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Lorenzo de' Medici

AMBRA

Edizione di riferimento:

L. de’ Medici Tutte le opere, a cura di P. Orvieto, Roma, Salerno 1992.

 

1

Fuggita è la stagione che havea conversi

e fiori in pomi già maturi et còlti;

in ramo non può più foglia tenersi,

ma sparte per li boschi assai men folti

si fan sentire, se adviene che gli atraversi

el cacciatore, et i pochi paion molti;

la fera, se ben l’orme vaghe absconde,

non va segreta per le secche fronde.

 

2

Tra li àlbori secchi stassi il laur lieto,

et di Cyprigna l’odorato arbusto;

verdeggia nelle bianche alpe l’abeto,

et piega e rami già di neve honusto;

tiene il cipresso qualche uccel secreto,

et co’ venti combatte il pin robusto;

l’humil ginepro con le acute foglie

la man non porge altrui, chi ben lo coglie;

 

3

la uliva in qualche dolce piaggia aprica

secondo il vento par hor verde hor bianca:

Natura in questi tali serba et nutrica

quel verde che nell’altre fronde manca.

Già e peregrini uccei con gran fatica

hanno condocto la famiglia stanca

di là dal mare, et pel camin lor mostri

Nereide, Tritoni et altri mostri.

 

4

Ha combattuto dello imperio et vincto

la Nocte, et prigion mena el breve giorno:

nel cielo sereno d’ecterne fiamme cincto

lieta el carro stellato mena intorno

né prima surge, che in Occeano tinto

si vede l’altro aurato carro adorno;

Orion freddo col coltello minaccia

Phebo, se mostra a·nnoi la bella faccia.

 

5

Seguon questo nocturno carro ardente

Vigilie, Excubie et sollecite Cure,

el Somno (et bench’e’ sia molto potente,

queste importune il vincon talhor pure),

e ’ dolci Sogni, che ingannon la mente,

quando è oppressa da fortune dure:

di sanità, d’assai thesoro fa festa

alcun che infermo et povero si desta.

 

6

Oh miser quello che in nocte così lunga

non dorme, et il disiato giorno aspecta,

se advien che molto et dolce disio il punga,

quale il futuro giorno li promecta!

Et, benché ambo le ciglia insieme adgiunga,

e ’ pensieri tristi excluda e ’ dolci ametta,

dormendo o desto, acciò che il tempo inganni,

gli pare la nocte un secol di cento anni.

 

7

Oh miser chi tra l’onde truova fuora

sì lunga nocte, assai lontano dal lito,

e ’l cammin rompe della cieca prora

el vento, et freme il mare un fero mugito!

Con molti prieghi et voti Aurora

chiamata, sta col suo vecchio marito.

Numera tristo et disioso guarda

e passi lenti della Nocte tarda.

 

8

Quanto è diversa, anzi contraria sorte

de’ lieti amanti nella algente bruma,

a cui le nocte sono chiare et corte,

il giorno obscuro et tardo si consuma!

Nella stagione così gelida et forte,

già rivestiti di novella piuma,

hanno deposto gli ugelletti alquanto

non so s’io dica o e lieti versi o ’l pianto.

 

9

Stridendo in cielo e gru vegonsi a·llunge

l’aer stampare di varie et belle forme;

et l’ultima col collo steso agiunge

ove è quella dinanzi, alle vane orme;

et, poi che nelli aprichi lochi giunge,

vigile un guarda, et l’altra schiera dorme:

cuoprono e prati et van leggieri pe’ laghi

mille spetie d’uccei dipinti et vaghi.

 

10

L’aquila spesso col volato lento

minaccia tutti, et sopra il stagno vola:

levonsi insieme et caccionla col vento

delle penne stridente; et, se pur sola

una fuor resta del pennuto armento,

l’uccel di Giove subito la invola:

resta ingannata, misera, se crede

andarne a Giove come Ganimede.

 

11

Zephiro s’è fuggito in Cipri, et balla

con Flora, otiosi per la herbetta lieta;

l’aria non più serena, bella et gialla

Borrea et Aquilone rompe e inquieta;

l’acqua corrente et querula incristalla

el ghiaccio, et stracca hor si riposa cheta:

preso il pesce nell’onda dura et chiara

resta come in ambra aurea zanzara.

 

12

Quel monte che se oppone a Cauro fero,

che non molesti il gentil fior, cresciuto

nel suo grembo d’honor, ricchezze et impero,

cigne di nebbie el capo già canuto;

gli omeri candenti, giù dal capo altero,

cuoprono e bianchi crini, e ’l pecto irsuto

la horribil barba, che è pel ghiaccio rigida;

fan gli occhi e ’l naso un fonte, e ’l gel lo infrigida.

