreggiarono lungo tempo Roma, e Toscana, e tutta Italia, sì ne pare di nicessità; ché per la loro forza e signoria li Fiesolani non lasciarono rifare Firenze infino che d'Italia non furono cacciati, come innanzi farà menzione, tornando a nostra materia.
III
Come Totile si partì di Fiesole per andare verso Roma, e distrusse molte cittadi, e morì di mala morte.
Rifatta la città di Fiesole, Totile si partì di quella, e andonne per Toscana per guastare lo 'mperio, e per andare a Roma, e prese e distrusse la città d'Arezzo, e quella fece arare e seminare di sale; e Perugia assediò più tempo, e per fame l'ebbe e la distrusse, e 'l beato Arcolano vescovo di quella fece strangolare. Simile fece della città di Pisa, e di Lucca, e di Volterra, e di Luni, e Pontriemoli, Parma, Reggio, Bologna, Imola, Faenza, Forlì, Forlimpopolo, e Cesena: tutte queste cittadi, e l'altre di Lombardia nominate, e molte altre città di Campagna e di terra di Roma dal nequissimo Totile furono distrutte, e molti santi monaci e religiosi dallui e da sua gente furono distrutti e martirizzati, e fece grande persecuzione a' Cristiani, rubando e disertando chiese e munisteri, e quelle disfaccendo; e poi andando per distruggere Roma, in Maremma morìo di repentina morte. Ma alcuno altro dottore scrisse che 'l detto Totile per gli prieghi a Dio di santo Leo papa che allora regnava si partì d'Italia, e cessò la sua pestilenza; imperciò che, per miracolo di Dio, al detto Totile apparve più volte in visione dormendo una ombra con uno viso terribile e spaventoso, minacciandolo che s'egli non facesse il volere del detto santo padre papa Leone, il distruggerebbe. Il quale Totile per paura di ciò reverenza fece al detto papa, e partissi d'Italia sanza apressarsi a la città di Roma, e tornossi in Pannonia; e là venuto, di repentina morte morìo; e alcuno disse che morì in Cingole nella Marca. Ma dove ch'egli morisse, la notte medesima ch'egli morì, apparve per visione di sogno a Marziano imperadore, il quale era in Grecia, che l'arco di Totile era rotto; per la qual cosa intese che Totile era morto, e così si trovò che in quella medesima notte morìo. Questo Totile fu il più crudele e potente tiranno che si truovi; e per la sua iniquissima crudeltà fu chiamato per sopranome Flagellum Dei. E per altri si scrisse che 'l detto sopranome puose santo Benedetto, ch'udendo Totile la sua santità, l'andò a vedere a Montecascino travisato, per vedere se 'l conoscesse. Il beato santo non mai vedutolo, per ispirazione divina il conobbe, e disse: Tu se' fragello di Dio per pulire le peccata; comandògli da sua parte che non ispanda più sangue umano, onde poco apresso morìo. E veramente fu flagello di Dio per consumare la superbia de' Romani e de' Taliani per li loro peccati, che in quello tempo erano molto corrotti nello errore della resia ariana, e contra a la vera fede di Cristo, ed idolatri, e di molti altri peccati spiacenti a Dio erano contaminati; e così la divina potenzia pulì i non giusti per lo crudele tiranno non giusto giustamente.
IV
Come i Gotti rimasono signori in Italia dopo la morte di Totile.
Vivendo ancora Totile in Italia, Teodorigo, un altro re de' Gotti, si partì di Gozia e distrusse Danesmarce, e poi Lotterige, cioè Brabante e Analdo, e quasi tutta Francia; e passò in Ispagna e tutta la distrusse. E stando in Ispagna udì la morte di Totile, incontanente ne venne in Italia, e co' Vandali, e Gotti, e Ungari, e altre diverse nazioni ch'erano stati con Totile raunò sotto sua signoria, e lasciò in Ispagna Elarico, overo Elario, suo fratello re de' Gotti, il quale comprese e conquistò non solamente Spagna, ma il reame di Navarra, e Proenza, e Guascogna infino a' confini di Francia. Ma poi il detto Elarico fu isconfitto e morto con tutta sua gente da Crovis re di Francia, il quale fu il primo re di Francia che fosse Cristiano; e la detta battaglia fu presso a la città di Pettieri a X leghe, l'anno di Cristo VcX, e distrusse i Gotti per modo che mai non ebbono signoria di là da' monti. Il sopradetto Teodorigo che passò in Italia prese Roma, e tutta Toscana, e Italia, e allegossi con Leone imperadore di Gostantinopoli eretico ariano; il quale Leone passò in Italia, e venne a Roma, e trasse di Roma tutte le 'magini de' Cristiani e arsele in Gostantinopoli, a dispetto del papa e della Chiesa. E quello Leone imperadore e Teodorico re de' Gotti guastaro e consumaro tutta Italia, e le chiese de' fedeli fecero tutte abattere, e lo stato de' Romani e dello 'mperio molto infieboliro. E poi morto Leone imperadore, fu Zeno imperadore, e fu contrario de' costumi e di tutte cose di Leone, e la sua schiatta anullò e consumò, e ebbe guerra co' Gotti ch'erano in Italia. A la fine s'acconciò con pace colloro, ma volle per istadico Teodorico il giovane figliuolo di Teodorico re de' Gotti, ch'era garzone e piccolo, e tennelo seco in Gostantinopoli. E Teodorigo re tenne lo 'mperio di Roma per lo detto Zenone imperadore, faccendonegli omaggio, e dandonegli tributo. In questi tempi, circa gli anni di Cristo CCCCLXX, regnando in Gostantinopoli Leone imperadore di Roma, nella grande Brettagna, che ora Inghilterra è chiamata, nacque Merlino profeta (dissesi d'una vergine con concetto overo operazione di demonio), il quale fece in quello paese molte maraviglie per negromanzia, e ordinò la tavola ritonda di cavalieri erranti, al tempo che in Brettagna regnava Uter Pandragone, il quale fu de' discendenti di Bruto nipote d'Enea primo abitatore di quella, come adietro facemmo menzione; e poi rinnovata per lo buono re Artù suo figliuolo, il quale fu signore di grande potenzia e valore, e sopra tutti i signori cortese e grazioso, e regnò grande tempo in felice stato, come i ramanzi di Brettoni fanno menzione, e la cronica martiniana in alcuna parte in questo tempo.
V
Come i Gotti furono cacciati la prima volta d'Italia, e come ricoveraro la signoria per lo giovane Teodorico loro re.
Nel detto tempo, intorno gli anni di Cristo CCCCLXV, uno Agustolo (questi fu Teutonico) e prese e occupò lo 'mperio di Roma e d'Italia XV mesi. Ma Edevancer, Greco di Rutina, con Ruteni sua gente venne in Italia, e per forza prese Piagenza e Ticino, e discacciò della signoria il detto Agustolo, e fecesi monaco per paura. Evancer colli suoi Rutini venne a Roma, e ebbe tutta la signoria d'Italia per XIIII anni, e cacciò i Gotti. Sentendo ciò Zeno imperadore che dimorava in Gostantinopoli, mandò contra il detto Edevancer Teodosio giovane, che rimase del padre re de' Gotti, ch'avea XVII anni, e per terra venne per Bolgaria e Ungaria con assai fatica; e Evancer gli si fece allo 'ncontro in Aquilea con tutto lo sforzo d'Italia; quivi si combattero insieme, e Evancer fu sconfitto, e fuggisi con pochi a Roma; ma il popolo di Roma nollo lasciarono entrare in Roma, ne la città. Teodosio co' Gotti, e Greci, e Ungari seguendolo a Roma, Evancer si fuggìo da Roma a Ravenna; ancora il perseguì Teodosio, e assediollo in Ravenna per tre anni, e presa la città, l'uccise, e distrusse sua gente, negli anni di Cristo CCCCLXXX; e Teodorico rimase re e signore in Italia, avendo lega e amistà con Zeno imperadore di Gostantinopoli, e da' Romani fu ricevuto a grande onore, e paceficamente tenne Roma e Italia grande tempo, e tolse per moglie la figliuola del re di Francia, che Lottieri figliuolo Crovis ebbe nome; ma poi si maculò della resia ariana, e divenne come tiranno, e nimico della Chiesa e di veri Cristiani. Questi fu quello Teodorico il quale mandò in pregione e fece poi morire a Pavia il buono santo Boezio Severino consolo di Roma, perch'egli per bene e stato della republica di Roma e della fede cristiana, il contrastava de' suoi difetti e tirannie, apponendogli false cagioni. Allora il santo Boezio compuose in pregione a Pavia il libro della filosofica consolazione. Poi questo Teodorico perseguitò molto i Cristiani, e molti ne fece morire a petizione degli ariani, e 'l papa Giovanni primo mandò in pregione a Ravenna, e fecelvi per martirio di fame morire con altri che collui erano andati in Gostantinopoli a Giustino imperadore cristianissimo, per procurare lo stato della Chiesa e della fede cattolica, e perché Giustino non facesse disfare le chiese degli eretici ariani; però che Teodorico avea minacciati di distruggere tutti gli Cristiani d'Italia, se Iustino offendesse alli ariani. E poi poco appresso il detto Teodorico morì di mala morte, e in visione vide uno santo eremita che il detto papa Giovanni gittava in inferno l'anima del detto Teodorico. Questi fu negli anni VcV. In questi tempi per gli errori della resia ariana e idolatra tutta Italia fu maculata, e Gostantinopoli, e tutta Grecia; e molte mutazioni di papa furono in Roma, e nella Chiesa grandi differenzie e errori, sicché Toscana e tutta Italia languiva sì degli errori de la fede, e sì delle diverse tiranniche signorie de' Gotti e degli altri che signoreggiavano; e crebbe tanto la forza de' Gotti, che occuparo non solamente Lombardia e Toscana e terra di Roma, ma Napoli e 'l regno di Puglia e Cicilia e ancora Africa, crescendo il loro errore, e vivendo sanza legge, e consumando le province e' popoli, tanto che gli Romani si ribellaro e cacciaro gli Gotti di Roma, i quali raunandosi col loro signore vennero all'asedio di Roma negli anni di Cristo VcXXXVIII.
VI
Come i Gotti al tutto furono cacciati d'Italia per Belusiano patrice de' Romani.
I Romani e Italiani veggendosi così consumare e distruggere a' Gotti, mandaro in Gostantinopoli a Iustiniano imperadore che gli dovesse liberare da' Gotti e recare lo 'mperio di Roma in suo stato e franchigia; il quale Iustiniano, udite le richieste de' Romani, e per adirizzare lo 'mperio di Roma, fece patrice de Romani, cioè padre e suo luogotenente e vicario, Belusiano suo nipote, e mandollo in Italia; e Iustiniano rimase in Gostantinopoli, e corresse con grande provedenza tutte le leggi, le quali erano molte confuse e in più volumi, e recolle sotto brevità e con ordine: il quale Belusiano sopradetto fu uomo di grande senno e prodezza, e bene aventuroso in guerra. Prima di Gostantinopoli per mare valicò in Africa, e con vittoria ne cacciò i Gotti e' Vandali che 'l paese occupavano, e poi simile fece in Cicilia; e appresso venne nel Regno e assediò la città di Napoli che si teneano co' Gotti, e per forza la prese, e non solamente uccise i Gotti che v'erano dentro, ma quasi tutti gli Napoletani piccoli e grandi, maschi e femmine, perché ritenevano i Gotti, e con loro aveano compagnia. E poi ne venne verso Roma, la quale era occupata da' Gotti, i quali sentendo la venuta di Belusiano patrice, si partiro da Roma e ridussonsi con tutta loro forza a Ravenna. Belusiano, radirizzato lo stato di Roma e dello imperio, perseguitò i Gotti a Ravenna, e ivi ebbe con loro grande battaglia, e vinseli, e sconfissegli, e cacciogli tutti quasi d'Italia; e poi n'andò inn-Alamagna e in Sassogna, e per forza tutti quegli paesi e province recò a l'obedienza e suggezzione dello 'mperio di Roma, e molto ricoverò lo 'mperio e ridusse in buono stato, e bene aventurosamente e con vittoria in tutte parti vinse e soggiogò i ribelli dello 'mperio, e tenne in buono stato mentre vivette, infino agli anni di Cristo VcLXV, che Iustiniano imperadore e Belusiano moriro bene aventurosamente. E dopo Belusiano fu fatto patrice di Roma Narses per Iustino secondo imperadore successore di Iustiniano; e questo Narses ancora ebbe battaglia in Italia col re de' Gotti, e sconfissegli, e vinsegli, e al tutto gli cacciò d'Italia. E così durò la signoria de' Gotti in Italia anni CXXV con grande stimolo e struggimento de' Romani, e di tutti gl'Italiani, e dello 'mperio di Roma; e così s'adempié la parola del santo Vangelo ove dice: Io ucciderò il nemico mio col nemico mio. E in questi tempi fu grande sterilità e fame e pestilenzia in tutta Italia. E chi vorrà più stesamente sapere le battaglie e le geste de' Gotti cerchi ilibro che comincia: Gottorom antichissimi etc..
VII
Della venuta de' Longobardi in Italia.
Essendo Narses patrice di Roma, e signoreggiava lo 'mperio di ponente per Iustino imperadore, sì venne in disgrazia della imperadrice Sofia, moglie di Iustino, e minacciollo di morte, e di farlo privare della sua dignità; per la qual cosa il detto Narses si rubellò dallo imperadore Giustino, e mandò in Pannonia per gli Longobardi, ciò sono Ungari, e col loro re chiamato Rotario fece lega e compagnia contra lo 'mperadore di Gostantinopoli e de' Greci, per torgli lo 'mperio di Roma; e così fu fatto, il quale re di Longobardi venne in Italia negli anni di Cristo VcLXX. E l'abito de' Longobardi che prima vennono in Italia, si aveano raso il capo, e lunga la barba, e lunghi vestimenti e larghi, e di lino gli più, a modo di Frosoni, e le calze sanza peduli infino a' talloni, legate con coregge. Questi Longobardi prima furono di Sassogna; ma soperchio di genti parte di loro si partiro di loro paese, e presono Pannonia, e poi si stesono in Ungaria. E Longobardi ebbono nome per uno indivino chiamato Godan, il quale, venute le mogli de' Longobardi e la moglie del detto indivino per avere consiglio di loro fortuna, per suo consiglio disse che la mattina al levare del sole venissero, e colloro capelli avolti al mento. Godan così veggendole, disse: Chi sono questi Longobardi?; e però fue il loro primo nome. E poi al tempo e cagione di su detta passaro in Italia, e prima discacciarono di Melano i Melanesi, e simile gli abitanti di Ticino, e' Chermonesi, e' Bresciani, e' Bergamaschi; e in quelle città prima cominciaro ad abitare, e popolaro di loro gente, e poi tutte l'altre città d'intorno, e di quelle di Toscana infino nel regno di Puglia signoreggiaro. E dapoi fu chiamato quello paese Lombardia, e Lombardi per lo nome de' Longobardi; che prima avea nome la provincia Ombria, e di là dal Po Ensobra. E dalla loro venuta innanzi fu asciolto il regno d'Italia dal giogo di quegli di Gostantinopoli; e da quello tempo innanzi gli Romani si cominciaro a reggere per patrici, e durò grande tempo. E 'l detto re de' Longobardi fece suo capo del reame la città di Pavia, e fece molto grandi e notabili cose mentre ch'egli regnò. E stando in Pavia si andò allui il santo padre Allesandro, vescovo allora dell'antica città di Fiesole e cittadino di quella, per cagione che 'l signore di Fiesole che n'era sanatore guastava la Chiesa, e occupava le ragioni del vescovado e delle sue chiese soffreganti; il quale Rotario re, con tutto che fosse barbaro e pagano, al detto santo Allesandro fece grande amore e reverenzia, e esaudì la sua petizione, e fecegli brivilegi, e liberò la Chiesa, sì come seppe domandare. Ma il sanatore della città di Fiesole, uomo crudele e malvagio Cristiano, mandò dietro al detto santo Allesandro suoi ministri e famigliari, acciò che gli togliessono la vita; il quale partendosi da Pavia per tornare a Fiesole, da' detti masnadieri e ministri del sanatore di Fiesole fu martorizzato, e per forza gittato e annegato nel fiume del Po. Il cui corpo da' suoi discepoli e compagni fu ritrovato e recato nella città di Fiesole con grande reverenza; e poi per lo beato santo Romolo succedente vescovo di Fiesole, traslatandolo ove è oggi la sua chiesa suso a la rocca, grandissimi e visibili miracoli fece Iddio per lui, e massimamente contro al detto senatore e suoi ministri persecutori de' Cristiani, i quali non solamente perseguitavano i vivi, ma eziandio i corpi morti de' santi non lasciavano soppellire, sì come innanzi la sua storia pienamente fa menzione; il cui santo corpo, e quello del beato santo Romolo, e di più altri martiri e santi sono ancora in Fiesole, e sono molto da reverire; e chiunque in pelligrinaggio vae, per gli meriti de' detti santi corpi hae grandissimi perdoni e indulgenze. Lasceremo alquanto delle cominciate storie de' Longobardi, ch'assai tosto vi torneremo, e diremo d'una nuova e perversa setta che in questi tempi si cominciò oltremare, e ciò fu la legge e setta de' Saracini fatta per Maumetto falso profeta, la quale contaminò quasi tutto il mondo e molto affrisse la nostra fede cristiana.