 

13

La nebulosa ghirlanda che cigne

l’alte tempie gli mette Noto in testa;

Borrea da l’alpe poi la caccia et spigne,

et nudo et bianco el vecchio capo resta;

Noto sopra l’ale humide et maligne

la nebbia porta, et par di nuovo il vesta:

così Morello irato, hor carco hor lieve,

minaccia al piano subiecto hor acqua hor neve.

 

14

Partesi de Ethyopia caldo et tinto

Austro, et satia l’assetate spugne

nell’onde salse di Tirreno intinto;

appena a’ destinati luoghi giugne,

gravido d’acqua et da’ nugoli cinto

et stanco, stringe poi ambo le pugne:

e fiumi lieti contro all’acque amiche

escono allhor delle caverne antiche.

 

15

Rendon gratie ad Occean padre, adorni

d’ulva et di fronde fluviali le tempie;

suonan per festa e rochi et torti corni;

tumido il ventre, già superbo, s’empie;

lo sdegno, conceputo molti giorni

contro alle ripe timide, s’adempie:

spumoso ha rotto già lo inimico argine,

né serva il corso dello antico margine.

 

16

Non per vie lunghe o per cammino oblico

a guisa di serpenti, a gran volumi,

sollecitan la via al padre antico:

congiungon l’onde insieme e lontan’ fiumi

et dice l’uno all’altro, come amico,

nuove del suo paese et de’ costumi:

così insieme, in una strana voce,

cercon, né truovon, la smarrita foce.

 

17

Quando gonfiato et largo si ristrigne

tra li alti monti d’una chiusa valle,

stridon frenate, turbide et maligne

l’onde, et miste con terra paion gialle;

et grave petre sopra petre pigne,

irato a’ sassi dello angusto calle;

l’onde spumose gira, horribil freme:

vede il pastor da alto, et, secur, teme.

 

18

Tal fremito piangendo rende trista

la terra dentro al cavo ventre adusta:

caccia col fumo fuor fiamma âcqua mista

gridando, ch’esce per la bocca angusta,

terribile alli orecchi et alla vista:

teme, vicina, il suon alta et robusta

Volterra, et e lagon’ torbidi che spumano,

et piove aspecta se più alto fumano.

 

19

Così cruciato il fer torrente frende

superbo, et le contrarie ripe rode;

ma, poi che nel piano largo si distende,

quasi contento alhora appena se ode:

incerto se in su torna o se pur scende,

ha de’ monti distanti facto prode:

già vincitore al cheto lago incede,

di rami et tronchi pien, montane prede.

 

20

A pena è suta a tempo la villana

pavida âprire alle bestie la stalla;

porta il figlio, che piange, nella zana;

segue la figlia grande, et ha la spalla

grave di panni vili, lini et lana;

va l’altra vecchia masseritia a galla

nuotono e porci et, spaventati, e buoi,

le pecorelle, et non si toson poi.

 

21

Alcun della famiglia s’è ridocto

in cima della casa, et su dal tecto

la povera ricchezza vede ir socto,

la fatica, la speme; et, per sospecto

di se stesso, non duolsi et non fa mocto:

teme alla vita el cuor nel tristo pecto,

né delle cose car’ par conto faccia:

così la magior cura ogn’altra caccia.

 

22

La nota et verde ripa alhor non frena

e pesci lieti, che han più ampli spatii;

l’antica et giusta voglia alquanto è piena

di vedere nuovi liti; et, non ben satii,

questo nuovo piacere vaghi gli mena

a vedere le ruine et ’ grandi stratii

delli edificii, et sopto l’acqua e muri

veggon lieti et anchor non ben sicuri.

 

23

In guisa alhora di piccola isoletta

Ombrone amante superbo Ambra cigne;

Ambra, non meno da Laur dilecta,

geloso se ’l rivale la tocca et strigne;

Ambra driàde, a Delia sua accepta

quanto alcuna che stral fuor d’arco pigne;

tanto bella et gentile che alfine li nuoce,

leggieri di piedi et più ch’altra veloce.

 

24

Fu da’ primi anni questa nympha amata

dal suo Laur gentile, pastore alpino,

d’un casto amore, né era penetrata

lasciva fiamma al pecto peregrino.

Fuggendo il caldo un dì nuda era entrata

nell’onde fredde de Ombrone, d’Appennino

figlio, superbo in vista et ne’ costumi

pel padre antico et ’ cento frati fiumi.