VIII
Del cominciamento della legge e setta de' Saracini fatta per Maometto.
E' ne pare convenevole, dapoi che in brieve corso di scrittura avemo fatta menzione del venimento in Italia della gente de' Gotti e della loro fine, di mettere in questo nostro trattato il cominciamento della setta de' Saracini, la quale fu quasi in questi tempi che' Gotti vennono meno in Italia; e bene ch'ella sia fuori della nostra principale materia de' fatti del nostro paese d'Italia e molto di lungi, sì fu sì grande mutazione del mondo, e donde seguirono poi grandissime persecuzioni a santa Chiesa e a tutti i Cristiani, e eziandio ne sentì per certi tempi la nostra Italia, come si troverrà per innanzi leggendo. E brieve diremo le storie, e la vita, e la fine di Maometto cominciatore della detta malvagia setta de' Saracini, e in parte del cominciamento degli articoli della sua Alcaram, cioè legge, acciò che ciascuno Cristiano che questo leggerà, conosca e non sia ignorante della falsa legge e bestiale de' Saracini, e stia a commendazione della nostra santa cattolica e vangelica fede, ritornando poi a nostra materia.
Ne' detti tempi, quasi intorno di VIc anni di Cristo, nacque nel paese d'Arabia, nato nella città di Lamech, uno falso profeta ch'ebbe nome Maomet, figliuolo Aldimenech, il quale fu negromante. Questi fu disceso dalla schiatta d'Ismalieni, cioè de' discendenti d'Ismael figliuolo d'Abram e d'Agar sua ancella; e con tutto che' Saracini nati de' discendenti d'Ismael si dinominaro da Sara la moglie d'Abram, più degnamente e di ragione dovrebbono essere chiamati Agarini per Agar onde il loro cominciamento nacque. Questo Maomet fu di piccola nazione, e di povero padre o madre; e rimaso piccolo fanciullo sanza padre e madre, fu ricolto e nudrito in Salingia in Arabia con uno sacerdote d'idoli, e collui imprese alquanto di negromanzia; e quando il detto Maomet fu in età di sua giovanezza, venne a stare al servigio d'uno ricco mercatante arabo, per menare suoi asini a vittura. E andando giovane garzone con mercatanti in sua vottura, arivò per cammino in una badia di Cristiani, la qual era in sul cammino e confini d'Asiria e Arabia di là dal monte Sinai, ove i mercatanti facieno loro porto e ridotto. In quella avea uno santo eremita cristiano, e avea nome Bahairà, al quale per revelazione divina gli fu mostrato che tra gli mercatanti là venuti avea uno giovane di cui parlava la profezia sopra Ismael nel XVI capitolo del Genesis, che dice: Egli nascerà uno fiero uomo, chella sua mano sarà contra tutti e la mano di tutti sarà contro allui, e che sarebbe averso della fede di Cristo e persecutore grandissimo. E quand'egli venne co' mercatanti alla detta badia, dicono i Saracini che 'l primo miracolo che Iddio mostrò per lui fu che crebbe una porta della chiesa, ond'egli entrò maravigliosamente; e se vero fu, sì fu segno manifesto che dovea isquarciare e aprire la porta della santa Chiesa di Roma. E conosciuto il giovane per lo santo padre per gli segni allui rivelati, il ritenne seco con pura fe' per ritrallo dell'idolatra, e insegnavagli la vera fe' di Cristo, la quale Maomet molto bene imparava. Ma per lo distino, overo per la forza del nimico dell'umana generazione, Maomet non poté continovare, ma si tornò al suo primo servigio e del suo maestro; col quale apresso crescendo Maomet in bontà, gli diede in guardia il suo maestro i suoi cammelli, e guidare sue mercatantie, le quali bene avrosamente avanzò. E morto il suo signore, e per lo suo buono servigio, a la donna piacque, e ebbe affare di lui; e poi morto il marito, il si fece secondo loro costuma suo marito, e fecelo signore d'ogni sua sustanzia e di molto grande avere. Maomet divenuto di povertà in ricchezza, si montò in grande orgoglio e superbia e in alti intendimenti, e pensossi di potere essere signore di tutti gli Arabi, però ch'erano grossi di senno e di costumi, e nonn-aveano nullo signore, né re, né legge: e egli era savio, malizioso, e ricco. E per fornire suo proponimento, prima si fece profeta, e predicava a quello grosso popolo, i quali vivieno sanza legge. E per avere séguito e podere s'acostò con uomini giovani, poveri e bisognosi, e ch'avieno debito, e con rubatori e disperati, seguendo colloro ogni peccato, e vivendo colloro a comune di ruberie e d'ogni male aquisto, spezialmente sopra i Giudei, cui molto disamava; e per questo divenne e montò in istato e signoria, e fu molto dottato e tenuto nel paese, e quasi come uno loro re fu temuto per lo podere e senno ch'avea tra quella gente barbera e grossa, e per sua superbia più battaglie ebbe co' signori vicini, e più volte vinse, e fu sconfitto, e in alcuna battaglia perdé de' denti dinanzi. E perché si facea profeta, e nelle dette battaglie in alcune fu sconfitto, onde per falso profeta fu rimprocciato, di che si scusava dicendo che Dio non volea che combattesse, e però il facea perdere, ma come suo messaggio voleva predicasse al popolo e amaestrasse. Il quale predicando, dicea ch'era sopra tutti i profeti, e che dieci angioli per comandamento d'Iddio il guardavano, ed era messo mandato da Dio per dichiarare la legge a' Giudei e a' Cristiani data da Dio a Moises; e quale contradicesse la sua legge fosse morto di spada, e i figliuoli o moglie di quello cotale fossono suoi servi, e tutta loro sustanza in sua signoria: questo fu il primo suo comandamento. Maomet fu di sua natura molto lussurioso, e in ogni villano atto di lussuria grazioso era colle femmine. Dicea che per grazia di Dio e' poteva più generare che XL altri uomini, e però tenea XV mogli e più altre concubine, overo bagasce; e per gelosia le tenea nascose e velate il viso, perché non fossono vedute e conosciute: e per suo essempro si reggono ancora i Saracini di loro mogli. D'altre femmine usava quanto potea o gli piacea, e più volentieri le maritate che l'altre; e di ciò essendo ripreso, e cominciando a dispregiare la sua dottrina e predica, sì fu cacciato co' suoi seguaci della città di Lamecche; per la qual cosa se n'andò ad abitare in un'altra città alquanto diserta ove abitavano Giudei e pagani e idolatri, e dura e salvatica gente, per meglio potere usare la sua falsa dottrina e predica, e commuovergli tutti alla sua legge. E fece fare in quella terra un tempio ov'egli predicava; e per iscusarsi della sua disordinata vita d'avolterio, si fece una legge seguendo la giudaica del vecchio Testamento, che qual femmina fosse trovata in avolterio fosse morta, salvo che collui, però ch'avea per comandamento da l'angiolo Gabriello ch'usasse le maritate per potere generare profeti. Ed essendo Maomet vago d'una moglie d'uno suo servo per sue bellezze, e toltala e giaciuto collei, il marito la cacciò, e Maomet la si riprese e tenne coll'altre sue femmine; e per conservare il suo avoltero, disse ch'ebbe lettera dadDio per l'angelo, che facesse legge che quale uomo caccerà la moglie, o apponendole avoltero e nollo provasse, ch'un altro la si possa prendere; e se 'l primo marito mai la rivolesse, nolla possa riavere, se prima in sua presenza un altro uomo non giacesse collei carnalmente; e allora era purgato il peccato, e ancora il tengono i Saracini. Ancora fece legge ch'a ciascuno fosse lecito d'avere e usare tante mogli e concubine quante ne potesse fornire, per generare figliuoli e crescere il suo popolo; e fece legge che ciascuno potesse usare la sua propia cosa sanza peccato assua volontà e disiderio, e questo trasse del bestiale paganesimo; e fece legge che quale ancella, cioè serva, ingrossasse di Saracino fosse franca; e così retasse il suo figliuolo come quello della moglie; e se fosse Cristiana, o Giudea, o pagana, si potesse partire libera a sua volontà, lasciando al padre di cui avesse aquistato il suo figliuolo. Queste furono le prime leggi che fece Maomet dassé medesimo. E avea Maomet la malatia di morbo caduco, che spesso cadea in terra e dibatteasi, e schiumava colla bocca sanza sentimento; e quando il male gli era passato, per coprire il suo difetto, e per fare meglio credere a quella grossa gente il suo errore e falsa dottrina, dicea che ciò gli avenia quando Iddio volea parlare collui e amaestrallo delle leggi che desse al popolo, però che nonn-era possibile di vederlo corporalmente; sì irapia l'agnolo Gabriello e portavalo in ispirito, e nerapire lo spirito avea il corpo suo quella passione. Istando Maomet nel cominciamento di questa sua falsa dottrina, avenne per sudozione del diavolo, volendo corompere la santa fede cattolica, che uno monaco cristiano ch'avea nome Grosius, overo volgare Sergio, il quale era grande cherico in corte di Roma e scienziato, ma per sue male opere e falso errore fu scomunicato e condannato per eretico, il quale per paura del papa si partì di corte, e udendo già la fama di Maomet, passò oltremare, e di là si rinegò la fede di Cristo, e comale talento, per vendicarsi del papa e de' veri Cristiani, si n'andò in Arabia, e s'acozzò con Maomet, e trovollo al cominciamento ch'egli predicava la sua falsa dottrina, ma ancora non gli era data troppa fede; sì gli mostrò il detto Sergio come la sua legge volea esser meglio ordinata e fondata, acciò che 'l suo popolo gli credesse. E acostandosi con uno Giudeo, simile rinegato di sua legge, famigliare di Maomet, molto savio e segace, i quali rinegati profertisi per consiglieri di Maomet, il quale gli ricevette allegramente, e fecegli molto grandi maestri appo lui, e eglino per loro astuzia feciono grande lui appo il popolo, faccendolo signore e profeta sopra tutti quegli che mai furono, e messo di Dio. E ordinarono insieme la falsa dottrina e mala legge de l'Arcaram, traendo in parte quello ch'alloro piacque del vecchio Testamento e de' X comandamenti di Moises, e così del nuovo e vangelico di Cristo, della fede de' Cristiani, e parte della legge pagana idolatra; e raccomunandole insieme colle leggi fatte in prima e poi per Maomet, ne feciono una quarta legge, la quale fu ed è errore e confusione della fede cristiana, e eziandio della giudaica e pagana, mescolando il veleno col mele, cioè con certe parti del buono delle dette leggi che vi missono, mescolato molto del falso errore. La quale falsa legge per lo vizio lascivo e largo della carnalità, e per forza d'arme, corruppe non solamente i grossi Arabi di quello paese, ma il paese d'Asiria, Persia, e Media, Mesoppontania, Soria, e Turchia, e molte altre province d'oriente, e poi l'Egitto, e l'Africa tutta insino in Ispagna, e parte della Proenza; e alcuna volta si distesono in Italia e nel nostro paese di Roma e di Toscana, siccome per questa e altra cronica si potrà trovare. Lasceremo a dire de' falsi articoli della sua legge, ché a questo trattato non ne pare di nicessità, e sono disonesti e abominevoli a farne in questo memoria; ma chillo vorrà sapere legga l'Arcam di Maometo, ove tutte le sue costituzioni e dicreti vi sono per ordine. E quando Maometo fu nell'aggio di XL anni, fu per invidia da' suoi medesimi avelenato; e veggendosi venire a morte, comandò che la sua legge fosse oservata, e chilla contradicesse fosse morto colla spada; e lasciò che, lui morto, nol dovessono soppellire infino a tre dì, però che di certo avea da Dio che in capo de' tre dì, in anima e in corpo, ne sarebbe portato in cielo dagli angeli. I suoi parenti il tennono XII dì, tanto che forte putire facie il suo corpo, e non fu portato in cielo; ma lui poi imbalsimato, il portarono alla sua città da la Mecca onde fu nato, e in quella nel tempio in una arca messo; e per magistero di ferro con forza di calamita, la detta arca col suo corpo sta sospesa in aria sanza nullo altro tenimento. Al cui corpo di Saracini di diversi paesi vi vengono in pellegrinaggio con grandi oblazioni, e dicono che per la sua santità, per miracolo divino sta così sospeso in aria. Dopo la morte di Maomet molti savi uomini conobbono il falso errore e dottrina di Maomet, ed essere erronica, e da quella si partiro, e molto popolo fu scommosso e ritratto da quella legge. Ma i parenti di Maomet, i quali per la sua signoria erano grandi e potenti, per non perdere loro stato sì ordinaro uno successore di lui al modo del nostro papa, il quale tenesse e guardasse la legge di Maomet, e chiamarlo per sopranome calif. Bene ebbe tralloro al cominciamento, per la 'nvidia della signoria, grandissima scisma, e per gara feciono due calif, e l'uno calif dispuose l'altro, e feciono adizioni e correzzioni alla legge prima dell'Alcaram di Maomet; e per questa cagione nacque tralloro errore, onde si partirono. I Saracini del levante ritennono la propia legge di Maomet, e feciono loro calif dimorante alla nobile e grande città di Baldacca, e quegli d'Egitto e d'Africa ne feciono un altro illoro paese; e tralloro fu errore con diverse maniere di legge erroniche l'una dall'altra. Ma nel genero la legge dell'uno calif e dell'altro si concordavano insieme nella larghezza de' diletti carnali e d'altri vizii lascivi; per la qual cosa, come detto è dinanzi, la maggiore parte del mondo n'è contaminata. E nota che per certe profezie si truova, e per grandi astrolaghi s'aferma, che la detta setta de' Saracini dee durare circa ad anni VIIc e allora dé finire e venire meno. Non dichiarirò se cominciasse alla natività di Maomet o alla sua morte, o quando egli diè la legge agli Arabi. Lasceremo dello incominciamento della legge de' Saracini, e de' fatti di Maometto loro profeta, ch'assai in brieve n'avemo detto, e torneremo a nostra matera de' fatti d'Italia, e diremo d'un'altra perversa e barbera gente che nella detta Italia vennoro e signoreggiaro un tempo, che furono chiamati Lungobardi, e di loro principio, e di loro geste, e fine; però che furono grande cagione di non lasciare redificare la nostra città di Firenze per lungo tempo.
IX
De' successori di Rotario re de' Lungobardi.
Dopo il detto Rotario re de' Lungobardi, onde adietro facemmo menzione nel capitolo di Narses che gli fece di prima venire in Italia, regnò Gisulfo. Questo Gisulfo fu re di Puglia, e fece suo capo in Benivento, che si chiamava in prima Sannia, e tutta Puglia disabitò quasi de' paesani, e abitò di Longobardi, e feciono la legge che ancora si chiama longobarda, e tengono ancora i Pugliesi e gli altri Italiani, in quella parte dove danno mondualdo, overo in volgare manovaldo, alle donne, quando s'obbrigano in alcuno contratto, e fu buona e giusta legge. Questo Gisulfo assediò Roma e 'l papa, e ebbe due figliuoli: l'uno ebbe nome Alberico che fu re in Lombardia, e l'altro ebbe nome Grimaldo che rimase re in Benivento, e là morìo per torsi sangue, faticando suo braccio in aprire uno arco; e dopo Grimaldo ne fu re Romoldo suo figliuolo, e molta persecuzione feciono alla Chiesa. In Lombardia regnò Alberico e' suoi discendenti apresso, e ebbono grande guerra con quegli della città di Ravenna in Romagna, la quale era la maggiore e la più famosa città d'Italia appresso Roma. E così per grande tempo signoreggiarono Italia i Longobardi, tanto che si convertirono in paesani e abitanti di tutta Italia. E erano di diverse sette, con tutto che fossono battezzati: chi era Cristiano, e chi ariano e d'altri errori, e chi idolatri e pagani; e così stette grande tempo Italia maculata d'errori, e di signoria tirannica per gli Longobardi, e la Chiesa molto abbassata e afflitta. Dopo Alberigo regnò re de' Longobardi Eliprando, il quale fu grande come gigante, e per la grandezza del suo piede si prese la misura delle terre, e chiamasi ancora a' nostri tempi piè d'Eliprando, il quale è poco meno d'uno braccio a la nostra misura, e così è intagliato alla sua sepultura a Pavia. Questo Eliprando fu Cristiano, e mandò in Sardigna a fare ritrovare l'ossa e 'l corpo di santo Agustino, e fecelo recare in Italia, e per divozione infino a Genova con grande processione venne incontro, e poi in Pavia le ripuose a grande onore e solennità negli anni di Cristo VIIcXXV.