 

25

Come le membra virginali entrorno

nella acqua bruna et gelida sentìo,

et, mosso da·leggiadro corpo adorno,

della spilonca uscì l’altero iddio;

dalla sinistra prese il torto corno,

et nudo el resto, acceso di disio,

difende il capo inculto a’ phebei raggi

coronato d’abeti et montàn’ faggi.

 

26

Et verso il loco ove la nympha stassi

giva pian piano, coperto dalle fronde;

né era visto, né sentire e passi

lasciava il mormorio delle chiare onde.

Così vicino tanto alla nympha fassi

che giugner crede le suo trecce bionde,

et quella bella nympha in braccio havere,

et, nudo, el nudo et bel corpo tenere.

 

27

Sì come pesce, alhora, che incauto cuopra

el pescator con rara et soptil maglia,

fugge la rete, qual sente di sopra,

lasciando, per fuggire, alcuna scaglia;

così la nympha, quando par si scuopra,

fugge lo dio, che addosso si li scaglia,

né fu sì presta, anzi fu sì presto elli,

che in man lasciolli alcun de’ sua capelli.

 

28

Et, saltando dell’onde, strigne il passo;

di timor piena fugge nuda et scalza;

lascia e panni et li strali, l’arco e ’l turcasso;

non cura e pruni acuti o l’aspra balza;

resta lo dio dolente aflicto et lapso;

pel dolore le man’ strigne, al cielo li occhi alza;

maladisce la mano crudele et tarda,

quando e biondi capelli svelti guarda.

 

29

Et seguendola, alhora, diceva: «O mano,

a vellere e be’ crini presta et feroce,

ma a·ttener quel corpo più che humano

et farmi lieto, ohimè, poco veloce!».

Così piangendo il primo errore invano,

credendo almeno agiugner con la boce

dove arrivar non puote il passo tardo,

gridava: «O nympha, un fiume sono, et ardo!

 

30

Tu m’accendesti in mezzo alle fredde acque

el pecto d’uno ardente disir cieco:

perché, come nell’onda el corpo giacque,

non giace, ché staria meglio assai, con meco?

Se l’ombra et l’acqua mia chiara ti piacque,

più bella ombra, più bella acqua ha el mio speco.

Piaccionti le mia cose, et non piaccio io:

et son pur d’Appennino figliuolo, et dio».

 

31

La nympha fugge, et sorda a’ prieghi fassi;

a’ bianchi piè agiugne ale il timore.

Sollecita lo dio, correndo, e passi,

facti a seguir veloci dallo amore;

vede da’ pruni et da’ taglienti sassi

e bianchi piè ferire con gran dolore;

cresce el disio, pel quale et ghiaccia et suda,

vedendola fugire sì bella et nuda.

 

32

Timida et vergognosa Ambra pur corre;

nel corso a’ venti rapidi non cede;

le leggier’ piante sulle spighe porre

potria, et sosterrieno il gentil piede;

vedesi Ombrone ognor più campo tôrre,

la nympha ad ogni passo manco vede:

già nel piano largo tanto il corso avanza,

che di giugnerla perde ogni speranza.

 

33

Già pria per li alti monti aspri et repenti

venìa tra’ sassi con rapido corso;

e passi a·llei manco expediti, et lenti,

faceano a·llui sperare qualche soccorso;

ma giunto, lapso, giù ne’ pian’ patenti,

fu messo quasi al fiume stanco un morso:

poi che non può col piè, per la campagna

col disio et cogli occhi l’acompagna.

 

34

Che debbe fare lo innamorato iddio,

poi che la bella nympha più non giugne?

Quanto gli è più negata, più disio

lo ’nnamorato core accende et pugne.

La nympha era già presso ove Arno mio

riceve Ombrone, et l’onde si congiugne:

Ombrone, Arno veggendo, si conforta,

et surge alquanto la speranza morta.

 

35

Grida da·llungi: «O Arno, a cui refugge

la magior parte di noi fiumi thoschi,

la bella nympha, che come uccel fugge,

da me seguìta in tanti monti et boschi,

sanza alcuna piatate el cor mi strugge,

né par che amor el duro cor conoschi:

rendimi lei, et la speranza persa,

et el legier corso suo rompi e ’ntraversa.

 

36

Io sono Ombrone che·lle mia cerule onde

per te raccoglio: a·tte tutte le serbo,

et facte tue diventon sì prophonde,

che sprezzi et ripe et ponti, alto et superbo;

questa è mia preda, et queste trecce bionde,

qual’ in man porto con dolore acerbo,

ne fan chiar segno; in te mie speme è sola:

soccorri presto, ché la nympha vola!».