X
Come Carlo Martello venne di Francia in Italia a richesta della Chiesa contro a' Lungobardi e l'origine della città di Siena.
Nel tempo del detto Eliprando, tutto che fosse cristiano, ma per la sua avarizia, e per volere occupare le ragioni della Chiesa santa, e per consiglio dello 'mperadore di Gostantinopoli, cominciò guerra co' Romani e con papa Gregorio terzo, e con tutto suo isforzo venne ad assediare il detto papa a Roma, egli di verso Lombardia, e Grimaldo re de' Sanniti e Pugliesi con suo isforzo di Puglia, negli anni di Cristo VIIcXXXV. Per la qual cosa, fatto concilio in Roma, la Chiesa co' Romani mandarono in Francia per soccorso a Carlo Martello, il quale Carlo fu figliuolo di Pipino grande barone di Francia e de' XII peri, il quale governava tutto il reame e lo re medesimo; e simile fece il detto Carlo Martello, che il re che allora era, chiamato Ciperic, avea solamente il nome, ma Carlo la forza e la signoria: e fu figliuolo della serocchia di Dodone re d'Equitania, e poi fu padre del buono re Pipino padre che fu di Carlo Magno; e Martello avea sopranome però che 'l portava in sopransegna. E in fatti fu martello, però che per sua prodezza percosse tutta Alamagna, Sassogna, Soavia, Baviera, e Danismarce infino iNorvea, Inghilterra, Equitania, e Navarra, e Spagna, e Borgogna, e Proenza, e tutte le mise sotto la sua signoria, e gli fece suoi tributarii. Poi a la richiesta del detto papa passò in Italia infino in Puglia, e liberò Roma e la Chiesa dall'ocupazioni de' Longobardi. E dicesi che in quel tempo, intorno gli anni di Cristo VIIcXL, fu il cominciamento dell'abitazione del luogo ove è oggi la città di Siena per la gente vecchia e non sana che passò con Carlo Martello, i quali rimasono in quello luogo, come adietro è fatta menzione della edificazione di Siena.
XI
Come Eraco Lungobardo re di Puglia tornò all'ubidienza di santa Chiesa.
Dopo la morte d'Aliprando succedette Eraco che regnò in Puglia. Questo Eraco somigliante al suo anticessore ricominciò guerra colla Chiesa e con papa Zaccheria; e vegnendo a Roma negli anni di Cristo VIIcL con tutto suo isforzo di Puglia e di Lombardia, per distruggere Roma e 'l paese d'intorno, per lo detto papa fu predicato per modo che Idio ispirò in lui la sua grazia, e convertissi a l'ubidienza di santa Chiesa egli e la moglie e' figliuoli, e passò oltremare contra a' Saracini e' pagani. Per la nostra fede cristiana fece di grandi e notabili cose con grande vittoria contra Cosdre re di Persia, e diliberò di pregione i Cristiani di Gerusalem e di Soria presi per lo detto Cosdre re; e raquistò la santa croce di Cristo che 'l detto re di Persia avea tolta di Gerusalem per dispetto de' Cristiani; e però s'ordinò per santa Chiesa la festa dell'asaltazione della santa croce. E oltre acciò, tornato d'oltremare, il detto Eraco per l'amore di Cristo lasciò ogni signoria mondana, e rendési monaco, e finì in santa vita. E la statua del metallo ch'è in Barletta in Puglia fece fare a sua similitudine al tempo che regnava in grolia mondana. E in questi tempi si trovò di prima lo strumento della campana per uno maestro della città di Nola in Campagna, e però fu chiamata campana a campania, e alcuni la chiamaro nola, e la prima fu recata a Roma e posta nel portico di San Giovanni Laterano di piccola e grossa forma. Ma poi cresciute e migliorate, fue ordinato per santa Chiesa si sonasse con quelle, a onore di Dio, l'ore del dì e della notte.
XII
Come Telofre re de' Longobardi perseguitò santa Chiesa, e come il re Pipino a richiesta di papa Stefano venne di Francia, e sconfisselo e preselo.
Apresso del re Eraco succedette nel reame di Lombardia e in quello di Puglia insieme Aristolfo, detto in latino Telofre, fratello del detto Eraco. Questi fu signore di grande potenzia, e crudele, e nimico di santa Chiesa e de' Romani; e per consiglio de' malvagi e ribelli Romani, prese Toscana e la valle di Spuleto, e distrussele, e toglieva censi per ogni capo d'uomo; e fece congiura con Leone e Gostantino suo figliuolo imperadori di Gostantinopoli, e a sua richesta passaro a Roma, e presolla con Telofre insieme, e rubarolla, e arsono le chiese e' santi luoghi, e portarne in Gostantinopoli le ricchezze di Roma, e tutte le imagini delle chiese di Roma, e per dispetto del papa e della Chiesa, e vergogna de' Cristiani, l'arse tutte in fuoco, e molti fedeli Cristiani distrussero e consumaro in Roma e in tutta Italia. Per la qual cosa Stefano papa secondo gli scomunicò, e tolse per amenda del misfatto a lo 'mperio il regno di Puglia e di Cicilia, e stabilì per dicreto che sempre fosse di santa Chiesa. E poi non potendo riparare a la forza de' detti tiranni ed a tanta aflizzione, in persona n'andò in Francia a Pipino prencipe e governatore de' Franceschi a richiederlo e pregare che venisse in Italia a difendere santa Chiesa contro Telofre re de' Lombardi, e fece al detto Pipino molti brivilegi e grazie, e fecelo e confermò re di Francia, e dispuose Ilderigo re ch'era della prima schiatta, però ch'era uomo di niuno valore, e rendési monaco. Il quale Pipino, fedele e amatore di santa Chiesa, il ricevette con grande onore, e poi con tutto suo isforzo col detto papa Stefano passò in Italia negli anni di Cristo VIIcLV, e col detto Telofre re de' Lombardi ebbe grandi battaglie. A la fine per forza d'arme e di sua gente il detto Telofre fu vinto e sconfitto dal buono re Pipino, e fece le comandamenta del papa e di santa Chiesa, e ogni amenda, com'egli e' suoi cardinali seppono divisare; e lasciò alla Chiesa per patti e brivilegi il reame di Puglia e di Cicilia, e 'l Patrimonio di Santo Piero. E venuto il detto Pipino in Roma col detto papa, furono ricevuti a grande onore da' Romani; e 'l detto Pipino fu fatto patrice di Roma, cioè luogotenente d'imperio, e padre della repubblica de' Romani. E rimessa Roma e santa Chiesa in sua libertà e in buono stato, si tornò in Francia, e finì sua vita a grande onore; e succedette allui re di Francia Carlo Magno suo figliuolo.
XIII
Come Disidero figliuolo di Telofre ricominciò guerra a santa Chiesa; per la qual cosa Carlo Magno passò in Italia e sconfisselo, e prese e distrusse la signoria de' Lungobardi.
Partito il re Pipino d'Italia e tornato in Francia, si riposò in alcuno tranquillo la Chiesa di Roma e 'l paese d'intorno uno tempo, per l'accordo che Pipino avea fatto con Telofre re di Lombardia, e per la vittoria avuta contra lui; ma morto Telofre, Desiderio suo figliuolo succedette allui, il quale maggiormente che 'l padre fu nemico e persecutore di santa Chiesa, e ruppe la pace, e allegossi con Gostantino che fu figliuolo di Leone imperadore di Gostantinopoli, e colle sue forze fece cominciare guerra in Puglia, e Disiderio dall'altra parte in Toscana, troppo maggiore che 'l suo padre nonn-avea di prima fatta. Per la qual cosa Adriano papa, che allora governava santa Chiesa, mandò in Francia per Carlo Magno figliuolo di Pipino che venisse in Italia a difendere la Chiesa dal detto Disiderio e da' suoi seguaci; il quale Carlo re di Francia passò in Lombardia negli anni di Cristo VIIcLXXV, e dopo molte battaglie e vittorie avute contra Disiderio, sill'asediò nella città di Pavia; e quella per assedio vinta, prese il detto Disiderio, e' figliuoli, e la moglie, salvo che 'l maggiore figliuolo ch'avea nome Algife si fuggì in Gostantinopoli a Gostantino imperadore, e sempre guerreggiò. Preso Disiderio, e la moglie, e' figliuoli, Carlo Magno gli fece fare la fedeltà a santa Chiesa, e simile a tutti gli baroni e città d'Italia; e poi ciò fatto, il detto Disiderio, e la moglie, e' figliuoli mandò in Francia pregioni, e là morirono tutti in pregione, e così fallì la signoria de' re de' Lombardi, detti prima Lungobardi, ch'era durata CCV anni in Italia, per la forza de' Franceschi e del buono Carlo Magno, che mai poi nonn-ebbe re in Lombardia. Bene rimasero le schiatte de' signori, e de' baroni, e borgesi stratti di Longobardi ed iLombardia e in Puglia; e ancora oggi ne sono in nostro volgare certi antichi gentili uomini che noi chiamiano cattani lombardi, derivato da' detti Longobardi che n'erano stati signori d'Italia. Carlo Magno, avuta la detta vittoria, venne a Roma, e dal detto Adriano e da' Romani fu ricevuto a grande triunfo e onore. E apressandosi Carlo Magno a Roma, vedendo la santa città di Roma di su Montemalo, discese da cavallo, e per reverenza venne a piè infino a Roma; e là giugnendo, le porte della città e di tutte le chiese basciò, e a ciascuna chiesa oferse riccamente. E giunto in Roma, fu fatto patrice di Roma, e egli adirizzò lo stato di santa Chiesa, e de' Romani, e di tutta Italia, e rimise in loro franchigia e libertade, abattute in tutte parti le forze dello 'mperadore di Gostantinopoli, e del re de' Lombardi, e di loro seguaci. E confermò a la Chiesa ciò che Pipino suo padre l'avea dotato; e oltre acciò dotò la Chiesa del ducato di Spuleto e di Benivento. E nel regno di Puglia ebbe più battaglie contro a' Longobardi e ribelli di santa Chiesa, e assediò e distrusse la città di Lacedonia ch'è in Abruzzi tra l'Aquila e Sermona, e assediò e vinse Tuliverno il forte castello a l'entrare di Terra di Lavoro, e più altre terre del Regno che teneano ribelli di santa Chiesa, e tutti gli sottomise a sua signoria. E ciò fatto, lasciando Roma e tutta Italia in pacifico stato e sotto sua signoria, bene aventurosamente intese a perseguitare i Saracini ch'aveano occupato Proenza, e Navarra, e Spagna, e colla forza de' suoi dodici baroni e peri di Francia, chiamati paladini, tutti gli conquise e distrusse, e passò oltremare a richiesta dello 'mperadore Michele di Gostantinopoli e del patriarca di Gerusalem, e conquistò la Terrasanta e Gerusalem, chell'occupavano i Saracini, e aquistò a lo 'mperadore di Gostantinopoli tutto lo 'mperio di levante, il quale aveano occupato i Saracini e' Turchi. E tornando in Gostantinopoli, lo imperadore Michele gli volle donare molti grandissimi tesori, nulla volle prendere, se non il legno de la santa croce e 'l chiovo di Cristo, lo quale in Francia ne recò, ed è oggi in Parigi. E tornato in Francia, signoreggiò per sua prodezza e virtude non solamente il reame di Francia, ma tutta Alamagna, Proenza, Navarra, e Spagna, e tutta Italia.
XIV
Della progenia di Carlo Magno, e di suoi successori.
E imperciò che questo Carlo Magno fu di grande affare, e fu per sua prodezza e bontà rifatta la nostra città di Firenze, come innanzi faremo menzione, volemo brievemente fare memoria de' suoi discendenti che furono imperadori e re di Francia, infino che fallì la sua schiatta al tempo d'Ugo Ciappetta duca d'Orliens. Apresso Carlo Magno regnò imperadore e re di Francia Luis suo figliuolo XXVI anni; poi fu Lottieri suo figliuolo imperadore, come innanzi faremo menzione, e Carlo il Calvo l'altro figliuolo di Luis fu re di Francia anni XXXIIII. A la fine, morto Lottieri suo fratello, fu il detto Carlo il Calvo imperadore due anni, e l'altro figliuolo del sopradetto Luis, che per lui Luis ebbe nome, fu re di Baviera e d'Alamagna, e di là rimasono re i suoi discendenti. Poi morto Carlo il Calvo, fu re di Francia Luis il Balbo suo figliuolo due anni. Questi nonn-ebbe lo 'mperio, ma fu imperadore Luis figliuolo di Lottieri imperadore, come innanzi faremo menzione. Poi di questo Luis il Balbo re di Francia rimase la moglie incinta d'uno figliuolo ch'ebbe nome Carlo il Semprice: di questo Luis il Balbo rimasono ancora due figliuoli grandi, l'uno ebbe nome Luis, e l'altro Carlo Magno; ma non furono di diritto maritaggio nati. Questi regnarono V anni, e furono morti; e dopo la loro morte gli baroni diedono il reame a Carlo il Grosso imperadore, che fu figliuolo di Carlo il Calvo, e regnò, essendo imperadore, V anni re di Francia. Questi fu quello Carlo che pacificò gli Normandi, e fece parentado colloro, e fecegli diventare Cristiani, e diede loro Normandia, come innanzi farà menzione. Ma poi questo Carlo divenne sì malato, ch'era perduto del corpo e della mente, onde per necessità fu disposto dello 'mperio e del reame, e per gli baroni dello 'mperio fu eletto uno Arnolfo imperadore, come innanzi nella storia degli 'mperadori farà menzione; ma non fu delegnaggio di Carlo, né poi non ne fu niuno imperadore francesco. I baroni di Francia, disposto Carlo il Grosso, di concordia feciono re di Francia Ugo, overo Oddo, figliuolo Ruberto conte d'Angieri, e regnò VIIII anni, e fu buono uomo e dolce, e nudrì onorevolmente Carlo il Grosso ch'era malato e disposto. Ma essendo il detto Oddo in Guascogna, i baroni di Francia fecioro re Carlo il Semplice figliuolo adpostumo che fu di Luis il Balbo della diritta schiatta reale; onde sappiendo ciò Oddo, crucciato venne di Guascogna in Francia, e fece grande guerra per V anni, e poi si morì. Questo Carlo il Semplice regnò re XXVII anni; ma essendo lui re, parte de' baroni di Francia feciono re Ruberto fratello del sopradetto Oddo d'Angieri, e ebbono grande guerra nereame; a la fine il detto Ruberto fu sconfitto e morto da Carlo. Ma poi il detto Carlo il Semplice fu preso da Ruberto conte di Vermandos, ch'era delegnaggio di Ruberto ch'era stato re, e in pregione il tenne a Perona tanto che morì. Ma lui preso, la moglie di Carlo, ch'era serocchia del re d'Inghilterra, se n'andò al fratello con uno suo figliuolo ch'ebbe nome Luis. Poi gli baroni di Francia feciono loro re Ridolfo figliuolo del duca di Borgogna, e regnò due anni; ma lui morto, i baroni mandarono inn-Inghilterra per lo giovane Luis figliuolo di Carlo il Semplice e feciollo re di Francia. Questo Luis regnò in Francia XXVII anni. Questi ebbe per moglie la serocchia del primo Otto della Magna imperadore, e ebbene due figliuoli, Lottieri e Carlo il Grande; poi negli anni VIIIIcXLVII fu il detto Luis preso nella città di Leone sopra Rodano da Ugo il Grande suo nimico. Ma ciò sappiendo Otto imperadore, venne in Francia con innumerabile oste, e prese la città di Leone, e trasse di pregione il re Luis suo cognato, e poi puose l'assedio alla città di Parigi, ove era il detto Ugo il Grande, e rendési egli e la città a la mercé del detto Otto, e paceficò insieme con Luis re, e rimase Luis in sua signoria. Ma lui morto, fu fatto re di Francia Lottieri suo figliuolo, il quale regnò XXXI anno, e ebbe guerra co' Fiaminghi, e vinsegli, e prese il ducato del Loreno ch'era dello 'mperio, onde Otto secondo imperadore suo cugino ebbe guerra collui, e corse il reame di Francia. A la fine fecioro pace, e lasciò a lo 'mperio il Loreno. Poi morto Lottieri, fu fatto re Luis suo figliuolo, ma non vivette che uno anno, e rimase sanza reda; e gli baroni di Francia feciono loro re Ugo Ciappetta duca d'Orliens gli anni di Cristo VIIIIcLXXXXVIII. Allora fallì la signoria della schiatta di Pipino e di Carlo Magno. Bene rimase in vita, regnando Ugo Ciappetta, Carlo il Grande fratello che fu di Lottieri e zio dell'ultimo Luis, il quale fece gran guerra a Ugo Ciappetta; ma alla fine fu il detto Carlo sconfitto e morto, e rimase il reame paceficamente a Ugo e a sue rede: e regnò ilegnaggio di Pipino re di Francia anni CCXXXVI. Avendo detto brievemente il corso e signoria de' successori e discendenti di Carlo Magno i quali apresso lui furono re di Francia, e tali imperadori di Roma, infino che fallì il loro lignaggio, sìnn'è di nicessità di dire ancora di quello ch'adoperaro gl'imperadori franceschi, però che si mischia molto alla nostra materia per le novità della nostra provincia d'Italia e della Chiesa di Roma che furo alloro tempi; e però torneremo adietro, come Carlo Magno re di Francia fu fatto imperadore di Roma, e poi degli altri imperadori di suo legnaggio che furono appresso.