 

37

Arno vedendo Ombrone, da pietà mosso,

per che el tempo non basta a far risposta,

ritenne l’acqua, et già gonfiato et grosso

da·llungi al corso della bella Ambra osta.

Fu da nuovo timore freddo et percosso

el vergin pecto, quanto più s’acosta:

drieto Ombron sente, et innanzi vede un lago,

né sa che farsi, il cor gelato et vago.

 

38

Come fera cacciata et già difesa

da’ can’, fuggendo la bocca bramosa,

fuor del periglio già, la rete tesa

veggendo innanzi agli occhi, paurosa,

quasi già certa dovere essere presa,

né fugge innanzi o indrieto tornar osa,

teme e cani, alla rete non si fida,

non sa che farsi, et spaventata grida;

 

39

tal della bella nympha era la sorte:

da ogni parte da paura oppressa,

non sa che farsi, se non disiar morte;

vede l’un fiume et l’altro che s’apressa,

et disperata alhor gridava forte:

«O casta dea, a cui io fui concessa

dal caro padre et dalla madre antica,

unica aiuta all’ultima fatica!

 

40

Diana bella, questo pecto casto

non maculò giammai folle disio:

guardalo hor tu, perch’io, nympha, non basto

a dua nimici; et l’uno et l’altro è dio.

Col desio del morire m’è sol rimasto

al core el casto amore di Laur mio;

portate, o venti, questa voce extrema

a·lLaur mio, che la mia morte gema!».

 

41

Né eron quasi della bocca fore

queste parole, che i candidi piedi

furno occupati da novel rigore;

crescerli poi et farsi un saxo vedi,

mutar le membra e ’l bel corpo colore

ma pur, che donna fussi anchor tu credi:

le membra mostron come suol figura

bozzata et non finita in pietra dura.

 

42

Ombrone pel corso faticato et lapso,

per la speranza della cara preda

prende nuovo vigore et strigne il passo,

et par che quasi in braccio havere la creda:

crescer veggendo innanzi agli occhi il sasso,

ignaro anchora, non sa donde proceda;

ma poi, veggendo vana ogni suo voglia,

si ferma pieno di maraviglia et doglia.

 

43

Come in un parco cerva o altra fera,

ch’è di materia o picciol muro chiuso,

soprafacta da’ cani campar non spera

vicina al muro, et per timor là suso

salta, et si lieva innanzi al can legiera,

resta el can dentro misero et deluso;

non potendo seguire dove è salita,

fermasi, et guarda el loco onde è fuggita;

 

44

così lo dio ferma la veloce orma,

guarda piatoso il bel saxo crescente,

el saxo, che anchor serba qualche forma

di bella donna, et qualche poco sente;

et come amore et la pietà lo ’nforma,

di pianto bagna il sasso amaramente,

dicendo: «O Ambra mia, queste son l’acque,

ove bagnar già el bel corpo ti piacque!

 

45

Io non haria creduto in dolor tanto

che la propia piatà, vinta da quella

della mia nympha, si fugissi alquanto:

per la maggior pietà d’Ambra mia bella,

questa, non già la mia, muove in me il pianto.

Et pur la vita trista et meschinella,

anchor che ecterna, quando meco penso,

è peggio in me, che in lei non haver senso.

 

46

Lapso, ne’ monti miei paterni excelsi

son tante nymphe, et sicura è ciascuna;

tra mille belle la più bella scelsi,

non so come; et amando sol questa una,

primo segno di amore e crini svelsi,

et caccia’la della acqua fresca et bruna;

tenera et nuda poi, fuggendo exangue

tinse le spine e ’ sassi el sacro sangue.

 

47

Et finalmente in un sasso conversa,

per colpa solo del mio crudele disio,

non so, non sendo mia, come l’ho persa,

né posso perder questo viver mio:

in questo è troppo la mia sorte adversa,

misero essendo et inmortale dio;

ché, s’io potessi pure almen morire,

potria il giusto inmortale dolor finire.

 

48

Io ho imparato come si compiacci

a donna amata et il suo amor guadagni,

che a quella che più ami più dispiacci!

O Borea algente, che gelato stagni,

l’acque correnti fa s’induri et ghiacci,

che, petra facto, la nympha acompagni:

né sol già mai co’ raggi chiari et gialli

risolva in acqua e rigidi cristalli».

 

© Belpaese2000.  Created 17.11.2007

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