XV
Come Carlo Magno re di Francia fu fatto imperadore di Roma.
Carlo Magno tornato d'oltremare in Francia, come detto avemo, e avendosi sottoposto Alamagna, Italia, e Spagna, e Proenza, i malvagi Romani co' possenti Lombardi e Toscani si rubellaro dalla Chiesa, e in Roma presono papa Leone terzo che allora regnava, andando alla processione delle Letanie, e abacinarogli gli occhi, e tagliaro la lingua, e cacciarollo di Roma. E come piacque adDio per miracolo divino, e sì come innocente e santo, riebbe la vista degli occhi e la loquela del parlare, e andonne in Francia a Carlo Magno, pregandolo che venisse a Roma a rimettere la Chiesa in sua libertà; il quale Carlo, a richiesta del detto papa Leone, collui insieme venne a Roma, e rimise il papa e la Chiesa in suo stato e libertade, e fece grande vendetta di tutti i ribelli e nemici di santa Chiesa per tutta Italia. Per la qual cosa il detto Leone papa co' suoi cardinali e concilio generale, e con volontà de' Romani, per le virtudiose e sante operazioni fatte per lo detto Carlo Magno in istato di santa Chiesa e di tutta Cristianitade, per dicreto levaro lo 'mperio di Roma a' Greci, e elessero il detto Carlo Magno imperadore de' Romani, siccome dignissimo dello 'mperio; e per lo detto papa Leone fu consacrato e coronato in Roma gli anni di Cristo VIIIcI con grande solennità e onore il dì di Pasqua. Il quale Carlo bene aventurosamente imperiò anni XIIII e mesi uno e dì IIII, signoreggiando in tutto lo 'mperio del ponente, e le province dette di sopra, e eziandio lo 'mperadore di Gostantinopoli era a sua obbedienzia; e fece edificare tante badie quante lettere ha nell'abicì, cominciando il nome di ciascuna per la sua lettera. E coronato Luis suo figliuolo dello 'mperio e del reame di Francia, dando tutto suo tesoro a' poveri per Dio in questo modo, ch'egli lasciò il terzo di suo tesoro, il quale era infinito, a tutti i poveri di Cristianità mendicanti, e le due parti lasciò a dispensare a tutti i suoi arcivescovi di suo Imperio e di suo reame, acciò chelli partissono intra gli loro vescovi, e a tutte chiese, monisteri, e spedali. E questi sono i nomi degli arcivescovadi e vescovi principali cui fece suoi esecutori: quello di Roma, ciò fu il papa, l'arcivescovo di Ravenna, e quello di Melano, e 'l patriarca d'Aquilea, e quello di Grado, e 'l vescovo di Firenze, in Italia; in Alamagna, a l'arcivescovo di Cologna, a quello di Maganza, a quello di Trievi; a quello di Legge, a quello di Senso, a quello di Bisenzona, a quello di Leone, a quello di Vienna in Borgogna; a quello di Ruem, a quello di Rens, a quello del Torso, a quello di Burgi, in Francia; a quello di Garent, a quello di Riens, in Navarra; a quello di Bordello, in Guascogna; e questo troviamo per le sue croniche. E ciò fatto, santamente rendé l'anima a Cristo nella terra d'Aquisgran in Alamagna, e là fu soppellito a grande reverenza, cioè ad Asia la Cappella. Ciò fu gli anni di Cristo VIIIcXIIII, e vivette LXXII anni; e molti segni appariro innanzi a sua morte, come raccontano le sue croniche de' fatti di Francia. Questo Carlo acrebbe molto la Chiesa santa e la Cristianità a lungi e apresso, e fu uomo di grande virtù.
XVI
Come apresso Carlo Magno fu imperadore Lodovico suo figliuolo.
Dopo la morte di Carlo Magno succedette allo 'mperio di Roma il re di Francia Lodovico suo figliuolo anni XXV. Questo Lodovico ebbe in prima grande guerra con due suoi fratelli, ciò furo Carlo e Pipino; e l'uno gli rubellò la Magna, e l'altro Spagna; e poi le rivinse loro per forza, e finirono male. Ebbe il detto Luis tre figliuoli: il primo Lottieri, e fecelo signore in Italia e luogotenente dello 'mperio; il secondo ch'ebbe nome Pipino fece re d'Equitania; il terzo, detto Luis, fece re di Baviera d'Alamagna; e dicesi che quegli della casa di Baviera sono stratti di quello lignaggio. Poi ebbe Luis d'un'altra moglie uno figliuolo ch'ebbe nome Carlo il Calvo, e fu poi re di Francia XXXIIII anni, e a la fine fu imperadore due anni, morto Lottieri imperadore suo fratello. Poi tutti gli detti figliuoli di Luis col loro padre distrussono Brettagna. Poi nacque disensione grande trallui e' figliuoli, i quali si rubellaro da Luis, e allegaronsi col papa, il quale papa Ghirigoro quarto colli suoi cardinali il dispuosono dello 'mperio per certe false accuse fatte contra lui, e rendési monaco in San Marco in Sansona; il quale papa quello anno medesimo trovando il vero, si ripenté e rimiselo in sua dignità, e' figliuoli medesimi si riconobbono, e tornaro a la sua obbidenzia.
XVII
Come i Saracini di Barberia passarono in Italia e furono isconfitti e tutti morti.
Al tempo di questo Luis, overo Lodovico, re di Francia e imperadore, e di Grigorio papa, per alquanti grandi uomini di Roma e scellerati e fuori d'ogni fede, per loro tirannia vollono guastare lo 'mperio, con giura e ordine di certi grandi Toscani: mandarono al soldano de' Saracini che venisse a Roma e possedesse Italia; i quali Saracini passarono con grande navilio in Italia, e fu sì grande moltitudine che copria la terra come i grilli, e corsoro e guastaro Cicilia e Puglia, e assediaro Roma e presono la parte della città Leonina ov'è la chiesa di San Piero, e di quella feciono stalla di cavagli, e disfeciono la chiesa di San Piero e di San Paolo, e più altre di fuori di Roma, e poi tutta Toscana guastaro. Il detto papa Gregorio mandò per soccorso in Francia a Lodovico imperadore, e in Lombardia al marchese di Monferrato; il quale Guido marchese co' Lombardi prima venne, e poi Lodovico co' Franceschi; e dopo molte battaglie e spargimento di sangue i Saracini cacciarono d'Italia, e andandone in Africa, in alto mare per la tempesta tutti annegaro; e ciò fu negli anni di Cristo VIIIcXXXV.
XVIII
Ancora come i Saracini passarono in Calavra e' Normandi in Francia.
Dopo il detto Lodovico imperiò Lottieri anni X. Questo Lottieri simigliante ebbe guerra co' fratelli per volere il reame di Francia che tenea Carlo il Calvo, e combatté colloro, e fu sconfitto in Alzurro; per la qual cosa lo 'mperio molto abassò, che i possenti Lombardi e Italiani nollo ubbidieno, ma si recarono a tiranno, e signoreggiavano chi più potea. E per questa cagione i Saracini anche a richiesta de' tiranni passarono in Italia, in Puglia, e in Calavra; e' Normandi, ciò furono Noverchi di Norvea, per mare passaro in Gallia, e distrussono quasi tutta Francia; e ciò fu negli anni di Cristo VIIIcXLVII, onde lo 'mperio di Roma e 'l reame di Francia molto abassò. Per la qual cosa Lottieri per dolore lo 'mperio e parte dereame che tenea dal fiume de lo Scalto aReno lasciò al figliuolo, e fecesi monaco e religioso di santa vita. A costui tempo Leone papa quarto rifece la chiesa di San Piero e di San Paolo, e tutte le chiese di Roma disfatte da' Saracini, e fece le mura della città detta Leonina intorno a San Piero, e per suo nome così fu chiamata.
XIX
Come e in cui fallì lo 'mperio e reame di Francia alla progenia di Pipino.
Dopo Lottieri imperiò Luis secondo suo figliuolo XXI anno. Questi ebbe molte battaglie co' Romani e co' Toscani, perché nonn-ubbidieno lo 'mperio; e al suo tempo il reame di Francia ebbe molte aversità da' Normandi. Dopo costui fu imperadore Carlo secondo figliuolo di Luis primo, detto Carlo Calvo. Questi venne a Roma, e per podere di sua moneta che spese a' possenti Romani e a papa Giovanni ottavo si fece coronare imperadore, e non regnò che XXI mese; e in questo tempo Luis di Baviera suo fratello gli fece guerra, e gli occupò parte dello 'mperio a' confini di Francia. Questo Carlo rifece tutte le chiese disfatte da' Saracini in Italia, e cacciogli di Cicilia; e tornando Carlo Calvo la seconda volta da Roma, fu da uno medico giudeo avelenato, e morì a Vercelli in Lombardia, e 'l suo corpo da' suoi fu portato in Francia a Santo Dionisio. E dopo il detto Carlo il Calvo succedette allui Carlo il terzo, il quale fu chiamato Carlo il Grosso, e imperiò anni XII, e degli ultimi XII anni gli V anni fu imperadore e re di Francia, però ch'era morto Luis il Semplice suo zio re di Francia a figliuoli sanza reda. Ma al fine il detto Carlo il Grosso amalòe, per modo che quasi era perduto, sì che per nicessità da' baroni fu disposto dello imperio e del reame. Al tempo di costui i Normandi e quegli di Danesmarce distrussero e guastaro gran parte di Francia e d'Alamagna, per la qual cosa il detto Carlo il Grosso, innanzi che fosse perduto de la malatia, andò contra le dette genti con tutto suo isforzo infino in Alamagna. I Normandi veggendo la potenzia dello 'mperadore, si pacificaro collui, e il loro re tolse per moglie la sua cugina figliuola che fu di Luis il Semplice re di Francia, e per mano del detto Carlo si fece battezzare Cristiano, e tutte sue genti per lui si feciono Cristiani; e non volendo tornare in loro paesi, sì diede loro il detto Carlo ad abitare la contrada e paese che allora si chiamava Laida Serna, la quale per loro nome e poi sempre fu chiamata Normandia, e ciò fu negli anni di Cristo VIIIcLXXXX; e il primo duca de' Normandi ebbe nome Ruberto, del cui lignaggio discesono valenti signori, come innanzi faremo menzione.
XX
Di quello medesimo, e come regnaro appresso ilignaggio d'Ugo Ciappetta.
Appresso che fu disposto dello 'mperio, come detto avemo, Carlo il Grosso, i baroni elessero imperadore Arnolfo, overo Arnoldo, uno barone di Francia, ma non fu del lignaggio di Carlo il Magno. Questi regnò XII anni, ma poco si travagliò de' fatti d'Italia, se non in tanto che per sua forza fece fare papa Sergio il terzo, il quale fece nella Chiesa molte grandi mutazioni contra i suoi anticessori, come la cronica martiniana fa menzione. Questo Arnolfo combatté in Maganza con Danesmarce e Normandi, e vinsegli e cacciogli, che XL anni Alamagna e Francia aveano soggiogata. Questi a la fine per malizia divenne perduto, e lo 'mperio de' Romani ch'era appo' Franceschi al suo tempo fallì e venne meno, gli anni di Cristo VIIIIcI. E non solamente fallì lo 'mperio a' Franceschi, ma eziandio la signoria d'Alamagna al suo figliuolo e successore gli anni di Cristo VIIIIcX, che Currado primo tedesco ne fu fatto re, e fallì a' Franceschi la signoria di Spagna, e di Navarra, e Proenza, e non passò anni LXXX ch'al tutto fallì ilegnaggio di Carlo Magno, che non furono re di Francia dal tempo di Ugo Ciappetta duca d'Orliens, come adietro facemmo menzione, gli anni di Cristo VIIIIc e così mostra che VII fossero gl'imperadori franceschi, che vi furono delegnaggio del buono Pipino. Durò lo 'mperio apo' Franceschi discendenti di Carlo Magno per C anni, e per loro discordie finìo in loro lo 'mperio, e ritornò agl'Italiani; però che nonn-atavano gli Romani dalle ingiurie de' Lombardi e de' Toscani, né 'l papa, nélla Chiesa da' tiranni chella perseguieno; e dove i loro anticessori aveano fatto le chiese e dotate riccamente, per loro erano distrutte e rubate. Avemo detto sì lungamente dello imperio e de' re de' Franceschi, lasciando nostra materia de' fatti di Firenze, per continuare le novitadi e persecuzioni ch'alloro tempi ebbono gli Romani e quasi tutta Italia da' Saracini, e dalle discordie de' Lombardi ch'ebbono colla Chiesa; per la qual cosa la città di Firenze, di poco tempo rifatta, per le dette aversitadi poco acrebbe o venne in istato. Lasceremo le storie de' Franceschi e torneremo a nostra materia adietro, per contare come la città di Firenze fu rifatta e ristorata al tempo del buono Carlo Magno; ma prima diremo di suo averso stato innanzi ch'ella fosse rifatta.
XXI
Come la città di Firenze istette guasta e disfatta CCCL anni.
Dopo la distruzione della città di Firenze fatta per Totile Flagellum
Dei, come adietro è fatta menzione, stette così disfatta e
diserta intorno di CCCL anni per lo male stato di Roma e dello 'mperio, il
quale prima da' Gotti e Vandoli, e poi da' Longobardi e Greci e Saracini e
Ungari fue perseguitato e abassato, come adietro è fatta menzione. Ben
v'avea ov'era stata Firenze alcuno borgo e abitanti intorno al Duomo di Santo
Giovanni, per cagione che' Fiesolani vi faceano mercato un dì della
settimana, e chiamavavi Campo Marti per l'antico nome, però che prima
sempre da' Fiesolani era loro mercato, e così chiamato anzi che Firenze
si facesse. Avenne per più volte, infra 'l detto tempo che la
città era guasta e disfatta, che que' cotanti abitanti de' borghi e del
mercato, coll'aiuto di certi nobili del contado che anticamente erano stati
stratti de' Fiorentini primi cittadini, e di quegli di villaggi intorno,
vollero più volte richiudere de' fossi e di steccati alcuna parte della
città intorno al Duomo; ma per quegli della città di Fiesole, e
col loro aiuto i conti da Mangone, e di Montecarelli, e da Certaldo, e di
Capraia, ch'erano tutti d'uno lignaggio co' conti da Santa Fiore stratti di
Lungobardi, si mettevano a riparo e contasto, e non lasciavano rifare; ma
quello chessi facea, per forza, vegnendo armati e possenti, il faceano
abattere e disfare, sicché per questa cagione, per l'aversitadi
ch'aveano i Romani, siccome adietro è fatta menzione, e perché i
Fiesolani sempre si tennono co' Gotti, e poi co' Longobardi, e con tutti i
ribelli e nemici dello 'mperio di Roma e di santa Chiesa, e erano per la loro
forza sì possenti e grandi che non n'aveano contasto da niuno loro
vicino, non sofferieno chella città di Firenze si rifacesse; e per
questo modo stette lungo tempo, infino che Dio puose fine all'aversità
della città di Firenze, e recolla a salute della sua reparazione, come
per noi si tratterà nel seguente capitolo, e quarto libro.